Il
richiamo di Darkrai
Ash
non poteva di certo lamentarsi della sua vita. Aveva avuto
l’opportunità di viaggiare per il mondo, di
incontrare tante
persone e Pokémon, nonostante la giovane età non
poteva di sicuro
definirsi un novellino.
A
dire il vero, in quel momento, era l’allenatore
più forte di
tutti.
Insieme
alla sua squadra, non solo era riuscito a vincere il titolo, ma anche
a difenderlo.
E
le cose non andavano bene solo da quel punto di vista.
Non
avendo più nulla da dimostrare a nessuno, finalmente si
è potuto
occupare anche di altri affari, tra cui anche quelli sentimentali.
Insomma…
si era fidanzato.
Con
una ragazza della regione di Kalos che non ha sicuramente bisogno di
presentazioni.
L’allenatore
più forte e una delle migliori coordinatrici al mondo
insieme è
stata una notizia al centro di molti articoli di cronaca rosa,
sebbene i due avessero fatto di tutto per tutelare la loro privacy.
Nulla
sembrava potesse far cambiare una così bella una situazione
simile,
ma si sa, nulla dura per sempre.
Erano
le due di notte.
In
giro per Ferropoli, ridente cittadina a sud di Kalos, nota
principalmente per il circuito automobilistico, situato ad alcuni
chilometri dalla sua periferia, nemmeno un’anima viva.
Dopotutto
erano le tre di notte, non ci si doveva sorprendere troppo.
Ash
si svegliò di soprassalto. Facendo spaventare tanto il suo
fedele
Pikachu, quanto la sua ragazza.
-Ash,
che ti prende? Mi ha spaventato!
Ti
ricordo che saremo io e la mia squadra a esibirci… te dovrai
solo
guardare.
E
poi è solo giovedì, i prossimi due giorni saranno
semplici prove,
non capisco cosa ti preoccupi.
-Si,
tranquilla, non è quello, è come se avessi avuto,
sai, delle strane
visioni, nel sonno…
Le
rispose il ragazzo, ancora molto scosso.
-Una
sorta di incubo, quindi?
Gli
chiese la ragazza, ricevendo una risposta non esattamente
soddisfacente.
-Non
so, non l’ho vissuto io in prima persona, è
difficile da spiegare,
è come se stessi guardando un film, al cinema, ma, invece di
avere
quella piacevole sensazione di stare su una comoda poltrona, magari
sgranocchiando qualcosa, era come se mi avessero legato a una sedia e
forzato a guardare.
-Come
se stessi vivendo il sogno di qualcun altro?
Gli
chiese la ragazza.
-Esattamente.
Ma è come se mancasse qualcosa.
-Cosa?
-Non
sono riuscito a capire di chi fosse il sogno.
Non
conoscevo nessuna delle persone che sono apparse. Scusami se ti ho
svegliato. Notte.
-
Notte.
Mentre
Serena riuscì ad addormentarsi, subito, lo stesso non si
poteva dire
per Ash.
Non
solo perché si doveva ancora scusare con Pikachu, ma anche
perché
voleva andare un attimo in bagno a rinfrescarsi.
Così
fece. Il ragazzo scese dal letto, si infilò le ciabatte e
raggiunse
il bagno. Aprì silenziosamente la porta ed entrò.
Accese la luce ed
attese alcuni secondi, prima che la lampadina, al centro del
soffitto, illuminasse completamente la stanza con il suo rilassante e
delicato colore giallo. Il ragazzo aprì il rubinetto dal
lato
dell’acqua fredda e si lavò la faccia. Fatto
questo tornò a
letto. E riuscì a riprendere sonno, anche se non ci volle
molto
perché il sogno, come se fosse il secondo tempo di un film,
riprese.
Almeno
all’inizio, in quel sogno, non c’era nulla di
troppo spiacevole.
La
prima immagine era quella di un laboratorio:
Diversi
scienziati stavano lavorando ad un macchinario che il ragazzo non
riusciva ad identificare in alcun modo.
Era
una sorta di contenitore di metallo di forma cilindrica che, per
certi versi ricordava una pattumiera.
Dalla
parte superiore del contenitore usciva una sorta di proboscide.
Il
ragazzo riuscì a capire cosa fosse quel dispositivo
solamente quando
uno degli scienziati, un uomo sui quaranta, massimo quarantacinque
anni, di altezza media, capelli castani scuri, corti, occhi castani.
Indossava un paio di occhiali da vista molto spessi, che
assomigliavano a dei fondi di bottiglia. L’uomo aveva in mano
una
Pokéball e dalla sua espressione si capiva che non era la
sua. In
ogni caso non la tenne in mano per molto tempo. Si affrettò
ad
appoggiarla su di una sorta di ripiano realizzato in metallo.
L’uomo
puntò quella sorta di proboscide sulla Pokéball.
E quest’ultima,
molto lentamente, iniziò a smaterializzarsi.
Ash
aveva capito che quel dispositivo era una versione molto primitiva
del trasferitore.
Un
dispositivo che aveva usato decine e decine di volte.
Per
questo aveva sempre dato la sua presenza come qualcosa di scontato.
Non
aveva idea che lo stesso dispositivo, appena una ventina di anni
prima, non fosse nulla più di un prototipo.
In
uno dei suoi viaggi gli era capitato di visitare un centro
Pokémon
abbandonando e ricordava di aver visto una vecchia macchina
scambiatrice pneumatica.
Solo
che, nei suoi pensieri, quella macchina, doveva essere molto, molto
più vecchia.
Mentre
il suo subconscio elaborava queste informazioni, la proiezione andava
avanti.
Sembrava
seguire il percorso di un cavo e… attraversò una
parete.
Dalla
parte opposta della parete vide un macchinario molto simile a quello
precedente.
A
operare con quel macchinario una donna, di massimo
trent’anni. Una
donna di altezza media, magra, occhi verdi e lunghi capelli rosa.
Indossava un camice da laboratorio bianco. Perfettamente ordinato.
In
quella visione, Ash riuscì a vedere la Pokéball
materializzarsi,
con la stessa lentezza con cui si era smaterializzata.
Ci
fu come un taglio, come un salto temporale.
Ora,
ad armeggiare con quella primitiva macchina non c’era
più quel
gruppo di scienziati, ma solo un uomo. Un volto noto.
Ma
certo! Era lo stesso dell’altra volta, quello che aveva aveva
sistemato la Pokéball.
Doveva
essere passato del tempo dall’ultima volta.
Questo
si poteva intuire dall’aspetto dell’uomo, che
sembrava assai più
stressato.
Il
macchinario, dall'esterno, non era cambiato, sempre simile a una
pattumiera con una proboscide che partiva dalla parte
superiore.
Per
un motivo sconosciuto al ragazzo, l'uomo non usò una
Pokéball, ma
un mazzo di chiavi.
Come
in un cambio di scena al cinema ora a essere inquadrata era una
donna, anche lei non un volto nuovo. La stessa donna dai capelli rosa
dell’altra volta. Ma a questo punto Ash aveva più
di una domanda.
Perché
dovevano passarsi un mazzo di chiavi in quel modo?
Come
mai i due avevano un’espressione sconcertata?
Lui
non aveva idea del fatto che il trasferitore potesse essere usato in
quel modo.
E,
in più, pensava che i due avessero idea del fatto che il
trasferitore potesse essere usato in quel modo.
Ma
così non era.
I
due si trovavano nella stessa stanza e stavano discutendo di quanto
avevano sperimentato.
-Hai
visto, Sebastian? Con questo trasferitore possiamo trasferire anche
gli oggetti! Non è fantastico? Non vedo l’ora di
raccontarlo ai
nostri colleghi!
-
No.
Non dobbiamo dirlo a nessuno!
Sebastian
fece il gesto di avvicinarsi un dito alla bocca per rendere ancora
più evidente il fatto di stare in silenzio.
-
Pensaci, noi abbiamo sperimentato con un mazzo di chiavi, ma in
futuro cosa potrebbero trasferire?
Armi?
Materiale di contrabbando? O chissà cos’altro! Non
dobbiamo dirlo.
E se dovessero scoprirlo facciamo finta di nulla.
Ash
era confuso, forse anche di più della donna dai capelli
rosa.
Ancora
non aveva capito perché mai qualcuno dovrebbe mostrargli la
storia
dei trasferitori.
Per
tutto il giorno cercò di non pensarci e riuscì
anche a non parlarne
con la sua ragazza.
Si
era promesso che ne avrebbe parlato solo qualora la situazione fosse
degenerata.
Buona
parte del giorno l’aveva spesa ad assistere alle prove.
Quella
piccola arena, poco più di un campo lotta con una gradinata,
che
integrava al suo interno i bagni e gli spogliatoi, non sarebbe stata
il luogo dell’esibizione, ma era semplicemente uno dei posti
messi
a disposizione da parte dell’organizzazione per provare.
Tra
i vari posti disponibili era quello più vicino
all’hotel dove i
due avevano deciso di passare la notte.
Dopo
una dura sessione di allenamento, sia per lei che per la sua squadra,
Serena era soddisfatta. Aveva provato numerose combinazioni ed era
abbastanza sicura che sarebbe andato tutto per il meglio.
Ormai
da tempo aveva più paura di esibirsi davanti al
pubblico.
Poco
importava se fosse dal vivo o da remoto.
Sapeva
anche che la sua squadra avrebbe preso esempio da lei. Qualora
avessero percepito la sua tensione, sarebbero stati tesi a loro
volta, mentre se l’avessero vista calma e tranquilla,
sarebbero
stati calmi a loro volta.
Aveva
ottenuto risultati importanti, era riuscita a spodestare dal trono la
precedente regina di Kalos, Aria, ed era diventata una super
coordinatrice, consacrandosi ad Hoenn, sconfiggendo Vera in
finale.
E,
nonostante questa esibizione non fosse valida per alcun concorso,
avrebbe comunque fatto del suo meglio.
Nonostante
fosse praticamente certa di non avere rivali, avrebbe comunque dato
il massimo e i suoi Pokémon come lei.
Erano
le due di notte e Ash stava avendo nuovamente uno di quei sogni.
Ormai
il ragazzo non il temeva più, aveva capito che erano
innocui. Non
potevano fargli male perché non erano suoi.
Questa
volta la proiezione era in un laboratorio diverso, sempre di notte.
Aveva
ormai imparato a conoscere le due persone presenti nel laboratorio,
perlomeno di vista. Uno era Sebastian, l’altra la donna dai
capelli
rosa, di cui non conosceva il nome.
Doveva
essere passato diverso tempo dall’ultima volta.
Sebastian,
aveva in mano una sorta di Pokéball.
Era
abbastanza simile a quelle che conosceva, tranne per il colore, un
rosso scuro.
L’uomo
si rivolse alla donna:
-Immagino
che tu conosca questa Pokéball. E, come sai, l'abbiamo
progettata
per due scopi.
Studiare
il comportamento dei Pokémon e permettere agli allenatori
meno
esperti di migliorare il loro rapporto con i Pokémon
che catturano.
-
Mi sembra uno scopo nobile. Non ci avranno chiamato per questo, ma
abbiamo comunque accettato.
-
Si, non ho alcun dubbio che sia così. Il problema di cui
volevo
parlarti è un altro. Ho notato qualcosa che non torna e
volevo
parlartene. E lo sai, sei la sola persona di cui mi fido davvero.
-
Dimmi.
-
Lo sai benissimo, nell’ala del laboratorio dove sperimentiamo
non
possiamo introdurre alcun tipo di Pokéball a parte
questa.
-
Si, e quindi?
-
Secondo te perché dovrebbero impedire a chi ha delle normali
Pokéball di entrare se le possiede?
-
Effettivamente non c’è alcun motivo per farlo.
Gli
rispose la donna.
-
Prova con la tua, fai uscire uno dei tuoi Pokémon.
La
incoraggiò l’uomo.
-
Ok. Vieni fuori Vulpix!
Niente.
Il piccolo Pokémon Volpe non uscì dalla
Pokéball, nonostante
l'insistenza della scienziata.
-Visto?
Sembra impedisca alle altre Pokéball di funzionare. E ho
paura che
nascondano anche altri segreti.
-
Cosa intendi?
-
Sai, per studiare il comportamento di un Pokémon viene usato
una
sorta di chip, e lo stesso permette anche di rendere i
Pokémon più…
docili.
Per
cui cosa vieta di usare i due dispositivi insieme per degli scopi
diversi dai motivi per cui la stiamo progettando?
-Dici
come per i trasferitori?
-
E forse anche peggio.
Poi,
toccando la pancia della donna, con un tono molto, molto più
dolce
-Dobbiamo
assicurarci che abbia un futuro, qui non potrà mai avere una
vita
normale.
-
Hai
ragione. Ma non possiamo scappare ora. Ci scoprirebbero
subito.
-Allora
aspettiamo. Intanto non ne facciamo parola con nessuno.
Sinché resta
fra noi non dovrebbe esserci alcun pericolo.
Ash
ancora non aveva ancora capito il perché.
Perché
mostrargli quella storia?
Altro
giorno di allenamento per Serena e la sua squadra. Stavano
perfezionando la tecnica ideata il giorno prima, quando, a un certo
punto…
La
porta della piccola arena si aprì.
Entrò
una ragazza, accompagnata da un Piplup.
Ash
non si accorse di nulla, era troppo preso dall’esibizione
della sua
di ragazza.
Lucinda,
capendo di non essere stata ancora vista, approfittò per
fare una
delle sue solite entrate in scena.
Lanciò
uno sguardo fulminante al suo Piplup, che ben poteva tradursi con la
frase “fai silenzio”, e, con passo furtivo si
diresse dietro le
tribune, per entrare negli spogliatoi.
Qui
posò la borsa sportiva che portava a tracolla. Era bianca e
aveva il
disegno di una Pokéball stilizzata rosa.
All’interno
della stessa si trovavano il suo vestito, che appena ritirato dalla
tintoria, le capsule con bolli per la sua squadra e una borsetta dove
teneva le sue sei Pokéball.
Per
rendere ancora più teatrale la sua entrata, era riuscita a
convincere il suo Piplup a aspettare nello spogliatoio.
Per
non farlo sentire solo, aveva fatto uscire dalla Pokéball la
sua
Togekiss.
Tenne
gli altri quattro Pokémon nelle rispettive
Pokéball.
La
sua Togekiss era il Pokémon più educato e
silenzioso che
conoscesse, in precedenza era stata allenata da una principessa, la
principessa Salvia.
Nonostante
viaggiassero insieme da anni, quest’ultima non aveva perso un
briciolo della sua flemma.
In
più, i due Pokémon erano estremamente legati,
Togekiss lo difendeva
molto spesso dai fallimentari Dragobolide del Gible di Ash. Ogni
volta che il Pokémon di tipo Drago/Terra tentava di usare la
mossa
Dragobolide, questa precipitava sempre addosso al malcapitato
Pokémon
Pinguino, la Togekiss della ragazza rispediva al mittente il colpo
con una delle sue ali.
Ora
che la ragazza non stava più indossando
l’ingombrante borsa,
poteva finalmente salire sulle tribune senza farsi sentire
dall’amico.
Ash
era seduto al centro di una delle prime file, in una posizione con
una buonissima visuale sul campo.
Lucinda
era salita in silenzio sino alla fila sopra quella in cui era seduto
Ash.
Si
era accovacciata dietro la seggiola dove lo stesso era seduto, in
modo da non fasi vedere.
Iniziò
a toccargli leggermente la spalla con un dito, ma non sortì
alcun
effetto. Il ragazzo era troppo concentrato a guardare
l’esibizione
della sua ragazza e, al contempo, stava coccolando il suo Pikachu.
Era
stupita dal fatto che l’amico potesse fare due cose insieme.
Provò
allora a togliergli il berretto.
E
funzionò.
Il
ragazzo si alzò di scatto, spaventando il suo Pikachu.
Il
povero topo elettrico si trovava in uno stato a metà tra il
sonno e
la veglia.
-
Ehi!
Chi va là?
Lucinda
soffocò una risata.
Ash
si guardò attorno, ma non vedendo nessuno, aveva pensato che
potesse
essere uno degli scherzi del suo Gengar, ipotesi scartata i non
appena si rese conto del fatto che il Pokémon spettro si
trovasse
ancora dentro la sua Pokéball, che risultava perfettamente
chiusa.
Sapeva
che Gengar amava fare scherzi, ma detestava quando veniva accusato
ingiustamente di qualcosa. E Ash, volendo bene a tutti i suoi
Pokémon, evitava di accusarlo, se non aveva prove.
Doveva
essere qualcos’altro, o meglio…
qualcun’altra.
Il
suo cervello, per una volta dopo molto tempo, stava elaborando
qualcosa di diverso da una strategia al limite da applicare in una
lotta in cui la sua squadra si trovava alle strette.
-
Lucinda!
Quanto tempo!
-
Ehilà,
Ash! Sei sempre il solito distratto, vedo! Non hai notato nulla?
-
No? Cosa avrei dovuto notare?
-
Non importa, prima o poi te ne accorgerai.
Lucinda
abbracciò Ash, con quest’ultimo che aveva
l’espressione da
vittima degli eventi.
E
questo, con tutta probabilità, lo avrebbe salvato
dall’ira della
sua ragazza.
Lo
stesso non si poteva dire di Lucinda.
Ci
volle poco perché Serena se ne accorgesse. E che si
precipitasse
sulla tribuna.
Intanto
Lucinda si era seduta accanto a Ash.
Ash,
vedendo l’espressione cupa della sua ragazza capì
che la
situazione poteva degenerare.
-
Ma
lo sai che Ash è il mio ragazzo, vero?
-
E… quindi?
-
Non sopporto che altre ragazze gli girino attorno, sappilo.
La
tensione tra le due era paragonabile a quella che si respira nella
griglia di partenza di un Gran Premio, a pochi istanti dallo
spegnimento dei semafori.
-
Sai, io e Ash siamo solo ottimi amici. Abbiamo viaggiato insieme per
un’intera regione, ho fatto il tifo per lui quando sfidava le
palestre e lui ha fatto lo stesso quando prendevo parte alle gare.
Pensa
che ero anche tra il pubblico quando è diventato
l’allenatore più
forte di tutti.
-
Lo stesso ho fatto io con lui con le palestre qui a Kalos e lui con i
varietà a cui ho partecipato. Mi è sempre stato
vicino quando ho
dovuto affrontare delle cocenti delusioni, e io con lui.
-
Se è per questo pure io.
-
A questo punto, dato che è Ash il soggetto della contesa
direi che
dobbiamo risolverla alla sua maniera. Ehi, tu!
Un
ragazzo biondo, magro, non molto alto, era entrato
nell’edificio,
mentre le due ragazze discutevano.
-
Io?
-
Si, tu!
-
Cosa v… v… vuoi da me?
Il
ragazzo, rendendosi conto di essere stato chiamato in causa dalla
Regina di Kalos in carica, aveva avuto un attimo di esitazione.
Pensò
di aver fatto qualcosa di sbagliato o altro del genere.
Capendo
la situazione, Serena cambiò tono. In fondo quel ragazzo non
le
aveva fatto nulla.
-
Abbiamo
una piccola cosetta da sistemare. Ti andrebbe di fare da arbitro per
una lotta Pokémon?
-
Oddio, non l’ho mai fatto in vita mia, ma ci posso provare.
Dopotutto non dovrebbe essere troppo
difficile,
no?
Ma
che importava. Glielo aveva chiesto la Regina in carica, non poteva
rifiutare.
-
E
sia!
-
Inizia
la lotta tra Lucinda e Serena, sarà una lotta uno contro
uno, vince
chi per prima riesce a rendere il Pokémon non più
in grado di
lottare.
Intanto
le due ragazze si erano disposte una di fronte all’altra,
lungo il
lato corto del campo.
La
squadra completa di Serena era già fuori dalle
Pokéball, ma questo
Lucinda non poteva saperlo.
Pensava
che, come lei, la sua avversaria fosse in grado di affrontare una
lotta totale, ossia una lotta sei contro sei.
Lucinda
perse il suo Smart Rotom e scansionò i tre
Pokémon dell’avversaria,
in attesa che la stessa scegliesse chi schierare.
Sylveon
: Tipo folletto. Malgrado il suo aspetto elegante mentre danza
leggiadro facendo fluttuare le antenne, quando attacca va dritto ai
punti deboli degli avversari.
Pancham:
Tipo lotta. Fa il duro e guarda tutti in cagnesco per essere preso
sul serio, ma quando è rilassato gli sfugge sempre un
sorriso.
Delphox:
Tipo fuoco e psico. Grazie ai suoi poteri psichici, può
generare un
vortice di fiamme a 3000 ºC con il quale avvolge i nemici e li
incenerisce.
-
Vai Sylveon!
-
Vai Typhlosion!
Ash
era sorpreso. Non aveva idea che il Quilava dell’amica si
fosse
evoluto. Era lo stesso Cyndaquil che aveva visto nascere
dall’uovo
ormai diversi anni prima.
Un
uovo regalato all’amica da un’amica in comune, come
premio per la
vittoria in una lotta.
Più
semplice la storia della Sylveon di Serena. Catturata quando era
ancora una Eevee, inizialmente era incredibilmente timida e
riservata ed era, sin da quando era selvatica, una grande amante
della danza.
Di
quest’ultima, era stato testimone dell’evoluzione,
durante una
lotta in cui aveva partecipato accanto al suo Pikachu, in una serata
di balli. Una lotta contro una ragazza innamorata di lui e un ragazzo
che ben conosceva.
Quella
per lui era una situazione difficile.
Non
sapeva per chi delle due tifare.
Certo,
Serena era la sua ragazza e Lucinda era solo un’amica.
Ma
davvero era solo un’amica? Per lui era molto
di più. Era
paragonabile ad una sorella.
Una
sorella che non ha mai avuto, essendo figlio unico.
Dopotutto
i viaggi che ha affrontato con loro sono stati poi così
diversi?
Ma
ora non ci doveva pensare.
In
fin dei conti non lottavano per lui, ma per l’orgoglio.
Serena
aveva preso il suo Smart Rotom e scansiono il Typhlosion
dell’avversaria.
Typhlosion:
Tipo fuoco: si
nasconde avvolto da una lucente nube di calore creata dalle sue
fiamme roventi. Questo Pokémon crea esplosioni spettacolari
che
riducono in cenere ogni cosa.
-
Testa
o croce?
-
Testa.
Dichiarò
Serena. Lucinda dovette scegliere obbligatoriamente la croce. Il
ragazzo lanciò la moneta. Attese che il lanciatore
elettronico
facesse il suo lavoro e dichiarò chi avrebbe iniziato la
lotta.
-
Bene, allora incomincia Lucinda.
Il
ragazzo mostrò alle due il risultato.
-
Typhlosion, usa Ruotafuoco.
Ordinò
la nativa di Sinnoh. Il Pokémon si appallottolò e
le fiamme sulla
sua schiena si estesero a tutto il corpo.
-
Sylveon,
schiva e poi usa Vento di Fata.
Sylveon
attaccò il Typhlosion rivale, che stava ancora cercando di
colpirla.
L’idea
di Serena era quella di sfruttare l’attacco della sua Sylveon
per
far perdere l’equilibrio al rivale.
Rapidamente
giunse alla conclusione che quel Pokémon era stato allenato
per
fronteggiare situazioni simili, non doveva dimenticare che la sua
avversaria era una coordinatrice di altissimo livello.
E
che, come lei, si era allenata con Ash. Doveva cambiare strategia.
-
Typhlosion,
usa comete.
-
Sylveon, usa comete anche te!
I
due attacchi si scontrarono al centro dell’arena, creando un
effetto spettacolare. Se fosse stata una gara, sarebbe stato
difficile scegliere chi premiare.
-
Typhlosion
usa lanciafiamme
-
Sylveon Protezione!
La
Sylveon della ragazza si rinchiuse in una sorta di bolla dal colore
verde chiaro, proteggendosi dagli attacchi del suo avversario.
L’idea
della ragazza funzionò. Le fiamme vennero dissipate prima di
colpirla.
A
giudicare dagli sguardi delle due e dei loro Pokémon,
sembrava che
la lotta potesse durare a lungo, molto a lungo.
-
Sylveon,
usa i tuoi nastri per intrappolarlo.
Lucinda
sorrise. Se lo aspettava.
In
passato aveva vinto una gara di lotta contro un Sylveon, proprio
perché il suo coordinatore gli aveva ordinato di fare la
stessa
cosa. Sfruttare i nastri per immobilizzare
l’avversario.
-
Typhlosion
aspetta.
Serena
non capiva. Perché farsi attaccare? Cosa avrà in
mente?
-
Typhlosion,
vai! Ruotafuoco!
Il
Pokémon Vulcano ricoprì il suo corpo di fiamme e
si mise a
rotolare, tirando con sé i nastri della sua avversaria, che,
in
breve tempo iniziò a rotolare insieme ad esso.
Dopo
aver rotolato per un po’ per il campo di lotta, la Sylveon
della
nativa di Kalos riuscì a mollare la presa e liberarsi
dall’oppressione del Pokémon Vulcano.
Non
senza danni, era stata ferita e sentiva una grande sensazione di
calore, come se fosse stata bruciata. E così era. Era stata
bruciata, e lo si poteva capire anche dalla sua espressione
sofferente.
-
Sylveon,
te la senti di continuare?
Chiese
la sua allenatrice. Il Pokémon Legame la guardò
con uno sguardo che
valeva più di mille parole. Non si voleva arrendere. Era
diventata
una questione di principio.
-
Molto
bene, allora. Forza, usa Vento di Fata.
La
sua Sylveon eseguì. Lanciando contro l’avversario
una corrente
d’aria dal vago colore rosa. Le intenzioni della sua
allenatrice
erano simili a quelle della volta precedente. Cercare di fargli
perdere l'equilibrio, o, perlomeno rallentare di molto i suoi
attacchi.
-
Typhlosion,
usa Ruotafuoco, ma questa volta non attaccare davanti, cerca di
disorientarla!
Typhlosion
si era appallottolato e le fiamme sulla sua schiena erano cresciute
di dimensioni, era una gigantesca palla di fuoco che girava
all’impazzata per il campo lotta.
Sylveon
cercava in ogni modo di seguire quella palla di fuoco impazzita, ma
più cercava di farlo, più si stancava
inutilmente, Nonostante
avesse subito già degli importanti danni, durante quella
lotta, non
poteva resistere ancora per molto, anche se faceva di tutto per non
darlo a vedere alla sua allenatrice, voleva che fosse orgogliosa di
lei.
-
ADESSO!
Gridò
Lucinda. Secondo la coordinatrice di Duefoglie, Sylveon era
abbastanza stanca, ed era sicura che quel colpo sarebbe bastato. E la
sua previsione si rivelò corretta. Il colpo fu anche
più duro del
necessario.
-
Sylveon
non è più in grado di continuare. Vince
Typhlosion. Di conseguenza
la vincitrice è Lucinda.
Dichiarò
il ragazzo, che aveva finito il suo lavoro da arbitro, ed era fuggito
a gambe levate.
-
Sylveon,
ritorna, sei stata fantastica.
Serena
ricoverò la sua Sylveon nella sua Pokéball.
Doveva assolutamente
riposarsi dopo una lotta così intensa.
-
Typhlosion,
ritorna, ha davvero mostrato il tuo valore.
Lucinda
si complimentò con il suo Pokémon per quella
lotta, per poi
aggiungere, rivolgendosi alla sua avversaria.
-
Allora
ancora con quella storia o possiamo superarla?
-
Secondo te?
Le
rispose la nativa di Kalos.
L’abbraccio
tra le due e i reciproci complimenti per l’abilità
in lotta ne
furono la dimostrazione.
Intanto
il ragazzo che aveva fatto da arbitro si era dileguato.
Aveva
giurato a se stesso che non avrebbe più arbitrato una lotta
in vita
sua.
E
se fosse stato possibile, non avrebbe mai più voluto
incontrare
quelle persone.
-
Ah
l’ho notato!
-
Alla buon’ora.
-
Ti sei comprata un nuovo cappello.
-
No, ma non importa. Ho lasciato qualcuno da solo e ho paura che possa
aver combinato qualche guaio.
Naturalmente
Lucinda si riferiva a Piplup e Togekiss.
I
due, per ingannare l’attesa, ben più lunga delle
aspettative,
avevano giocato a Scopa, Rubamazzetto, Tressette, Scala 40…
-
Scusatemi
se ci ho messo più del dovuto, ma, sapete sono successe
tante di
quelle cose che…
Ma
ora potete venire, sapete cosa ci aspetta. E ho scoperto che avremo
delle rivali assai temibili. Ma per ora manterremo un approccio
amichevole.
Intanto
Lucinda era tornata, scortata da Piplup e Togekiss.
Ironia
della sorte il suo primo Pokémon, un dono del professor
Rowan e
l’ultimo, sempre un dono, da parte della principessa Salvia.
Si,
una vera principessa.
Ma
non lo diceva mai in giro. Di natura Togekiss è un
Pokémon molto
raro, basti pensare che il solo esemplare diverso dal suo di cui era
a conoscenza era nella squadra di Camilla, la campionessa della
regione di Sinnoh.
E
dire che la sua era il dono di una principessa, per lei, era una cosa
di cui non voleva vantarsi.
Quando
qualcuno le chiedeva informazioni sulla sua Togekiss, diceva
semplicemente che le era stata regalata da una ragazza. Senza
specificare altro.
Questi
pensieri l’avevano condotta al campo di allenamento.
Per
essere precisi, esattamente al centro di esso.
Solo
un Eterelama della sua Togekiss la salvò dal prendersi un
Neropulsar
in piena faccia.
Solo
sentendo il tonfo del Pancham di Serena, colpito
dall’Eterelama
della sua Togekiss, si rese conto di quanto era accaduto. Aveva
percorso l’intera distanza tra lo spogliatoio dal centro del
campo,
totalmente immersa nei suoi pensieri.
Solo
quel tonfo la fece tornare in sé.
-
Bene,
Pancham, può bastare. Ora riposati.
Poi,
rivolgendosi a Lucinda, cambiò tono, passando da un tono
dolce e
gentile a qualcosa di un po’ più cattivo.
-
Ma
non avevamo detto che l’avevamo superata? E tu attacchi
così?
-
Non avevo esattamente pianificato di farlo. Ero talmente immersa nei
miei pensieri e mi sono trovata nel bel mezzo del campo senza
accorgermene. E, vedendo l’attacco del tuo
Pokémon, lei ha cercato
di proteggermi.
Poi,
cambiò tono, intenzionata a sdrammatizzare:
-
Ma
non ha esattamente dosato la forza e…
Serena,
che era comunque una ragazza sveglia e intelligente, aveva capito che
le intenzioni di quella Togekiss erano tutt’altro che
bellicose,
per cui si affrettò nello scusarsi per quanto detto prima.
Prima
di congedarsi per fare una visita al Centro Pokémon.
La
squadra di Lucinda aveva sconfitto, senza troppi problemi, due dei
suoi Pokémon.
Recandosi
al Centro Pokémon, lasciò soli i due amici e ex
compagni di
viaggio.
Aveva
lasciato la sua squadra alle amorevoli cure dell’infermiera
Joy.
E
ora non doveva far altro che aspettare.
Ma…
che Pokémon era quello?
Non
ne aveva mai visto uno.
Nella
concitazione della situazione, non era riuscita a scansionarlo
attraverso il suo Smart Rotom.Ora era sola, quindi poteva occuparsene
in tutta tranquillità.
Parlando
sottovoce, richiamò alla mente le caratteristiche del
Pokémon:
-
Allora,
vediamo… era bianco, volava… ma certo! Eccolo qui!
-
Togekiss: tipo Folletto Volante. Non si presenta mai dove
c'è un
conflitto. Di recente le sue apparizioni sono diventate rare.
Poco
tempo dopo
-
Bene,
la tua squadra è tornata in forma.
Era
l’infermiera Joy. E sicuramente parlava con lei.
Il
Centro Pokémon, in quel momento, era deserto.
Intanto,
nell’arena Ash e Lucinda si stavano raccontando le rispettive
avventure.
Dopotutto
si erano solamente visti, per poco tempo, all’ultima finale
del
torneo. Torneo dove Ash si era consacrato come campione. E quindi
avevano molto, molto da raccontarsi.
Ash
dei suoi viaggi, cercando il più possibile di tralasciare i
particolari della relazione con Serena, non voleva di sicuro riaprire
una ferita appena rimarginata.
Lucinda,
invece gli raccontò di come abbia tentato, senza successo,
la
scalata al rango di Super Coordinatrice nelle regioni di Kanto e
Johto, prima di riuscire a consacrarsi in patria, contro
un'avversaria che mai aveva avuto prima, sebbene fosse
tutt’altro
che una sconosciuta.
Era
una Wildcard.
L’espressione
di Ash si fece assai dubbiosa.
-
Cosa
diavolo è una Wildcard?
-
Quando
una persona partecipa a un concorso o a una competizione anche se
normalmente non ne avrebbero diritto.
Solitamente
si concede questo permesso a persone famose nell’ambito.
-
Capisco. E chi era questa Wildcard?
-
Non ci crederai mai.
Ash
era sempre più curioso.
Lucinda
lo notava, e cercava in ogni modo di allungare il brodo, come i
conduttori dei quiz televisivi.
Poi,
con voce tremante
-
Mia
mamma
-
Sul serio? La coordinatrice più forte di tutti i tempi?
-
Siamo
amici, lo sai benissimo che non ti mentirei mai.
A
dire il vero la cosa è stata abbastanza improvvisata.
-
In che senso, scusa?
-
Vedi, si era scoperto che colei che sarebbe dovuta essere la mia
avversaria non aveva veramente
vinto cinque
fiocchi. Due erano dei falsi.
-
Ma come hanno fatto a non notare subito il falso?
-
Erano dei falsi talmente fatti bene che nessun membro della giuria
aveva notato delle incongruenze.
-
E allora come se ne sono accorti?
-
Vedi, mia madre non solo è una super coordinatrice, ma
è anche un
rispettabile membro della giuria internazionale. E, guardando la
prova, aveva notato delle incongruenze.
Pensando
che la truffatrice non proseguisse più di tanto non aveva
voluto
avvisare. Ma appena aveva scoperto che sarebbe stata la mia
avversaria per la finale…
-
Si è precipitata ad avvisare la giuria.
Ash
completò la sua frase.
-
Esattamente.
-
E poi?
-
E poi… è stata squalificata e arrestata per
truffa.
Ma
a questo punto c’era un problema. Immagina che delusione, per
il
pubblico. Vedere una coordinatrice arrestata e colei
che
sarebbe dovuta essere la sua rivale vincere a tavolino.
Non
trovi anche te che sarebbe stata una grossa delusione?
Ash,
immaginando di essere il protagonista di una scena simile,
immaginando un suo sfidante messo dietro le sbarre, si
affrettò a
rispondere.
-
Posso
immaginare. Ma come si è arrivati a avere tua madre come
avversaria?
Non si poteva rifare tutto da zero?
-
Non
credo proprio! Sai quanto costa organizzare un Gran Festival? Pensa
dovendo ricominciare da zero. Dovresti saperlo, hai partecipato a
qualche gara anche te.
Due
performance non vengono mai uguali. E poi, i giudici si aspettano
qualcosa di nuovo.
E
no, non potevano richiamare
la
sua sfidante. Era già scappata. In lacrime.
Ne
ho parlato con lei dopo la mia vittoria.
-
E?
-
E mi ha fatto i complimenti. Mi ha detto che non se la sarebbe
sentita di continuare. Era troppo delusa da se stessa.
Non
si sarebbe sentita a suo agio nel trovarsi lì per una
vittoria a
tavolino.
-
Capisco.
-
E com’è stato sfidare tua madre? So bene che
è stata la persona
da cui hai preso ispirazione per il tuo sogno.
Intanto,
Serena era rientrata dal Centro Pokémon e aveva ascoltato,
in
maniera più o meno volontaria, parte della conversazione:
-
Ma
quindi sei la figlia della leggendaria Olga?
-
Si.
Lucinda
non nascose un velo di orgoglio, ma anche un po’ di invidia.
Era
ancora conosciuta come“la figlia di”.
-
E come mai non lo hai detto?
-
Sai ci conosciamo da poco, non pensavo fosse importante
-
Sai, invece Serena è mfmfmfmf
Serena
lo aveva zittito prima che potesse dirlo.
Non
voleva che lo sapesse. Per lei era abbastanza imbarazzante. Era la
figlia di Primula, la leggendaria fantina di Rhyhorn.
Ma
visto i suoi scarsi risultati con questi ultimi e la conseguente
scelta di una professione totalmente diversa, preferiva che non se ne
parlasse.
in
ogni caso, non era tornata per quello.
Doveva
continuare l’allenamento e aveva
l’opportunità di farlo con una
coordinatrice del suo stesso livello, o forse più alto.
Non
un’opportunità che ti capita spesso.
-
Cosa
ne pensi di una sessione di allenamento insieme?
-
Perché no? Venite fuori!
-
Venite fuori anche voi!
Le
due ragazze lanciarono le rispettive Pokéball.
La
Buneary di Lucinda, quasi non facendo in tempo di uscire dalla
Pokéball, corse dall’amato Pikachu.
Erano
entrambi felici di rivedersi, dopo tanto tempo.
Serena
era stupita, non aveva idea che Lucinda avesse una squadra completa.
Era
una cosa abbastanza strana.
Solitamente
le coordinatrici e le performer avevano squadre da due, o al massimo
tre Pokémon.
-
Non
avevo idea che avessi una squadra completa. Di solito è una
cosa
tipica per chi si dedica alle lotte in palestra… vedi, io ho
solo
tre Pokémon.
Lucinda
le rispose immediatamente, cercando di giustificarsi.
-
Vedi,
ognuno di loro ha una storia. Piplup è stato il mio primo
Pokémon.
Ero davvero indecisa su chi scegliere, ma lui mi ha conquistato.
Anche se all’inizio la nostra convivenza non è
stata facile. Ora
siamo inseparabili.
Il
piccolo Pokémon pinguino fece un gesto d'orgoglio.
-
Buneary, invece è stata la mia prima cattura. Devo dire che
non è
stato affatto facile. Altrettanto si può dire con Pachirisu.
Mi
ha fatto dubitare di essere capace come allenatrice, ma poi
è
passato tutto.
Mamoswine,
invece… L’ho catturato quando era ancora un
piccolo Swinub.
Penso
che sia stato il Pokémon che più di tutti mi ha
dato difficoltà,
pensa che a un certo punto ha cominciato a essere disubbidiente. Per
fortuna le cose sono migliorate con il tempo. Il nostro rapporto si
è
definitivamente consolidato quando è stato attaccato e
ferito da un
Aggron.
Typhlosion,
invece, si è schiuso da un uovo che mi ha regalato
un’amica, l’ho
allevato da quando era un piccolo Cyndaquil.
E
infine Togekiss mi è stata regalata da un’amica,
perché
realizzasse il suo desiderio di vederla partecipare a delle gare
Pokémon.
Invece
la tua squadra?
-
Penso
che sia abbastanza semplice.
Delphox
è stata la mia prima Pokémon. Non ho avuto
indecisioni. Potrei
definirlo un colpo di fulmine.
Pancham
ha una storia particolare. Posso definirlo come un tipo che adora
essere al centro dell’attenzione. L’ho conosciuto
durante uno dei
miei primi varietà. Infine Sylveon, l’ho
conosciuta da Eevee. Era
davvero molto timida e, approcciarmi con lei non è stato
affatto
facile. Ma alla fine ci sono riuscita. E ora… eccola qui.
Dopo
le varie presentazioni le due iniziarono l’allenamento, sotto
l’attento sguardo di Ash.
Si
era ormai fatto tardi. E il gruppetto si era diretto
all’albergo.
Era
notte. Più o meno le due.
E
Ash ebbe ancora una volta uno di quei sogni.
Erano
sempre quei due scienziati, questa volta vestiti in abiti civili, un
semplice maglione azzurro e una canadese per l’uomo, un
maglione a
collo alto e dei pantaloni morbidi per la donna. Solo guardando
meglio, aveva notato che tanto Sebastian quanto quella che ormai
credeva fosse sua moglie indossassero un pendente. Solo che non erano
soli. Con loro c’era una bambina che poteva avere al massimo
3
anni.
Aveva
i capelli rosa e gli occhi verdi, per cui Ash la collegò
immediatamente alla donna. E poi, ricordandosi di quanto visto
in
precedenza all’uomo.
Doveva
essere il compleanno della bambina, o qualcosa di simile,
poiché la
stessa stava aprendo un pacco regalo.
All’interno
di quest’ultimo c’era un pupazzo di Eevee.
La
piccola sembrava felicissima.
Pochi
istanti dopo, la scena cambiò totalmente.
L’uomo,
con la bambina in braccio, che ancora brandiva il pupazzo, aveva un
aspetto triste, come se dovesse comunicare una brutta notizia.
Aveva
baciato l’amata e poi aveva detto qualcosa come “ci
vediamo
presto”.
Aveva
indossato un gigantesco giubbotto, almeno cinque taglie più
grande
del necessario, ma non l’aveva chiuso. Aveva lasciato la
bambina in
piedi, vicino a lui.
L’uomo
aveva preso nuovamente in braccio la bambina e stava camminando, a
passo svelto, verso un luogo che fino ad ora Ash non aveva mai visto.
L’uomo
salì sul sedile passeggero di una Jeep. Alla guida una
donna.
Capelli neri e ricci. Magra. Indossava abiti militari.
La
donna prese un piccolo telecomando e tutte le luci della base si
spensero.
-
Abbiamo
pochi minuti, ma dovremmo riuscirci. Ricordati il piano, quando ti
tocco la spalla chiudi lentamente
il
giubbotto e indossa il cappuccio.
La
Jeep si muoveva lentamente. A fari spenti.
Non
troppo tempo dopo, come aveva annunciato in precedenza, la donna
toccò la spalla all’uomo.
L’uomo
chiuse delicatamente la zip e indossò il cappuccio.
La
donna fermò la macchina poco prima della sbarra che separava
la base
dal mondo esterno.
-
Signorina
perché sta uscendo a quest’ora? Per di
più con una persona
accanto a lei.
-
Senti,
non sono cose che ti riguardano. E se non vuoi essere promosso a
lavapiatti, vedi di farmi passare.
L’uomo
uscì dal gabbiotto e sollevò la sbarra.
La
donna premette a fondo il gas e in breve l’auto si
allontanò dalla
base.
L’uomo
si tolse il cappuccio e abbassò la zip. Facendo uscire la
figlia, in
seguito l’avvolse in una coperta.
Dalla
storia dei trasferitori e di uno strano tipo di Pokéball, si
era
passati a quella di una famiglia che, a causa degli eventi, si era
dovuta separare.
Qualcosa
che Ash non avrebbe mai potuto immaginare.
Volente
o nolente, la proiezione proseguì.
Dovevano
essere passati degli anni. La bambina con gli occhi verdi era
cresciuta. Della donna nessuna traccia.
Qualcosa
doveva essere andato storto, Ash si ricordava di come, nella visione,
l’uomo e la donna si erano promessi che si sarebbero rivisti
presto.
Ma
per qualche motivo, questo non era accaduto.
Nella
visione, la bambina si trovava in un giardino mentre stava giocando
con una Ralts shiny.
Nemmeno
il tempo di abituarsi a una visione tutto sommato felice, che la
stessa passò all’interno della casa.
Gli
interni erano molto semplici e impersonali, come se quella casa fosse
stata arredata per abitarvi poco tempo.
Vide
il padre della bambina parlare con una donna.
L’aveva
già vista da qualche parte. Aveva capelli ricci e lunghi.
Neri,
anche se iniziava a vedersi qualche segno di grigio.
-
Sebastian,
so che tu e tua figlia vi siete trasferiti qui da poco, ma dovete di
nuovo cambiare casa. Ti prometto che sarà l’ultima
volta.
-
Non
posso fare altro che accettare, suppongo.
Le
rispose l’uomo.
Altro
cambio di scena.
A
distanza di non molto tempo, al massimo un mese.
Padre
e figlia si trovavano davanti a una villetta di tre piani. Con un
garage attaccato alla parte destra.
Tra
il cancello e l’ingresso c’era un bel giardino,
molto curato.
L’ingresso della villetta non era parti terra, ma rialzato.
-
Questa
sarà la nostra nuova casa, ti prometto che sarà
il nostro ultimo
trasloco.
La
bambina dagli occhi verdi si limitò ad annuire.
Un
altro lungo salto temporale.
Doveva
essere il compleanno di quella ragazzina. Era mattina presto e la
ragazza era entrata in salotto. Aveva spalancato la porta e si era
trovata davanti suo padre.
Aveva
le mani dietro la schiena.
-
Tieni
le mani aperte e chiudi gli occhi! - Le
disse.
-
Va
bene.
L’uomo
mise nella mano destra della ragazzina una Pokéball e nella
mano
sinistra una busta.
-
Ora
li puoi riaprire!
Si
rivolse a lei con dolcezza.
La
giovane aprì gli occhi e si accorse di quello che il padre
le aveva
messo nelle mani.
-
Adesso
hai dieci anni. L’età in cui si diventa allenatori
a tutti gli
effetti.
-
Grazie
babbo, ma… perché questa Pokéball?
-
Lo sai benissimo. Falla uscire.
-
Allora, vieni fuori… Gardevoir!
La
Ralts con cui aveva giocato anni prima si era evoluta. Prima in
Kirlia e infine in Gardevoir.
-
Cosa
aspetti, apri la busta.
La
neo allenatrice lo fece.
Dentro
c’era una borsa.
-
Non
pensare che sia finita qui, forza, aprila.
La
ragazza lo fece. Dentro oltre a una custodia per le medaglie, un
portachiavi della principessa e una custodia per fiocchi, cinque
Pokéball e…
-
Ehi,
aspetta e questo cos’è?
La
ragazza dai capelli rosa aveva in mano una custodia di legno
pregiato.
La
aprì. E la sua espressione diceva tutto.
Le
aveva regalato un mega-ciondolo. Un bracciale formato da una catena
di archi color crema con una Pietrachiave incorporata in un cuore
rosa.
Sotto
il bracciale, sparato da una membrana in gommapiuma, un pendente
dorato con una megapietra.
-
Che
aspetti? Indossa il bracciale. Alla megapietra ci penso io.
L’uomo
fu di parola, facendo indossare alla Gardevoir della ragazza il
gioiello su cui era incastonata la Megapietra.
Altro
taglio, ma non molto tempo dopo.
La
ragazza era tornata a casa. E sembrava molto felice.
Suo
padre era seduto a suonare il pianoforte.
-
Evviva!
Ci siamo riuscite!
-
Cosa?
-
Abbiamo vinto la nostra seconda medaglia! Gardevoir è una
vera forza
della natura!
-
Bravissime! Ma ha lottato solo lei o ha lasciato anche spazio agli
altri?
Prima
che la figlia potesse rispondere l’espressione
dell’uomo si fece
assai preoccupata.
-
Forza, scappa! Stanno arrivando! Ci hanno scoperti!
Alla
ragazza non importava chi
li
avesse scoperti. Ash ipotizzò che la ragazza sapesse che suo
padre
aveva dei nemici molto potenti.
Ad
ogni modo la ragazza salì al piano di sopra, sparendo dal
campo
visivo.
-
So
cosa volete da me! Non divulgherò mai i miei segreti! E non
vi
conviene entrare. Sono armato.
L’uomo
aprì un cassetto della credenza.
Tolse
in fretta e furia delle tovaglie, sollevò il doppio fondo
del
cassetto e prese una grossa pistola.
Tremava
mentre la teneva. Era evidente che non fosse a suo agio a impugnare
un’arma.
Era
chiaro che non l’avrebbe mai voluta usare.
Tolse
la sicura e sparò un colpo.
La
sua intenzione era quella di far capire che le sue intenzioni erano
serie.
Un
proiettile spaccò il vetro.
Ash
si svegliò di soprassalto. Come la prima notte. Svegliando
tanto il
suo Pikachu, quanto Serena.
-
Che
ti prende?
Gli
chiese la ragazza.
-
Non
so. Mi sono svegliato per un fortissimo dolore in questa zona.
Il
ragazzo si toccò il centro del petto.
-
Ti posso assicurare che non ho mai provato un dolore simile. Come se
mi avessero…
Ash
ripensò un istante al sogno che aveva fatto quella notte e
poi
disse.
-
Sparato.
Il
ragazzo fece per alzarsi e andare in bagno, ma si bloccò
subito dopo
aver visto una strana creatura, non appena accese la luce della sua
bajour.
Era
una creatura simile ad un'ombra, la testa piccola, sormontata da una
specie di cresta formata da una sostanza bianca simile alla nebbia.
Una sorta di capigliatura molto lunga, che tendeva verso l'alto e
copriva uno dei suoi luminosi occhi azzurri. La creatura aveva
inoltre una cresta rossa appuntita intorno al collo che ricordava un
collare.Le sue braccia erano lunghe e magre e dei brandelli neri
appesi alle spalle, ricordano un mantello strappato. Il suo corpo, di
colore nero, ricordava nella forma una clessidra.
Non
c’erano dubbi.
Era
Darkrai.
-
Pikachu!
Usa Fulmine!
Prima
che il Pikachu del ragazzo potesse attaccare, Darkrai lo aveva
già
attaccato con Vuototetro.
Comunicò,
tramite telepatia in primo luogo a Ash e, come diretta conseguenza, a
Serena.
-
Non
attaccatemi. Non ho cattive intenzioni.
So
bene che quelli come me non hanno una bella reputazione.
Ma
io sono qui perché ho bisogno di voi. Di te in particolare,
Ash, e
di quanti altri allenatori e allenatrici forti riesci a trovare. Anni
fa ho perso un carissimo amico umano. E mi ero promesso che avrei
protetto sua figlia.
Venni
gravemente ferito e quando mi ripresi, la ragazza era scomparsa nel
nulla.
Non
si trovava neppure dove avrei dovuto incontrarla nel caso in cui le
cose si fossero messe male.
Serena,
con la voce ancora impastata dal sonno, gli pose un importante
quesito.
-
In
base a cosa dovremo crederti?
Esiste
un motivo se… quelli come te, come gli hai definiti hanno
una
brutta fama. Non sanno controllare il loro potere e per giustificarsi
si inventano delle storie dietro gli incubi che causano.
-
A
me sembrava sincero. Proviamo a dargli retta. Se poi le cose
dovessero mettersi male e scoprissimo che avevi ragione te, puoi fare
di me quel che desideri.
-
Ok,
come vuoi. Ma ci pensiamo domani dopo l’esibizione. Ora
dormi, o
non potrai fare il tifo.
In
verità Serena si fidava di Ash. Era sempre stato in grado di
capire
i Pokémon.
Il
dolore di Ash era praticamente scomparso e si era riaddormentato
subito.
Era
finalmente arrivato il giorno dell’esibizione.
L’esibizione
era programmata dalle 10 alle 14.
Essa,
a dire la verità, sarebbe stata un semplice evento di
contorno per
un altro evento.
E
il luogo dell’esibizione era un autodromo.
I
coordinatori e le coordinatrici si sarebbero dovuti esibire davanti a
un pubblico che era venuto per tutt’altro.
Per
questo, era lecito chiedersi che opinione dei coordinatori avesse il
pubblico.
Era
ampiamente plausibile che parte del pubblico pensasse che allenare la
propria squadra per quel genere di esibizione fosse una perdita di
tempo, e allo stesso modo era plausibile che un’altra parte
fosse
affascinata da quel tipo di esibizione, o che quantomeno avesse la
consapevolezza del grande lavoro che si cela dietro quel tipo di
performance.
Serena
si era alzata prestissimo e aveva costretto il ragazzo a fare
altrettanto.
Non
sarebbe mai voluta arrivare tardi, voleva esser pronta nel caso ci si
presentasse qualche imprevisto.
L’autodromo
si trovava fuori dalla città e, se fossero partiti tardi, si
sarebbero trovati nel bel mezzo del traffico.
Ash
si era anche preoccupato di svegliare l’amica, anche
perché non
farlo non sarebbe stato carino da parte sua. Preferiva comportarsi
con lei come aveva sempre fatto.
Alla
fine, era riuscito a svegliarla.
-
Non
serve che ti prepari qui, sistemati un pochino se vuoi, ma ti
assicuro che lì avrai tutto il tempo per prepararti.
-
Se lo dici tu.
Ma
diavolo, sembra che abbia ancora il cuscino attaccato alla faccia.
-
Non lo dici anche tu? Non serve preoccuparti! E poi chi credi che ti
veda? Serve che ti ricordi che vi porteranno letteralmente di fronte
all’edificio coi camerini? E che le navette hanno i vetri
scuri per
la privacy? E se partiamo presto saremo praticamente solo io, te e
Serena.
-
Se lo dici tu!
Lucinda
si era sistemata come meglio poteva.
E,
non molto tempo dopo, i tre si trovavano in una delle navette messe a
disposizione dall’organizzazione. Era un pulmino blu
elettrico con
dei fari enormi, a sviluppo diagonale. Cofano corto e
un’ampia
griglia grigia e nera.
Aveva
un’aria piuttosto aggressiva per essere un mezzo
commerciale.
Per
contratto, nella navetta, ogni coordinatore o coordinatrice poteva
essere accompagnato da una sola persona.
Nella
maggior parte dei casi, l’accompagnatore era il ragazzo o la
ragazza, un amico o un’amica, altre volte un fratello o una
sorella. Si può dire che Ash rappresentasse molte di queste
categorie.
Era
sia il ragazzo di Serena che l’amico di Lucinda, ma era
chiaro ed
evidente, anzi, lapalissiano che quella con Lucinda non era una
semplice amicizia. Era quasi quel rapporto che si ha tra fratello e
sorella.
Ad
ogni modo i tre erano i soli passeggeri della navetta.
Era
molto presto, ma iniziava già ad esserci del traffico, in
direzione
dell’autodromo. Era lecito chiedersi come sarebbe stata la
situazione anche più tardi. La navetta giunse
all’autodromo.
Quest’ultimo
si trovava fuori dai confini della città, lontano dagli
edifici
residenziali.
La
navetta entrò da un ingresso riservato.
L’autista
abbassò il finestrino e scansionò il suo
tesserino in un
macchinario apposito. La sbarra che impediva l’ingresso ai
non
addetti ai lavori, si alzò cigolando.
Un
altro breve percorso e il pulmino si fermò di fronte a un
edificio
di due piani.
L’autista
premette un pulsante e la porta scorrevole si aprì,
permettendo ai
tre di uscire.
Mentre
le due ragazze scesero in maniera aggraziata, Ash saltò
fuori con
troppo entusiasmo, rischiando di perdere l’equilibrio e di
farsi
seriamente male.
Per
qualche miracolo, riuscì a non cadere faccia a terra.
Ripresosi
dallo spavento accompagnò le due dentro l’edificio.
Un
lunghissimo andito con tante porte tutte uguali, tranne una. In fondo
allo stesso un ascensore e una tromba di scale.
La
prima porta a destra aveva un cartello con scritto “sala
d’attesa”,
era il luogo dove gli accompagnatori potevano attendere i
coordinatori.
Tutte
le altre porte davano sui camerini.
Su
ognuna una targhetta con il nome della coordinatrice o del
coordinatore a cui il camerino era destinato.
Ironia
della sorte, i camerini di Serena e Lucinda erano uno accanto
all’altro.
I
camerini erano tutti uguali. Una toletta, una seggiola, un
appendiabiti, una panca dove poggiare le proprie cose.
Sulla
toletta un ricchissimo set di trucchi. E un pulsante per chiamare una
specialista per trucco e capelli.
Poco
distante dal set, un pass vip, con una foto, informazioni personali e
piccole scritte che indicavano le noiose informazioni tipiche da
pass, come per esempio il fatto che si tratta di un pass personale e
che non può essere ceduto cedibile, che il detto pass poteva
essere
controllato in qualsiasi momento dal personale autorizzato e tante
altre, noiose, informazioni.
Una
porta dava su un piccolo ed essenziale bagno privato.
Ash
stava attendendo le due ragzze nella sala d’attesa.
La
sala d’attesa era una stanza ampia. C’erano diverse
sedie tutte
unite tra loro a formare una panca. Al centro della stanza un bel
tavolino con poggiate sopra diverse riviste e un telecomando.
Appeso
alla parete un grosso televisore a schermo piatto.
Ash,
guardando le riviste, si accorse di come trattavano argomenti da lui
giudicati poco interessanti, come la moda.
Prese
il telecomando e accese il televisore.
Sul
canale in cui era sintonizzato, stavano trasmettendo una replica
delle qualifiche del giorno prima.
Ash
aveva iniziato a mettersi comodo e a guardare la TV.
Una
giovane donna entrò nella stanza. Aveva al collo un badge
con una
sua foto e dalla grafica dello stesso era intuibile che la donna si
occupasse dell’organizzazione. In mano teneva una sorta di
cartellina rossa, con dei fogli di carta tenuti bloccati da una pinza
di metallo.
La
donna, appena entrata, si rivolse al ragazzo: - Sei
un accompagnatore? -
-
Si!?!
Poi,
sfogliando i fogli, la donna giunse alla sua conclusione.
-
Ah,
sei Ash Ketchum, ecco il tuo pass.
La
donna consegnò al ragazzo un tesserino simile al suo e a
quello di
coordinatori e coordinatrici.
La
sola differenza riguardava la categoria del pass.
La
donna, dopo aver consegnato il pass al ragazzo, aggiunse:
-
Sai,
è ironico che l’allenatore più forte
del mondo, il campione in
carica, assista all’incoronazione di un campione del mondo.
-
E…
chi sarebbe questo campione?
-
Lo
vedi?
La
donna stava indicando lo schermo della televisione che in quel
momento stava dando l’onboard di Orlando Bir, pilota della
scuderia
ARTM.
In
quel momento stava per iniziare il giro lanciato.
Mentre
la donna spiegava, in TV il pilota aveva superato la linea del
traguardo. E stava per affrontare una curva a gomito a destra.
-
Quindi
dici Bir?
-
Si,
lui. Sai, ha già vinto il titolo lo scorso anno, al debutto.
Stupendo tutti.
-
Incredibile.
-
Non che voi due siate diversi eh!
La
donna rimase in silenzio alcuni istanti.
-
Ah, giusto, dimenticavo di dirti una cosa.
-
Cosa?
-
Sai,
dal momento che sei un accompagnatore, hai diritto a sederti sulla
tribuna riservata.
-
Tribuna riservata?
-
Si, i coordinatori e i loro accompagnatori hanno diritto a sedersi in
una tribuna speciale, con la visuale migliore, sul traguardo. Ti
accompagnerò dopo l’esibizione. Scusa se sono
indiscreta, ma posso
sapere chi accompagni?
-
Si, figuri! Accompagno Lucinda e Serena?
-
Dici le due super coordinatrici?
-
Beh... si… loro
-
Bene, ci vediamo più tardi.
La
donna ne ne andò.
Ash,
nonostante la conversazione, non aveva staccato gli occhi dallo
schermo nemmeno per un istante.
Dopo
la curva, il pilota aveva affrontato un breve rettilineo, quindi una
serie di cinque curve, due a destra e tre a sinistra. Aveva fatto il
miglior tempo assoluto in quel settore. Circa quattro decimi meglio
del tempo precedente. In seguito era passato in un breve rettilineo,
quindi in un’altra curva a gomito, a destra, un altro breve
rettilineo e altra curva a gomito a
destra,
quindi un lunghissimo rettilineo, un’altra curva a destra,
curva
nove, e altro record.
Aveva
migliorato il tempo precedente di sei decimi. Ora stava affrontando
un rettilineo non troppo lungo, unito a quello successivo da una
lunga curva a destra.
Quest’ultimo
conduceva all’ultima curva, l’undicesima, che
riportava nel
rettilineo principale.
Il
pilota aveva terminato il giro, stampando un tempo da record.
O
almeno così pareva, dato che il telecronista stava gioendo
come un
bambino.
Guardando
negli occhi il suo Pikachu disse:
-
Esulta
proprio come un bambino.
Rise.
Nella
stanza era arrivata tanta altra gente.
Talmente
tanta da superare il numero di posti a sedere.
Nonostante
questo, Ash stava continuando a guardare le qualifiche, sperando che
nessuno lo riconoscesse.
Non
voleva essere riconosciuto in quel momento.
Non
quando non era lui a dover essere al centro dell’attenzione.
Non
ci volle molto che prima venisse riconosciuto, prima da una persona,
poi, a causa del chiacchiericcio, da tutti.
E
diverse persone gli avevano chiesto foto e autografi. Non poteva
certamente rifiutarsi.
Dopo
una lunga ed estenuante sessione di foto e autografi, era riuscito ad
accontentare tutti.
Erano
le 10 in punto.
Tra
non molto sarebbe iniziata l’esibizione.
In
tutti i camerini era udibile la voce dell’annunciatrice.
-
Tutti
i coordinatori e le coordinatrici sono pregati di recarsi
all’ingresso.
Lucinda
e Serena erano pronte.
Stavano
cercando nello sguardo dei loro rispettivi Pokémon quella
tranquillità che avevano perso.
Nessuna
aveva mai visto l’altra in abiti da esibizione.
Lucinda
indossava un abito senza maniche. Abito bianco nella parte superiore
e che gradualmente andava verso il blu scuro mano a mano che si
andava verso la parte inferiore. Il vestito era decorato con un
colletto blu scuro, una cintura di perline bianche trattenuta da un
nastro blu scuro e balze bianche sull'orlo. Al colletto e alla
cintura erano attaccate alcune perline bianche e altre, di colore
giallo, a forma di mezzaluna, altri, più piccoli, erano a
forma di
stella.
Indossava
dei guanti blu scuro, contornati di giallo e, ai piedi, dei tacchi
blu scuro.
I
capelli intrecciati e trattenuti da forcine abbinate agli accessori
indossati sul colletto.
Serena,
invece, indossava un abito rosso senza spalline con una fascia rosso
scuro, come il nastro e marte delle balze. L’altra parte
delle
stesse, invece, erano arancioni.
Naturalmente,
i complimenti tra le due, sui rispettivi abiti, non erano mancati.
Entrambe
erano consapevoli del fatto che stava per giungere una sfida che non
poteva più essere rimandata.
Di
fronte all’edificio era arrivato un pullman scoperto.
-
E
questo?
La
stessa donna che aveva consegnato il pass a Ash, spiegò:
-
Solitamente
un privilegio del genere è riservato ai piloti, ma per voi
faremo
un’eccezione.
-
Per cosa?
Chiese
Lucinda.
-
Potrete
salire qui e partecipare a una parata tutta per voi.
-
Ma
non c’è il palco in mezzo alla pista?
-
Non
ti preoccupare di quello, sali e basta.
Poi,
guardando Lucinda e Serena
-
Anche
se voi due avrete dei posti
d’onore.
I
vari coordinatori salirono sul mezzo. Lucinda e Serena in quello che
era stato definito “il posto d’onore”.
Che
si era rivelato come una sorta di piccola piattaforma, disposta sopra
la cabina di guida del mezzo, in posizione più rialzata e
avanzata
rispetto a tutti gli altri.
L’autista
partì non appena ricevette la conferma che tutti erano a
bordo.
Proseguì
dritto per quella stessa strada, fino a quando la stessa non si
incrociava con una delle strade di servizio dell’autodromo.
La
stessa permetteva di accedere alla griglia di partenza.
Esattamente
davanti al palco.
Alcuni
operai stavano lavorando all’allestimento del palco, altri,
invece,
si stavano occupando dei droni per le riprese.
Era
l’ultimo momento in cui ci si poteva rilassare prima della
performance.
Se
avere centinaia di migliaia di occhi puntati addosso potesse, in
qualche modo, essere rilassante.
E
no. Non lo era.
Aggiungeva
solamente pressione, come se ce ne fosse bisogno.
Nessuno
cercava di darlo a vedere agli altri. Tutti i coordinatori e le
coordinatrici, salutavano il pubblico sorridendo.
Per
farsi notare, qualche coordinatore aveva chiesto al proprio
Pokémon
di lanciare qualche attacco.
Non
Lucinda e Serena.
Molto
lentamente la parata terminò.
Gli
organizzatori erano stati molto furbi.
Avevano
pensato bene di far esibire i coordinatori base al loro livello. E,
per scegliere l’ordine tra quelli dello stesso livello,
l’ordine
alfabetico inverso. La prima scelta era stata giustificata per fare
in modo che i coordinatori meno esperti non si facessero terrorizzare
dagli sguardi di quelli più esperti.
La
verità era ben più cruda, volevano che il
pubblico assistesse alle
migliori performance in coda all’esibizione.
In
poche parole Lucinda e Serena, essendo le uniche super coordinatrici
si sarebbero esibite per ultime.
Le
esibizioni dei meno esperti stavano giungendo al termine e quindi
stava giungendo il suo momento.
Lucinda
prese un bel respiro e, guardando il suo Piplup, disse:
-
Tra
poco sarà il nostro momento. Tutti si aspettano molto da
noi, non
deludiamoli.
-
E se faceste qualcosa di diverso da tutti gli altri?
Tanto
Lucinda quanto Serena, conoscevano quella voce.
Era
la stessa donna che aveva garantito loro il posto privilegiato alla
parata. - Cosa
intende?
-
E
se voi due improvvisate una gara di lotta, invece di esibirvi una
alla volta?
Le
due ragazze si guardarono, cercando nello sguardo dell’altra
la
risposta alla domanda.
Dopotutto
perché no? Non avevano nulla da perdere.
Era
anche ipotizzabile che il pubblico si fosse stancato di monotone
esibizioni e avrebbe voluto vedere qualcosa di diverso.
D’altra
parte andava considerato che nessuna delle due aveva lavorato per
quello.
Avevano
avuto solo una breve, ma intensa, esperienza di lotta.
E
in più, Serena stava avendo ancora i flashback del suo
Pancham
mandato al tappeto dalla Togekiss della rivale in un solo colpo. Dopo
aver visto lo sguardo della sua futura avversaria, accettò.
Lucinda
non poté che accettare a sua volta.
La
presentatrice era al centro del palco. Aveva in mano un microfono.
E
l’espressione di qualcuno che stava per dare un annuncio
molto
importante.
-
Gentile
pubblico.
Sono
ben consapevole che voi non siete venuti qui per questo,
tuttavia…
Per
noi è un onore avere due ospiti speciali, due super
coordinatrici,
Lucinda da Duefoglie, nella lontana regione di Sinnoh, e Serena da
Borgo Bozzetto!
Per
l’occasione si esibiranno in una gara di lotta della durata
di
dieci minuti. E useranno 2 Pokémon a testa.
Per
le due era giunto il momento di esibirsi. Un momento che non poteva
più
essere
rimandato.
In
ogni caso, le due erano salite sul palco. Una di fronte
all’altra.
Pronte
a schierare i propri Pokémon.
-
Forza
Togekiss, Piplup, sonoquì!
I
due Pokémon della ragazza uscirono dalle rispettive
Pokéball, con
vari effetti di luce.
-
Adesso
tocca a voi! Delphox e Sylveon!
Serena
non aveva schierato Pancham, dato che Lucinda aveva schierato
Togekiss.
Non
aveva di certo dimenticato com’erano andate le cose, solo il
giorno
prima.
E,
inoltre, essendo un Pokémon di tipo lotta, avrebbe avuto un
grosso
svantaggio contro il tipo volante di Togekiss e contro gli attacchi
dello stesso tipo di Piplup.
Ad
ogni modo solamente tre secondi separavano quel momento dall'inizio
della gara.
Tre.
Due.
Uno.
Era
giunto il momento.
-
Piplup,
sali in groppa a Togekiss e vai di perforbecco.
Il
Pokémon pinguino seguì l’ordine della
sua allenatrice, salendo
sulla schiena del Pokémon Festa, la quale prese il volo non
appena
ebbe la certezza che il suo partner fosse ben saldo.
-
Vai
Delphox, introforza, Sylveon preparati con Vento di fata.
L’intento
della nativa di Kalos era quello di disturbare il volo del
Pokémon
rivale e contemporaneamente di colpirlo con un potente attacco.
-
Togekiss,
vola in alto, e evita la corrente.
Il
Pokémon Festa iniziò a salire in verticale,
allontanandosi dagli
attacchi avversari.
-
Molto
bene, ora vai in picchiata con aeroattacco!
Serena
sorrise. Se lo aspettava. Tutto quello che saliva, prima o poi doveva
scendere.
-
Forza,
Delphox, tieniti pronta a usare Fuocobomba, te Sylveon pronta con
vento di fata.
Lucinda,
a sua volta, si aspettava che la sua avversaria avrebbe
contrattaccato e accennò un sorriso.
-
Molto bene, Piplup, usa Idropompa!
L’attacco
di Piplup, a causa della grande velocità di picchiata di
Togekiss,
aveva avvolto la coppia di Pokémon.
Serena
era stupita, non si sarebbe mai aspettata una combinazione del
genere.
La
sua Delphox aveva iniziato a caricare il suo attacco.
Una
coltre di fuoco spinta dal vento di fata di Sylveon si stava ora
dirigendo contro la coppia di Pokémon.
Tutto
come previsto.
La
coppia aveva eliminato la coltre di fuoco, e si stava ora dirigendo a
gran velocità contro la Delphox di Serena.
Senza
che la sua allenatrice le dicesse nulla, Togekiss riprese quota,
passando a pochissima distanza da Delphox.
Senza
che Serena potesse reagire.
-
Molto
bene, Delphox, Introforza, te Sylveon vai con Comete.
I
due attacchi si incrociarono. Creando un effetto straordinario e
facendole guadagnare punti.
-
Perfetto,
Togekiss! Usa Eterelama per distruggere la sua combinazione.
Le
stelle e le sfere d’energia vennero distrutte, con uno
spettacolare
effetto di luce.
Lucinda
aveva guadagnato dei punti.
Un
veloce sguardo al timer, mostrava come l’esibizione fosse
appena a
metà.
I
vari Pokémon iniziavano a dare segni di fatica. Era evidente
la
volontà di entrambe di voler chiudere la partita prima dello
scadere
del tempo.
-
Bene
Togekiss, usa Eterelama.
-
Sylveon
, usa Protezione, Delphox tu Introforza.
Eterelama
aveva di nuovo distrutto le sfere di energia, ma dato che Sylveon era
riuscita a proteggersi, Serena aveva perso meno punti.
Mancavano
due minuti.
-
Molto
bene Togekiss, vai di nuovo di Aeroattacco, te Piplup, Perforbecco.
La
combinazione ebbe l’effetto sperato. La coppia di
Pokémon stava
piombando a gran velocità sulla squadra avversaria.
Sylveon
non poté proteggersi, avendolo fatto poco prima, e questo
fece
perdere dei punti alla sua coordinatrice.
Prima
che Serena potesse reagire, Togekiss aveva già recuperato
quota.
E
mancava un solo minuto.
-
Delphox,
vai con Fuocobomba, Sylveon Comete.
L’esplosione
di fuoco era stata contornata dalle comete, facendo guadagnare dei
punti a Serena.
-
Benissimo,
Togekiss, respingi l’attacco con Forzasfera.
La
sfera di energia di colore azzurro respinse al mittente
l’attacco,
causando grandi danni alle sue avversarie.
Il
tempo era scaduto.
-
Tempo
scaduto! L’incontro è stato davvero emozionante,
ma la vincitrice
è una sola. Lucinda!
La
presentatrice, rivolgendosi alla vincitrice
-
Sai,
la vincitrice avrà l’onore di consegnare il trofeo
al vincitore
della gara. E potrà festeggiare con lui sul podio.
Quasi
dimenticavo, e questo lo puoi dirlo anche a Serena. Ossia che voi due
e i vostri accompagnatori sarete ospiti speciali della scuderia ARTM.
E in più la scuderia vi darà un piccolo omaggio.
-
Capito, grazie.
Le
due, dopo essersi strette la mano ed aver salutato il pubblico, erano
scese dal palco e si erano dirette alla tribuna.
Trovando,
proprio accanto a Ash, due posti liberi.
-
Siete
state entrambe fantastiche!
-
Non
ti importa che non abbia vinto?
-
Sono sicuro che tu hai fatto del tuo meglio. Alla fine è
quello che
conta, giusto?
-
Sai che ti dico? Hai ragione. Non ci giocavamo nulla, dopotutto.
Intanto,
rapidamente come era stato montato, il palco stava venendo smontato.
Dieci
minuti dopo, il palco era sparito e, una visione familiare alle due
ragazze, interruppe le chiacchiere dei tre.
-
Ehi
guarda, Ash, noi abbiamo fatto un giro su quello!
Lucinda
indicava il pullman scoperto
-
È
stato
davvero divertente, sai? Anche se a dire il vero noi due eravamo in
una zona, per così dire... riservata
-
In
che senso, scusa?
La
risposta arrivò dalla sua ragazza.
-
Dal
momento che eravamo le sole super coordinatrici,
l’organizzazione
aveva pensato di riservarci un posto d’onore.
-
Capito.
Il
pullman scoperto aveva finito il suo giro e i piloti avevano
riguadagnato i box.
Non
molto tempo dopo alcune auto iniziarono a girare.
Ash
era assai sorpreso dalla situazione e si lasciò scappare un
commento
-
Perché
stanno girando? La gara mica è iniziata.
-
Vedi, Ash, dall’alto della mia carica di intenditore di corse
automobilistiche...
stanno
facendo i cosiddetti giri di schieramento.
Ash
era ancora più sorpreso. Quella voce era assai familiare.
-
Non
ci credo, Spighetto, non avevo idea del fatto che tu accompagnassi
qualcuno…
-
Beh
si, effettivamente… ma penso sia abbastanza normale, non la
conosci. Sai, è una coordinatrice ancora alle prime armi.
-
Ah, ciao Spighetto, quanto tempo!
-
E chi è questo ragazzo, Ash? Un tuo amico?
E
non me lo presenti?
-
Oh,
certo, che sbadato! Serena, lui è Spighetto, uno dei
capopalestra di
Levantopoli, una città di Unima, è un
intenditore di Pokémon
di altissimo livello, anche se credo sia intenditore di qualsiasi
cosa esista.
-
Oh, Ash, così mi lusinghi…
Gli
rispose l’amico, leggermente imbarazzato.
-
Spighetto,
lei è Serena, Regina di Kalos in carica e super
coordinatrice.
Il
capopalestra/chef/intenditore ebbe solo il tempo di scambiare due
parole con la nativa di Kalos, prima che Ash non gli facesse delle
altre domande, riguardo la gara.
-
Beh,
comunque prima non mi hai dato una delle tue solite risposte da
intenditore. Mi è sembrato che mancasse qualcosa.
-
Vero.
Non
ho spiegato il perché. E non esiste cosa peggiore per un
intenditore
che interrompere una delle sue spiegazioni.
In
poche parole fanno questi giri principalmente per assicurarsi che le
auto funzionino al meglio e per raccogliere le ultime informazioni
sulle condizioni del tracciato, in secondo luogo, lo fanno per
posizionarsi sulla griglia di partenza.
-
Ho
capito, sei stato chiarissimo come sempre.
Dopo
un quarto d’ora la griglia di partenza era completa. Tutte le
auto
erano perfettamente posizionate, anche se non erano ancora pronte a
partire.
I
piloti erano fuori dalle loro auto.
Questa
volta a essere incuriosita dalla situazione era Lucinda
-
Scusa,
Spighetto, ma cosa stanno facendo?
Perché
non partono?
-
Vedi, la partenza di una gara è come la preparazione di un
piatto
raffinato…
Ash,
cercò di trattenere le risate.
-
Eccolo
che parte con le metafore culinarie!
Spighetto
lo ignorò e continuò la sua spiegazione
-
E, come tale, ha dei passaggi che non possono essere saltati o
compiuti frettolosamente. Tra poco ci sarà l’inno.
Una
volta terminato, i piloti saliranno nelle loro auto e sistemeranno il
loro equipaggiamento.
In
seguito, ci sarà l’esibizione della pattuglia
acrobatica.
Poi
il giro di formazione e solo dopo la fine di quest’ultimo e
il
riposizionamento di tutte le auto, ci sarà la partenza vera
e
propria. Ti conosco, Ash, so che stai per fare questa domanda, per
cui ti rispondo in anticipo.
La
tradizione vuole che i piloti di casa, durante l’inno, stiano
qualche passo avanti rispetto agli “ospiti”.
-
E
io che pensavo che le gare Pokémon fossero complicate!
Questi ci
battono alla grande!
Commentò
Lucinda, abbastanza confusa.
Intanto,
esattamente davanti a loro, un ragazzo stava suonando un pianoforte e
una ragazza, vestita in abiti eleganti, stava intonando
l’inno di
Kalos. Aveva davvero un grande talento.
Dopo
la fine dell’inno, il pianoforte era stato spostato e i
piloti
raggiunsero le loro auto, per poi salirvi a bordo.
Cinque
minuti dopo, un grandissimo boato spaventò tutti.
Ash,
Lucinda, Serena e Spighetto, avendo idea di quale fosse la causa,
alzarono gli occhi al cielo.
Otto
aerei della pattuglia acrobatica stavano sorvolando
l’autodromo.
Ognuno
di loro aveva una livrea che ricordava un Pokémon di tipo
volante.
in particolare Pidgeot, Togekiss, Swellow, Staraptor, Braviary,
Talonflame, Hawlucha, e Corviknight.
Gli
aerei, a coppie, emettevano scie colorate, per ricreare la bandiera
di Kalos. Turchese, rosso, nero, fuxia.
Dopo
il boato degli aerei, ve ne fu un altro, più contenuto.
Il
rombo dei motori delle auto.
Ora
libere dai meccanici che sino a poco prima le celavano in parte alla
vista.
Finalmente
era il momento del giro di formazione.
Le
ARTM avevano monopolizzato la prima fila, ma anche se non l'avessero
fatto, sarebbero state comunque molto facili da riconoscere. E non
solo per il loro colore, un rosso brillante, ma anche per le loro
forme.
Volendo
fare un paragone era come se le due rosse fossero due Togekiss in uno
stormo di Staraptor.
Dove
tutti proponevano linee taglienti e squadrate, che sembrava potessero
farti male a toccarle, le ARTM proponevano linee morbide e armoniose.
-
A
quanto pare sono partiti tutti! Benissimo!
Spighetto
commentò l’appena avvenuto giro di formazione.
-
E
se non fossero partiti bene?
Gli
chese un Ash, piuttosto curioso.
-
Avrebbero
dovuto fare un altro giro di formazione e accorciare la gara di un
giro. Sono stupito. Non mi hai chiesto a cosa
serve
il giro di formazione.
-
Se
proprio insisti…
-
Oh,
bene! Il giro di formazione serve ad assicurarsi, per
un’ultima
volta, che tutto funzioni al meglio, ma non solo.
I
piloti, durante il giro, si assicurano di scaldare gomme e freni.
Gomme e freni freddi possono causare pericolosi incidenti,
soprattutto al primo giro.
Intanto
il giro di formazione stava giungendo al termine.
Il
poleman era visibile mentre stava affrontando l’ultima curva.
Non
molto staccati, tutti gli altri.
Poco
tempo dopo la griglia era al completo. Tutti erano perfettamente
schierati. I cinque semafori rossi accesi. La tensione era palpabile.
Alla
partenza era andato tutto abbastanza bene. Nessun contatto.
Il
poleman, Orlando Bir era partito benissimo, non altrettanto il suo
compagno di squadra, Alberto Tops.
Alla
partenza, infatti, aveva perso due posizioni.
Nulla
di grave, avrebbe potuto recuperare, aveva il ritmo per farlo.
Ad
avere il ritmo per fuggire era Bir.
E
lo avrebbe potuto fare se non fosse stato per un contatto, alla terza
curva, tra Manne e Gazze.
Non
un botto violentissimo, ma abbastanza spaventoso da far sprammare
Serena.
Forse
il vederlo dal maxi schermo lo aveva reso peggiore di quello che era.
-
Non
ti preoccupare.
La
rassicurò Spighetto.
-
Non
si sono fatti nulla.
-
E come fai a saperlo?
Gli
chiese Serena, ancora molto spaventata.
-
Sono in delle botti di ferro. Sarebbe più corretto dire
“botti di
avanzati materiali sintetici", ma non suona altrettanto bene.
Queste
auto sono progettate per resistere a incidenti ben peggiori.
-
Se lo dici tu.
Intanto
era uscita la vettura di sicurezza. In casi come quello, la
neutralizzazione della gara era evento di routine.
Evento
di routine o meno, l’evento scatenò la
curiosità di Ash.
-
Ma
perché sta girando una macchina normale?
-
Quella
è l’auto di sicurezza.
Serve
a rallentare le auto in corsa per rendere più sicuro il
lavoro dei
commissari.
Viene
impiegata anche quando le condizioni del tracciato non sono sicure,
per esempio in caso di forti piogge.
-
Interessante.
I
giri proseguivano.
La
vettura di sicurezza era rientrata al box dopo aver percorso sette
giri.
La
ripartenza di Bir era stata davvero buona, tant’è
che, per un
attimo pensò di aver fatto il grosso del lavoro.
Per
sua sfortuna, le cose andarono diversamente.
Rolf
Noso, dietro di lui aveva cercato di sorpassarlo, osando troppo.
Era
finito in testacoda e aveva fatto finire il poleman contro le
protezioni.
Mentre
la regia stava trasmettendo dei replay dell’incidente,
Orlando
cercava di tirare fuori l’auto dalle barriere.
Al
secondo o terzo replay avevano anche trasmesso la comunicazione radio
tra il pilota e il team.
Naturalmente
prima della messa in onda, era stata censurata.
Un’infinita
serie di bip. Trasposta come un’infinita serie di asterischi.
Senza
che venisse mostrato in diretta, il pilota era riuscito a uscire e,
per fortuna, l'unico danno alla sua auto era l’ala anteriore,
che
penzolava.
Nonostante
l’ala rotta, era riuscito a riguadagnare i box.
La
regia aveva smesso di trasmettere replay e aveva ripreso a mostrare
la gara.
Ora
Bir era in ultima posizione. Al box avevano cambiato l’ala
anteriore e montato quattro gomme nuove, della stessa mescola delle
precedenti.
Così
era stato ordinato dallo stratega.
Non
un uomo, non una donna, ma un Pokémon.
Un
Metagross shiny.
La
rimonta di Orlando sarebbe stata lunga e difficile, ma non si sarebbe
arreso senza combattere.
Sotto
gli occhi stupiti del pubblico lì presente e del pubblico
che
seguiva la gara da casa, il ragazzo iniziò a inanellare una
furibonda serie di giri veloci, in questo modo aveva recuperato il
vantaggio sul penultimo e, poco dopo, l’aveva sorpassato.
Ora
era diciottesimo.
Noso
era stato squalificato per il gesto, considerato
all'unanimità dai
commissari della federazione come antisportivo.
La
gara era proseguita regolarmente, senza interruzioni o altro.
Tanti
altri sorpassi, due cambi gomme perfettamente azzeccati per avere un
vantaggio su due piloti particolarmente difficili da superare senza
delle gomme fresche, e tanti, tantissimi sorpassi.
Era
l’ultimo giro. Bir aveva rimontato fino alla seconda
posizione.
Davanti
a lui solo il suo compagno di squadra.
Poteva
benissimo accontentarsi e chiudere la gara secondo.
Avrebbe
comunque vinto il titolo.
Lui,
però non si sarebbe accontentato di terminare secondo.
E
così affondò un attacco sul compagno di squadra
nel suo stile,
aggressivo ma corretto.
Poche
curve e avrebbe vinto.
Passò
sotto il traguardo e, il vedere la bandiera a scacchi, sventolata
dalla campionessa Diantha, gli parve come un miracolo.
Avrebbe
dovuto completare il giro d’onore, fare qualche donut per il
pubblico, e, infine, dirigersi al parco chiuso.
Dopo
aver torturato le gomme posteriori, il ragazzo giunse al parco
chiuso, dove fermò la sua auto, proprio davanti a una sorta
di
grosso segnaposto con il numero 1.
Il
ragazzo venne inquadrato da delle telecamere, mentre usciva dalla sua
auto.
Alla
sua sinistra il compagno di squadra, arrivato secondo, a destra con
il numero 3 Lito Mili.
Le
telecamere indugiarono sul vincitore.
Un
ragazzo di altezza media, capelli e occhi castano scuro. E fisico da
pilota professionista. Era visibilmente stremato.
Aveva
ancora le lacrime agli occhi.
Ash
e le due ragazze avevano raggiunto la zona di fronte al podio mentre
venivano intervistati il secondo e il terzo classificato, potendo
ascoltare solo l’intervista del primo.
Appena
venne riconosciuta, Lucinda venne presa in disparte da una donna, la
stessa che le aveva dato l’incarico di
consegnare
il trofeo al vincitore.
Intanto
la giornalista stava intervistando Bir.
-
Oggi
sei davvero stato una furia…
-
Si,
forse ho esagerato con le parole, ma sai, quando si comportano in
quel modo…
-
No, dicevo per la tua rimonta
-
Capisco. Diciamo che in situazioni disperate come quelle non hai
molte scelte. O alzi bandiera bianca, oppure dai il meglio, costi
quel che costi.
-
Molto
bene. Com’è stato quando hai sorpassato il tuo
compagno di
squadra?
Vi
eravate preparati la cosa o è stato improvvisato?
-
Diciamo
che nessuno gli ha detto “levati di torno, che dietro hai
Tizio”
un gesto del genere non sarebbe stato sportivo e il pubblico non
avrebbe avuto una buona opinione di noi.
Chiaro
è che… se fosse stato qualcun
altro
A
tutti era chiaro il motivo per cui si era particolarmente soffermato
su “qualcun altro”.
-
Non
avrei mai tentato qualcosa di simile. Si tratta di una questione di
fiducia. Come per le strategie di gara che mi hanno portato fino a
lì, anzi soprattutto grazie alla strategia.
-
Hai
dato gran parte del merito è dovuto alla strategia, qual
è il
vostro segreto?
-
Non
abbiamo segreti, come tutti seguiamo il regolamento, che in questo
aspetto è molto severo e ci affidiamo alla sua grandissima
capacità
di elaborare i dati e fornire, in poco tempo, le migliori risposte.
-
Va bene, ora vai, ti aspettano sul podio.
Era
il momento.
Era
sul podio. Davanti a lui una folla immensa. Molti spettatori erano
scesi dagli spalti ed erano arrivati davanti al podio.
Il
podio era abbastanza normale, era sopraelevato, e dietro era presente
una grafica con i numerosi sponsor che avevano finanziato
l’evento.
Il
gradino del primo classificato era molto più grande degli
altri.
Lucinda
era vestita ancora come durante l’esibizione. Non aveva avuto
il
tempo di cambiarsi.
Ed
era giunto il momento di consegnare il trofeo al primo classificato.
Tremava
come una foglia. Dopotutto si trovava ad adempiere un compito che mai
prima d’ora aveva fatto.
Svolgere
un ruolo di rappresentanza.
Si,
una volta aveva sostituito una principessa, per permetterle di
partecipare una gara.
La
quale, per gratitudine, le aveva regalato la sua Togekiss.
Ma
qui era diverso. Temeva di fare una brutta figura. Magari di
scivolare, o magari uno dei suoi tacchi si incastrasse da qualche
parte, facendole perdere l’equilibrio…
Ma
ormai era il momento.
Aveva
in mano l’ingombrante, ma leggera, coppa del primo
classificato.
Era
davanti a lui.
Sorrise.
Gli consegnò la coppa e gli strinse la mano. Stava facendo
per
andarsene.
-
Ehi,
dove vai?
-
Io?
-
Chi, altrimenti? Non te lo hanno detto? Immagino che tu sia la prima
classificata all'esibizione? Giusto? E allora devi festeggiare con
noi. Quando ci daranno l’ok prendi quella bottiglia di
spumante e
spruzza come ti pare.
Alla
fine si era divertita a festeggiare sul podio. Era completamente
inzuppata di spumante.
Per
un attimo aveva avuto dei ricordi di quando era una bambina e giocava
a fare i gavettoni.
Non
era sola. Orlando aveva deciso di accompagnarla dai suoi amici. Dopo
aver notato, nel suo sguardo una sorta di senso di smarrimento.
-
Devo
ammettere che mi sono divertita.
Avevo
paura che qualcuno mi giudicasse, mi ritenesse fuori luogo…
ma
niente di tutto questo.
Lucinda
aveva posato lo sguardo sul suo vestito e la sua espressione si fece
triste. Aveva notato come lo stesso fosse irrimediabilmente rovinato.
-
Non
ti preoccupare per il vestito. Te ne compro uno nuovo. Promesso.
-
Gentile
da parte tua.
Ma…
sai dove sono Ash e Serena? Mi stai portando da tutt’altra
parte
rispetto a dove sono passata prima.
-
Non ti preoccupare di loro. Ci stanno aspettando.
Non
molto tempo dopo erano tutti nel hospitality della scuderia.
Chiusa
al pubblico per permettere alla squadra di festeggiare privatamente.
Ash,
Lucinda e Serena erano i soli a non appartenere alla squadra, ma
erano comunque ospiti, per cui erano abbastanza a loro agio.
Poco
prima della festa, Orlando aveva donato a Lucinda e Serena quanto
promesso. Due teche trasparenti. Una conteneva il suo casco. O meglio
uno dei caschi che aveva usato quel week end. La calotta era bianca e
la decorazione erano diverse strisce colorate. Una verde, una gialla,
una blu, una rossa, una fuxia, una viola. Su ognuna un particolare
oggetto stilizzato. Su quella verde un computer, su quella gialla una
katana, su quella blu una sciabola, su quella rossa un ventaglio con
motivi floreali, su quella fuxia un’ala e, su quella viola
un’impronta felina.
Dentro
l’altra teca un volante, anche se chiamarlo semplicemente
volante,
non rendeva giustizia al grande numero di comandi presenti su esso e
al grande schermo che si trovava al centro dello stesso. Era
più
simile a un computer che a un volante.
Orlando
aveva chiamato Lucinda da parte.
L’aveva
accompagnata in una stanza separata. Una stanza praticamente vuota,
tranne per un divanetto e un televisore.
Sul
piccolo divano due scatole di rinomate boutique di Kalos.
Orlando
prese una delle due confezioni e la porse a Lucinda.
-
Su,
apri, non fare storie.
La
ragazza, leggermente intimidita aprì la scatola. Conteneva
un
vestito esattamente identico al suo. In ogni minimo particolare.
-
Ma
non dovevi!
-
Io mantengo sempre le promesse.
-
E poi dove lo hai trovato? Non eri impegnato tutto il tempo per la
gara?
-
Si, io, ma non una mia… assistente.
Quando
abbiamo saputo che la vincitrice dell’esibizione avrebbe
festeggiato sul podio, lei mi ha spiegato che ci sarebbe potuto
essere questo inconveniente. Per questo mi ha suggerito di fare
così.
-
Ho capito. Grazie ancora.
-
Scusa se te lo chiedo, ma potresti farmi un piccolissimo piacere?
-
Dimmi.
-
Mi chiameresti Ash un secondo?
-
Ok!
Lucinda
si era allontanata e Orlando aveva approfittato del breve momento di
solitudine per fare una telefonata alla sua assistente.
Rispose
dopo qualche squillo.
-
Pronto?
-
Ah, sei tu! Complimenti per la gara e per il titolo!
-
Grazie! Davvero.
Scusa
se te lo chiedo, ma potresti fare una piccola commissione?
Andresti
nello stesso negozio dove hai preso quell’abito famoso e ne
prenderesti uno simile a quello rosso che hai preso?
Di
colore diverso, però. L’altro poi lo restituisci e
con ti compri
quello che desideri ok?
-
Ok,
ma cosa ne devo fare di quello?
-
Poi ti mando l’indirizzo dove farlo arrivare e la
destinataria, ok?
-
Ok!
-
Ci vediamo!
Grazie
ancora!
-
Di nulla.
Intanto
Ash era arrivato, proprio insieme a Lucinda. Con una piccola scusa
era riuscito a lasciare sola la sua ragazza.
-
Domani
a Serena arriverà un pacco con un bel regalo. Lo hai fatto
tu, Ok?
Quel
tono non ammetteva repliche di alcun tipo.
-
OK.
-
Però
ora andiamo o le ragazze inizieranno a farsi delle domande.
Dall’altra
parte del mondo, un potentissimo e influente malavitoso si stava
godendo la sua enorme fortuna nel suo ufficio.
Nonostante
fossero passati molti anni, non si era ancora abituato del tutto alla
sua condizione sociale.
Il
malavitoso aveva origini umili, umilissime.
Non
lo aveva dimenticato, nonostante ora vivesse nel più totale
agio.
Certo,
non aveva guadagnato tutti quei soldi in maniera onesta, ma a lui non
importava.
Ora
poteva fare tutto quello che da piccolo non si poteva permettere.
Era
l’ultimo nato di una famiglia numerosissima, aveva quattro
sorelle
e cinque fratelli.
Quando
era nato, le due sorelle più grandi, che avevano venti e
diciotto
anni, si erano già sposate. Un bene per i suoi genitori,
dato che
erano due bocche da sfamare in meno. Lui, come i fratelli maggiori,
prima di lui, avrebbe intrapreso la carriera militare. Così
avrebbe
avuto la possibilità di una vita dignitosa.
Ma
lui, sin da piccolo non si accontentava di qualcosa di a malapena
“dignitoso”. Era un tipo che sognava in grande. E
quando si
presentò quell’occasione…
-
Signor
Graziano, sono arrivati.
Quella
voce che interruppe i suoi pensieri la conosceva benissimo.
Era
la voce di Samuela, la sua fidata segretaria.
E
sapeva anche chi erano le persone che “erano
arrivate”.
Sapeva
che erano arrivati da molto tempo.,Diversi anni prima, aveva chiesto
alla sua segretaria di far aspettare i suoi ospiti. A lungo. Molto a
lungo. Più gli ospiti erano importanti, più
avrebbero dovuto
aspettare. L’ufficio del Boss era enorme, luminoso e arredato
con
gusto. L’uomo era seduto a scrivania realizzata in legno
pregiato e
decorata a mano da un famoso artigiano. Di certo quest’ultima
non
sfigurava in una stanza dove il pavimento era un costosissimo
parquet.
E
lo stesso si può dire rispetto ai costosissimi quadri,
appesi alle
pareti. O anche delle rare piante presenti nell’ufficio.
I
suoi ospiti avevano superato la “prova”. La
snervante attesa dei
due, era terminata.
I
due erano seduti nei gradoni di una pista da corsa per
Pokémon.
Prima di discutere dei veri affari avevano scommesso su una corsa di
Rapidash. Un modo di fare insolito, per Graziano. Per lui era un
metodo come un altro per decidere come spartirsi i guadagni di un
affare. In poche parole il padrone del vincitore si sarebbe preso la
metà dei guadagni. Il secondo il trentacinque per cento e
l’ultimo
il quindici.
In
questo caso, invece, il suo padrone avrebbe vinto cinquecento
milioni.
Uno
degli inservienti di Graziano si era occupato di sistemare la sua
Rapidash ai blocchi di partenza, gli inservienti degli altri due
fecero altrettanto. La corsa sarebbe durata tre giri. Il loro padroni
avrebbero assistito dagli spalti.
Pur
provenendo da parti del mondo totalmente differenti, i tre uomini non
erano poi così diversi.
Erano
vestiti in costosi abiti dai colori improponibili, avevano le dita
delle mani ricolme di anelli d’oro e avevano ottenuto la loro
fortuna sfruttando i più deboli.
Il
primo giro era terminato. E la Rapidash shiny di Graziano era dietro
e faticava a tenere il ritmo. Se fosse finita così, avrebbe
perso
duecentocinquanta milioni. Certo, per nessuno dei tre sarebbe stato
un bagno di sangue, ma lui preferiva guadagnare piuttosto che perdere
e, per farlo, non si faceva scrupoli.
Un
bagno di sangue…
Pensò.
Il
solo modo che ho per evitare di perdere.
Estrasse
dalla tasca della sua giacca verde smeraldo una pistola.
Era
realizzata in metallo lucido.
Rifletteva
in modo accecante la luce del Sole.
I
due uomini accanto a lui, non si accorsero di nulla. Erano troppo
occupati a esultare per i loro Pokémon che si stavano
giocando la
vittoria.
I
due uomini si accorsero delle sue intenzioni solo quando era troppo
tardi.
I
due colpi erano partiti e andati a segno.
I
cadaveri dei loro Pokémon giacevano in mezzo alla pista in
una
grossa pozza di sangue. Le fiamme spente. La Rapidash di Graziano
passò sui cadaveri senza problemi.
Era
abituata.
Il
suo padrone faceva
sempre
così,
appena si rendeva conto di essere fuori dai giochi per la vittoria.
Graziano,
con ancora in mano la pistola fumante, si rivolse ai due ospiti
-
Direi
che è chiaro. Prendo tutto io.
Era
armato. Non potevano contraddirlo.
A
dire il vero a Graziano di quei soldi non importava più di
tanto.
Certo,
erano sempre soldi, ma, da qualche tempo, la sua concentrazione era
rivolta ad altro.
A
qualcosa che aveva iniziato oltre dieci anni prima e che non aveva
mai potuto portare a termine.
Sarebbe
potuto essere il suo più grosso colpo. Anzi, il colpo del
secolo,
invece si era rivelato un salasso.
Era
riuscito a rifarsi delle grandissime perdite subite e quindi non era
un problema di soldi.
Tutto
era iniziato qualche settimana prima. Al suo indirizzo era stato
recapitato un pacco.
Come
qualsiasi malavitoso che si rispetti, Graziano era consapevole che
poteva trattarsi di un pacco bomba.
Per
questo motivo erano sempre i suoi inservienti ad aprire i suoi
pacchi.
Se
anche un suo inserviente fosse morto… avrebbe fatto
sciogliere il
cadavere nell’acido e fatto sparire ogni prova.
Era
successo già una decina di volte, ma per sua fortuna, ne
aveva
sempre una buona scorta. Tanto di acido quanto di inservienti.
Il
pacco non aveva l’indirizzo del mittente. Ed era molto
anonimo. Una
semplice scatola di cartone nastrata.
Una
volta aperto, non svelò immediatamente il suo contenuto,
protetto da
una grande quantità di imballaggio.
Il
contenuto doveva essere molto prezioso.
Il
suo inserviente gli aveva porto il contenuto del pacco, descrivendolo
come una Pokéball rosso scuro.
Ma
per Graziano non era una semplice Pokéball di colore diverso.
Era
il simbolo del suo più grande fallimento.
Tutto
era cominciato circa vent’anni prima.
La
sua carriera militare era ancora in pieno svolgimento e, grazie al
duro lavoro, ma soprattutto a qualche spintarella, aveva ottenuto una
delle occupazioni più ambite.
Era
una delle guardie che si occupavano di proteggere tutti i materiali
del progetto da cui quella strana Pokéball proveniva.
Ricordava
perfettamente tutto, a distanza di molti anni.
Per
anni aveva svolto il suo lavoro regolarmente, per guadagnarsi la
fiducia di tutti, ma segretamente stava tramando qualcosa.
Dopotutto
doveva ripagare il debito verso chi lo aveva fatto arrivare fin
lì.
Era
consapevole dei grossi rischi che avrebbe potuto correre.
Ma
non poteva di sicuro tirarsi indietro, le conseguenze, qualora
venisse scoperto, sarebbero state meno gravi di quelle che avrebbe
subito, qualora non fosse stato in grado di pagare il suo debito.
Dopo
una lunga attesa, ebbe la sua occasione.
Se
fosse riuscito a trafugare i progetti a cui tutte quelle menti
geniali stavano lavorando…
Avrebbe
potuto darli ai suoi superiori e...
Cosa
se ne sarebbero fatti?
Non
avrebbero potuto sfruttare quelle ricerche in alcun modo.
Per
i suoi superiori quelli erano dei semplicissimi fogli di carta con
delle scritte e dei disegni incomprensibili.
I
suoi superiori avevano i soldi, ma non la testa.
Sapeva
che per poter far fruttare quei progetti serviva almeno una di quelle
menti geniali.
E,
tra tutte le persone presenti, la candidata ideale era lei.
La
moglie di Sebastian.
Graziano
sapeva benissimo che la donna stava passando un momento di debolezza.
Per
molto tempo era stata lontana dal marito e dalla figlia. Lui sapeva
che la donna, pur di rivederli, avrebbe fatto di tutto.
Per
Graziano non ci volle molto a convincerla.
Prima
avrebbe lavorato per lui, poi avrebbe potuto rivederli.
Con
questa promessa, la donna accettò.
La
fuga fu difficile. Graziano aveva dovuto corrompere una delle guardie
che sorvegliavano gli ingressi.
Quest’ultima,
proprio la notte in cui sarebbero dovuti fuggire, non era lì
presente.
Era
a letto. Con la febbre alta.
Nonostante
l’inconveniente, il piano non poteva essere rimandato.
O
le altre guardie si sarebbero accorte dei documenti trafugati.
Nonostante
questo inciampo, la fuga riuscì.
Per
qualche anno era riuscito a convincere la donna a lavorare per lui,
sempre con la promessa che le avrebbe permesso di ricongiungersi con
la sua famiglia.
Dopo
quattro anni la donna aveva iniziato a perdere la pazienza.
Graziano
non aveva ancora dimenticato la sua sfuriata.
Capendo
che avrebbe potuto rimetterci la vita, dovette inventarsi qualcosa.
Non
poteva più fingere.
Non
le avrebbe mai permesso di ricongiungersi con la sua famiglia.
Ma,
al contempo, doveva tenere viva la sua speranza.
Alla
fine era riuscito a salvarsi dicendole che, entro qualche settimana
avrebbe ricevuto una prova inconfutabile sul fatto che tanto suo
marito quanto sua figlia fossero in vita.
Tre
settimane dopo, la donna ricevette un pacco. Il mittente,
all’apparenza, era suo marito.
Dentro
il pacco si trovava una lettera, apparentemente scritta da lui.
Raccontava
di come si sentisse solo senza di lei e di come sua figlia, ogni
giorno gli faceva sempre la stessa domanda “Quando torna la
mamma?”
Raccontava
anche di come stesse cercando di far vivere a sua figlia la una vita
il più normale possibile.
Ad
accompagnare la lettera un bracciale in metallo.
Era
davvero stupendo.
Un
biglietto la invitava a indossarlo.
Diceva
anche che l’avrebbe aiutata a sentire più vicina a
sé la sua
famiglia.
Graziano,
vedendo la donna indossare il bracciale, sorrise.
Il
suo piano aveva funzionato alla perfezione.
Indossando
il bracciale, la donna non si accorse di nulla.
Anzi,
era felice.
Raccontava
di come sentisse davvero la sensazione di avere vicino a sé
la sua
famiglia e di come iniziasse a non sentire più il bisogno di
unirsi
a loro.
Graziano,
nel corso degli anni, era riuscito a scalare le gerarchie e ora era
lui il capo.
Una
decina di anni prima, ricevette una soffiata.
Sebastian
si era trasferito a Ferropoli. E aveva iniziato una carriera come
professore.
Nulla
di interessante, apparentemente, almeno fino a quando l’uomo
non
scoprì che Sebastian collaborava ancora con quella Suzanne,
la donna
che lo aveva aiutato a fuggire.
E
grazie a una sua talpa scoprì le loro intenzioni.
Aveva
mandato uno dei suoi sottoposti in avanscoperta.
Avrebbe
dovuto fingersi interessato al loro progetto e dar loro tutti i soldi
necessari. Un affare che se fosse andato per il meglio, si
sarebbe potuto ricoprire d’oro.
Il
suo sottoposto, ogni settimana, gli mandava dei dettagliati rapporti
sui lavori e su quanto tempo ci sarebbe voluto per concludere
l’opera
e sbarazzarsi dei due.
A
un certo punto questi rapporti smisero di arrivare. Causando
l’ira
dell’uomo.
E,
scatenando, nei pensieri del malavitoso l’idea il suo
sottoposto
l’avesse tradito.
Ricordava
ancora l’ultimo rapporto ricevuto. Quest’ultimo
riguardava
l’acquisto e la ristrutturazione parziale di un edificio
abbandonato. A quei tempi presentarsi di persona o far arrivare
qualcun altro dei suoi, avrebbe solamente attirato troppo
l’attenzione, il suo pensiero poteva essere condensato nella
fase
“ovunque si trovino quei materiali, sono roba mia”.
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