Lo
squillo martellante
del telefono la svegliò alle sette di un freddo sabato
mattina.
La
prima cosa a cui Midge
pensò fu l’incolumità dei suoi figli.
Tuttavia, era abbastanza certa di averli
messi a letto al solito orario e, quindi, che dormissero ancora beati
nelle
loro stanze. Poi, controllò che la sveglia segnasse
l’ora giusta: l’aereo sul
quale doveva viaggiare la sua manager sarebbe decollato a breve e, a
meno che
le fosse sfuggito qualcosa tra un drink e un altro, le pareva di
ricordare una
forte intenzione di partire da parte di Susie. Avevano festeggiato la
vigilia
del primo tour di Alfie alzando un po' il gomito; questo invece lo
ricordava molto
chiaramente.
Si
alzò sbuffando per
prendere il telefono dalla cucina e portarlo il più
velocemente possibile sotto
le coperte.
«Miriam?»
La voce
affannata di Susie smentì il suo ragionamento.
«Possibile
che siate già
arrivati? Apprezzo il tuo zelo, ma non potevi aspettare un altro paio
di ore
per aggiornarmi?» Si accucciò al caldo,
stringendosi nella vestaglia, quando
all’improvviso sentì l’ansia affiorarle
nel petto. Un trambusto lontano,
infatti, era giunto al suo orecchio rendendole chiaro
l’acceso diverbio che si
stava consumando al di là del ricevitore.
«Ohilà,
siete tutti vivi?
L’aereo è atterrato sulla terra
dell’Illinois come da programma? Aspetta un
attimo, perché sento anche la voce di Dinah?»
Finalmente
avvertì il
fiatone di Susie soffiare di nuovo nella cornetta, «Certo,
come da programma!
Se solo capissi per quale motivo il tuo amico qui vorrebbe escluderci
dallo
stramaledetto programma!»
«Lui
dice che ha avuto una
specie di presentimento!» Dinah urlò in modo che
anche Midge la sentisse.
«Ah,
ora è così che si
dice? Ai miei tempi ti rinchiudevano per molto meno.»
Sentendosi
chiamato in
causa, anche Alfie si unì alla conversazione,
«Qualcuno la definirebbe magia.»
«Ascoltami,
Miriam. Devi
venire subito qui.»
Midge
si liberò dalle
coperte alla velocità della luce, ma attese qualche secondo
in silenzio per
metabolizzare quella manciata di informazioni. I posteri della sbornia
si facevano
sentire più di quanto pensasse.
«Hai
presente il significato
della parola “subito”?»
Tornò
in sé quasi immediatamente,
«Ma sì, lasciamo la povera Midge
all’oscuro di tutto. Facciamola precipitare
nel gelo di New York senza l’ombra di una rassicurazione o
almeno di un indizio
che le consenta di non vagare a vuoto per la
città!»
«D’accordo,
ma non ci
capirai nulla lo stesso. Alfie vuole che tu venga in aeroporto con noi.
No, non
chiedermi per quale fottutissimo motivo si sia messo in testa questa
folle idea
un’ora prima di prendere il volo. Potrei non essere
responsabile di ciò che
uscirà dalla mia bocca se la tappa di Chicago saltasse
in aria.»
«Oh,
veramente io...»
«Sto
rimpiangendo la
prima di Miss Julie e quella psicopatica di Sophie
Lennon come cliente. Questo
ti basta per capire la gravità della situazione? Dare buca
al primo spettacolo
del tour è come firmare la garanzia del fallimento
dell’intero tour, so che puoi
arrivarci.»
«Così
sarei costretta a
saltare la colazione. L’hai considerato?»
«Hai
ragione, che razza
di insensibile che sono! Ti prego di perdonarmi, Midge. Ma cerca di
vedere il
lato positivo: lavoro in meno per Zelda, ore in più di sonno
per i tuoi figli e
meno cibo sprecato nell’Upper West Side. Di solito non hai
bisogno di questo
tipo di incoraggiamenti per essere ottimista. Sei la fata del buon
umore, cazzo!»
«E
tu quella del sarcasmo,
Susie. Se mi avessi dato il tempo di completare la frase ti saresti
sentita
dire un bel…»
Susie
riagganciò senza lasciarla finire.
Si
incontrarono
direttamente in aeroporto. Susie, in preda ad un assalto di nervi,
stava
consumando il suo secondo pacchetto di sigarette della giornata. Alfie,
invece,
tentava inutilmente di intrattenerla con un mazzo di carte, allenando
così le
sue capacità di prestidigitazione. All’improvviso
si sentì arrivare una
gomitata nel fianco.
«Ahi!»
«Ehi,
quella è davvero
lei oppure è un miraggio?»
«Me
lo chiedi perché sarei
l’esperto in visioni paranormali?»
Midge
si guardò intorno
sperando di farsi notare dai suoi amici. Indossava un abito fucsia e un
cappotto abbinato che difficilmente l’avrebbero fatta passare
inosservata tra
la folla anonima dell’aereoporto.
«Finalmente
sei arrivata!
Su, accelera il passo!» Susie lanciò a terra il
mozzicone e prese a correre
verso il check-in.
Col
fiatone, Midge si
rivolse al mago, «I-in… che cosa dovrebbe
consistere esattamente il mio
intervento qui? Non vedo in cosa poteri esserti utile.»
«Non
per fare la sua aiutante,
di sicuro! Alfie, devi sapere che i comici sono davvero delle brutte
persone.
Non amano condividere il palcoscenico con nessuno. Ti fanno fuori con
una
battuta, vedi il caso Baldwin. E con te potrebbe accadere in senso
letterale,
sai cosa intendo?»
«Ti
ringrazio per la puntualizzazione.»
La
manager alzò le spalle
voltandosi dalla sua parte, «Meglio non illuderlo,
no?»
«Tu
aspetti qualcuno da
Los Angeles, Midge.»
Alfie
le indicò il punto
degli arrivi, non troppo distante da loro.
«E’
una domanda o
un’affermazione?» Chiese lei, già
piuttosto confusa da quel tono deciso,
cercando appoggio nello sguardo non meno perplesso dell’amica.
Ad
un tratto, tuttavia,
la risposta di Alfie non fu più necessaria. Vide Lenny
indirizzarsi verso
l’uscita con una borsa in mano e l’espressione
triste stampata sul volto. Non
sapeva se avvicinarsi o meno. Dal suo trionfo alla Carnegie Hall tutto
era
stato lasciato in sospeso.
Alfie
la incoraggiò a
farsi avanti, senza perdere tempo a pianificare il discorso, a
scegliere le
parole perfette con cui aprire la conversazione. Era una donna adulta e
poteva
certamente affrontarlo senza paura.
Il
guanto rosa si posò
delicatamente, ma con decisione, sulla sua schiena, facendolo voltare
immediatamente. La reazione di Lenny fu di sorpresa e imbarazzo.
Eppure, dopo
il disorientamento iniziale, i suoi occhi si riempirono di un piacevole
stupore.
«Ehi.»
Disse Midge
«Ehi! Avevamo
un appuntamento?
No, certo che no. Non me lo sarei mai potuto dimenticare.»
Se
avesse continuato a
guardarla in quel modo per un’altra manciata di secondi,
Midge si sarebbe
catapultata su di lui senza rifletterci due volte. Moriva dalla voglia
di
baciarlo di nuovo, ma l’orgoglio era una catena che la
tratteneva da uno
slancio troppo rapido verso la riconciliazione.
Scosse la testa, «Il
mio piccione viaggiatore non precorre le lunghe distanze. Quindi,
questa volta non
ho inoltrato nessun messaggio volante per avvisarti.»
«Mhmm…penso
che il tuo
piccione non abbia voluto raggiungermi.»
«E
puoi compatirlo? Non
aveva neanche il tuo indirizzo.»
«Los
Angeles non è
proprio l’ideale per vincere facilmente a
nascondino.» Lenny fece un respiro
profondo, poi continuò «Però, scommetto
che sarebbe riuscito a trovarmi se lo
avesse voluto.»
«Seguendo
nell’aria il
profumo della tua colonia?»
«Direi
piuttosto la mia
incontenibile voglia di essere trovato da te.»
Rimase
sbigottita. Quale poteva essere la risposta più appropriata
per
esprimere la leggerezza che provava ad essere libera dalla paura della
sua
indifferenza?
«Avrai
avuto centinaia di proposte indecenti, chi vuoi prendere in giro?»
Alzò un sopracciglio, «Vale
lo stesso per te. Ci scommetto.»
«Non
era un insulto. Dovresti sentirti lusingato, piuttosto.»
Lenny
abbassò lo sguardo, colto in un rarissimo momento di
disagio.
Tuttavia,
prima che
potesse replicare, Alfie si intromise fra di loro e trascinò
Midge via con sé.
«Questa
volta ho davvero
bisogno del tuo aiuto. Si è appena aperta la finestra
temporale che stavo
aspettando, ma non preoccuparti. Andremo solo quando ti sentirai pronta
e
soprattutto ben ancorata a terra.» Indicò un
divanetto oltre le larghe spalle
di Lenny.
Midge
annuì con scarsissima convinzione. Poi, nel momento in cui
Alfie
scoccò le dita davanti agli occhi la vista le si
offuscò completamente e si
ritrovò immersa in un surrogato della realtà
spaventosamente vivido.
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