Doppelgänger

di Isobel Connis
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Titolo: Doppelgänger
Autore: IsobelConnis.
Challenge della settimana #Ifitbleedschallenge del gruppo Facebook Non Solo Sherlock Multifandom
Challenge del mese #behindthecurtain
Fandom: Original.
Tipologia: Oneshot
Personaggi: Drew Maxwell, Yuichi Clark, Qerim Waller, Trevor Clark, William (Liang) Chen, Mark Callaghan, Helen e Thomas Maxwell 
Prompt If It Bleeds: Bloody Mary
Prompt #behindthecurtain A ha spesso visioni incontrollate ed insistenti, B non può fare altro che assistere impotente... o forse no
Genere: Malinconico, Horror, Supernatural, Angst, Warm and fuzzy feelings, H/C
Rating: Rosso.
Avvertimenti: Shounen ai/Yaoi, What if?
Note: AU di #PurpleHeart in onore di Halloween
 
 
This is the way you left me,
I’m not pretending,
No hope no love, lo glory,
no Happy Ending
This is the way that we love,
like this forever
Than live the rest of our life,
but no together.
 
«Ci sono davvero un sacco di persone a quest’ora!».
Ridacchiando tra sé e sé Yuichi scosse la testa, voltando il viso in direzione del suo migliore amico.
«Oh andiamo, Maxwell» disse sornione scivolandogli difronte «È la notte di Halloween»
«Ed anche il mio compleanno»
«E dici sempre di voler fare qualcosa di fantastico!»
«Clark, con “fantastico” intendo riuscire a scalare una montagna, fare un safari, andare a sciare, un campeggio, anche. Non di certo una serata a raccontare storie dell’orrore!»
Inarcando un sopracciglio, Yuichi si scostò dal marciapiede affollato di ragazzini, invitando l’amico a fare lo stesso.
«Tu ami queste cose. Ami i film del terrore, ami i racconti gotici, adori le leggende metropolitane e del folklore. Cosa è cambiato?»
«Ho quindici anni?»
«Puttanate, Drew, l’altro giorno ti ho accompagnato a comprare quel libro sui licantropi! Cosa è cambiato?»
Sospirando, Drew si strinse nelle spalle, cercando calore negli abiti strappati del suo costume da zombi «Nulla, Yui, davvero. Volevo solo fare qualcosa di diverso» soffiò scrollando le spalle.
«E perché non me lo hai detto?»
«Perché sei entusiasta di questa serata? Perché continui a dire che quest’anno hai storie terrificanti da proporre?» sbuffò Drew sollevando gli occhi al cielo.
«Tu cosa avevi in mente?»
Arrossendo, Drew distolse lo sguardo. Voleva passare il suo compleanno con Yuichi, solo loro, da soli.
Aveva chiesto il permesso ai suoi genitori, spiegando che, ormai sedicenne, era abbastanza responsabile da passare un paio di giorni da solo con il suo migliore amico -e cotta segreta, inutile negarlo ad Helen, lo aveva capito da secoli-
In un primo momento, la donna era sembrata scettica e dubbiosa, ma Thomas le aveva immediatamente avvolto la vita e sussurrato qualcosa all’orecchio -qualcosa che Drew, dato il rossore alle guance di sua madre e alla risatina che aveva rilasciato, era certo di non voler sapere- prima di annuire e garantire che, complice il breve ponte, lui e sua madre avrebbero lasciato casa un paio di giorni e sarebbero rientrati solo il lunedì mattina.
Drew li aveva stretti e ringraziati e, quasi inciampando sulle proprie protesi, aveva attraversato il vialetto di casa in fretta per bussare alla porta di Yuichi e annunciargli la novità.
L’unico problema, era stato che, aprendo la porta, Yuichi aveva detto la sua, ovvero l’avergli organizzato quella serata all’insegna dell’horror con i loro amici più stretti nella baita in montagna dei Waller… di nuovo.
Era vero, Drew amava profondamente tutto quello che riguardava orrore e mistero, inutile negarlo. Ma quello sarebbe stato l’ultimo compleanno che avrebbe festeggiato con Yuichi prima della partenza per l’accademia militare. E lui ci teneva davvero troppo a passarlo con lui, e voleva dirglielo, davvero, se solo Yuichi gli avesse poi aggiunto il “è il mio ultimo regalo per te prima della partenza”.
Dannati occhi blu.
«Nulla» sospirò in fine abbozzando un sorriso «Hai ragione, mi piace così»
Yuichi lo osservò attentamente sollevandogli il mento, regalandogli un piccolo sorriso «Casa libera, eh? Volevi fare una festa?»
«Qualcosa del genere» disse vago scuotendo la testa «Però sì, ha a che fare con casa libera»
Annuendo, Yuichi si guardò intorno, gruppi di bambini e ragazzini vestiti a festa erano intenti a fare dolcetto o scherzetto, accompagnati da genitori divertiti e fratelli competitivi con i loro bottini.
Lui e Drew lo avevano fatto per anni, e quando Yuichi aveva smesso perché troppo grande, Drew, orgoglioso dei suoi tre anni in meno, aveva iniziato a proporre serate a tema, un modo per unificare il suo compleanno e quella ricorrenza Nazionale. E si era sorpreso di quanto fosse bravo ad inventare racconti terrificanti nonostante avesse all’epoca solo dodici anni -cavolo, Qerim ne era rimasto traumatizzato la prima volta- ma si erano divertiti. La cosa fantastica di Drew, era la sua capacità di interazione, capacità che aveva dimostrato sin dal suo primo giorno alle medie, quando era uno scricciolo di venti chili ed un pugno di noccioline ed una dialettica che aveva lasciato muta l’intera classe, professoressa inclusa.
«Sai cosa facciamo, Drew?»
«Restiamo qui a prendere freddo?» domandò ironico inarcando un sopracciglio.
«Hai freddo?»
«Non ho il tuo mantello, Dracula, ho un cumolo di stracci»
Ridacchiando, Yuichi si sfilò il mantello avvolgendogli le spalle, strofinandole appena per riscaldarlo «Meglio?»
Arrossendo, Drew bofonchiò un “grazie” senza guardarlo, cercando di tenere a bada il battito frenetico del suo cuore.
 Con un piccolo sorriso, Yuichi proseguì, per un po’, fino a quando non sentì il corpo di Drew smettere di tremare.
«Cosa… cosa avevi in mente?» chiese Drew schiarendosi la voce.
«Una cosa molto semplice, a dire il vero.» sorrise Yuichi riprendendo a camminare in direzione delle loro case «Restiamo in baita questa notte, e domani, io e te facciamo tutto quello che vuoi, un secondo compleanno, che ne pensi?»
«Penso che non ho dieci anni»
«Se li avessi davvero avuti, Drew, lo apprezzeresti» ridacchiò. Yuichi aprendo la macchina.
«Cosa stai insinuando?»
«Nulla di offensivo» lo rassicurò raggiungendolo in macchina, sbuffando divertito allo sguardo indagatore di Drew «Credevo che avessi superato la fase permalosa»
«Come ho fatto con quella del biberon? Scordatelo»
Uscendo dalla strada principale per imboccare quella periferica, Yuichi accese la radio, mantenendo il volume basso, quasi ad un sussurro, Drew odiava i suoni forti, quelli che gli impedivano di sentire cosa lo circondasse. Yuichi lo aveva attribuito al suo incidente da bambino, i rumori delle sirene dei soccorritori, le urla ed il brusio della gente, avevano impedito alle squadre di sentire le sue urla. «Sei sempre stato adulto, Drew, tutto qui. Non te ne faccio una colpa, ti sei impegnato ad essere un bambino, lo so» sorrise dolcemente Yuichi «Ma se ti ci fossi anche sentito avresti davvero apprezzato un compleanno di quarant’otto ore, credimi. Io lo apprezzerei anche ora»
«Non sembrava così in spiaggia, quest’anno»
«Solo perché non ero con te, malaticcio»
«Tutta colpa di quel coglione di Henry. Come diavolo si fa a prendere la febbre ad agosto!»
«Non lo so» ridacchiò Yuichi imboccando la stradina di montagna «Me lo dovresti dire te»
«Ti odio»
Yuichi sogghignò, osservandolo per un brevissimo istante, prima di tornare con gli occhi alla strada. «Oh, Maxwell, quanto mi piacerebbe crederti».
 
***
 
La Baita dei Waller era… spaventosa. Drew non avrebbe trovato una parola per descriverla nemmeno se le avessero inventate.
I domestici del loro amico -Drew si rifiutava di credere che fosse solo ed esclusivamente merito del ragazzo- avevano fatto un lavoro certosino.
La baita, solitamente bella ed accogliente, curata nei minimi dettagli era circondata da zucche finemente decorate, ragnatele, tombe e scheletri, sul lato destro, quello più vicino al fitto bosco che l’avvolgeva, si poteva vedere bene la sagoma di un impiccato, mosso appena dal vento. All’interno della casa, vi era una sinistra luce rosse quasi a simulare un incendio interno.
Drew rabbrividì appena al ricordo di quel dannato incendio di otto anni prima, quello che aveva lasciato brutte cicatrici alle sue spalle e che gli aveva portato via le gambe.
Drew aveva un vuoto di memoria degli anni all’istituto Douglas, e solo vaghi ricordi di quella notte. Ricordava che l’edificio era crollato e che qualcuno lo aveva soccorso, Helen gli aveva detto che la causa del crollo era stato un incidente, un guasto all’impianto elettrico. Le aveva semplicemente creduto, dopotutto, all’epoca, era stata la sua soccorritrice, poi la ragazza che era stata al suo capezzale per assisterlo, dopo colei che insieme a suo marito lo avevano accolto in casa come un figlio ed infine la sua mamma, dopo mesi di pianti e depressione riabilitativa, finalmente aveva avuto la sua famiglia. E poco importava che non avesse più le gambe, i Maxwell erano stati perfetti con lui cercando di dargli sempre il meglio che la tecnologia potesse sviluppare per garantirgli una vita normale.
Traendo un forte respiro, abbassò lo sguardo ai suoi pantaloni strappati.
Aveva scelto di indossare una gamba anatomica ed una artificiale, ricoperta con un mix di carta e colla a simulare l’osso di una gamba in decomposizione.
«Drew?»
Sollevando lo sguardo in direzione dell’amico, Drew sorrise annuendo «Ok, te lo concedo, è orrenda»
Ridacchiando appena, Yuichi gli avvolse le spalle annuendo invitandolo ad avanzare in direzione delle scalette che portavano al portico, decorate in modo da sembrare parzialmente distrutte e mangiate dalle fiamme.
Arrestò il passo.
L’immagine di una grossa scalinata si fece largo nella sua mente, urla, macerie e sirene si susseguirono in una rapidissima serie di fotogrammi che, per un attimo, lo travolsero, costringendolo a cercare appiglio al corrimano di legno, sfiorando la decorazione di un grosso ratto dagli occhi rossi.
«Ehi!» immediatamente le mani di Yuichi lo sorressero, stringendo la presa alla sua vita «Ehi cos’hai?» chiese piano cercando il suo viso con un piccolo sorriso «Sono solo adesivi, non cadrai…»
Portando una mano alla tasca dei pantaloni, estrasse il dispositivo del suo microinfusore, controllando i parametri.
La glicemia era a posto, eppure aveva avuto una strana sensazione, come di vertigine, come se stesse per cadere.
«Drew?»
«Ho creduto di cadere.» ammise abbozzando un sorriso «Per qualche strana ragione, mi è sembrato di sentire delle urla»
«Forse stanno vedendo un film» sorrise Yuichi accarezzandogli il viso nel riportare una ciocca di capelli dietro l’orecchio «Stai bene? Hai bisogno di un po’ di miele?»
«No, no ti ringrazio, sono a posto» ammise mostrando il proprio dispositivo. «Vogliamo entrare?»
Yuichi lo osservò solo per alcuni istanti, prima di annuire e seguirlo lungo il portico e fino alla porta.
Drew camminava cauto, sapeva bene che quelle a terra non erano buche ma semplici adesivi. Eppure il suo stomaco si torceva ogni volta che con la scarpa ne sfiorava una.
«Bene arrivati!»
Nel suo abito da pirata, Qerim li accolse con un sorriso, immediatamente seguito da un Trevor in versione clown assassino, Will samurai e Mark in un licantropo in trasformazione.
«E quella coda?» chiese divertito Heero osservando l’appendice perlosa dell’amico.
«Un tutorial, bella vera?» sogghignò il ragazzo dandogli le spalle «La vera impresa è stata far si che si reggesse»
«Due fermi alla cintura» ridacchiò Drew avanzando in casa su invito di Qerim, osservando ogni dettaglio di quegli addobbi sinistri «Il tuo staff si è superato, amico. Questa stanza è terrificante» sorrise entusiasta avvicinandosi alla finestra, quella dove la luce rossa simulava l’incendio. «Mi piace, cazzo»
Scoppiando a ridere, Trevor lo raggiunse sfrizzolandogli i capelli «Auguri, piccolo genio»
«Grazie»
«Allora» annunciò Will avvicinandosi al televisore «Il programma della serata è molto semplice. Ci spariamo racconto del terrore fino all’ora delle streghe, dopodiché evocheremo Bloody Mary»
Inarcando un sopracciglio, Drew si voltò in direzione dell’amico incrociando le braccia curioso «Bloody Mary, Liang? Seriamente?»
«Hai paura?»
«Paura di una leggenda metropolitana? Ma figurati!» ridacchiò Drew scuotendo la testa.
Osservando lo scambio di battute tra i due, Mark si lasciò cadere sul divano con un tonfo sordo, portando la sua attenzione a Yuichi «Di chi si tratta?»
«Uno spettro» rispose il ragazzo scrollando le spalle «Ma Drew e Liang ne conoscono la storia meglio di me»
«Ci sono diverse versioni di questa leggenda» spiegò Drew con una scrollata di spalle «Qualcuno afferma che sia stata una bambina morta in un incidente, altri che morì seppellita viva dal padre a causa di una malattia per evitarne la diffusione, altri la vedono come una donna in attesa e molti l’associano a Maria I di Inghilterra. Ma le leggende sulla sua evocazione sono più o meno tutte simili. Per essere invocata, sembra che si debba chiamare il suo nome un numero specifico di volte di fronte a uno specchio in una stanza illuminata solo da candele e preferibilmente a mezzanotte.
«E lo scopo?» chiese Mark posando il volto sul palmo della mano «Dare fastidio ad un morto?»
«Secondo alcuni la donna nello specchio predice il futuro o il giorno della morte dell'evocatore» spiegò Liang selezionando alcuni film da poter guardare dopo “l’evocazione”.
«Tutto qui?»
«La bravura dell’evocazione è non tanto nel far apparire Bloody Mary, quanto più nel sopravvivere al suo richiamo» disse in tono cupo Liang illuminando il suo viso dal basso con una torcia.
«E qui viene il bello» commentò divertito Trevor mangiando un paio di pop corn
«Quasi tutte le varianti avvertono di non guardare mai Bloody Mary direttamente e di interagire solo attraverso il suo riflesso. Di solito, chi rompe questo taboo viene ucciso dall'apparizione»
«Ci sono prove?»
«Della sua apparizione?» chiese Drew sedendosi tra Yuichi e Qerim, sporgendosi per osservare Mark «Alcune, dall’inizio del XX secolo, quando ha preso piega questa moda. La realtà è molto più semplice da spiegare. Secondo un articolo pubblicato da Giovanni Caputo il fenomeno è dovuto all'illusione di estraneità provocata dall'osservazione prolungata di un volto allo specchio in condizioni di scarsa illuminazione. Le caratteristiche facciali possono "fondersi, distorcersi, sparire e ruotare, mentre possono apparire altri elementi allucinatori, come volti estranei o animaleschi". Secondo Caputo questo fenomeno è una conseguenza del "dissociative identity effect", che fa sì che il sistema di riconoscimento facciale del cervello sbagli secondo meccaniche ancora non identificate. Altre possibili spiegazioni includono illusioni attribuite in parte all'effetto Troxler o a episodi di autoipnosi[1] e-»
«Ed ecco a voi Drew Wikipedia Maxwell, signori» lo prese dolcemente in giro Yuichi pizzicandogli il fianco facendolo ridere.
«Smettila!» lo riprese arricciandosi su sé stesso, fulminandolo subito dopo con lo sguardo in un muto avvertimento.
«Se sei così certo che sia tutta un’illusione, Drew, magari potresti essere il primo di noi a farlo, cosa ne dici?» chiese Trevor sporgendosi per spegnere la luce della lampada.
«Senza alcun problema» sogghignò.
 
***
 
Aveva preparato ogni cosa, la candela, l’accendino ed un secondo specchio. Tutto era pronto per richiamare lo spirito di Bloody Mary.
Con il resto dei ragazzi, avevano concordato la più comune delle evocazioni, quella che prevedeva ripetere il nome della ragazza tre volte.
La porta del bagno era chiusa, ma sapeva bene che i suoi amici fossero appena dietro l’uscio. Yuichi si era preoccupato, quasi all’improvviso credesse davvero alla venuta dello spirito. Lo aveva rassicurato.
Non sarebbe successo nulla.
«Trenta secondi a mezzanotte» comunicò Will oltre la porta.
«Ci sono» garantì Drew accendendo la candela bianca che aveva di fronte, prendendola poi tra le mani con una strana sensazione.
Il bagno sembrava diverso visto alla luce spettrale della candela. Non si sarebbe davvero sorpreso se il suo subconscio, anziché il suo riflesso, gli avesse mostrato un lupo.
«Bloody Mary» chiamò la prima volta fissando la candela «Bloody Mary…» chiamò di nuovo con un brivido, e lo ammise, attese alcuni secondi prima di pronunciare quel nome una terza volta.
Fissò lo specchio, la superficie rifletteva la sua figura, le occhiaie sceniche per il suo trucco da zombie, i capelli malamente legati in una crocchia bassa e disordinata, le labbra viola e il viso terribilmente pallido.
Cazzo se sua madre non aveva fatto un lavoro degno di una make-up artist di Hollywood!
Con la coda dell’occhio, attraverso il riflesso, Drew notò qualcosa, come un’ombra scura accucciata in un angolo.
La tazza del wc, Drew sapeva essere lì, ed era certo che fosse quello. Se si fosse voltato avrebbe visto solo quella.
E lo fece, trovando lì l’oggetto, e solo quello.
Sorrise soddisfatto di sé stesso, tornando a guardare lo specchio. Sussultando, rompendo il bicchiere abbandonato sul lavandino e lanciando un grido di sorpresa al volto orribilmente sfigurato che vide.
Il cuore gli batteva a mille e le orecchie avevano iniziato a fischiare, la sua mano si mosse veloce in direzione della luce accendendola, ferendosi con i vetri rotti nel farlo, sentendo una risata divertita famigliare aleggiare nell’aria.
«Fottuto inferno»
«Dovevi vedere la tua faccia» commentò Liang sfilandosi la maschera «Ma diavolo se non sei temerario, Maxwell, ti sei perfino voltato!»
«È una fottuta illusione ottica! Certo che mi sono voltato» espirò tamponando il sangue con della carta.
La porta si aprì, rivelando i volti divertiti dei suoi complici.
«Ti sei davvero voltato?» chiese scioccato Qerim.
«Non c’è un minimo di fondamento scientifico, ovvio che l’abbia fatto» rispose seccato osservando il sangue.
Allertato, Yuichi lo raggiunse per esaminare la ferita, sussultando nel vedere il taglio che si era aperto profondo nella sua mano.
«Ti sei fatto male?»
«Non è niente» rispose sottraendo la mano al suo migliore amico, venendo immediatamente fermato.
«Ti aiuto a medicarla» disse serio portando la sua mano sotto il getto dell’acqua per eliminare la presenza di eventuali frammenti di vetro.
Drew osservò il sangue vorticare nella ceramica bianca insieme all’acqua, un ricordo lontano, qualcosa che era già accaduto. Forse da bambino?
«Ti fa male?» chiese Yuichi invitandolo a sollevare il viso e distoglierlo dal lavandino.
«Come?»
«La mano, ti fa male?»
«Mh? No, no affatto… sono praticamente intollerante al dolore, lo sai» sussurrò osservando i rami della vecchia quercia battere contro la finestra del bagno.
«Vado a prendere del disinfettante e una garza, tu aspetta qui. continua a tenere il taglio sotto l’acqua, ok?»
Roteando gli occhi, Drew annuì sbuffando, avrebbe voluto dire che non era necessario. Che era uno stupido taglio. Ma Yuichi avrebbe iniziato immediatamente una lunga filippica sulle infezioni. E davvero non aveva voglia di sentirla.
Poi era lui il “nerd del cazzo” eh?
Sospirando sollevò lo sguardo dalla propria mano, portando allo specchio, osservando in direzione del wc.
Era strano, pensò rabbrividendo, per quando non credesse a tutte quelle stronzate, per un istante, aveva quasi creduto di vedere qualcosa.
Effetto Troxler. Lo riprese la sua mente.
Sbuffando una risata scosse la testa tornando a fissare la propria immagine, sussultando nel constatare che, effettivamente, la sua mente avesse preso un po’ troppo sul serio la questione delle illusioni.
In un angolo, proprio accanto al wc, vi era qualcuno, una figura minuta rannicchiata su sé stessa, con capelli lunghi biondo sporco e le braccia strette alle gambe. Braccia coperte da vivide scottature, ustioni che sembravano tanto dolorose quanto profonde. E a Drew morì in gola un grido nel sentire quella vocina lamentarsi.
«Ho paura» sussurrò in un eco lontano, sembrava una bambina «Vieni a salvarmi…»
Drew strizzò gli occhi contando fino a tre, prima di voltarsi in direzione del wc e riaprirli, trovando, appunto, solo il sanitario.
Il cuore aveva ripreso a battere con forza e la sua testa si era fatta pesante, quasi la temperatura della stanza fosse salita a livelli vertiginosi.
«Ehi ehi ehi»
Due braccia forti lo trattennero stringendolo alla vita, impedendogli di cadere. «Drew? Cos’hai?»
«Ho caldo…» sussurrò asciugandosi il viso, sentendo la testa iniziare a girare.
«Non è così caldo da sudare…» mormorò Yuichi recuperando il dispositivo per controllare gli zuccheri. «Si stanno abbassando» disse prendendo una delle bustine di miele che aveva imparato a portare sempre con sé porgendogliela.
«Quell’idiota di Will, se avessi saputo che aveva in mente di fare una cosa del genere lo avrei fermato» borbottò bagnando un asciugamano per rinfrescargli il viso.
«Sto bene… non mi ha spaventato quell’idiota…»
«Stai sudando»
«Ti ho detto che sento caldo» sbuffò togliendo la camicia a quadri, prendendo l’asciugamano che Yuichi aveva tra le mani per portarselo al collo, miagolando soddisfatto alla sensazione di fresco.
«Non è che hai la febbre?» chiese l’amico tastandogli la fronte, trovandola invece fresca «No, niente febbre» disse in un sospiro inginocchiandosi di fronte a lui, iniziando a medicargli la mano, guardandolo di tanto in tanto.
Drew aveva lo sguardo puntato allo specchio, il suo respiro era estremamente lento, quasi fosse totalmente immerso nella sua immagine.
«Drew?» lo richiamò Yuichi accarezzandogli la coscia, facendolo sussultare «Tutto bene?»
«Sì, sì stavo solo… pensando» ammise abbozzando un sorriso, lasciando cadere l’asciugamano a terra «Hai detto qualcosa?»
«No, sei solo… strano?»
Sbuffando una risata imbarazzata, Drew si passò la mano buona tra i capelli scuotendo la testa «Credo che quell’idiota di Liang sia riuscito a farmi suggestionare un po’» ammise «Credevo di aver visto qualcosa»
Sorridendo dolcemente, Yuichi terminò la sua medicazione rimettendogli la camicia sulle spalle «William Chen ha creato una breccia nelle tue convinzioni?»
Ridacchiando Drew scosse appena la testa «Se glielo racconti ti verrò a grattare i piedi da morto!»
Ridendo a sua volta, Yuichi scosse la testa aiutandolo a sollevarsi «È ma minaccia peggiore che potessi farmi, Maxwell, sappilo. L’ultima cosa di cui avrei bisogno ora sarebbe proprio un fastidioso poltergeist che mi perseguita»
Drew avrebbe voluto ridere di quella battuta. Davvero, eppure non vi riuscì.
Stranamente, quel termine, poltergeist, lo fece rabbrividire in modo inquietante. E per un attimo, fu perfino certo di aver sentito l’eco lontano della risata di un bambino.
 
***
 
Erano tornati a casa solo l’indomani, all’alba, dopo aver trascorso il resto della notte a guardare film dell’orrore. Yuichi gli aveva assicurato che potesse riposare, ma Drew aveva affermato di non aver sonno e di volergli fare compagnia. Avevano passato parte del viaggio in silenzio, accompagnati solo della radio, tenuta rigorosamente bassa.
Posando la testa contro il vetro Drew intonò piano la canzone che si era espansa nell’abitacolo. Non gli sembrava familiare, eppure ne conosceva bene le parole.
«Non credevo la conoscessi» ammise Yuichi alzando appena il volume «Né tantomeno che la conoscessi, è lontana anni luce dai tuoi gusti».
«Non credo di conoscerla, infatti» ammise Drew fissando gli alberi susseguirsi «Eppure sembra così familiare…»
«Forse…» Yuichi si morse le labbra prendendosi un attimo prima di parlare. Tutto quello antecedente l’adozione, era quasi un taboo. Non perché Drew non volesse condividerlo. Non si vergognava ad ammettere di esser stato adottato, al contrario, ne andava fiero, ma non parlava volentieri degli anni che aveva trascorso all’istituto. «L’hai sentita prima di venire a vivere con i tuoi genitori?» propose cauto. «Ammetto di aver sentito questa vecchia canzone solo tramite le cassette di mio padre»
Voltando appena il viso nella sua direzione, Drew scrollò le spalle «Potrebbe» concesse giocando con la medicazione alla mano. «Non evito di parlare di quegli anni per paura o rabbia, Yuichi, non pensarlo.» sorrise dolcemente «Puoi farmi tutte le domande che vuoi di quel periodo. Il problema è che non ricordo nulla»
«Niente?»
«Frammenti di istanti. Nulla che si possa davvero chiamare “ricordo”» soffiò accoccolandosi contro il sedile, stringendosi nella giacca «La mia vita, per quel che mi ricordo, Yui, è iniziata quando ho aperto gli occhi alla clinica Hendersen, quando quella ragazza che nemmeno mi conosceva ma non ha esitato a salvarmi mi ha offerto un amore incondizionato ed una casa» sospirò osservando il bracciale medico che riportava la sua malattia ed il suo nome, quello con la quale lo avevano identificato.
«Hai mai chiesto se sapessero qualcosa?»
«Tipo?» chiese ironico sollevando un angolo della bocca «Erano lì per cercare un bambino. Dubito seriamente che mi conoscessero prima, e chi lo aveva fatto, è morto quella notte» rabbrividì mentre una rampa di scale in frantumi riempì la sua mente, sostituita velocemente da un ampio atrio illuminato, quella scala intatta. Strinse gli occhi scuotendo la testa «Eppure… credo di star ricordando qualcosa»
«Qualcosa di che tipo?» chiese Yuichi fermandosi ad un incrocio, voltandosi per un attimo nella sua direzione e spegnendo la radio.
«Quella notte, immagino… delle scale, grandi… come quelle che si vedono nei palazzi neoclassici, quelle che ai bambini sembrano immense…» raccontò «Le vedo distrutte e ora, anche intatte, in marmo giallo, con corrimano in legno» ammise inclinando appena il viso «L’atrio grande e ambio, con un disegno concentrico al centro e… bambini che corrono ovunque»
«Ti sta tornando la memoria, è un buon segno, no?»
Abbozzando un sorriso, Drew perse lo sguardo all’orizzonte, dove, timidamente, il sole aveva iniziato a fare capolinea oltre le grandi montagne.
«Vorrei ricordare quello che è stato vivere al Douglas… ma ho il terrore di ricordare quella notte…» ammise in un soffio guardando Yuichi con un sorriso di scuse «Gli incendi mi fanno davvero paura»
«Lo capisco» ammise Yuichi stringendogli brevemente una gamba prima di ripartire. «Per questo ti sei… sentito male? Quando siamo arrivati?»
«Forse, la suggestione di quelle scale e l’illusione di quelle fiamme dalla finestra devono aver innescato qualcosa, in bagno… credevo di aver visto una bambina ustionata»
«La versione di Bloody Mary morta in un incidente?»
«Te l’ho detto che la mente umana è fantastica» sbuffò una risata passandosi una mano tra i capelli «Tutta una serie di stupide coincidenze mi hanno indotto ad aver paura di qualcosa che sapevo bene non esistere ed essere altamente improbabile!»
«Ti sei dato una spiegazione da solo, sei molto più avanti di Mark che ancora si starà chiedendo chi fosse l’ombra che continuava a passare davanti alla finestra»
«Cavolo, chi altri se non Thaddeus! Quell’uomo ha una mole unica ed impressionante! Oltre al fatto che il CEO della Waller Co non avrebbe mai lasciato il suo unico erede senza una scorta!»
«Quest’anno, devo ammettere che Qerim l’ha studiata davvero bene, mi sono divertito» mostrò la mano «Nonostante tutto»
«Lo scopo era questo. È stato o no, il compleanno più terrificante della tua vita?»
Ridacchiando, Drew annuì tornando a guardare fuori dalla finestra, la canzone era ricominciata senza quasi che se ne rendesse conto, e Yuichi parve perfino non notarlo. Voltando lo sguardo alla radio si sporse per alzare un po’ il volume, sentendo Yuichi ridacchiare piano.
«Se non l’accendi, dubito seriamente che tu possa sentire qualcosa»
«No, non è spenta, io sento…» inarcò un sopracciglio constatando che, effettivamente, la radio fosse spenta.
«Cosa senti?»
«Quella musica… mi sembrava… di sentirla ancora»
«Ti sei fissato con quella canzone» ridacchiò Yuichi scuotendo la testa «Ora dovrai sentirla finche non abbandona la tua testa»
Con un piccolo sbuffo Drew tornò ad affondare nel sedile. Se era davvero nella sua testa… perché l’abitacolo sembrava invaso da quella melodia?
Per fortuna raggiunsero casa abbastanza rapidamente e come aveva abbandonato l’auto, la musica sembrava essere cessata. Sorridendo si diresse in direzione del portone, affiancato da uno Yuichi stanco ma divertito.
«Ti fermi da me?»
«L’idea era quella, no? due giorni casa libera, ti faccio compagnia» sogghigno indicando la propria casa alle sue spalle «I miei sanno come trovarmi»
Ridendo Drew entrò in casa, trovandola terribilmente calda «I miei hanno lasciato il riscaldamento acceso, si soffoca qui dentro» disse raggiungendo il termostato per regolare la temperatura, inarcando appena un sopracciglio nel constatare che fossero solo venti gradi.
«Io credo che si stia bene» commentò Yuichi chiudendosi la porta alle spalle e stiracchiandosi «Ce ne andiamo a letto? Che ne dici?»
Annuendo, Drew osservò un’ultima volta il quadro del termostato prima di salire le scale con un brivido, aveva la sensazione di essere seguito. Come se un’ombra fosse costantemente alle sue spalle.
Voltandosi tuttavia, non vide nessuno, e decise che fosse troppo stanco per poter ragionare con la sua mente, infondo era sveglio da quasi ventiquattro ore, era risaputo che la mente iniziasse a giocare brutti scherzi, in assenza di sonno.
Dopo essersi cambiato ed infilato sotto le coperte, attese che Yuichi lo imitasse prima di augurargli la buonanotte e spegnere la luce.
La casa era completamente avvolta nel silenzio e ben presto, il respiro costante e pesante di Yuichi lo avvertirono che il suo migliore amico fosse crollato. Voltandosi nella sua direzione lo osservò dormire, il volto completamente disteso ed un piccolo sorriso a dipingergli le labbra.
Gli si strinse il cuore al pensiero che dopo il diploma non lo avrebbe rivisto per tre anni e che lui, non avrebbe potuto fare nulla per impedirlo.
Coprendosi maggiormente affondò nel cuscino, Drew rilasciò un lungo sospiro sentendo il suo corpo rilassarsi lentamente e il sonno accoglierlo lentamente.
Si sentiva bene, il giardino nella quale si trovava era ampio pieno di giochi e bambini di ogni età che correvano ovunque. Una donna senza folta li riprese bonaria, e dopo uno “scusa” riso avevano ripreso la loro corsa.
Drew sorrise alla scena, muovendo un passo nella loro direzione, fermandosi nel contemplare un laghetto, sgranando gli occhi alla vista delle sue gambe, in carne piccole ma ben formate, come quelle di un bambino.
Sporgendosi nella superficie dell’acqua, poté vedersi bambino, i suoi capelli sciolti che sfioravano appena le spalle, una maglietta viola che gli andava larga fasciava il suo corpicino magro, i calzoncini corti mostravano le sue gambe, e Drew si sedette a terra per osservarle, sulla sinistra aveva una cicatrice, e sorrise appena al ricordo. La bicicletta, cadendo si era fatto male con il pedale, qualcuno lo aveva soccorso e rimproverato per essere stato… «Troppo avventato» sussurrò insieme ad un eco lontano. «Non sapevo andarci ancora bene» disse voltandosi in direzione del parco, ora completamente vuoto e buio. Sollevandosi cadde a terra, le sue gambe sparite e la paura intrisa nelle sue viscere.
Urla, terrore e caos.
Il giardino era coperto di detriti, camion dei vigili, macchine della polizia, ambulanze. Lui non era più li sotto, no, ma in un corridoio, largo e lungo, dal fondo del corridoio venivano urla agghiaccianti. No, non da lì, dal piano inferiore.
«Drew!» qualcuno lo aveva chiamato, ma non sapeva da dove.
«Drew!»
«Sono qui» urlò sentendo di nuovo quella sensazione di caldo e quell’aria tossica e pesante avvolgerlo. Fumo.
«Ho paura…» disse una voce distorta sovrastando il proprio nome «Vieni a salvarmi»
«Drew!»
Con un grido di puro terrore, Drew spalancò gli occhi scattando a sedere, ansimando e tremando forte, il cuore che batteva veloce e feroce contro il suo petto sembrava minacciare di esplodere e le sue tempie pulsavano in modo spaventoso.
Due braccia forti lo strinsero, massaggiandogli la schiena rassicurante. «Va tutto bene, va tutto bene, sono qui» sussurrò la voce. La conosceva bene, eppure, in quel momento, davvero non seppe dargli un nome «Ci sono io con te, non ti lascio, respira»
E Drew voleva farlo, con tutto sé stesso, ma l’aria calda e soffocante della stanza glielo impediva. E voleva dirlo alla voce ma non lo fece, così come non gli disse che gli stava facendo male, che stava stringendo troppo forte.
Sentì la pelle della schiena lacerarsi e la pelle viva entrare a contatto con l’aria. Urlò quando le braccia si staccarono da lui, portando via anche la sua pelle. Quella che era stata parzialmente riparata dagli innesti.
«Guardami!»
Serrò gli occhi. Col cavolo che lo avrebbe guardato in viso.
«Guardami! Apri gli occhi! Svegliati!»
Il “No” che abbandonò le sue labbra era singhiozzato, spaventato a morte e di nuovo le braccia lo afferrarono per sollevarlo, questa volta pizzicandolo con forza, facendogli aprire gli occhi.
La vista era sfocata, e la figura di fronte a sé un ammasso di colori indefiniti.
Una mano si posò sulla sua guancia e lui chiuse gli occhi, lasciando scorrere alcune lacrime.
«Drew, sono io» sussurrò la voce allarmata di Yuichi «Ehi, sono io, guardami…»
Tirando su con il naso, Drew aprì gli occhi, temendo di vedere qualcosa di mostruoso, ma tutto ciò che vide fu il viso preoccupato del suo migliore amico.
«Ehi… hai avuto un incubo, non riuscivo a svegliarti» raccontò scostandogli i capelli fradici di sudore indietro per liberargli il viso «Cielo, Drew, stai tremando, cosa…»
Facendo lunghi respiri Drew si sporse per affondare il viso nel suo collo cercando in tutti i modi di rallentare il battito frenetico del suo cuore. Se avesse continuato in quel modo, avrebbe avuto una crisi, ne era certo.
«Drew?»
«Ora mi passa… ora mi passa» singhiozzò senza volerlo, aumentando la presa alle sue spalle «Merda. Mi passa!» spaventato, Yuichi lo strinse con forza premendo le labbra contro i suoi capelli «Shh, shh respira…» sussurrò maledicendo mentalmente quel coglione di Will per lo stupido scherzo
Ci volle un po’, molto più tempo di quanto Drew impiegasse per calmarsi da bambino, ma alla fine, dopo due bustine di zucchero, un po’ di rassicurazioni e tanta acqua, il ragazzo era riuscito a calmarsi, a mantenere i suoi libelli di zucchero relativamente buoni e a riprendere possesso di sé stesso.
Seduto al centro del letto, osservando le gambe prive di protesi attraverso il pantaloncino, accettò di buon grado la cioccolata calda di Yuichi, bevendone subito un generoso sorso.
«Meglio?»
«Scusami… non so cosa mi sia accaduto…» sospirò accarezzandosi la curva del moncone.
«Tranquillo, l’importante è che ora vada meglio»
Annuendo Drew sospirò bevendo un secondo sorso di cioccolata, abbozzando un leggero sorriso «Ho… sognato il Douglas.» ammise evitando i suoi occhi «Una giornata nel giardino, un pomeriggio qualsiasi» sorrise appena «Il giardino era bello e curato… eravamo più o meno una trentina di ragazzini… credo fossi uno dei più grandi, sai?» sbuffò appena una risata sentendo gli occhi pizzicare «Avevo una cicatrice sulla gamba sinistra, me l’ero procurata andando in bici» raccontò.
«Si?» chiese con un piccolo sorriso Yuichi sedendosi sul letto «Lo ricordi?»
«Ricordo anche che qualcuno mi disse che mi sarei fatto male, che non sapevo andarci ancora bene» rise appena «E io l’ho ignorato completamente»
«Se non altro sappiamo che sei sempre stato una testa calda» rise dolcemente scuotendo la testa, facendo ridere anche Drew «E allora… cosa ti ha spaventato?»
«Io…» di nuovo il susseguirsi dei frammenti di quella notte si fecero largo nella sua mente e di nuovo l’opprimente sensazione di malessere lo invase «Non… sono certo di volerne parlare, Yui, scusami»
Con un sorriso comprensivo, Yuichi annuì sollevandosi, porgendogli le sue protesi «Sai cosa, Drew? Credo che tu abbia bisogno di un bel bagno caldo.»
E così fece.
Sospirando di piacere, Drew lasciò che l’acqua calda rilassasse i suoi muscoli tesi e contratti, lavando via al contempo la stanchezza ed il sudore.
Che diavolo gli stava succedendo?
Con una leggera nota di incertezza, voltò il viso allo specchio trattenendo il fiato. Possibile che si trattasse davvero dello spirito di Bloody Mary?
Che avesse spezzato il legame distogliendo lo sguardo dallo specchio e cercando la sua presenza nel mondo reale? Possibile che nel momento in cui si era voltato, aveva concesso allo spirito di attraversare la superficie ed entrare nel mondo dei vivi?
«Cielo Drew, ti stai fottendo il cervello per niente!» sospirò passandosi una mano tra i capelli «Che diavolo ti prende» sussurrò passandosi una mano ad asciugare il viso sudato.
«~Hai paura~» rispose una voce alle sue spalle. La voce distorta, piccola e squillante di un bambino.
Drew sentì distintamente il proprio cuore accelerare ed un lunghissimo brivido scuoterlo nonostante l’acqua bollente.
Sentiva il respiro pesante e aveva l’impulso di voltarsi. Ma temeva davvero di vedere qualcosa.
«È solo la tua mente, Drew, è solo la tua mente»
«~Ma ora sono qui~» disse ancora quella vocina accompagnata da una forte ondata di calore. Questa volta era ancora più vicina, quasi stesse alle sue spalle, a sussurrare al suo orecchio.
Drew serrò con forza gli occhi espirando, imponendosi di restare calmo «Si solo nella mia mente» sussurrò scuotendo la testa «Tutta colpa di quell’idiota di Liang!»
«~Non ti lascio~» disse ancora la vocina, ma questa volta non era più alle sue spalle, no, ma al suo fianco, Drew ne sentiva distintamente la presenza, così come il calore che emanava, la sensazione di fiamme vive e ardenti, quasi si trovasse troppo vicino ad un focolare. «~Io resto qui, resto per te~»
«Non sei davvero qui, non sei davvero qui» sussurrò portandosi le mani alle orecchie, sperando di non sentire più quella vocina, sperando che la sua mente smettesse di giocargli quello stupido scherzo.
«~Perché non mi guardi! ~» urlò il bambino, raggiungendo un tono di voce così alto che sentì lo scoppio di una lampadina e l’incrinarsi dello specchio posto sopra il lavandino.
«Vai via!» urlò, scivolando sotto il pelo dell’acqua
«Drew?»
Due mani forti lo presero sollevandolo con forza dalla vasca, costringendolo ad emergere.
Dimenandosi, Drew provò a liberarsi dalla presa, finendo solo per farsi male ad uno dei monconi.
«Drew!»
Yuichi gli impose di fermarsi, sovrastandolo con il suo corpo e Drew lo fece, fissandolo andante e spaventato, osservando l’acqua che scendeva copiosa dai suoi capelli e la maglietta del pigiama incollata al suo busto, esaltandone il corpo allenato. «Ehi»
Cercando di recuperare quanta più aria possibile, Drew annuì velocemente, portando lo sguardo alle proprie spalle trovando il suo accappatoio nero e quello dei suoi genitori. la finestra del bagno era socchiusa.
«Ti sei addormentato» affermò Yuichi sedendosi sui talloni, liberandogli piano le mani, concedendogli un momento per riprendersi.
«Io…» scosse la testa passandosi una mano sul viso «Immagino di sì, credo, credo di averlo fatto»
Rilassando appena le spalle, Yuichi annuì con un piccolo sorriso «Va meglio ora?»
«Dipende…» sbuffò teso e con un leggero rossore «Sei… sopra di me e io sono…»
Arrossendo a sua volta, Yuichi uscì di corsa dalla vasca, portando con sé una grande quantità d’acqua, imbrattando il tappeto e bagnando un po’ ovunque. «Non, non riuscivo a farti uscire dall’acqua e»
«Va bene» si affrettò a dire stringendosi le spalle, sentendo il caldo che aveva provato fino a quel momento abbandonare il suo corpo, quasi non vi fosse mai stato.
«Cos’hai?»
«Freddo?»
«No, non in quel senso» disse Yuichi inginocchiandosi al suo fianco, facendogli voltare il viso, passando la mano accanto al suo orecchio «Stai sanguinando»
«Come?» chiese Drew spostando la sua mano per sostituirla con la propria, osservando poi la macchia di sangue.
«Non è normale»
«Deve esser stata la pressione dell’acqua quando sono riemerso»
«”Non eri diecimila leghe sotto i mari”»
«Il mio corpo fa schifo e si confonde, che vuoi che ti dica» scrollò le spalle sciacquandosi viso e orecchio e sollevandosi con le braccia oltre il bordo della vasca, scivolando a sedere sotto lo sguardo imbarazzato di Yuichi che, velocemente, distolse lo sguardo permettendogli di coprirsi.
E Drew gliene fu immensamente grato. Nonostante ostentasse sempre sicurezza, alcune parti del suo corpo, non era davvero certo di volerle mostrare… non ancora almeno…
«Quando si è rotto lo specchio» chiese Yuichi richiamando la sua attenzione.
Voltando il viso in direzione dell’amico, Drew osservò quasi con orrore l’oggetto, osservando la sua immagine riproposta tre volte e quella che sembrava un’ombra alle sue spalle.
 
***
 
Avere a casa di nuovo suo padre e sua madre aveva in qualche modo tranquillizzato Drew.
Non aveva problemi a stare da solo. Amava da morire la compagnia, e gli piaceva avere gente intorno, ma come orfano, abituato a dividere tutto con altri bambini sfortunati, Drew amava anche la solitudine, il godersi un momento per sé. Sensazioni che aveva iniziato a conoscere ed amare quando Thomas ed Helen avevano aperto per la prima volta le porte della loro casa a lui e mostrato quel piccolo angolo di paradiso che era la sua camera da letto. Sedici metri quadri che gli avevano da subito concesso di personalizzare a suo piacimento, anche se non erano i suoi genitori, anche se l’affido sarebbe dovuto essere temporaneo, volto solo a seguirlo durante le cure e la riabilitazione.
I Maxwell erano una coppia giovanissima, “potevano avere figli loro” eppure Helen aveva problemi a portare avanti una gravidanza, e numerosi aborti spontanei avevano segnato il suo corpo e il suo cuore, Thomas le era stato sempre accanto e quando aveva timidamente proposto l’adozione, avevano davvero visto una luce, l’unico problema era stato che quella luce, fosse un istituto in fiamme, e la speranza, un bambino sepolto vivo.
Ispirando abbandonò l’accordo, posando la testa sulla cassa della chitarra.
Erano passati due giorni dall’incidente in bagno, aveva chiesto scusa ai suoi per lo specchio, ma Thomas lo aveva rassicurato che “uno specchio rotto si sostituisce” e che l’importante fosse che non si era fatto male.
«Non suoni più?» chiese piano suo padre dalla porta lasciata socchiusa facendolo sussultare.
«Sì,» sorrise «Mi sono fermato solo un attimo, stavo pensando»
«Di solito non ti crea problemi» scherzò bonario l’uomo entrando nella stanza, indicando il letto «Posso?»
Annuendo Drew si spostò appena, concedendo all’uomo di accomodarsi al suo fianco. Prese lo spartito tra le mani osservandolo, sorridendo appena «Sembra familiare, me la fai sentire?»
«Sì beh… è solo una cosa che ho in testa da un po’. Yuichi dice che è una vecchia canzone»
«Le vecchie canzoni non tramontano mai» lo incoraggiò con un sorriso «Ti ascolto»
Annuendo appena. Drew riprese in grembo la chitarra, intonando piano quella canzone che da alcuni giorni riempiva la sua mente. Una nenia, nella lingua originale di suo padre.
Accanto a lui, Thomas muoveva appena la testa, seguendo quel ritmo lento e costante, ascoltando la voce di suo figlio propagarsi nell’aria.
«Yuichi ha ragione… è piuttosto vecchia. Dove l’hai sentita?»
«Non ne sono certo» ammise con un leggero sorriso «Forse al Douglas?»
Per un istante, gli occhi di suo padre si fecero scuri, di un velo di tristezza che raramente aveva avuto occasione di vedere nelle iridi nocciola dell’uomo.
L’istituto Douglas non veniva mai nominato, quella notte, a detta di Helen, era stata, in un primo momento, fin troppo romanzata dai media, per poi finire nel dimenticatoio e rievocata per il suo memoriale e spendere appena due parole.
All’epoca, si era parlata di una “Tragica fatalità” avvenuta a causa del vecchio impianto elettrico ancora in funzione. La struttura originale dell’orfanotrofio era ancora in gran parte di legno ed era stata la prima a crollare, i dormitori che comprendevano l’ampliamento della struttura, -grazie alle nuove direttive sugli spazi e le sicurezze,- avevano resistito al crollo, ed erano ancora presenti a Douglas Square.
«Potrebbe essere» ammise Thomas «Non è esattamente qualcosa che sentiamo in casa» rise dolcemente liberandogli il viso dai capelli sfuggiti alla crocchia morbida. «Non hai mai mantenuto segreti con noi, Drew, ma tua madre crede che tu abbia qualcosa che ti turba» indicò la chitarra «Ed io penso che abbia ragione… ne… vuoi parlare?»
Sospirando, Drew posò la chitarra sul suo supporto, voltandosi completamente verso Tom, giocherellando distrattamente con la gamba vuota del pantaloncino che indossava.
«A dire la verità… qualcosa ci sarebbe» soffiò «E prima che tu possa chiedermelo, no, non riguarda nessuna cotta o dichiarazione» ci tenne a precisare osservando suo padre sollevare le mani in segno di resa e annuire.
«Sono tutto orecchie, campione»
«Credo di aver iniziato a ricordare qualcosa.» disse tutto d’un fiato evitando il suo sguardo «Ma non ne sono certo»
Facendosi più attento, Thomas si sporse nella sua direzione, posando una mano sulla sua coscia, stringendola appena «Cosa ricordi?»
«Non lo so, non ne sono certo.» ammise mordendosi le labbra «Forse me lo sono inventato ma… qualche sera fa… credo di aver ricordato il giardino… aveva un… laghetto?»
«Uno stagno ornamentale, si» rivelò Thomas «Sul giardino anteriore della struttura»
«Poco lontana dalle gradinate d’ingresso»
«Sulla sinistra, sì» sorrise «Che altro?»
«Bambini… eravamo molti, una classe, forse trenta. Ma quello lo dicono anche i telegiornali» scrollò le spalle. «Una scalinata grande in marmo giallo, c’era un mosaico, un disegno concentrico di tre colori, ti risulta?»
«Sono entrato in quell’istituto una sola volta. Ma sì, quella scalinata esiste e il disegno anche, si tratta dell’atrio, Drew, faceva parte della zona di collegamento tra la vecchia e la nuova struttura. Conduceva ai dormitori. I visitatori non avevano il permesso di accedervi, per ragioni che suppongo tu possa immaginare»
Annuendo Drew si fece attento «Come mai eri lì? Per adottarmi?»
«Sì, ma prima di incontrare i bambini, bisognava presentare alcune carte, dimostrare che si potesse mantenere un figlio, volevo fare una sorpresa a tua madre, ne avevamo solo parlato, era ancora abbattuta per… l’ultima gravidanza»
«Mi dispiace»
«È la vita Drew, ma senza quelle perdite non avremmo mai avuto te, quindi nel male, abbiamo trovato il nostro tesoro» sorrise dolcemente facendolo arrossire all’inverosimile.
«Vati!»
Ridacchiando l’uomo posò le mani oltre la schiena, osservando il cielo stellato dipinto sul soffitto della sua stanza sorridendo.
«Non volevano concederci l’adozione, eravamo troppo giovani, ma non ci impedì comunque di presentarci alla giornata del bambino, era poco prima di Pasqua»
«Tu mi avevi visto?»
«Vorrei essere sincero, Drew. Ho visto qualche bambino giocare attraverso le finestre dello studio del direttore, forse c’eri, ma non posso dirlo con certezza. Da lontano, i bambini, si somigliano un po’ tutti.»
«Quindi la prima volta che mi hai visto è stata in ospedale?»
«È stata quando siamo saliti in ambulanza, eri tra le braccia del dottor Hughard»
Sussultando, Drew si voltò in direzione della porta, osservando sua madre guardarlo con quell’amore incondizionato che non perdeva occasioni per dimostrargli, perfino quando lo prendeva in giro al solo scopo di punzecchiarlo.
«Eri uno scricciolo minuscolo» disse piano «Tuo padre ti ha visto in quell’occasione, per la prima volta»
E tu, mamma?»
«Un paio di ore prima, Drew, ma no, non vorrei davvero raccontarti come, all’epoca ci dissero di non forzare in alcun modo i ricordi, che con il tempo forse avresti ricordato da solo» disse «Parlartene, cucciolo, innescherebbe in te una serie di immagini che non sarebbero davvero tuoi ricordi»
«E se avessi bisogno di conferme? Di confermare… cose che credo di aver visto?»
«Di cosa si tratta?» chiese Helen facendosi attenta, osservando appena Thomas come in cerca di un indizio.
«Ha iniziato a ricordare qualcosa» spiegò guardandola, tornando poi con lo sguardo a Drew «Mi stava parlando dell’atrio e del giardino con lo stagno»
«Cos’altro?»
«Credo quella notte… solo… frammenti…scale distrutte, urla e…» le parole gli morirono in gola alla vista della “bambina” oltre la porta della camera, i capelli sporchi e unti sciolti sulle spalle, il viso bruciato, così come il suo corpo, la maglietta verde che indossava era logora ed i pantaloncini fusi per intero alle sue gambe magre e ustionate… era un po’ più grande stavolta?
«~Drrreeewww~» cantilenò la voce facendolo sussultare con un imprecato “Fottuto inferno” così sentito che i suoi genitori sussultarono a loro volta, volgendo lo sguardo al corridoio, incontrando il muso allegro e sorridente della loro bovara.
«Tesoro stai bene? È solo Mia» rise dolcemente Helen pizzicandogli la guancia «Da quando ti spaventa la tua “principessa”»
«Da quando decide di apparire dal nulla» boccheggiò ingoiando a vuoto un paio di volte, passandosi una mano sul volto, sentendo di nuovo quell’orribile sensazione di caldo soffocante.
«Drew stai bene?» chiese sua madre prendendogli il viso tra le mani «Cielo, bambino mio, stai sudando freddo e sei pallido da morire, Thomas?»
«Corro a prendere del miele» annuì sollevandosi per scendere, nello stesso istante in cui il suo dispositivo iniziò a suonare, avvertendolo del calo glicemico in corso.
«Sdraiati, sdraiati tesoro, papà arriva subito» sussurrò aiutandolo a stendersi, sistemandolo su un fianco, coprendolo con il pile ai piedi del letto. «Da quanto non mangi?»
«Da… poco…» ansimò pano socchiudendo gli occhi «Stai… tranquilla mamma… mi passa… mi passa subito…» sussurrò osservando ancora la bambina, ora più vicina, in un angolo della stanza.
Ma era davvero una bambina?
Con un gemito frustrato serrò gli occhi «Ora passa e scompare»
«Cosa scompare, Drew?»
«Tutto…» sussurrò affondando il viso nel cuscino «Scompare tutto»
«Eccomi» si annunciò Thomas avvicinandosi al letto, aiutando Drew a sollevare la testa per prendere il miele, spremendo piano la bustina tra le sue labbra «Manda giù tutto ok?»
Annuendo, Drew ubbidì, distogliendo lo sguardo dall’unica iride visibile dell’essere.
«~Manda giù tutto, Drew~» ripeté con il solito tono sinistro e squillante, appena più chiaro.
«Non andare…» sussurrò una volta posata di nuovo la testa sul cuscino «Resta qui… resta per favore… Non farla avvicinare»
«Cosa?» chiese suo padre voltandosi «Cosa non si deve avvicinare?»
Con un piccolo salto, Mia salì sul letto, acciambellandosi accanto a Drew, ma mantenendo lo sguardo fisso alla stanza con un ringhio sommesso.
«~Ti ho trovato, finalmente~»
 
***
 
Con un sussulto, Drew scatto a sedere, portandosi una mano al petto, cercando di impedire al proprio cuore di esplodere.
Si trovava nella sua stanza. La fievole luce proveniente dalla finestra gli suggerì che doveva essere appena l’alba.
Aveva sognato tutto?
Voltando lo sguardo al letto, vide sua madre placidamente addormentata, poco distante da lei, Mia, fissa con lo sguardo nella sua direzione.
«Ti ho svegliata, bella?» chiese in un sussurro sporgendosi per accarezzarla «Mi dispiace. Credo di aver fatto un brutto sogno» mormorò osservando la sua stanza, perfettamente in ordine e priva di… presenze.
«Drew…» mormorò la voce assonnata di sua madre.
«Mi dispiace, mamma, non volevo svegliarti»
Scuotendo la testa, Helen si sollevò piano, sporgendosi per posare le labbra sulla fronte del figlio per tastarne la temperatura.
«Sei caldo, cucciolo»
«Ho caldo» ammise con un sorriso di scuse «Mi dispiace averti fatto restare non… so»
«Credo fossi delirante, Drew» disse stiracchiandosi appena, prendendo il suo dispositivo per mostrarglielo «Non hai toccato cibo ieri. Per questo eri confuso e delirante. Mi hai spaventato. Non ti succedeva da quando eri ricoverato in clinica. Ho avuto paura»
«Scusa, davvero, sono solo stressato, credo, ho dormito poco questi due giorni» ammise massaggiandosi la nuca «Yuichi mi ha fatto festeggiare il mio compleanno quasi due giorni»
Con un sorriso bonario, Helen annuì, cercando negli occhi del figlio quella risposta che bramava di sentire da settimane.
«No…» soffiò mordendosi le labbra «Non glielo ho ancora detto» si morse le labbra «Avevo in mente di farlo… per questo la cosa di… casa vuota, ma aveva organizzato una serata alla baita di Qerim e… ne era entusiasta e…»
«E hai ancora tempo per parlarci, prima che se ne vada»
Sbuffando una risata tremula, si passò una mano tra i capelli sciolti, osservando lo schermo del suo cellulare «Non ne sono più così sicuro…»
«Non mollare, ok?» sorrise Helen sollevandosi, portandosi difronte a lui prendendogli il viso tra le mani «Sai cosa, ora ti rinfreschi un po’ il viso, e scendi per fare colazione, ti preparo i pancake, ok?»
«Non sono esattamente la tua specialità» rise appena Drew.
La colazione era sacrosanta per Thomas. Era lui il solo addetto alla padella di prima mattina. Che facesse la mattina, o la notte, lasciava -o preparava- una valanga di pancake solo per loro. Era una sua esclusiva, uno dei tanti modi che aveva per dire loro che li amava. Sua madre gli aveva confessato che avesse preso quell’abitudine dal suo affidamento, aveva di proposito sconvolto i suoi orari per essere libero di stare il pomeriggio con lui. Gli aveva anche confessato di non aver esitato un istante ad abbandonare la piattaforma petrolifera per l’attuale acciaieria, il tutto per stare con lui e seguire le sue cure, anche senza la certezza di un’adozione futura.
«Vorrà dire che chiamerò tuo padre per fartela trovare» sorrise baciandogli la fronte prima di lasciare la stanza.
Ridacchiando appena, Drew scosse la testa infilandosi le protesi, cercando con la coda dell’occhio la presenza nella stanza, fortunatamente, senza trovarla.
«Deve essere stata la glicemia bassa» sorrise appena sollevandosi, assestando il peso per scivolare meglio nell’invasatura «Giusto, bella?»
Ansimando felice, Mia scese dal letto stiracchiandosi, precedendolo in bagno, aspettando che chiudesse la porta per potersi poi sdraiare ad osservarlo.
Aprendo l’acqua, Drew scosse la testa preparando lo spazzolino e lavandosi i denti, l’immagine allo specchio gli restituiva ancora il suo viso in tre parti, ma nessuna presenza oscura, nessun bambino o essere all’interno della stanza, solo ed esclusivamente il suo riflesso, all’angolo, la macchia scura, era solo Mia.
Sorrise a quella consapevolezza, sputando il dentifricio nella ceramica bianca e sciacquandosi la bocca prima di lavare il viso.
«Un fottutissimo sogno» si disse recuperano l’asciugamano per tamponare il viso «Solo uno stupido sogno» disse sollevando lentamente il viso osservando, ad occhi sgranati, come l’immagine riproposta dallo specchio non fosse la sua, ma di quel fottuto spettro.
Il suo viso, con meno ustioni, era parzialmente visibile e non era una bambina, affatto, quello era un ragazzino. I capelli unti color cenere erano ancora parzialmente sporchi di fuliggine ancora, un'unica iride blu visibile, l’altra iride vuota
L’immagine seguiva i suoi movimenti, la mascella, visibile attraverso la carne sciolta, mostrava un ghigno sinistro con la sua dentatura esposta, ma ciò che davvero aveva immobilizzato Drew, era l’odio profondo con la quale quel singolo occhi blu lo fissava.
«~Ti ho trovato, Drew~» sibilò inclinando il viso.
«Cosa…»
«~Perché scappi da me~» continuò lo spettro, mostrando oltre di sé le fiamme dell’inferno, o almeno, Drew era certo si trattasse di quelle «~Perché fuggi!~» gridò facendolo arretrare, , inciampando su Mia, cadde a terra, battendo la schiena contro la vasca da bagno.
«Cosa vuoi da me…. nemmeno, nemmeno ti conosco…» sfiatò con orrore Drew osservando le fiamme divampare, e la figura scomparire dallo specchio in una densa nube di dumo nero che, per un attimo, rese l’aria irrespirabile.
Tossendo, Drew riaprì gli occhi lacrimanti, trovandosi faccia a faccia con lo spettro, con quell’occhio blu sinistro che lo fissava, quasi a volergli strappare l’anima.
«~Non puoi abbandonarmi! ~» ringhiò portandogli una mano alla gola, stingendola appena «~Non puoi farlo! Non più!~» tuonò.
Le luci tremarono e di nuovo, qualche lampadina scoppiò, così come lo specchio che questa volta, anziché incrinarsi, si frantumò in un’esplosione di vetri, alcuni dei quasi, arrivarono fino a lui.
Mia si sollevò iniziando ad abbaiare con forza nella sua direzione, come ad intimare allo spettro di fermarsi, di lasciare stare il suo padrone, con l’unico risultato di venir messa a tacere dallo sguardo del bambino.
Drew schiuse le labbra per la paura e l’assenza di aria. La mano alla sua gola non era affatto frutto della sua immaginazione. Era troppo calda, troppo forte per esserlo.
«~Non ti permetto di lasciarmi, ora. ~» continuò, stringendo ancora la presa, sentendo il collo in fiamme e l’aria sempre minore.
«Drew? Che succede?» chiamò suo padre attraverso la porta, bussando con forza «Drew? Stai bene?»
«Papà…»
«~Papà~» ripeté lo spettro con un ringhio in direzione della porta, scomparendo poi nello stesso istante in cui con un colpo deciso, la porta cedette sotto il peso delle spinte di Thomas.
«Drew!» chinandosi accanto a lui, incurante dei frammenti di specchio, fissò il viso bagnato dalle lacrime di Drew «Ehi, ehi che stai facendo, cosa è successo?»
Scuotendo la testa per riprendere fiato, Drew si sporse in direzione del genitore stringendosi con forza a lui, tremando vistosamente.
«È esploso… è… è esploso e, e,»
«Shh, ok, tranquillo campione, tranquillo» lo rassicurò stringendolo a sua volta, osservando lo specchio in frantumi accanto a loro ed i piccoli tagli che questo aveva causato alle braccia di suo figlio «Dovevo sostituirlo subito» disse posandogli un bacio tra i capelli, sollevandogli il viso per osservarlo. «Ti sei fatto male?»
Schiudendo le labbra, Drew scosse la testa, cercando di parlare, ma trovandosi momentaneamente impossibilitato, esattamente come tanti anni prima, quando, in seguito all’incidente, aveva preso a balbettare. Chiuse gli occhi facendo lunghi respiri, cercando di calmarsi.
«Fino a dieci, Drew, conta fino a dieci»
E così fece. Si diede esattamente undici secondi, prima di provare nuovamente a parlare «No… no sto… bene» sospirò «Ho… ho creduto di vedere qualcosa e lo specchio…»
«Si stava incrinando, potrebbe esser stato quello, o la signorina qui che…» inarcando un sopracciglio, Thomas si ritrovò a fissare il nulla, Mia se ne era andata, non era rimasta al fianco di Drew come era abituata a fare «Dove è andata?»
«A prendere un po’ d’aria, immagino…» sospirò passandosi una mano tra i capelli per riavviarli indietro «Fanculo, ne ho bisogno anche io» ispirò.
«Stai tremando» osservò Thomas prendendo la sua mano tra le proprie, sgranando gli occhi e sollevandogli subito dopo il viso. «Cos’hai al collo?»
«Come?»
«Quei segni. Come te li sei fatti?»
Sollevandosi con gambe malferme, Drew si diresse in corridoio, osservandosi allo specchio, sgranando gli occhi nell’osservare i lividi che formavano l’impronta di una mano. E non quella di un bambino, ma più grande.
«Io…»
Drew?» lo richiamò suo padre voltandolo, osservandolo seriamente «C’è qualcosa… che vorresti dirmi?»
«Cazzo no. No non è quello che sembra io… non… non te lo spiegare…» ispirò.
«Prova»
«Non so farlo!» disse alzando appena il tono di voce, facendo sgranare gli occhi a Thomas dalla sorpresa.
Drew non lo faceva mai. Non rispondeva ai suoi genitori, nemmeno nelle rare occasioni in cui veniva ripreso e rimproverato. Lowell aveva ipotizzato fosse un residuo dell’educazione impartita all’istituto, qualcosa che era rimasto in lui nonostante l’amnesia.
Resosi conto di quanto fatto, Drew sgranò gli occhi scuotendo la testa «Io, io mi dispiace, mi dispiace vati io non… non volevo»
«Basta così» lo interruppe con un sospiro Thomas massaggiandosi il collo, abbozzando un sorriso a disagio «Non è successo nulla, ho esagerato a pressarti» lasciò correre dandogli una lieve pacca sulle spalle «Andiamo dalla mamma, dai, disinfettiamo quei tagli, mangiamo, ti riposi un po’ e poi ne parliamo. Non credo sia il caso che tu oggi vada a scuola, sei… sconvolto»
«Posso farlo, davvero sto bene, inoltre ho un test, non posso mancare»
«Un test non comprometterà la tua media»
«Lo so ma… davvero papà» soffiò accarezzandosi il collo «Ho… bisogno di vedere Yuichi e… parlare con lui»
Quelle parole presero Thomas alla sprovvista e per un attimo, la consapevolezza sembrò investirlo in pieno. Drew avrebbe voluto dirgli che non era “quello” il motivo del suo bisogno o dei lividi. Ma se quel pensiero avesse fatto al suo caso per lo scopo, non lo avrebbe corretto.
Ma davvero. Aveva bisogno di parlare con Yuichi e raccontargli ogni cosa.
 
***
 
«Allora, è chiaro come il sole che tu voglia parlarmi»
Yuichi era perspicace, non come Drew, ma il suo migliore aveva sempre detto che lui era troppo espressivo, che solo dai suoi occhi avrebbe potuto estrarre un “saggio dei suoi pensieri”.
Dopo sette anni di amicizia, ci credeva.
«Vorrei sapere cosa ne pensi dei fantasmi»
«Dei fantasmi» ripeté Yuichi annuendo lentamente, portandosi alle labbra la matita «Conosco Casper, Sam Wheat, Jacob Marley-»
«Idiota» sbuffò «Non quei fantasmi, genio… parlo di… fantasmi-Fantasmi, di spiriti, di defunti, spettri…»
«I fantasmi non esistono. E mi sorprende che la domanda venga da te, mister “è antiscientifico”» lo prese in giro bonario tornando agli esercizi di chimica «Perché lo vuoi sapere?»
«Perché… cazzo, perché deve esserci una ragione. Tu mi fai domande senza senso in continuazione»
«Solo perché mi piace stuzzicarti» sorrise sornione tornando a guardarlo, «Che vuoi che ti dica che non sai già. Sono spiriti che hanno lasciato qualcosa in sospeso qui sulla terra e non riescono a passare oltre»
«Ho visto anche io quel telefilm»
«Appunto non so cosa dirti che già tu non sappia.» disse scrollando le spalle «Sono certo che tu abbia fatto già alcune ricerche a riguardo quindi… cosa vuoi sapere, esattamente»
«Tu ci credi?»
«No», disse scrollando le spalle «Non penso che qualcuno abbia davvero voglia di vagare nella terra senza essere né visto né sentito da chi ama. Credo che una volta chiusi gli occhi la vita finisca, semplicemente»
«Credo di aver visto un fantasma» disse d’un fiato evitando di guardarlo, ma sentendo chiaramente i suoi occhi puntati su di lui. «L’altra sera e… stamattina» sospirò accarezzandosi il collo «Credo che… sia andato storto qualcosa alla baita…»
Quelle parole attirarono finalmente la completa attenzione di Yuichi che, posando la matita, costrinse Drew a guardarlo.
«Cosa vuoi dire?» chiese l’amico confuso.
«Non farmelo ripetere, cazzo» espirò distogliendo lo sguardo dalla vetrata a specchio della biblioteca. Sentiva quel cazzo di occhi fissarlo ancora, anche l’unica cosa che rifletteva la vetrata, era lo sguardo stanco e pallido di un ragazzino. «Non farmelo fare».
Inarcando un sopracciglio, al richiamo di uno degli studenti a fare silenzio, Yuichi prese Drew per mano, conducendolo fuori fino alle scale di emergenza, fissandolo negli occhi «Di cosa stai parlando»
«Di praterie e conigli» espirò frustrato passandosi una mano tra i capelli, osservandosi le spalle nervoso «Quale parte di “credo sia andato storto qualcosa alla baita” non ti è chiaro?»
«Non mi è chiaro come il mio solare e intelligentissimo migliore amico sia in questo stato» ammise Yuichi facendolo sedere sulle scale antincendio, accucciandosi al suo fianco «Hai detto che… credi di… vedere un fantasma?» Drew annuì «Una… donna?»
«Una fottuta bambina» espirò «O un bambino. Non ne sono certo è-» si morse il labbro inferiore puntando gli occhi al cielo cercando di distogliere la mente da quell’occhio blu che lo fissava. «Lo vedo riflesso e… credo che…» chiuse gli occhi «Credo che l’aver distolto lo sguardo dal riflesso abbia rotto il “cerchio” e che l’abbia lasciato uscire dal regno dei morti»
Yuichi ascoltò con attenzione le sue parole, abbozzando un piccolo sorriso nell’accarezzargli le mani «Magari è solo stress, Drew, forse inconsciamente sei nervoso per gli esami di fine anno»
«Posso fare quegli esercizi anche ora, non mi creano nessun problema» sfiatò scuotendo la testa «Non dovevo parlartene, so che non mi credi»
«Ehi» lo richiamò ancora Yuichi facendogli voltare il viso «Non ho detto che non ti credo»
«Lo dico io, perché ti vedo.» scosse la testa «Cazzo, i tuoi occhi stanno parlando per te, mi reputano solo nervoso e stressato per qualcosa che non mi ha mai preoccupato»
«Forse è il college allora? L’idea di attraversare il Paese per seguire le lezioni?»
«Non mi stai ascoltando»
Yuichi sospirò appena sollevandosi, sedendosi al suo fianco, stringendogli brevemente le spalle prima di scompigliargli i capelli «Ti ascolto»
«L’ho visto, Yui. Esattamente come vedo te ora al mio fianco o quegli studenti nel cortile»
«Hai una mente straordinaria, Drew, sicuro che la suggestione dell’altra notte non ti stia giocando brutti scherzi? Forse il tuo “fantasma” è un altro ricordo dell’Istituto»
«I ricordi fanno questo?» sussurrò piano Drew sollevandosi le maniche del maglione ed abbassando appena il collo, rivelando i tagli causati dall’esplosione dello specchio e i lividi al collo.
«Merda» sgranò gli occhi Yuichi sfiorando quei segni con la punta delle dite, fissandolo con orrore «Cosa hai fatto?»
«Io nulla» tremò Drew stringendosi nelle spalle, fissando lo sguardo per un breve istante alle sue scarpe, osservando al di sotto della grata alcuni ragazzi fumare «Lo specchio è esploso e... è stato quello… spettro a farlo… poi ha provato a…» sfiorandosi il collo, deglutì rumorosamente, cercando di scacciare dalla testa il ricordo di poche ore prima, quella sensazione di caldo opprimente che gli faceva mancare l’aria.
Fottuto inferno. La sentiva anche ora!
Abbassando nuovamente lo sguardo alla grata, Drew sgranò gli occhi al sorriso sinistro che si ritrovò ad osservare, l’occhio blu lo fissava con autentico e malsano divertimento, la pelle bruciata del viso era resa ancora più raggrinzita dall’eccessiva curva delle labbra, i capelli.
«Cazzo!» con un urlo terrorizzato, attirando l’attenzione di alcuni ragazzi, Drew scatto in piedi, inciampando nelle proprie protesi, cadendo rovinosamente a terra con il volto fisso allo spetto, ancora sotto le grate. Vide la sua mano allungarsi in direzione della sua gamba, le dita bruciate e scheletriche parzialmente esposte attraverso le carni. La creatura gattonò fino ad emergere dalla grata, sollevandosi ed avvicinandosi a lui.
«~Non puoi scappare, ricordi?~»
«No…» annaspò Drew sgranando gli occhi, cercando di indietreggiare, colpendo le scale con la schiena.
«Drew!»
Chinandosi al suo fianco, Yuichi gli avvolse la vita cercando di aiutarlo a sollevarsi, non riuscendo minimamente a muoverlo. Drew non era molto pesante, Yuichi più volte aveva scherzato che fosse un “peso piuma” ma ora, il suo intero corpo, sembrava pesare tonnellate. Non riusciva a sollevarlo e Drew, sembrava la rappresentazione vivente della paura, era pallido, sudato e tremante come non lo aveva mai visto, nemmeno nelle sue peggiori crisi.
Un rivolo di sangue prese a scendere dal suo naso, prima lentamente, poi sempre più copioso.
«Drew?» lo chiamò ancora allarmato guardando nella sua stessa direzione. Non vedeva nulla, eppure gli occhi di Drew stavano seguendo con attenzione il muoversi di qualcosa, o qualcuno.
Il dispositivo per il controllo della glicemia iniziò a suonare copiosamente, avvertendolo che i suoi valori stavano subendo un drastico cambiamento.
«Ehi, ehi, ehi, calmati, calmati ti prego»
Scivolandogli davanti, Yuichi gli prese il viso tra le mani, sollevandogli appena la testa, sporcandosi le mani di sangue.
«Drew?» lo chiamò ancora vedendolo boccheggiare «Merda! Qualcuno chiami un medico!» urlò in direzione della porta della biblioteca, attirando l’attenzione di alcuni studenti e della responsabile
«Cosa succede?» chiese immediatamente la donna chinandosi al suo fianco, premendo un fazzoletto al suo viso.
«Non lo so… io… io credo che abbia una… crisi…» disse osservando Liang prendere il cellulare e correre nella loro direzione.
«Drew? Diavolo, cos’ha?» balbettò cercando di comporre il numero di emergenza.
«Non lo so»
«Dobbiamo portarlo in infermeria» li interruppe l’insegnante «Datemi una mano a sollevarlo!»
Annuendo, Yuichi si mosse per prenderlo, riuscendo a sollevarlo, questa volta, senza alcuna fatica.
«Ci sono» disse chinando lo sguardo a Drew, ora privo di sensi tra le sue braccia. Non sapeva cosa gli fosse successo così all’improvviso, ma una cosa era certa.
Qualcosa lo stava spaventando a morte.
 
***
 
«Ora come sta?»
Quella la conosceva bene, l’aveva già sentita, era preoccupata e apprensiva. Così familiare. Era distorta, un eco lontano.
«Una crisi diabetica» rispose un’altra, più profonda.
No, quella non la conosceva.
Si sentiva la testa pesante, il corpo troppo fiacco perfino per respirare e l’intero mondo come se stesse vorticando. Aprendo gli occhi si ritrovò a fissare un asettico soffitto bianco. Non era quello della sua camera, no, Thomas l’aveva dipinto e vi aveva riportato un meraviglioso cielo stellato, quello della notte di Halloween di quindici anni prima, quando era nato. Era stato l’unico dato effettivo che avevano ritrovato su di lui, quello e il nome della sua madre biologica. Suo padre, una linea sbarrata. Il bastardo non aveva lasciato nemmeno un fottuto indizio.
Facendo roteare piano la testa, vide altri letti, otto, troppi per una stanza di ospedale. Quello accanto al suo era perfettamente intatto, a differenza di altri, se non vi fosse stata una leggera sagoma da seduta e una maglietta sopra, avrebbe giurato essere vuoto.
Voltando nuovamente lo sguardo al soffitto, Drew si puntellò sui gomiti, issandosi a fatica per poggiare le spalle alla testiera.
Era tutto così… neutro che quasi gli dava la nausea, eppure… era anche troppo familiare.
Scoprendosi posò i piedi a terra, rabbrividendo al contatto con il pavimento freddo.
Chinando lo sguardo, si ritrovò a fissare confuso un paio di gambe avvolte in un morbido pigiama azzurro. Infilando le ciabatte ai piedi del letto, Drew si mosse per la stanza, osservandola con attenzione.
C’erano otto letti, otto cassepanche poste ai loro piedi e otto armadi mono-ante nella parete di destra, divisi dalla porta.
Avvicinandosi ai quattro di destra poté notare delle targhette riportante i nomi dei loro proprietari.
Il suo nome era posto sul terzo.
«Dashiell» sussurrò accarezzando la plastica della targhetta, aprendo poi l’anta, sorridendo alla vista del peluche nero di una pantera.
«Black» sussurrò prendendola tra le mani, osservandone le forme familiari. Era un pensierino di Natale, un regalo portato da Santa Claus quando era ancora troppo piccolo per ricordare. Inclinò appena il viso accarezzandone assorto un orecchio, guardandosi intorno. Doveva essercene anche un altro, “Grey”.
Chiudendo l’armadio osservò quello accanto al proprio, posando la mano sulla maniglia.
«Non serve che prendi le cose senza chiedere, sai che te le presterei»
La voce alle sue spalle lo fece trasalire, era un bambino, ma non riusciva a distinguerne i lineamenti, troppo confusi dalla luce della stanza e dai suoi ricordi.
«Lo so» rispose senza neanche rendersene conto «Cercavo Grey»
«Quello è mio» rispose il bambino avanzando, mostrandogli, tuttavia, il proprio pupazzo. Una tigre argentata «Perché la vuoi?»
«Volevo solo vederla»
Ridendo, il bambino scosse la testa «Stai meglio?»
«Non stavo male»
«Sei svenuto» spiegò l’altro scrollando le spalle «Hanno detto che hai il diabete. Non so nemmeno cosa significa» soffiò.
«Significa che non produco insulina, o che ne produco poca e non riesco a metabolizzare gli zuccheri…»
«Come sai queste cose?»
«Lo ho da tanti anni»
«Ne abbiamo appena sei. E me lo hanno appena detto alla signorina Thompson»
Drew sollevò il viso dalla tigre per puntarlo in direzione del bambino «Siamo amici?»
«Siamo più che amici, Dummkopf» rise il bambino nello stesso istante in cui le luci esterne sembrarono abbassarsi, come se il sole fosse improvvisamente scomparso, lasciando il posto a spessi nuvoloni neri.
«~Per questo non dovevi abbandonarmi! ~» tuonò la figura sinistra che lo perseguitava ormai da giorni.
Drew sussultò sgranando gli occhi, osservando quell’occhio blu fissarlo furioso.
Lasciò la presa a “Grey”, voltando si in direzione della porta, correndo a perdifiato lungo i corridoi, sperando di seminare quel fantasma.
«I bambini! I bambini! Fate uscire i bambini da qui!» urlò qualcuno spaventato, mentre grida e pianti si accavallavano tra loro, riecheggiando tra le pareti infuocate della struttura.
«Sono bloccate! Dannazione, le porte sono tutte bloccate!»
«Qualcuno deve cercare gli altri!»
«Non trovo *****!»
«Merda, deve essere salito quando ha sentito l’esplosione!» disse un’altra voce mentre un forte boato preannunciò un crollo.
Sollevando il viso, Drew poté osservare il cielo rosso di Hendersen, colorato dal tramonto e dalle fiamme dell’edificio principale.
«Da questa parte!» urlò qualcuno «Presto, presto di qua!»
«Non respiro!» gridò Drew cercando di sovrastare il rumore dei crolli e quello dell’incendio «Dove sei!?» chiamò ancora spaventato «Dove sei! Ti prego parla!» singhiozzando corse in direzione delle scale, trovando il bambino inginocchiato a terra, scosso da forti colpi di tosse e singhiozzi, le mani premute al petto.
«Eccoti!» esultò spaventato raggiungendolo, inginocchiandosi, osservando le mani rosse e completamente ustionate.
«Cosa…»
«La maniglia brucia» singhiozzò osservandosi le mani «Bruciano così tanto»
Stringendolo con forza, Drew si sollevò, togliendosi la maglia più pesante, avvolgendo la maniglia per abbassarla, incurante del forte bruciore che aveva alle spalle.
«Adesso andiamo via, usciamo di qua insieme, promesso» disse riuscendo finalmente ad aprire la porta.
Una folta coltre di fumo si propagò nel corridoio facendogli mancare il fiato per un lungo istante. Le scale!
«Vieni, andiamo! Dobbiamo scendere!» prendendo il polso del bambino, Drew si mosse alla cieca in direzione delle scale. Non ricordava quel luogo, ma era certo che si trovassero in quella direzione.
«Ci sei?» chiese rivolto alle sue spalle»
«Sì…»
«Siamo quasi arrivati, dobbiamo solo-»
Le parole gli morirono in gola, il suono sinistro di un crollo si propese nell’aria, e il terreno sotto i suoi piedi venne a mancare.
Un nome rimase intrappolato tra le sue labbra.
«Astre!»
Sgranando gli occhi, Drew si mosse per sollevarsi, trovando due braccia forti a fermarlo, impedendogli di sollevarsi.
«Ehi, tranquillo».
Conosceva bene quella voce, l’avrebbe riconosciuta tra mille, nonostante la vista completamente appannata dalle lacrime. «Yui…» sussurrò portandosi le mani al viso per asciugarlo, non si era nemmeno accorto di aver iniziato a piangere.
«Cosa è successo?» sussurrò provando a rialzarsi, questa volta con più calma, e Yuichi glielo permise.
Erano in infermeria, ma quando ci era arrivato? Ricordava chiaramente di trovarsi chino sul libro di chimica, stava parlando con Yuichi, gli stava raccontando di…
Sgranò gli occhi alle immagini del bambino che lo fissava attraverso la grata e che con movimenti languidi e lenti, risalendo, aveva provato a toccarlo.
Istintivamente ritirò le gambe con un sussulto, cercando nella stanza la presenza, senza tuttavia trovarla.
«Cosa è successo?» sussultò osservando la sua maglia sporca di sangue «Cosa ti sei fatto?»
«Io nulla» ammise riempiendo un bicchiere con dell’acqua «Il sangue è tuo, ti è uscito dal naso raccontò Yuichi sedendosi al suo fianco porgendogli da bere «Il tuo apparecchiò è come impazzito, avevi… la glicemia alle stelle. Abbiamo chiamato tua madre»
«Come?» chiese sgranando gli occhi, guardandosi intorno, stringendo il bicchiere in modo compulsivo.
«È di là con il preside»
«Merda» espirò passandosi una mano sul viso scuotendo la testa «Merda» ripeté stringendo tra le dita alcune ciocche di capelli.
«Drew…» lo richiamò Yuichi invitandolo a bere «Bevi un po’, ok?»
«Cosa le hai detto?»
«La verità. Che un attimo prima stavi bene e quello successivo sei sembrato assente, che hai perso del sangue dal naso e che dopo un po’ hai smesso di rispondere e sei svenuto. Ti porta in ospedale, vuole farti fare alcuni esami» raccontò riempiendo nuovamente il suo bicchiere, osservandolo con apprensione, cercando di ricacciare indietro quelle domande che premevano per uscire.
«Credi che sia pazzo, vero?» chiese Drew con un sorriso ironico.
«Credo che ci sia qualcosa che ti turba molto, Drew… solo che… un fantasma? Credi che sia quello?»
«Se non lo fosse… sarebbe un’allucinazione…» sospirò sorseggiando da bere, fissando le sue protesi «Sarebbe tutto frutto della mia immaginazione»
«Allora la tua mente è spaventosa, Drew» scherzò appena cercando di strappargli un leggero sorriso, riuscendoci solo parzialmente.
Drew apprezzava davvero il tentativo. Ma al momento, non era davvero in vena, si sentiva ancora scombussolato, sopraffatto da quella visione e dallo strano sogno che aveva fatto, di quel bambino di cui non riusciva a ricordare il viso, ma a cui sentiva di voler bene.
Forse il suo migliore amico all’orfanotrofio?
«Drew?»
«Si?»
«Chi è Astre?»
Sussultando a quel nome, Drew si voltò nella sua direzione, osservando la curiosità nel viso del suo migliore amico. Espirando abbozzò un leggero sorriso scuotendo la testa, puntando lo sguardo alla finestra, quella volta in direzione di Douglas Square.
«Non lo so…»
 
***
 
I successivi due giorni Drew era rimasto a casa, e Thomas insieme ad Helen avevano fatto una fatica enorme per costringerlo.
Stress, era stata questa la diagnosi del medico di pronto soccorso. In altre occasioni, i suoi genitori avrebbero insistito per esami più approfonditi, ma sembrava piuttosto plausibile, Drew stava affrontando l’ultimo anno di liceo e la pressione di un’ammissione al college a soli quindici anni, l’età in cui si cambia non solo nel corpo ma anche nella mentalità; dove tutti i problemi adolescenziali si presentano prepotenti.
Drew era un ragazzo magro, diabetico con un QI molto sopra la media, che usava delle protesi per camminare e che, a fine anno e nemmeno sedicenne, sarebbe passato dalla realtà della piccola Hendersen a quella di un college di fama mondiale -.la notizia era arrivata proprio quella mattina-.
Quindi sì, lo stress sembrava davvero una cosa ovvia, tenendo poi conto che la sua cotta storica sarebbe partita per l’accademia militare e vi sarebbe rimasto per tre anni… un po’ di tensione era del tutto normale.
Lo spettro sembrava averlo lasciato momentaneamente in pace e Drew era stato in grado di rilassarsi un po’, nonostante questo, però, quel nome, Astre, non faceva che tormentarlo.
Chi era?
Sollevando lo sguardo alla finestra osservò Yuichi allenarsi in camera, lo faceva ogni giorno, per prepararsi alla prova fisica dell’accademia militare.
Fisicamente, nonostante metà dei suoi geni, Yuichi aveva davvero un bel corpo, era alto il giusto, muscoloso in modo non troppo esagerato e aveva un fisico davvero strutturato.
A volte lo invidiava.
Posando il viso sul palmo della mano si perse ad osservare il flettersi ripetuto delle sue braccia, e il modo in cui i suoi capelli ondeggiavano.
Gli sarebbe piaciuto essere come lui.
Il suo corpo era ancora in piena fase di trasformazione, lo sapeva, solo l’anno prima, contando le protesi, misurava un metro e sessanta. Ora era quasi undici centimetri più alto e aveva iniziato a mettere su massa, ma poco peso. Il suo diabetologo si era complimentato per la sua massa magra, ma gli aveva anche spiegato che, senza grasso, non poteva sperare di mettere su muscoli.
«Eppure mangio» borbottò tra sé chinando lo sguardo al dépliant del college.
Thomas e Helen erano orgogliosi di lui e della sua scelta e non avevano fatto nulla per nascondere la cosa, nessun festone e nessun accessorio della scuola, no, no, nulla.
A tavola, avevano si erano confrontati, i suoi genitori avevano espresso il loro timore nel mandare un ragazzino da solo in un campus e la chiamata di Qerim era stata quasi provvidenziale.
Avevano accettato anche lui e non sarebbe stato da solo. Ma restava il fattore età, non avrebbe compiuto sedici anni fino a ottobre.
Venendogli incontro, allora, aveva garantito loro che avrebbe seguito i corsi da casa fino al primo semestre, per poi raggiungere l’amico.
Helen si era rilassata e l’argomento era morto lì.
Il bip di un messaggio attirò l’attenzione di Drew. «Parli del diavolo…» sorrise nel leggere le poche righe dell’amico, rispondendo velocemente che stava bene e che lunedì avrebbe fatto il culo alla squadra rivale alla partita, tornando poi ad osservare la terrazza di Yuichi, arrossendo nel constatare che, nonostante la temperatura bassa di inizio novembre, il suo migliore amico lo stesse tranquillamente osservando a torso nudo, comodamente appoggiato alla ringhiera.
Fortuna non lo stava più guardando!
«Sporgendosi aprì la finestra, affacciandosi a sua volta.
«Come siamo pensierosi»
«Come siamo temerari nei confronti di una bronchite» rispose ironico Drew cercando di contenere il battito furioso del suo cuore al sorriso che gli rivolse Yuichi.
«Nah, io non mi ammalo, sei tu quello che ha sempre freddo»
«Solo dettagli» rise di rimando incrociando le braccia al cornicione «Ti alleni?»
«Ho finito» scosse la testa «Sto per fare la doccia»
«Allora perché perdi tempo a chiacchierare?»
Yuichi sorrise, di quei sorrisi che Drew amava nel profondo e che sapeva, gli sarebbero mancati più dell’aria «Perché il mio migliore amico mi sembra troppo pensieroso, volevo proporgli un giro, sushi, offro io»
«Mi prendi per lo stomaco?»
«Ha funzionato?»
Scoppiando a ridere, Drew annuì «Fatti quella doccia, ti aspetto»
Con un perfetto saluto militare ed un sorriso sornione, Yuichi scattò sull’attenti battendo i talloni. «Signorsì, signore»
Sì, sarebbe stato il migliore, lo sapeva.
Chiudendo la finestra, Drew abbandonò la tuta per cambiarsi, indossando un paio di jeans ed un maglione, sollevando poi i capelli in una coda alta prima di scendere.
Sua madre era ancora a lavoro, suo padre, invece, era rientrato da poco, lo sentiva trafficare in garage, la bassa melodia di “V for Vampire” dei Powerman 5000 a tenergli compagnia.
«Vati?»
Sollevando il viso dal piano di lavoro, Thomas gli sorrise, sollevando gli occhiali da saldatura.
«Ehi campione, esci?»
«Yuichi mi ha fatto una proposta indecente ed ho accettato» ammise raggiungendolo, sedendosi al suo fianco per osservare il circuito a cui stava lavorando.
«Undici a casa»
«Come sempre» garantì annuendo «Cosa stai facendo?»
«Una cosa» ridacchiò
Guardandolo Drew inarcò appena un sopracciglio «Davvero? Mi era sfuggito»
«Nulla, provo ad aggiustare il computer di Alex» rispose posando il tutto sul ripiano, stiracchiandosi un po’.
«Dovresti riposare un po’ di più, non hai vent’anni»
«Trentatré, saputello, sono la seconda adolescenza, non te lo hanno detto a scuola?»
«Ogni tanto, immagino, i miei insegnanti vi superano di qualche decina» scrollò le spalle sorridendo, di riflesso lo fece anche Thomas, massaggiandogli il collo «Tutto bene?»
«Benissimo» confermò «Avevo bisogno di un po’ di riposo»
Annuendo suo padre gli strinse la spalla «Attenti per strada, ok?»
«Te lo prometto» disse sollevandosi raggiungendo la sala nello stesso istante in cui, aprendo la porta, Drew si ritrovò a fissare le iridi blu di Yuichi, in piedi fuori dalla porta, che lo osservavano con una leggera sorpresa.
«Mi hai sentito?»
«No!» quasi urlò, ridendo subito dopo «No stavo venendo io da te»
Scuotendo la testa, Yuichi gli scompigliò i capelli invitandolo a seguirlo «Deve andarti proprio tanto questo sushi.
Oh, eccome se gli andava, ma più di tutti, gli andava la compagnia.
Ultimamente avevano passato poco tempo insieme. Oltre a studiare per gli esami di fine anno, Yuichi era immerso anche nello studio per i test di ammissione in accademia, test che avrebbe avuto i primi di gennaio e che, nonostante le rassicurazioni di Drew, non sentiva di superare.
«Non ne abbiamo più parlato»
Distogliendo lo sguardo dalla strada, Drew volse la sua completa attenzione a Yuichi, inarcando un sopracciglio «Di cosa?»
«Di quello che mi hai detto a scuola»
«Lascia stare, non è così importante» sussurrò stringendosi appena nelle spalle «È passato»
«Non credo» soffiò Yuichi fermandosi difronte al ristorante «Eri terrorizzato, Drew, se hai visto… se vedi qualcosa… io ti credo»
«Suona come un contentino ora, a distanza di due giorni»
«Ma non lo è» scrollò le spalle uscendo dalla macchina, facendo strada «Tu non menti, Drew, sei biologicamente programmato per non farlo, non vedo perché dovresti farlo su qualcosa del genere»
«Potrebbe essere uno scherzo»
«Non lo è»
 Disse sicuro prendendo posto a tavola, passandogli oil menù «Voglio dire, lo faresti su qualcosa di piccolo, non su qualcosa di “antiscientifico” che mi farebbe palesemente credere ad una menzogna, oltretutto» disse serio «Ho… collegato qualche tassello… dalla baita sei… strano e affermi di ricordare qualcosa… allo stesso tempo, dici di vedere qualcuno. Lo scherzo di Liang potrebbe averti spaventato, ok, ma la mattina dopo? A casa tua? Lo specchio si è rotto da solo e tu eri… cielo, terrorizzato, i segni al collo non puoi esserteli fatti da solo e… quando ho provato a sollevarti sulle grate di emergenza» arrossì «Eri… pesantissimo… come se ti stessero trattenendo con forza… poi, quando sei… svenuto ci sono riuscito come se ti avessero lasciato» raccontò «Non so cosa sia, Drew, ma voglio aiutarti a scoprirlo»
Rilassando appena le spalle, annuì grato sorridendogli. Forse non gli credeva completamente, ma il fatto che si fosse messo in gioco, era rassicurante.
 
La cena proseguì tranquilla Yuichi aveva abbozzato un paio di ipotesi, nulla di pesante, non voleva rovinare la cena, e al momento del conto aveva insistito per pagare.
Lo aveva lasciato fare, avrebbe solo perso fiato e tempo, attirando inutilmente l’attenzione degli altri commensali e finendo col medesimo risultato.
Bridge street era affollata a quell’ora e temendo un incidente, Yuichi aveva fatto una deviazione, passando per Victorian Ave e sbucando nella zona periferica, fermandosi al semaforo tra Douglas Square e la stazione dei pullman.
«Scusa» sussurrò Yuichi passandosi una mano tra i capelli «Non credevo fosse chiusa anche Tower Road»
Drew si strinse nelle spalle scuotendo la testa «Non è colpa tua» lo rassicurò lanciando un’occhiata allo scheletro della struttura. I vecchi dormitori erano ancora in piedi, la struttura principale invece ripiegata su sé stessa per la maggiore, da quella distanza poteva vedere quello che era stato un giardino curato trasformato in una massa informe di erbacce e piante trascurate, le pareti ridotte a tele per i writers che, incuranti della rete arancione e del segnale di pericolo crollo, avevano sfidato gli avvertimenti per lasciare i loro graffiti e le loro dediche.
Con una fitta allo stomaco, sollevò lo sguardo verso l’alto, osservando una delle finestre illuminate.
«Yuichi?»
«Cosa?»
«Vedi anche tu quella luce?»
Voltandosi, sporgendosi nella sua direzione, Yuichi osservò la vecchia struttura. «Forse qualche writers» ipotizzò.
«Dunque la vedi?»
«Certo» lo rassicurò con un sorriso «Ultimo piano, terza finestra da destra»
Inarcando un sopracciglio Drew tornò a guardare la struttura «No, è al primo piano e-»
Trattenne il fiato alla vista del bambino seduto sul cornicione che lo fissava facendogli cenno di entrare.
«Vai via»
«Drew?»
«Ti prego, parti!» sussultò sgranando gli occhi, fissando la figura priva di ombra osservarli, ora, in piedi di fronte alla macchina.
«Merda è lì!» sussurrò sollevando un dito in direzione del nulla. Yuichi uscì dall’auto lasciando la porta aperta, controllando la zona.
«No, no no» sussurrò vedendolo allontanarsi in direzione del giardino «No torna qui, torna qui»
«~Io sono qui~» rispose l’eco di una voce, la sua voce «~Perché non entri? ~» chiese ancora.
«Vai via…» sussurrò
«~Tu non vuoi che vada via. O non saresti tornato~»
Trattenendo il fiato, Drew si fece forza voltandosi, non trovando nessuno. Espirò tornando a sedere, gridando alla vista del bambino in piedi sul cofano che lo guardava con rabbia.
«~Devi tornare qui! ~» tuonò avvolto dalle fiamme «~Torna!~» urlò ancora scomparendo.
«Drew!» correndo nella sua direzione, Yuichi aprì la portiera per farlo uscire, imponendogli con lo sguardo di calmarsi.
«Respira, respira cazzo, non agitarti, resta calmo, sono qui. Guardami!»
Aprendo gli occhi Drew scosse la testa cercando di allontanarsi, ma Yuichi glielo impedì, premendo le sue mani sul proprio cuore «Respira con me, con calma» gli intimò «Segui il mio respiro»
«Non. Non ci riesco»
«Ci riesci»
«No!»
«Sì!» ribatté Yuichi prendendo il suo viso tra le mani, «Ce la fai, ok?» disse serio vedendolo scuotere la testa.
Non aveva altra scelta.
Sporgendosi nella sua direzione unì le loro labbra in un bacio, impedendo a Drew di iperventilare ancora, mozzandogli il respiro.
Sentì il suo corpo tendersi e vide distintamente i suoi occhi dilatarsi per la sorpresa. Se lo avesse colpito in quel momento non gli sarebbe davvero importato, per farlo calmare avrebbe fatto questo e altro; la presa alla sua maglia si fece più lenta, mentre il corpo di Drew, piano, aveva iniziato a rilassarsi e le sue labbra smesso di tremare.
Lo vide chiudere gli occhi, quasi desideroso che quel contatto si trasformasse in qualcosa di più, e per quanto Yuichi avesse voluto, accarezzandogli il viso, si separò, posando la fronte contro la sua, cercando di frenare il battito furioso del suo cuore.
«Yui…»
«Stai meglio?»
Riaprendo gli occhi lucidi, Drew annuì piano arrossendo. E Yuichi poté giurare a sé stesso di non averlo mai visto così bello. I suoi particolarissimi occhi viola erano enormi e lucidi, le guance arrossate e le labbra lucide e scure, alcune ciocche erano sfuggite alla coda, andando a fare compagnia a quelle che si rifiutava di legare e che lasciava libere sul viso.
«Vuoi… vuoi una caramella?»
Drew non era sicuro se la richiesta fosse per la sua glicemia o per il bacio, ma accettò, lui stesso non era certo del suo sì. Aveva desiderato quel bacio dal loro primo incontro. Non era esattamente come lo aveva immaginato, né tantomeno, era certo che fosse qualcosa che Yuichi aveva davvero voluto. Solo un modo per calmarlo.
Mise la caramella in bocca distogliendo lo sguardo, stringendosi nelle spalle per il freddo. «Grazie… immagino» sussurrò. Il caldo che aveva avvertito fino a quel momento completamente sparito.
«Non dirlo neanche» disse Yuichi posandogli la propria giacca sulle spalle, invitandolo a sollevare il viso «Stai… stai bene? Era… qui?»
Annuendo Drew si avvolse nella sua giacca sussurrando un flebile “sì”
«Mi… mi riporti a casa… per favore?»
«Certo» aiutandolo a rientrare, Yuichi tornò al posto di guida accendendo piano la radio.
Rimasero in silenzio una manciata di secondi prima che entrambi provarono a parlare, fermandosi nello stesso istante e riprendendo.
Sbuffando appena una risata, Yuichi lo invitò ad iniziare per primo.
«Vuole che torni lì» disse piano vedendo gli occhi di Yuichi rabbuiarsi per un istante.
«Non credo che sia una buona idea»
«Non lo credo neanche io» ammise in un soffio Drew sfiorandosi con discrezione le labbra «Ma… potrei trovare delle risposte»
«O morire di crepacuore prima» sospirò Yuichi accostando sul vialetto «Drew… non… fare cazzate, ok?»
«Le faccio di continuo»
«No», scosse la testa Yuichi accarezzandogli la guancia, osservandolo seriamente «Sono serio, Drew, non andare da solo in quel posto… se… se dovessi sentirti male non ci sarebbe nessuno con te… cazzo, potresti rischiare grosso!»
Drew chiuse gli occhi al suo tocco, godendosi per un brevissimo istante quel contatto, «Yuichi»
«Ti accompagno» disse serio scostando la mano, invitandolo a sollevare il viso «Se vuoi tornare lì, se… davvero ne sei sicuro… se… se senti di doverlo fare, allora ti accompagno io. Ma da solo, Drew, non ti ci lascio»
Abbozzando un sorriso, Drew annuì, sporgendosi per abbracciarlo «Significa molto per me» ammise contro il suo collo, chiudendo gli occhi quando anche Yuichi ricambiò la sua stretta.
«Lo so» replicò Yuichi accarezzandogli appena la base della nuca, separandosi piano. «Per… quanto riguarda prima Drew-»
«È tutto a posto, tranquillo. Non… è successo nulla» sbuffò appena una risata sentendo il proprio inguine reagire al ricordo delle labbra di Yuichi contro le sue. Velocemente, prima che l’amico potesse notarlo, Drew uscì dalla macchina, chinandosi per osservare un’ultima volta Yuichi «Un modo molto efficace per calmarmi. Prova a brevettarlo» disse facendolo ridacchiare «Andiamo dopo scuola?»
«Dopo scuola»
«Ok… buonanotte, Yuichi»
«Buonanotte, Drew»
 
***
 
«Sei ancora sicuro?»
Costringendosi a distogliere lo sguardo dall’imponente costruzione diroccata, Drew si voltò in direzione di Yuichi annuendo.
«Se tu non volessi farlo capirei»
«Fanculo, non ti lascio entrare da solo»
Ridendo appena Drew si sistemò lo zaino sulla spalla muovendo un passo incerto in direzione del cancello.
«Era una parolaccia, Clark?»
«Non ne hai l’esclusiva»
«Mi fa solo strano sentirtelo fare»
Affiancandolo, Yuichi gli posò una mano sulla spalla stringendola appena «Sai che ai miei occhi non sembrerai meno coraggioso, vero?» chiese serio «Nessuno ti biasimerebbe se volessi lasciar perdere. Nessuno affronta volentieri i propri demoni»
«Forse no» soffiò Drew osservando l’altalena muoversi pigramente mossa dal leggero venticello di metà novembre «Ma voglio capire cosa sta succedendo, Yui…» sospirò voltandosi «Perché ora, dopo otto anni?» sbuffò ironico «Ricordavo a stento il mio nome e ora… ora vedo un fantasma che mi perseguita e che mi vuole qui…»
«La mente fa cose assurde, Drew, la tua, purtroppo, non è da meno»
«Forse hai ragione» annuì varcando il cancello, rabbrividendo appena alla vista di quel parco, una volta sicuramente curato e felice, ridotto in rovina, con travi appartenenti alla struttura depositate un po’ ovunque, giochi arrugginiti e imbrattati dai writers quasi completamente sommersi dalle erbacce, quello che doveva essere il laghetto artificiale era completamente sommerso dalla sua flora. Alcuni degli alberi erano cresciuti senza contegno, altri si erano seccati, mentre altri ancora, quelli più prossimi all’edificio, erano bruciati. Ed è lì che lo sguardo di Drew si soffermò, sulla vecchia struttura, quella parzialmente crollata su sé stessa, dietro di essa, si estendevano le due ale, quelle più recenti, quelle adibite a scuola e quella a dormitorio, sulla destra.
Lo stomaco di Drew si contrasse quasi dolorosamente alla vista, ed un conato di vomito minacciò di risalire, e lo avrebbe fatto, se la mano di Yuichi non si fosse posata sulle sue spalle.
«Fai un bel respiro»
«Cazzo…» espirò «Ci sono»
«Lo so…» concesse Yuichi con un sorriso comprensivo «Sicuro?»
«Sì… sì sono sicuro» disse avanzando in direzione della breve scalinata che portava all’ingresso, dove una delle parti del grosso portone era a terra, consentendo a ragazzi di notare che l’edera non si era limitata a coprire la vecchia costruzione, ma anche ad invaderne l’interno per buona parte.
Ignorando le segnalazioni di pericolo, varcarono la soglia, le assi in legno cigolavano sinistre al loro passaggio, rendendo chiara la fragilità della struttura.
«Di qui è troppo azzardato, Drew…»
«Già…» voltò lo sguardo a destra, osservandone il corridoio e, oltre di esso, la scala crollata su sé stessa, quella dove era stato ritrovato.
Un lampo di fiamme e urla invase la sua mente, le urla di un lui bambino che implorava un aiuto.
Distolse lo sguardo espirando «Ero lì» sfiatò indicando il luogo, senza davvero guardarlo «Mi hanno trovato laggiù»
«Lo ricordi?»
«Credo di sì» sospirò guardandosi intorno «Da lì non si sale più… dobbiamo raggiungere la scala principale… quella al centro dell’istituto»
«E come vuoi arrivarci?»
Stringendosi nelle spalle, Drew osservò la zona indicando con il mento l’ala sinistra «C’era una scala d’emergenza, sai, una di quelle con le porte anti incendi…»
«Sì, ok… allora… fammi strada, ti seguo»
Annuendo, Drew avanzò con calma attento a non cadere con le protesi in qualche buca o di crearne di nuove, restare bloccato lì era l’ultimo dei suoi desideri.
Superato l’atrio, il pavimento della vecchia struttura sembrava in buone condizioni, lì, le fiamme, non avevano completato la loro azione. Aveva fatto alcune ricerche nel corso degli anni, soprattutto l’ultimo, ad essere onesto, ed aveva scoperto che l’incendio era divampato dal vecchio impianto elettrico, quello posto nella cantina, a cavallo tra i dormitori e la struttura madre. Il guasto aveva creato un corto circuito lungo tutta la linea, il legno, aveva fatto il resto.
«Eccola» disse indicando la porta bianca parzialmente scardinata «Credo di averla usata spesso, nonostante gli istitutori non volessero»
«Come mai?»
«Credo che qualcuno si divertisse con me…» sussurrò rabbrividendo all’eco lontano di una risata infantile «Hai sentito qualcosa?»
«Di che genere?»
Scuotendo la testa Drew si sforzò di sorridere salendo le scale «Suggestione, probabilmente»
«Stai bene?»
Prendendolo per il polso, Yuichi lo invitò a fermarsi e voltarsi, regalandogli un sorriso incoraggiante «Ti credo, qualsiasi cosa tu creda di aver sentito, sono certo che ci sia stata, è una cosa che riguarda te, Drew… solo perché non la sento io non significa che non ci sia, ok?»
«Grazie, è carino da parte tua»
«Sono sempre carino con te, non fingerti sorpreso» disse nello stesso istante in cui il suono di passi echeggiò nell’aria. «L’hai sentito anche tu?»
«Sì»
«Non siamo soli» affermò Drew riprendendo a camminare, aprendo, con non poca fatica, la porta che conduceva al corridoio del primo piano.
A differenza del piano inferiore, grazie alla moltitudine di finestre, la visibilità era molto più chiara, permettendo a Yuichi di notare come, in realtà, l’istituto si affacciasse su un giardino interno, più piccolo e modesto di quello al suo ingresso e, a dirla tutta, al momento anche incredibilmente simile ad una foresta.
Quasi ipnotizzato, Drew lo seguì, chinando lo sguardo a quello che era stato un giardino, facendo scorrere lo sguardo sulle vetrate del primo piano che lo circondavano.
Piano intonò una canzone, la stessa che da giorni aveva invaso la sua mente, corrugando appena la fronte, cercando di guardare oltre la vegetazione, di vedere i bambini che si rincorrevano, l’insegnante che li richiamava all’ordine e loro che, incuranti continuavano a ridere, uno in particolare attirò la sua attenzione, magro e vivace, con una zazzera di capelli biondo cenere, quasi ramati. Lo vide alzare lo sguardo, ma il suo viso, ancora una volta, non era visibile, la sua mano si sollevò in alto, indicando qualcosa, una finestra. Seguendo lo sguardo, Drew osservò il proprio riflesso, oltre esso, una finestra.
Yuichi lo osservò in silenzio trattenendo il fiato e, in tutta onestà anche una nota di paura. Non era suggestionabile, mai come Drew, certo, ma temeva davvero che, da un momento all’altro la testa di Drew potesse fare un giro su sé stessa e che la voce di un demone iniziasse a parlare per lui, sussultò, infatti, quando Drew lo guardò.
«Cos’hai?»
«Dovrei chiedertelo io, fanculo mi stavi spaventando»
«Scusa» sussurrò «Andiamo da quella parte, oltre il giardino» disse guardando i due lati del corridoio per valutare la strada da percorrere «Per di qua»
«Drew?» chiese dopo un po’ Yuichi osservando i corridoi abbandonati, la calce, i detriti e la polvere che li caratterizzava «Hai visto qualcosa?»
«Non lo so, non ne sono certo… forse era un semplice ricordo…» sussultò nel riconoscere il corridoio. Era lo stesso di quel sogno, ovviamente non era bello e soleggiato ma lo sapeva, era lui.
«I dormitori…» sussurrò rabbrividendo «Questo era il mio piano»
Sorpreso Yuichi lo guardò curioso, osservando i vetri rotti dai vandali -e dall’incendio- sparsi per i corridoi.
«Se volessi fermarti qui, Drew, non ti giudicherebbe nessuno»
«Grazie… ma davvero, voglio andare a capo di questa cosa» disse muovendosi lungo il corridoio, scansionando con lo sguardo ad una ad una le porte lasciate socchiuse e diroccate, fino a fermarsi difronte a quella che, ne era certo. Era stata la sua.
La porta si aprì con un suono sinistro, andando ad incepparsi tra la calce e le mattonelle sollevate.
quattro lettini erano disposti in entrambi i lati della stanza, tutti in ferro battuto, tutti con le coperte tirate, sporche ed ammuffite, tutti tranne uno.
Come ipnotizzato, Drew lo raggiunse, la sua mente iniziò ad alternare la realtà ai ricordi, quel posto buio ed angusto illuminato dalla luce del giorno proveniente dalle numerose finestre, grida gioiose di bambini che correvano a destra e sinistra, ne schivò uno, portando lo sguardo al letto sfatto, osservandosi bambino intento a scarabocchiare qualcosa su un vecchio album da disegno, di fronte a lui, il bambino del sogno, un occhio verde e luminoso che spuntava dalla folta zazzera di capelli cenere. Anche lui era chino su qualcosa, come a fissare uno specchio, Drew, si ritrovò ad ammirare la sincronia dei movimenti dei due bambini.
Avanzando, le loro immagini si dissolsero, lasciando solo due letti vuoti e sudici. Inginocchiandosi con attenzione, Drew si chinò osservando la scatola sotto il letto.
«~Prendila~»
Serrando gli occhi. Drew lo fece, portandola sopra il letto.
«Cosa hai trovato?»
«È mia…» disse sollevando il coperchio della scatola, rivelando quell’album che aveva appena visto -o immaginato? -, prendendolo tra le mani, accarezzando il proprio nome
«Dashiell» lesse Yuichi inarcando un sopracciglio «Ti… chiami Dashiell?»
Annuendo Drew si sedette sul letto con un piccolo sorriso «Già…» aprì l’album, osservando il disegno della struttura che, nonostante si trattasse della mano di un bambino, aveva un’ottima prospettiva «Dashiell Dwayne…» ammise corrugando appena la fronte nel ricordare, «Ma… mi restava difficile pronunciarlo… per assonanza, e perché conteneva due D… mi chiamavano Drew…» sbuffò una risata «Rispondevo solo a quello…» ammise voltando la pagina, osservando il ritratto di un cane, infondo due D.
«Eri bravo già da bambino»
«Non adularmi, poi mi monto la testa» sbuffò cambiando ancora pagina, osservando il profilo di un bambino. Aveva i lineamenti familiari, ma non riusciva davvero a collegarlo.
«Lui?»
«Non ne ho idea» ammise sussultando al ~Bugiardo~ che provenne dalle sue spalle.
Si voltò di scatto, lasciando cadere l’album a terra, ispirando con forza dal naso.
Allarmato, Yuichi si sollevò con lui, osservando il punto in cui era fisso lo sguardo di Drew «Drew?»
«Non c’è nulla» ispirò passandosi una mano tra i capelli, osservando i fogli sparsi a terra. Velocemente li rimise all’interno dell’album, infilandolo poi nel proprio zaino.
«Vuoi prendere anche quella?» chiese Yuichi indicando la scatola con un gesto del capo.
«Non lo so, no… no non credo» disse spostando i vari oggetti al suo interno, piccoli oggetti senza valore accumulati nei miseri sette anni che aveva trascorso in quel posto «No… alcune cose, Yui… credo sia meglio che restino dove si trovano» disse poco prima di inarcare un sopracciglio.
«Cosa hai visto?»
«Una foto» disse estraendola. Era una foto di gruppo, trentatré bambini erano disposti ordinatamente sulle scalinate di ingresso dell’Istituto, ai margini, due educatrici ed educatori, al centro, un uomo alto che sicuramente accostava i sessanta anni, con il volto gentile ed un colletto clericale. Alla sua destra, vi era Drew, sorridente ma in una perfetta posa composta. Sbuffò appena una risata.
«Non so davvero come mi abbiano convinto a restare immobile in questo modo»
Avvicinandosi a lui, Yuichi annuì concorde «Molto probabilmente dovevano averti legato le mani e quell’uomo aveva ferma l’altro capo della corda» ridacchiò dolcemente «Eri carino»
«Solo all’epoca? Offendi il mio ego» disse Drew fingendosi offeso, riponendo la foto insieme all’album.
«Non prendertela, sei carino anche ora» disse Yuichi scrollando le spalle, sussultando nel rendersi conto di quanto appena detto.
Drew distolse lo sguardo arrossendo appena, mentre i ricordi del bacio di qualche ora prima tornarono ad invadere la sua mente, facendogli formicolare le labbra.
«Drew io…»
«Quello era il mio armadio» lo interruppe velocemente percorrendo la stanza fino agli armadietti e, come nel suo sogno, accanto al proprio vi era quello di “Astre” aprì il suo, trovando, esattamente come si era aspettato, la tigre grigia.
Se la rigirò tra le mani, osservandola, sentendo una fitta al cuore. Perché si sentiva così, diamine, era solo un peluche.
«Per quanto riguarda ieri, Drew… io… il mio»
«Non era un bacio, lo so. stavi solo cercando di impedirmi di iperventilare. Non devi giustificarti» sorrise debolmente «Non è successo nulla»
Yuichi lo osservò attentamente per un lungo istante, massaggiandosi la base del collo, osservando la stanza «Il… il sole sta calando… credo sia meglio rientrare» sorrise debolmente strofinandosi appena le braccia «Inizia anche a fare freddo»
Se stava davvero facendo freddo… perché lui si sentiva al centro di un incendio, invece?
 
***
 
«Sei pensieroso, tesoro, va tutto bene?»
Drew sussultò al richiamo di sua madre, rendendosi conto, solo in quel momento, che per tutta la cena non aveva né parlato né toccato nulla. Si era limitato a far roteare per il piatto i piselli, la sua mente, completamente altrove.
«Sì, sì scusate, stavo solo pensando» ammise con un sorriso di scuse «Cosa mi sono perso?»
«Beh dipende» rise appena suo padre bevendo un sorso di vino «Hai sentito quando ho nominato l’MIT?»
«No»
«Beh, allora direi tutto» rise scuotendo la testa.
«Cosa dicevate dell’MIT?» chiese sporgendosi un po’ nella loro direzione «È arrivata la lettera?»
«Non ancora» rispose sua madre «Volevamo solo richiamare la tua attenzione ma… nulla» sorrise appena inclinando il viso «Cosa ti turba tesoro?»
Ispirando, Drew abbandonò la forchetta sul piatto scivolando contro lo schienale della sedia «Sono… sono stato all’istituto Douglas, questo pomeriggio» ammise attirando facendo sussultare entrambi i genitori dalla sorpresa.
«Drew-»
«Come mai?» intervenne subito sua madre con una nota di preoccupazione «Tu non… non sei mai voluto tornare lì, come mai ora?»
Mordicchiandosi il labbro inferiore Drew si prese alcuni istanti prima di parlare. Ammettere che aveva seguito le istruzioni di un fantasma era fuori discussione. Ma non voleva mentire, cazzo, non lo aveva mai fatto e sicuramente, non avrebbe iniziato ora.
Ispirando optò per la cosa più logica, raccontare a grandi linee la verità. «Ho fatto un sogno strano qualche giorno fa e… nulla volevo solo assicurarmi che non fosse solo frutto della mia fantasia, ma che davvero, stessi ricordando qualcosa» ammise.
«Hai trovato qualcosa che possa aiutarti?» chiese Thomas stringendogli appena la spalla.
«Non ne sono certo» ammise sollevandosi per recuperare dal proprio zaino il vecchio peluche mostrandolo loro «So che si chiama Grey e che il bambino che lo aveva era un mio amico» giocherellò con il pupazzo «Forse lo sto anche sognando» ammise mordicchiandosi il labbro inferiore.
«Cosa sogni, di preciso?» si informò sua madre guardandolo preoccupato.
«Mi parla… mi fa sentire bene…» sorrise appena «Credo… Credo che si chiamasse Astre…» disse sollevando il viso nella loro direzione «Il nome vi dice qualcosa?»
Drew vide sua madre scambiarsi una rapida occhiata con suo padre, e Thomas mordersi l’interno guancia «Possiamo chiedere» si limitò a dire indicando il suo piatto «Ora non pensarci, campione, mangia qualcosa»
A Drew non era sfuggita la leggera tensione che si era creata, cos’ come non lo aveva fatto la preoccupazione di sua madre o la tristezza di suo padre.
Immaginava che da genitori adottivi, sentir parlare il proprio figlio di un qualcosa avvenuto prima dell’adozione, potesse implicare anche la voglia di sapere chi fosse, di cercare, forse, i suoi veri genitori. Anche se, potendone avere la possibilità, Drew non lo avrebbe mai fatto.
Lui non era stato affidato ad una casa-famiglia perché allontanato dai suoi genitori naturali, no, era nato e cresciuto in un orfanotrofio dove, appunto, vengono lasciati gli orfani, coloro che non hanno famiglia. Che non l’hanno mai avuta davvero.
«Siete i miei genitori» disse in un sussurro «A prescindere da tutto»
«Lo siamo» sorrise suo padre, osservando Helen fare il giro del tavolo per stringere Drew a sé, immergendo le labbra tra i suoi capelli.
Drew chiuse gli occhi a quel contatto stringendola a propria volta «Sei il mio dono più grande» sussurrò al suo orecchio.
«E tu il mio…»
 
***
 
Steso a fissare il soffitto della sua stanza, Drew si era perso nelle miriadi di costellazioni in esso riportato. Era stato Thomas a dipingerlo, Drew ricordava ogni dettaglio di quel giorno di come insieme avessero ricercato il cielo di ottobre e di come Thomas avesse riportato a memoria ogni costellazione e pianeta, Urano era alla sua destra, lo sciame Orionide ai piedi del letto, le costellazioni invernali lì in bella mostra, toro e gemelli.
Era stato entusiasta di quel lavoro, forse più di suo padre, e lo aveva adorato. Lo adorava anche ora. Nonostante fossero in periferia, l’illuminazione dei lampioni non rendeva affatto visibile il cielo, e quello, per Drew, era la sua finestra privata sul cielo.
Aveva scoperto presto di avere quella passione in comune con Thomas, e l’uomo non aveva mai permesso agli impegni di negare a suo figlio un campeggio quando, sicuramente, si sarebbe verificato qualche evento astronomico.
Una sera, Drew gli aveva chiesto come mai non avesse seguito quella passione e Thomas gli aveva risposto che nel momento in cui la passione diventa lavoro, non è più un hobby che ti regala una pausa dalla realtà, ma diventa, la tua realtà.
Sospirando voltò lo sguardo al proprio zaino, sporgendosi per prenderlo, ne estrasse l’album, iniziando a sfogliarlo, alcuni disegni erano semplici, poche linee abbozzate di volti o animali. Altri erano più accurati bambini che giocavano, personaggi di serie tv e cartoni che vedeva da bambino e che, con un po’ di sforzo, quasi ricordava. Uno disegno in particolare attirò la sua attenzione. Linee rette e precise, quasi si trattasse di una prospettiva frontale, l’abbozzo di un disegno schematico, molto diverso dallo stile che aveva da bambino e che, tutt’ora aveva mantenuto, in basso con una leggera inclinazione verso destra e senza sbavature dovute dal passaggio della mano sinistra, vi era una firma A.S.
«A.S…. » sussurrò accarezzando quelle iniziali «Perché un tuo disegno è nel mio album, Astre…» chiese rabbrividendo nel pronunciare quel nome, sentendo una strana sensazione invaderlo e farlo sentire a disagio.
Prese la foto rimasta imprigionata tra i fogli, cercando un volto che potesse essere “Astre” trovandolo, forse, in quello del bambino alla sinistra del direttore della struttura. Dei capelli biondo cenere coprivano parzialmente il viso del ragazzino, rivelando solo un occhio verde, un sorriso pacato dipingeva il suo volto «Astre…» ripeté.
Perché più ripeteva quel nome ad alta voce… più era così…
«~Familiare? ~» terminò per lui la voce spettrale del bambino, nascosto nella penombra della stanza con il suo unico occhio blu visibile.
Sussultando, Drew arretrò con le spalle fino al muro, ispirando con forza dal naso «Fottuta allucinazione»
«~Ora sarei un allucinazione ~» urlò furioso scattando nella sua direzione, premendo con forza una mano contro il suo collo «~Guardami. Sono un’allucinazione? ~»
Boccheggiando, Drew cercò di evitare quell’occhio furioso, di ignorare la sensazione bruciore che emanava, di non permettere a quel viso ustionato di imprimersi nella sua mente.
«Vattene» disse serrando gli occhi.
«~No! ~» gridò con tutta l’arroganza e l’egoismo di un bambino «~Non me ne vado! Non finché non ti ricorderai di me! ~» tuonò facendolo gemere di dolore.
I suoi occhi presero a lacrimare e l’aria a farsi terribilmente pesante, sentiva i polmoni in fiamme e un intenso odore di bruciato nausearlo.
«~È brutto vero! ~» tuonò «~E mi hai abbandonato! ~»
«No!»
Aprendo gli occhi, Drew si ritrovò da solo nella stanza, il caldo che aveva avvertito fino a quel momento completamente svanito, lasciando la stanza nel gelo più totale, quasi quell’entità ne avesse assorbito il calore.
Con mani tremanti si accarezzò la cola sibilando sentiva la pelle incandescente e viscida, come se vi fosse una scottatura da ustione. Ma non c’era nulla. guardandosi allo specchio, tutto quello che vide Drew, fu solo un ragazzo confuso e spaventato.
Chinando lo sguardo al letto, osservò ancora una volta quella foto, cercando quell’occhio blu tra i bambini, riducendo la scelta ad un paio, ma troppo grandi rispetto allo spirito che, a differenza dei bambini ritratti, non poteva avere più di sette anni.
Stringendo quella foto tra le mani scese le scale, osservando sua madre china su un vecchio album di foto con lo sguardo assorto.
Gli si strinse il cuore alla vista, non voleva che sua madre pensasse che non apprezzava tutto quello che lei e suo padre avevano fatto nel corso degli anni ma… aveva bisogno di capire chi o che cosa lo stesse perseguitando.
«Mamma?»
«Ehi, tesoro» gli sorrise sollevando lo sguardo nella sua direzione «Tutto bene?»
Annuendo Drew la raggiunse, sedendosi piano accanto a lei, osservando le foto del suo ottavo compleanno, quando ancora non era ufficialmente loro figlio.
«Cosa stai facendo?»
«Nulla» sorrise sua madre «Pensavo solo a quanto corre veloce il tempo» scosse la testa accarezzandogli il viso «Ieri eri un bambino e oggi un bellissimo adolescente prossimo al college»
«Mamma…»
«Cosa, è vero che lo sei» sorrise scendendo con la mano ad accarezzargli una gamba «Cosa volevi chiedermi?»
«È così palese?»
«Una madre conosce il proprio figlio» disse dolcemente «Parla, non aver paura di ferirmi. Ho il cuore forte, lo sai»
«Lo so» ammise in un soffio, ricordando tutto quello che aveva fatto per lui nel corso degli anni, e come, paziente, lo avesse aiutato ad ogni terapia. Facendosi forza gli porse la foto che aveva messo in tasca, aspettando una sua qualche reazione, prima di parlare.
La vide osservare con un sorriso triste i volti dei bambini, soffermando l’attenzione su alcuni.
«Li conosci?»
«Non conosco i loro nomi ma… li ho visti quella notte… quando li hanno estratti» sospirò indicandone uno «Lui è morto prima di entrare in ambulanza» disse indicandone uno «Lei è una delle infermiere della clinica Hendersen» disse indicando una ragazza con i capelli biondi e abboccolati sui diciotto, diciannove anni.
«Una delle infermiere?» chiese prendendo la foto e guardandola attentamente «Non ci sono infermiere così alla clinica»
«Ora ha i capelli corti e neri» disse dolcemente «Non ti viene in mente nessuna?»
Drew impiegò solo una manciata di secondi prima di sgranare gli occhi e volgere la propria attenzione a sua madre «Hayden?»
Annuendo Helen tornò alla foto «Sì, proprio lei…»
«Era lì quella notte?»
«Oh no, no tesoro, era in ospedale, stava iniziando il tirocinio»
«Mi conosceva?»
Helen abbozzò un sorriso «Forse sì, non glielo ho mai chiesto, ad essere onesta»
Annuendo Drew tornò alla foto e con lui lo fece anche Helen «Eravate tutti lì…» sospirò con voce tremula «Non siamo riusciti a fare nulla per aiutare gli altri due bambini intrappolati.
«Altri due?»
Annuendo Helen sfiorò l’immagine di una bambina di circa quattro anni «Lei… e» indicò il bambino alla sinistra del preside «E lui…»
Trattenendo il fiato, Drew si ritrovò a scansionare i ricordi, a cercare quel viso nei suoi sogni, a dare un volto al bambino che aveva visto quel pomeriggio, trovandolo in lui.
«Era… era lui Astre?»
Con un sorriso di scuse, sua madre gli porse la foto, riponendo l’album di fotografie all’interno del mobile della sala «Potrebbe, ma non era quello il nome che cercavi, era diverso»
Inghiottendo a vuoto, Drew schiuse le labbra per parlare, ma non lo fece. Improvvisamente aveva paura di chiedere, di osare, di spingersi troppo oltre e non poter più tornare indietro. se non era il bambino dagli occhi verdi, chi era, allora, quello che lo perseguitava?
«Non pensarci troppo, tesoro…» disse amaramente «Hai bisogno di riposare»
«Ho bisogno di sapere, mamma… io… voglio sapere. E non mi importa se farà male. Ma ne ho davvero, bisogno»
Gli occhi di Helen si fecero incredibilmente lucidi e, per un istante, Drew temette che potesse scoppiare in lacrime. E dio se lo odiava.
«N.no ok non»
«No… no ne… ne hai diritto…» disse Thomas comparendo dalla porta del garage, sforzandosi di sorridere «Hai diritto a sapere… solo… non pensare che lo abbiamo fatto per il tuo male, Drew… non crederlo…» ispirò avvolgendo la vita di Helen «Ma forse è meglio se ti siedi»
«Sedermi? …»  domandò mordendosi il labbro inferiore, tuttavia ubbidendo.
«Sì…» annuì sua madre stringendo la mano di Thomas «Avevi… avevi un gemello»
Drew sentì il proprio cuore perdere un battito, prima che questo riprendesse a battere furiosamente nel suo petto.
«Un… gemello?» chiese in un soffio «E… e dove…?»
«È morto quella notte, Drew… il nome che hai chiamato mentre cercavamo di estrarti dalle macerie era…»
«…Solo…» sussurrò sgranando gli occhi.
 
***
 
Un gemello. Di tutte le cose che i suoi genitori potevano aver omesso su di lui, quella di avere un fratello, davvero non l’avrebbe mai immaginata.
Roteo sulla schiena ispirando a fondo «Solo…»
Chiuse gli occhi cercando di ricordarlo, senza alcun successo. Come si poteva dimenticare un viso identico al proprio?
Accendendo la luce del comodino, Drew si sedette, lanciando uno sguardo all’ora constatando che fossero solo tre e mezzo del mattino e che, di dormire, davvero non se ne parlava.
Prese la foto abbandonata sul comodino osservandola, cercando quel viso che avrebbe dovuto essere identico al suo. Scrutò ad uno ad uno i visi dei bambini, soffermando l’attenzione su quello di Astre; era l’unico che non riusciva a distinguere chiaramente a causa della folta frangia che gli copriva parte del viso, ma se lui fosse stato Astre, ovviamente, non avrebbe potuto essere Solo.
«~Cosa stai aspettando~» echeggiò la voce di un bambino, questa volta più dolce, quasi un richiamo «~Vieni a cercarmi~»
La stanza era vuota, lo sapeva bene. Quando il fantasma era lì con lui sembrava sempre bruciare, l’aria era quasi tossica, tanto era calda.
Infilandosi al volo le protesi e vestendosi, il più silenziosamente possibile, Drew scese le scale ed uscì di casa, stringendosi nella sua giacca di pelle, alzando lo sguardo alla finestra della stanza del suo migliore amico. Se la sua auto fosse stata pronta, non lo avrebbe mai chiamato a quell’ora indegna…
Lanciò un paio di sassolini contro la sua finestra, attendendo paziente, che la luce della sua stanza si accendesse.
«Cavolo, Drew, ma sai che ore sono?»
«Ho bisogno di te…»
Bastarono quelle quattro semplici parole per far annuire Yuichi, e solo una manciata di secondi prima di vederlo comparire nella veranda.
«Cosa è successo?»
«Devo tornare al Douglas… ti spiego in macchina»
Yuichi si morse le labbra annuendo, era chiaro come il sole che volesse opporsi alla sua decisione, ma qualcosa -forse il suo visibile bisogno- glielo aveva impedito.
Drew aspettò di uscire dalla loro strada, prima di iniziare a raccontare tutto con voce pacata ma colma di emozione.
«Ho un gemello, o… o forse lo avevo, non è chiaro… mio padre ha detto che i registri delle adozioni non sono consultabili… e non c’è nessuno in vita che possa dirmi con esattezza se mio fratello fosse lì quella notte o meno» ammise «L’assistente sociale che si occupava delle adozioni era lì quella sera, e molti di noi che sono stati adottati non vivono più qui da anni ormai» sbuffò «Inoltre non potrebbero mai saperlo»
«Vuoi cercare tuo fratello?»
«Voglio capire chi è che cerca me, Yuichi» gemette esausto «Non riesco più ad entrare in una stanza da solo senza chiedermi dove sia o cosa voglia questa volta. Ha fatto esplodere cose, e mi ha lasciato un bel ricordo sul collo, se ricordi bene… non voglio che si spinga oltre…»
Annuendo Yuichi gli strinse la mano, accarezzandone piano il palmo «Sono con te»
«Lo so, per questo sei il migliore»
«Credevo fosse per la mia auto»
«Nah, tra un paio di settimane arriverà la mia, se fosse per quello tra noi sarebbe già finita» sussurrò, prima di arrossire furiosamente per quanto detto e distogliere lo sguardo «Cioè»
«Hai… l’età del consenso, Drew» sfiatò Yuichi passandosi una mano tra i capelli «Ma vorrei entrare in Accademia, prima di chiederti se vuoi metterti con me…»
Drew sgranò gli occhi a quell’affermazione, voltandosi scioccato nella sua direzione, schiudendo le labbra per la sorpresa. «Come?»
«Mi piaci» espirò semplicemente «E volevo dirtelo anche oggi pomeriggio. Prima che te ne uscissi con quel “non mi devi spiegare nulla” e so che non erano esattamente queste le parole che hai usato, quindi non mi interrompere.» borbottò fermandosi difronte ai cancelli della struttura «Quello che voglio dirti è che… se… se volessi… noi due potremmo»
«Sì» lo interruppe quasi squittendo, arrossendo furiosamente subito dopo «Cioè… mi… mi piaci anche tu»
Sbuffando una risata, Yuichi gli accarezzò il viso invitandolo a guardarlo «Allora… appena… appena mi prenderanno… noi staremo insieme…»
Sorridendo Drew annuì, voltando lo sguardo al cancello, incontrando il bambino fermo lì ad aspettarlo. Ma non sembrava bellicoso, questa volta, no, solo… triste?
«È qui?»
«Sì»
Yuichi si mosse per togliere la cintura, ma il ragazzo lo fermò «No… no aspetta… dammi un po’ di tempo. trenta minuti…»
«E se ti succede qualcosa? Non se ne parla»
«Tra mezz’ora mi raggiungi… per favore però… aspettami qui, ora»
Sospirando Yuichi controllò l’ora scuotendo la testa «Quindici minuti, non di più»
Abbozzando un sorriso Drew annuì, sporgendosi per lasciargli un timido bacio sulla guancia «D’accordo» sussurrò prima di lasciare l’auto, avventurandosi all’interno del giardino, seguendo l’ombra del bambino.
Varcando il portone, Drew non si trovò più difronte alla struttura diroccata, al suo posto, bello e luminoso come l’aveva sempre visto, l’atrio dell’istituto Douglas era addobbato a festa.
Un enorme cartellone faceva la sua bella mostra nell’ampio disimpegno, sulla destra, vi era la gigantografia della foto di Pasqua, quella che ogni anno il preside spediva ai negozianti per i suoi consueti auguri.
«Anche quest’anno faranno le cose in grande»
Ridendo, un Drew bambino si voltò in direzione della voce, sorridendo in direzione del bambino «Il preside Newman ci tiene, forse dovresti farlo anche tu»
«Oh ma io ci tengo» disse solenne indicando la spessa frangia che copriva il suo occhio destro «Non ti piace?»
«Molto discutibile, Astre, davvero»
«Molto simpatico, Dashiell» sbuffò una risata osservando gli adulti indaffarati «Non ci adotteranno»
«Continui a ripeterlo»
«Magari continuo a crederlo, chi può dirlo, sai come la penso, no?»
«Negativo fino al midollo, “Mi aspetto il peggio per rimanere sorpreso del meglio”» disse in coro con la sua voce adolescente, voltandosi in direzione delle scale.
«~Se mi adotteranno, Drew, tu verrai con me~»
«E tu con me» disse un eco lontano, e l’immagine del bambino biondo che, velocemente si dirigeva alle scale urlando spaventato.
«Presto, presto, sbrigatevi! Sta male! Non mi risponde!» accelerando appena il passo, Drew raggiunse il bambino, osservandolo chino su qualcuno, alcuni adulti preoccupati intorno a loro.
«Ha bisogno di un’iniezione subito! Dov’è il suo kit?»
«Solo, vai a prenderlo, veloce»
«Solo?» avanzando di un passo, Drew osservò la scena con il cuore a mille, suo fratello era lì ma… non lo vedeva. Oltre gli adulti, vi era solo quel bambino, Astre al suo fianco.
Una fitta alla testa lo costrinse a cadere sulle ginocchia, ispirando pesantemente, sentendo il peso dei ricordi irrompere nella sua mente come un fiume in piena.
Sette anni di ricordi repressi farsi prepotentemente avanti, facendogli rivivere in un solo istante tutto quello che aveva vissuto. Tutto quello che aveva perso.
Facendogli mancare il fiato nella realizzazione.
«Fratellino?»
«Ehi» sollevandosi a sedere con fatica, Drew sorrise in direzione di suo fratello, «Che fine ha fatto il tuo orgogliosissimo ciuffo?»
Sbuffando, con le mani affondate nelle tasche, Solo avanzò nella sua direzione, sedendosi con un tonfo sul proprio lettino, «Secondo le educatrici non era ordinato» borbottò storcendo il naso nel toccarsi i capelli laccati indietro «Mi sento un pinguino»
«Stai bene invece, i ******* ti adoreranno»
«Non mi sta bene che tu non venga con me» grugnì «Non mi sta nemmeno bene che tu non partecipi alla giornata»
«Solo guardami» soffiò piano Drew sporgendosi per prendere il suo viso tra le mani, costringendolo a farlo «Io ti aspetto qui» disse dolcemente «Stasera mi racconti tutto, ok?»
Solo lo fissò per un breve istante prima di sbuffare «Mi prometti che rimarrai buono a letto?»
«Non riesco nemmeno a reggermi in piedi» ammise con voce appena incrinata «Dove vuoi che vada»
«Che palle!» strepitò Solo stringendolo forte, affondando il viso nel suo collo «Vorrei avere io il diabete, così tu staresti bene»
«Io invece sono felice di averlo, così non lo hai tu» rise piano allontanandolo «Ci vediamo dopo, vai a vedere come sono, hai tante cose da raccontarmi questa sera»
Annuendo Solo si sollevò, porgendogli Black «Ho chiesto ad Andreas di venire qui ogni tanto, di aiutarti se dovessi averne bisogno»
«Perché?»
«Perché è il nostro migliore amico ed è preoccupato quanto me!» ribeccò roteando gli occhi, invitandolo a stendersi di nuovo per rimboccargli le coperte. «Non combinare casini senza di me»
Drew rise dolcemente scuotendo la testa «Mi annoierei a morte da solo»
«Astre?» chiamò una delle educatrici dalla soglia «Andiamo tesoro, i ****** sono arrivati»
«Arrivo!» disse sollevandosi, tornando a guardarlo «A dopo»
«A dopo»
 
«Sono bloccate! Dannazione, le porte sono tutte bloccate!»
«Qualcuno deve cercare gli altri!»
«Non trovo Andreas!»
«Merda, deve essere salito quando ha sentito l’esplosione!» disse un’altra voce mentre un forte boato preannunciò un crollo.
«Da questa parte!» urlò Andreas dal corridoio «Presto, presto di qua!»
«Non respiro!» gridò Drew cercando di sovrastare il rumore dei crolli e quello dell’incendio «Dove sei!?» chiamò ancora spaventato «Andy dove sei! Ti prego parla!» singhiozzando corse in direzione delle scale, trovando il suo migliore amico inginocchiato a terra, scosso da forti colpi di tosse e singhiozzi, le mani premute al petto.
«Eccoti!» esultò spaventato raggiungendolo, inginocchiandosi, osservando le mani rosse e completamente ustionate.
«Cosa…»
«La maniglia brucia» singhiozzò osservandosi le mani «Bruciano così tanto»
Stringendolo con forza, Drew si sollevò, togliendosi la maglia più pesante, avvolgendo la maniglia per abbassarla, incurante del forte bruciore che aveva alle spalle.
«Adesso andiamo via, usciamo di qua insieme, promesso» disse riuscendo finalmente ad aprire la porta.
Una folta coltre di fumo si propagò nel corridoio facendogli mancare il fiato per un lungo istante. Le scale!
«Vieni, andiamo! Dobbiamo scendere!» prendendo il polso del bambino, Drew si mosse alla cieca in direzione delle scale.
«Ci sei?» chiese rivolto alle sue spalle, cercando di non guardare troppo quelle mani completamente ricoperte di sangue e vesciche.
«Sì…» tossì Andreas spostandosi i capelli sudati dal viso.
«Siamo quasi arrivati, dobbiamo solo-»
Le parole gli morirono in gola, il suono sinistro di un crollo si propese nell’aria, e il terreno sotto i suoi piedi venne a mancare.
Un nome rimase intrappolato tra le sue labbra. «Andy!»
 
La gamba gli faceva male e il dolore alle sue spalle era così forte che faceva fatica a respirare.
«Aiutami, Drew… aiutami!»
«Non posso» scoppiò in lacrime «Non ci riesco… ho… ho una gamba intrappolata…» gemette voltandosi in direzione del suo migliore amico «Mi fa male»
Andreas era parzialmente sepolto dalle macerie, di lui erano visibili appena il viso ed un braccio, «Aiutami, so che puoi farlo, devi solo prendermi la mano…» tossì il bambino allungandola «Prendila»
Scuotendo la testa, sibilando nel muovere un braccio, Drew singhiozzo «Non ci arrivo… sei troppo lontano» soffiò spaventato e sopraffatto dal dolore. «Aiutateci! Qualcuno ci aiuti!» chiamò con tutta la voce che aveva in corpo, osservando la vita abbandonare lentamente gli occhi blu del suo amico.
«Andy, Andy ti prego, resisti!» gemette «Adesso arrivano gli aiuti. Ci portano via, ci salvano tutti» singhiozzò provando a sedersi tra i gemiti, sentendo le forze scemare, ed una voce avvicinarsi sempre di più.
«Stanno arrivando…» disse voltandosi «Appena mi liberano le gambe… vengo a prenderti…»
 
Drew si asciugò il volto, osservando la voragine che il terzo crollo della struttura aveva creato. Era quello il punto in cui era stato trovato, ed era quello il punto in cui era morto…
«-Sei tornato-»
La voce del fantasma non era più spettrale e distorta, era candida, come quella di un bambino. Voltandosi, Drew si ritrovò a sorridere appena alla vista di quel bambino che, insieme a Solo, aveva reso la sua permanenza in quell’istituto fantastica e ricca di bei momenti, nonostante il tragico epilogo.
«Ci ho messo una vita, però… non ti ho salvato»
«-Non potevi ero già morto, quando sono arrivati i soccorsi-» disse con un sorriso leggero «-Ma ora sei qui, hai mantenuto la tua promessa-»
Trattenendo un singhiozzo, Drew abbozzò appena un sorriso «Mi dispiace così tanto, Andy… per te, per i nostri fratelli e sorelle… per Solo… Non volevo dimenticare nessuno di voi…»
«Ci hai ricordati» sorrise il bambino «Ed hai ritrovato me…» disse iniziando a svanire nell’indicare la voragine. «Manca solo Astre…»
«Drew!?» correndo nella sua direzione, Yuichi lo strinse a sé ansante, sentiva il cuore del suo migliore amico pompare a mille ed un leggero tremore scuoterlo.
«Yui?»
«Merda, sono due ore che ti cerco, credevo che ti fosse accaduto qualcosa» espirò prendendo il suo viso tra le mani per osservarlo attentamente «Dove ti eri cacciato?»
«Sono stato sempre qui…» soffiò osservando «O nel passato, non ne sono certo»
«Nel… passato?» chiese Yuichi osservandosi intorno «Intendi dire che hai ricordato tutto?»
«Sì» annuì con un piccolo sorriso «Ricordo ogni cosa ora»
Mordendosi le labbra, Yuichi annuì accarezzandogli il viso, invitandolo a guardarlo, facendogli quella domanda silenziosa che premeva per porgli.
«Andreas… il mio fantasma si chiamava Andreas, ed era il migliore amico mio e di mio fratello… quando… quando siamo rimasti imprigionati, gli ho promesso che sarei tornato a riprenderlo…» abbozzò un sorriso amaro «Solo che non l’ho mai fatto» singhiozzò stringendosi al suo petto «Mi hanno portato via ed io ho…»
«Shhh» sussurrò accarezzandogli i capelli «Va tutto bene, l’hai trovato Drew… è finita»
«No…» pigolò sollevando il viso «Non ancora.» sorrise debolmente asciugandosi le guance «Devi aiutarmi a trovare mio fratello»
 
***
 
In piedi di fronte alla lapide, Drew sorrise in direzione della foto, un ingrandimento di quella stessa immagine che aveva trovato tra le sue cose al Douglas. L’unica che lo ritraeva.
Era stato un incubo spiegare ai suoi genitori cosa ci facesse nel bel mezzo della notte in un edificio diroccato prossimo alla demolizione, ancora di più, spiegargli come avesse fatto a sapere che lì, sotto cumuli e cumuli di macerie, vi fossero delle ossa.
Dire che i suoi genitori si erano dimostrati scettici era riduttivo, ma infondo, Drew non aveva mai mentito. Mai una bugia in quasi otto anni che era loro figlio, quindi, alla fine, dopo aver ascoltato ogni dettaglio delle ultime settimane, inghiottito ogni domanda scomoda e valutato che sì, infondo, un barlume di verità poteva esserci, se Drew aveva affermato che in quel luogo ce lo avesse condotto il fantasma di un bambino tragicamente scomparso, poteva essere vero, giusto?
«Cucciolo? Sei pronto?»
Voltandosi nella sua direzione, Drew rivolse a Yuichi un piccolo sorriso, tornando per un breve istante alla lapide «Ci vediamo presto» sussurrò accarezzando il marmo freddo ma ben curato, un pensiero dei suoi genitori.
«Non so davvero come ringraziarti, Yui… per questo e… beh per tutto»
Sbuffando una risata, Yuichi avvolse la vita del suo ragazzo baciandogli la tempia «Non dirlo neanche per scherzo» disse invitandolo ad entrare per primo in auto «Dopo tutto quello che hai passato… beh, questo è il minimo» ammise mettendo in moto l’auto «Piuttosto, come ti senti?»
«A parte nervoso, teso e strano… beh… credo bene» sfiatò osservando la freccia del navigatore mostrare la loro direzione.
«Vuoi fare una telefonata?»
«Oh no!» sfiatò passandosi una mano tra i capelli «Se chiamo muoio all’istante, poco ma sicuro»
Ridacchiando Yuichi imboccò la superstrada, accendendo lo stereo «Allora dormi un po’. Abbiamo un’ora di strada davanti e sono stati giorni davvero duri per te»
«Anche per te»
Drew si era movimentato per rintracciare gli ex allievi del Douglas, i ricordi che erano riaffiorati avevano annullato quasi del tutto la paura che quel luogo gli aveva incusso per anni, e risvegliato invece i bei momenti ed i ricordi delle persone meravigliose che aveva incontrato e che aveva considerato la sua famiglia.
Yuichi non lo aveva lasciato un solo istante aiutandolo a mettersi in contatto con tutti loro, raccontando ad ognuno di loro la sua volontà di una veglia alla vigilia della demolizione. Non era credente, Dio, non ci sarebbe mai riuscito ad essere, ma la visita di Andreas lo aveva spinto a tentate, a dare un minimo di pace a quelle anime intrappolate, se vi fossero ancora state.
«Siamo arrivati» annunciò Yuichi parcheggiando l’auto scuotendolo.
Drew non si era neanche accorto di essersi addormentato. Forse, e sottolineava forse, il suo ragazzo non aveva tutti i torti, un po’ stanco lo era davvero.
Nonostante fossero passati diversi giorni le ore di sonno accumulate erano davvero tante.
«È questa la casa?»
«Così dice il navigatore» sorrise Yuichi voltandosi in direzione del giardino, osservando un grosso maremmano pigramente sdraiato al sole. «Vuoi che venga con te?»
«Vorrei farlo da solo, per favore» ammise teso asciugandosi i palmi delle mani contro il jeans nero «D’accordo» concesse con un sorriso rassicurante Yuichi sporgendosi per lasciargli un bacio a fior di labbra «Ti aspetto qui»
Annuendo, Drew scese dall’auto, avvicinandosi piano al giardino.
Aaron, quello era il nome scritto sulla cuccia, dopo un leggero sbuffo nella sua direzione, si sollevò per annusarlo, leccandogli immediatamente la mano. Meno teso, Drew si chinò per accarezzargli la testa prima di salire i due scalini che lo separavano dal portone e sporgere la mano fino al campanello, ripassando mentalmente il discorso che si era preparato nella sua mente.
«Sì?»
Alla porta comparve una donna sulla quarantina, con il volto gentile e due grandi occhi chiari che, nel vederlo, si sgranarono appena dalla sorpresa.
Abbozzando un sorriso Drew fece un ampio respiro iniziando a parlare piano, la gola improvvisamente secca «Lei è Meredith McNiell»
«Sì, sono io.»
«Vengo da Hendersen, signora e… e volevo… volevo parlare con suo figlio, se possibile…»
«Sei… uno dei ragazzi dell’istituto Douglas?» chiese lei addolcendo appena lo sguardo ed abbassando le spalle rilassata.
«Sì, signora… Suo… figlio è in casa?»
«Certo, Caro… te lo chiamo subito» disse con voce malferma e gli occhi lucidi, voltandosi in direzione della casa, chiamando un commosso “Tesoro è per te”.
Il cuore iniziò a battere furioso in petto alla risposta affermativa del ragazzo, quella voce, seppur cresciuta, aveva lo stesso tono di tanti anni prima, e quando alla porta comparve la figura di un ragazzo appena più alto di lui con lunghi capelli color cenere legati in una crocchia morbida, il viso decisamente simile al suo e un paio di occhi diversi, uno verde brillante e l’altro blu, non poté impedirsi di strofinarsi il viso.
«Ciao… Non so se ti ricordi di me ma…»
«Dashiell…» sussurrò ad occhi lucidi sporgendosi nella sua direzione, stringendolo con forza a sé «Cielo, sei davvero tu, fratellino?» singhiozzò.
Annuendo con forza, Drew affondò il viso nel suo incavo, asciugando il viso contro la sua spalla «Sono io Solo… ti ho ritrovato, finalmente…»
 
 
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