Ama chi c'è, ricorda chi è andato via

di paiton
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Un profondo e pacifico silenzio.
 
La Stufa sta finendo di bruciare l’ultimo grande tòcco di legna scoppiettante che il signor Bignolli ha inserito una ventina di minuti fa, appena prima di uscire di casa, un caldo accogliente si diffonde nella sala e riscalda anche l’Albero di Natale, il divano ed i luccicanti regali pieni di nastri rossi e dorati, fiocchi e carte colorate:
 
“Sono stufa di essere considerata solo quando servo!” Sbotta il calorifero
 
“Abete-Abete-Abete! Shhhhhhhh! Ci sentiranno!” Risponde l’Abete natalizio
 
“Per tutta l’estate vengo utilizzata al massimo come piano per appoggiare inutili oggetti, una noia mortale! Mentre d’inverno devo fare gli straordinari!”
 
“Abete-Abete-Abete! Cosa dovrei dire io che passo la maggior parte della vita chiuso in uno scatolone pieno di polvere e come se non bastasse ho anche il Dì-Abete! Abete-Abete! Visto!? Non controllo neanche quello che dico!”
 
“Guardiamo il lato positivo, almeno non siamo fuori al freddo…”
 
Un pettirosso paffuto si scrolla la neve dal capo mentre osserva, da un ramoscello, tutto il discorso surreale fra i due oggetti: “In verità non si sta così male qui fuori, la sensazione del freddo si può sopportare per godere della libertà di volare dove voglio” pensa fra sé l’uccellino, poi continua a cercare piccoli insetti fra le fonde del melo cotogno.
 
I fiocchi di neve dondolano cullati dal fievole venticello mentre l’immagine della casa, con il camino fumante, diventa progressivamente più piccola per dar spazio, nella visuale, a tutto il quartiere agghindato a festa.






 
Ho scritto questo breve e ironico racconto natalizio in memoria di un mio caro amico che ci ha lasciati più di due anni fa, stroncato da un malore, probabilmente un attacco di cuore, dopo aver passato due decenni in dialisi a causa del malfunzionamento dei reni e con due trapianti alle spalle, andati storti.
Non si è mai arreso Marco, aveva fatto nascere una band musicale che si chiamava “Enrico Maria Flebo & i Lividi”, i lividi erano i suoi amici musicisti, i lori nomi d’arte uniti a farmaci, per esempio lui saliva sul palco come Mark Gutalax (al sassofono).
La loro principale innovazione è stata la mossa della “Paralisi!” parola che urlavano al microfono mentre echeggiava nell’aria il loro rock demenziale: poi stavano tutti fermi immobili e senza suonare per una ventina di secondi, il pubblico o non capiva cosa stesse succedendo o si spanciava dal ridere.
Se ricordiamo i nostri amici, i nostri familiari e parenti questi sono ancora tra i vivi.
Voglio omaggiare e ringraziare Marco per avermi fatto comprendere che la vita non va mai presa troppo sul serio, le difficoltà si possono sempre superare e ogni scusa è buona per farsi due risate in compagnia.
Grazie ancora Marco 




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