Un regalo per i Saturnali

di Dorabella27
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UN REGALO PER I SATURNALI
 
1 - Attraversava la notte dicembrina, un passo dietro l’altro, con andatura vacillante.
 
Tornava a casa. Casa: bella parola, se non che la sua “casa” non era quella che tutti conoscevano e che da tutti gli era attribuita.
 
Quante ne aveva prese….e quante ne aveva date! Anzi, nel bilancio fra dare e avere - così rifletteva il giovane uomo biondo, dal fisico massiccio e ben allenato, che si trascinava, fermandosi ogni tanto, la mano appoggiata a un muro per reggersi in piedi mentre riprendeva fiato -, poteva dire di essersi difeso egregiamente in quella rissa da taverna; soltanto, il pugno che aveva rimediato nell’occhio destro gli avrebbe regalato, l’indomani, un vistoso livido, e l’incapacità di sollevare la palpebra, insieme ai rimproveri di sua madre che, lo sapeva benissimo, potevano essere taglienti più della lama di un pugnale. E se l’occhio non si fosse mai ripreso? Beh, sorrise fra sé, cercando di farsi coraggio (anche se un poco di paura ce l’aveva), non sarebbe andata comunque male: avrebbe messo una benda sull’occhio, come Filippo di Macedonia[1], o come Antigono Monoftalmo, e tutti avrebbero mormorato e strologato sulla vera causa di quella menomazione, attribuendola alle motivazioni più bizzarre e favolose: tutto di guadagnato per consolidare la fama delle sue bizzarrie, che era già robustamente diffusa.
Sorrise fra sé, mentre girava l’angolo e si avviava verso una elegante, ma sobria, domus[2] sull’Esquilino, ben lontana dal Palatino e dai suoi intrighi.
Camminava solo, come sempre quando si avventurava nelle sue esplorazioni notturne dei quartieri popolari. Ma a guardia della casa, discretamente, stazionavano due pretoriani, spogliati delle loro divise, che ciondolavano come due qualsiasi, robusti sfaticati, nei pressi dell’ingresso; mentre, dentro, accanto alla guardiola dell’ostiarius[3], gli altri due pretoriani incaricati di sorvegliare la dimora erano nel loro apparato consueto, armati di tutto punto. Gliel’aveva suggerito Anneo, quell’artificio, prendendosi insolitamente a cuore, una volta tanto, i suoi desideri; e non certo disinteressatamente, rifletteva il giovane uomo: ogni pretesto che potesse contribuire a intaccare l’autorità di sua madre era davvero oro per il suo precettore e consigliere. Per cui, quell’amore nato senza clamori, lontano dal Palazzo, per una ragazza di oscure origini, che Agrippina, forte della spocchia di essere discendente del Divo Augusto e figlia del grande Germanico, disprezzava esplicitamente, era invece stato per Seneca una ottima occasione per erodere l’autorità della madre del princeps.
Addirittura, inizialmente Atte era stata fatta passare per la favorita, l’amante, la concubina di uno dei nipoti di Seneca, o degli amici di Nerone, ed era stato Seneca stesso ad affittare quella domus, perché la sistemazione della ragazza, se qualcuno si fosse preso la briga di controllare i conti, non risultasse pagata con una uscita proveniente dal fisco privato dell’imperatore. E ora, poi…. Il suo precettore e consigliere aveva dato l’assenso alla proposta più pazza che Nerone avrebbe mai potuto avanzare. Era un rischio, e grosso, lo sapeva, ma doveva provare.
 
2 – Nel frattempo, aveva attraversato l’atrio, ed era giunto al cubiculum[4] dove Atte stava riposando, immersa nel sonno profondo, al gallicinium[5], ravvolta in una coperta di finissima fattura, imbottita di calde piume d’oca.  Nerone si sedette, gentilmente, sul letto, accanto a quella figura femminile che riposava nel buio, respirando gentilmente. Atte… nessuno l’aveva mai amato come faceva lei, sinceramente,  per quello che era, da quando nemmeno aveva capito chi fosse quel giovanotto un poco spaccone che una sera si era trovato a secco di denaro, nella caupona[6] dove la giovane lavorava come inserviente, perché qualche avventore svelto di mano gli aveva rubato la scarsella con i pochi sesterzi che egli si portava dietro nelle sue avventure in incognito.
        Nerone sospirò: forse soltanto da bambino aveva sperimentato un analogo senso di libertà, ma solo per breve tempo. Era accaduto quando sua madre, al tempo del suo secondo matrimonio con quel brav’uomo di Passieno Crispo[7],  l’aveva affidato alle cure della zia Domizia[8]. Nella casa della zia, il piccolo Lucio – che sarebbe diventato “Nerone” solo dopo qualche anno, dopo l’adozione da parte dello zio imperatore Claudio – era accudito con quell’affetto, tollerante e un poco distratto, che consente ai bambini di sentirsi amati, ma, allo stesso tempo, liberi di coltivare le proprie passioni e i propri giochi fantasiosi, e persino di annoiarsi liberamente, senza che nessuno li pressai troppo perché si dedichino agli studi in preparazione di uno smagliante futuro. Futuro che, del resto, per il piccolo Lucio sembrava molto incerto, all’epoca, e tale da riservargli nel migliore dei casi un ruolo di secondo piano nella ramificatissima famiglia imperiale.
Con Atte, finalmente, Nerone aveva ricominciato a provare, ma questa volta in modo più completo perché consapevole e adulto, quel senso di tranquillità e pace, quella possibilità di respirare liberamente, senza affanni, senza doversi guardare le spalle, lontano dal clima di sospetto che avvelenava ogni momento sul Palatino. Atte gli era sinceramente affezionata: non gli aveva chiesto mai nulla, non aveva inteso il favore del princeps come una ghiotta, irripetibile occasione per accumulare oggetti di lusso, case, gemme e ricchezze; soprattutto, non si immischiava di politica: non le interessava, gliel’aveva detto più volte, non la capiva e non voleva averci nulla a che fare. Come era diversa la sua semplice bontà dall’intrigante ambizione di sua madre, o dal cipiglio fiero di Ottavia, la figlia di Claudio, la moglie che Agrippina gli aveva imposto.
3 – Azzardò una carezza leggera sui capelli di Atte, che a quel tocco si risvegliò con un mugolìo sommesso.
“Mmmmhhhh….. chi è?”
Ocelle,[9] sono io…”
“Lucio!”, esclamò lei, uscendo di botto dal dormiveglia, e sedendosi sul letto. La ragazza si alzò, in fretta, le snelle rotondità della sua figura accarezzate dalla lunga tunica di pregiatissimo bisso. “Non sapevo che saresti venuto, oggi, altrimenti ti avrei atteso sveglia”, disse nel suo tono dolce e tenero, mentre, con gesti veloci e sicuri nel buio, accendeva la lucerna; poi, posatala, su un basso mobile, guardò in visto il suo Lucio, e non poté trattenere un urlo preoccupato: “Ahh!!! LUCIO! L’occhio! Che ti è successo?”.
“Nulla, nulla di che”, la rassicurò lui, facendola sedere di nuovo accanto a sé, sulla sponda del letto.
“Ma… ma…guardati…voglio dire … l’occhio…. Che cosa hai fatto?”. La voce aveva l’intonazione della preoccupazione sincera, gravida di pianto, e le dita delicate sfioravano l’occhio offeso. “Aspettami qui, Lucio. Vado a prendere qualcosa per medicarti….e poi sarà necessario consultare un medico..:”. E già si stava alzando, ma Nerone la trattenne per il polso.
“Aspetta un attimo, Atte: non è poi così urgente”.
“Ma…”
“Sopravviverò, credimi. Ora, però, vorrei parlarti di due questioni. La prima è questa….”, e frugò in un sacchettino di cuoio che teneva appeso al collo, sotto la semplice tunica un po’ lisa e il mantello di lana grezza con cappuccio. Il sacchettino era strettamente legato con un nastro: Nerone armeggiò un poco nel buio con le dita tozze, e poi ne trasse un oggetto minuscolo, scintillante nel buio, che porse ad Atte: “Questo è per te: una piccola strenna per i Saturnali[10]. Non ti ho dimenticata,  lo sai, vero?”; e così dicendo le sfiorò le labbra con un bacio leggero.
Atte si rigirò fra le dita l’incredibile smeraldo, montato su un semplice cerchio d’oro, che faceva risaltare la sontuosità incredibile della pietra. “Lucio… è bellissimo….ma … è troppo….”. Poi, come se avesse realizzato solo in quel momento il rischio corso dall’amato, volse gli occhi verso di lui, nel buio appena rischiarato dalla lucerna poco discosta: “E te lo sei portato addosso, per tutta la notte, per taverne e strade poco raccomandabili? Che incosciente, Lucio, che incosciente! Non sai che qualcuno avrebbe potuto ucciderti, per rubartelo, se solo avesse sospettato che avevi con te un simile tesoro?!”
Il tono di rimprovero tradiva una sincera preoccupazione, e Nerone ne sorrise.
“Non potevo lasciarti senza un regalo per i Saturnali. E  non avrei potuto allontanarmi dal Palatino un’altra sera, in questo periodo … per cui ho pensato di fare il mio consueto giro per la Suburra – lo so, lo so, è pericoloso – e poi passare direttamente qui da te”:
“…..”
Colto un tono di tacito, accorato rimprovero nel silenzio di Atte, Nerone prese l’anello dalle mani della giovane, e glielo mise all’anulare sinistro, da dove, dicono i medici e i filosofi, parte un nervo che arriva diritto al cuore. Poi, la abbracciò, e mentre lei gli teneva il capo sul petto, Nerone arrivò a trattare la seconda questione, quella davvero importante: “E a proposito di Palatino … Atte, non vorresti venire a vivere là, con me?”.
La ragazza sollevò il capo e cercò gli occhi di Nerone, nel buio: “Ma che dici? IO? E … Ottavia?”.
Ottavia: quella moglie impostagli era una spina nel fianco di Nerone. Certamente, non le poteva imputare a colpa la decisa antipatia, per non dire l’ostilità, che la consorte provava per lui, e non soltanto per l’abissale differenza di indole fra i due; pesavano, e come non avrebbero potuto?, le morti di Claudio e Britannico[11]. Ma quell’ostilità che gli avvelenava la vita e ogni singolo momento che passava sul Palatino, ora sarebbe finita: il solito Seneca gli aveva prospettato un sistema semplice e geniale, con l’assenso di Burro[12], che annuiva silenziosamente, seduto in un angolo, mentre il suo antico precettore gli esponeva il suo piano.

4 - “Vedi, Atte, la tua condizione di liberta ti espone, purtroppo, alle critiche e al malanimo, lo sai”  - iniziò a spiegare Nerone, ripensando con stizza al disprezzo di sua madre, che, una volta scoperto il suo rapporto con Atte, l’aveva bollata con l’epiteto di muliercula[13] –ma potremmo avere trovato un sistema per consentirmi di divorziare da Ottavia e di sposarti in tutta tranquillità…”
“Lucio! Divorziare da Ottavia? MA SEI IMPAZZITO?!”. Il cuore della giovane sussultava: non che non avesse mai sognato di essere la legittima moglie di Lucio, ma capiva bene che la sua condizione di oscura ex schiava non le avrebbe mai consentito di realizzare quella folle, dolce fantasia; soprattutto, comprendeva che sarebbe stato rischioso provocare Ottavia e i suoi sostenitori, il Senato, e, soprattutto, Agrippina, con una mossa azzardata come il divorzio da una moglie nobilissima ancorché imposta, per … la prospettiva di impalmare una liberta! No, no, bisognava restare con i piedi ben piantati in terra, e non pretendere troppo dai Fati, che già erano stati con lei e Lucio fin troppo generosi.
“Ascoltami, Atte” – ora la voce di Nerone si era fatta seria- “So bene che non è possibile che un princeps sposi una liberta … ma se avessi le prove che tu discendi da una famiglia principesca, e che nelle tue vene scorre sangue regale, non sarei giustificato?”
“Oh, Lucio, ma che dici! Non siamo in una commedia di Plauto! Che cosa hai in mente?”.
“Abbiamo pensato a tutto, con Seneca, Burro e gli archivisti e i bibliotecari di corte: da oggi tu sei ufficialmente la discendente dei sovrani di Pergamo, di quell’Attalo III che lasciò in eredità il suo regno a Roma[14]. E come tale verrai ricompensata dell’atto di generosità del tuo antenato, diventando la  nuova Augusta!”.
“Lucio! Non scherzare!”.
“Non scherzo affatto, Atte. Il mio secondo regalo per i Saturnali è questo: una ascendenza regale, e una proposta di matrimonio. Lo accetti?”.
E Atte non poté che annuire.
 
NOTA DELL’AUTRICE
 
Questo racconto, ambientato durante i Saturnali –l’equivalente romano del Natale- si colloca in un momento particolare della vita dell’imperatore Nerone: poco dopo essere salito al trono, anche grazie all’audacia della madre Agrippina, che eliminò il marito e zio Claudio con un piatto di funghi avvelenati (così dicono le fonti), il giovane sovrano iniziò a rendersi conto che l’ambizione della madre non si sarebbe mai fermata. Ben presto, l’amore per la liberta Atte divenne il banco di prova della progressiva autonomia d’iniziativa del giovane princeps, che venne, dicono Tacito e Cassio Dione, aiutato da Seneca e da altri personaggi della corte, che coprirono e protessero questo sentimento nascente, osteggiato dalla madre del princeps. A quanto pare, Nerone, per potere con ragione divorziare da Ottavia, figlia di Claudio, e impalmare Atte arrivò a farle costruire da parte di compiacenti intellettuali di corte un albero genealogico falso, che la presentasse come discendente dei sovrani pergameni. Il tentativo fallì, e Nerone divorzierà da Ottavia, facendola mettere a morte, nel 62, per sposare Poppea. Ma Atte resterà per tutta la vita, fedele e affezionata, accanto a Nerone, che la coprirà di doni e di ricchezze. E Atte sarà vicina a Nerone anche quando, negli ultimi, drammatici momenti dell’esistenza del princeps, quando egli sarà abbandonato da tutti; e anzi, sarà lei, insieme alle nutrici dell’imperatore, ci dice Svetonio, a provvedere alla sua sepoltura. Dalle notizie che ci vengono dalle fonti, ci possiamo fare l’idea di una donna sinceramente innamorata, e, soprattutto, completamente disinteressata agli intrighi politici, cosa che dovette renderla gradita a Seneca e ad altri membri della corte.
Quanto alle notti brave del princeps nei quartieri popolari e nella zona di Ponte Milvio, anche di queste parlano gli storici, come pure del fatto che, in una di queste zuffe, egli venne seriamente ferito a un occhio.
Tutto il resto, è invenzione. Ma, se vi capita per le mani, vi consiglio la lettura di Atte di Dumas Père, un piacevolissimo feuilleton.
A tutti voi, che siete arrivati a leggere qui, grazie della vostra attenzione, e del vostro tempo; e, naturalmente, buon anno.
 
[1] Il padre di Alessandro Magno, che aveva perso un occhio.
[2] Abitazione signorile romana di città, disposta su un unico livello.
[3] Portinaio, guardaportone.
[4] Camera da letto.
[5] Propriamente, la parte della giornata che corrispondeva alla IV vigilia (turno di guardia) dei militari: andava dalle 3 alle 6 del mattino.
[6] Taverna, osteria frequentata da avventori di basso ceto.
[7] Secondo marito di Agrippina Minore, madre di Nerone: la sua morte prematura venne da alcune malelingue attribuita al veleno, e la sua responsabilità addossata alla moglie.
[8] Zia di Nerone, che ebbe in custodia il bambino per qualche anno, e che poi, dicono gli storici per insistenza di Agrippina, venne fatta condannare a morte da Nerone con l’accusa di pratiche magiche e complotto ai danni dell’imperatore.
[9] Letteralmente: “Occhietto”, vezzeggiativo affettuoso.
[10] I Saturnali, che i Romani festeggiavano nel mese di dicembre, erano una festa che aveva in sé qualcosa del nostro Carnevale (schiavi e padroni si scambiavano, brevemente, i ruoli), ma anche qualche tratto del Natale, soprattutto per la tradizione di scambiarsi piccoli doni, le cosiddette “strenne”.
[11] Rispettivamente, il padre e il fratello di Ottavia.
[12] Prefetto del pretorio e di fatto coreggente dell’impero insieme a Seneca, nei primi anni di regno di Nerone.
[13] “Donnetta, donna da poco”.
[14] Nel 133 a. C..




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