CAPITOLO 13
“Il risveglio di Gozuki”
Mattina presto.
Una sorprendentemente assonnata Sara Silvestri scese le scale della
villa, con passo lento ed incerto, per dirigersi verso la cucina al
piano inferiore.
Qui, con gli occhi ancora socchiusi, notò il piccolo Igor Wansa
seduto al tavolino. Il bambino era tutto impegnato a disegnare
qualcosa su un foglio di carta. Lei gli si avvicina.
“Che stai disegnando, Igor?”.
Il russo, nonostante il suo potere psichico, non si era minimamente
accorto della presenza della bionda. Perciò fece un gran scossone,
perdendo anche la presa sul pennarello marrone, e guardò verso
l’alto.
“Oh scusa, ciao Sara! Stavo disegnando i mostri di ieri”.
Nel dire ciò, gli fece notare la presenza di altri due fogli, con le
rispettive opere terminate.
L’italiana si avvicinò di più al ripiano, spalancando per bene
gli occhi per ammirarli meglio.
“Molto interessanti” si complimentò, prima di indicare qualcosa
“E quelle lettere sotto i disegni cosa sono?”.
“I loro nomi”.
“Gli hai dato dei nomi?”.
“Certo!” fu la pronta risposta “Edzisera,
Prant e Sany”.
“Com’è che ti sono venuti in mente?”.
“Così. Ho usato la fantasia”.
Sara scosse il capo con fare affermativo, mentre si girava verso la
credenza con le tazze da colazione.
“Vuoi fare colazione anche tu, Igor?”.
Nessuna risposta.
A quell’improvviso silenzio, la donna si voltò preoccupata
“Igor?”.
Il più giovane dei mutanti se ne stava ora con lo sguardo fisso
verso la finestra che dava sull’esterno. Silvestri andò subito a
controllare, non notando però alcuna anomalia nel giardino che
circondava l’abitazione.
“Che succede, Soggetto N. 1?”.
“Oddio… è tornato!” bisbigliò appena.
“Chi è tornato?”.
“Go… Go… Gozuki!”.
La responsabile spalancò gli occhi “Dove si trova?”.
“C-Credo sia Tokyo”.
“Un classico…” fece un mezzo sorriso lei “Vado a svegliare
gli altri. Si va in missione!”.
Tokyo
La baia della capitale giapponese pareva tranquilla, seppur nel suo
classico caos programmato, con i suoi tre porti, due aeroporti,
l’autostrada e la ferrovia.
Improvvisamente, anche i piccoli lestofanti presenti, dediti a
traffici illeciti, si bloccarono. La superficie marina s’ingrosso
fino a spaccarsi. Da sotto di essa, spuntò un enorme muso squamoso e
allungato. Gli occhi tondi e feroci guardavano fissi il nuovo
panorama che avevano davanti. A poco a poco, tutto il corpo da
rettile, che passava dal beige sul ventre a tonalità più scure
sulla schiena spinosa, emerse totalmente, provocando delle surreali
cascate sul porto cittadino.
Poggiate entrambe le zampe artigliate sull’asfalto, che si crepò
all’istante, Gozuki tirò indietro la testa, spalancò le fauci ed
emise il suo tremendo ruggito.
Grazie alle sue notevoli abilità di volo, Jack Lincon fu il primo
degli Humana a raggiungere la capitale nipponica.
“Era da tanto che non visitavo Tokyo…” esclamò, tra uno
sbadiglio e l’altro.
Non fu certo difficile trovare il suo obiettivo, visto l’enorme
lucertolone che svettava anche sui grattacieli più elevati.
“Ho trovato la nostra bella iguana, signori” comunicò con la
mente ai compagni, usando chiaramente Igor come ponte telepatico.
Gozuki sembrò finalmente notare il suo avversario. Come si fa
d’estate con le zanzare più fastidiose, tentò di allontanarlo
muovendo le corte zampe superiori, seppur risultando in maniera
decisamente goffa.
Per strada, un boxer abbaiava verso il mostro, incurante del pericolo
dovuto anche solo alla differenza di stazza fra i due, mentre il
padrone cercava di tirarlo via tramite il guinzaglio.
“Vieni via, stupido di un cane!”.
Furioso per la non riuscita della sua impresa, Gozuki emise un
fortissimo ruggito.
Tappandosi le orecchie con le mani, l’inglese si allontanò il più
possibile dal kaiju.
“Chissà da quanti eoni non si sentiva un tale urlo sul pianeta
terra…” si chiese, mentre abbassava le mani e fissava il suo
nemico.
Per strada, un ufficiale di polizia portava via un’anziana signora.
Quest’ultima era rimasta paralizzata nel vedere quella visione così
soprannaturale per lei.
“Bakemono! Bakemono!” urlava tremante.
“Dai seguimi, scemo!” sbraitò il Soggetto N. 2 contro la
creatura, mentre si faceva inseguire per allontanarlo il più
possibile dal centro abitato.
Alzando la testa in avanti, vide che le navi fortunatamente stavano
allontanandosi rapidamente dal porto. Riuscì anche a leggere il nome
di una di esse. The Unfriendly Gladys.
“Bene così!” bisbigliò compiaciuto.
Con una secca virata, il dandy si rimise in posizione verticale,
seppur ancora fluttuando nell’azzurro cielo giapponese.
“Quanto ci mettono quegli altri ad arrivare…” la preoccupazione
cominciava ad assalirlo.
Nel vicino porto di Yokohama, il sommergibile degli Humana emerse
dalle acque scure. Una volta stabilizzatosi, fu aperto il portellone.
“Questo sottomarino si sta rivelando davvero prezioso, non vi
pare?” osservò Bernardo Borghi, appena sbucato fuori.
“Non perdere tempo e sbrigati ad uscire!” lo riprese Chang Yu che
stava salendo la scaletta proprio sotto di lui.
In pochissimi minuti, erano tutti e otto sulla terra ferma.
“Bene gente” Sara Silvestri prese subito il comando delle
operazioni “Soggetto N. 1 rimarrà qui con me” gli mise una mano
sulla spalla “così da poter coordinare tutte le vostre azioni”.
“È giusto” confermò il Soggetto N. 5.
“Mentre il Soggetto N. 2 distrae Gozuki, voglio che qualcuno di voi
si occupi anche dei civili. Sono certa che l’efficienza dei
giapponesi si sia già messa in moto, ma comunque non tollererò
vittime in questa nostra missione”.
Tutti gli uomini in rosso e giallo la osservavano decisi.
“Soggetto N. 3” riprese la bionda.
“Sì?”.
“Voglio che sia tu a coordinare il soccorso fra la gente in
strada”.
“Certo Sara. Lascia fare a me”.
“Le ultime parole famose…” pensava sconsolata Frédérique,
mentre osservava orde di persone prese dal panico che correvano
all’impazzata sulle strade cittadine.
Cercando di riprendere la situazione in pugno, lei utilizzava i suoi
poteri per vedere se, all’interno degli edifici che aveva intorno,
erano presenti persone in difficoltà.
L’ennesimo ruggito furente di Gozuki la fece sobbalzare, per poi
cadere sull’asfalto. Rialzatasi, notò di essere di fronte ad uno
stadio. Molto probabilmente doveva trattarsi di baseball, visto le
uniformi indossate dai bagarini che, terrorizzati, lanciavano per
aria i loro biglietti e scappavano via urlanti.
Tutte quelle grida le facevano perdere il senso dell’orientamento,
finché non si concentrò su qualcosa di specifico.
“Attenta!” urlò la francese, mentre con la sua vista calorifica
riusciva appena ad incenerire un mattone proveniente dall’alto. O
almeno sperava che lo fosse.
La potenziale vittima di tale caduta le si avvicinò grata. Solo
allora la ballerina notò il costume da cosplay, nello specifico da
sexy vampira, indossata dalla ragazza.
“Arigato!” ripeteva come un’ossessa la giovane brunetta,
accompagnando il tutto con rapidi inchini consecutivi.
“Ok ok!” tagliò corto la mutante “Ora cercati un luogo
sicuro!”.
Incredibilmente, l’asiatica parve capire cosa le aveva consigliato
l’europea e si dileguò nella folla.
Chi invece sembrava a proprio agio in quella situazione di assoluta
emergenza era un altro cosplayer, questa volta maschile, che stava
aiutando i suoi concittadini a trovare un riparo, mentre indossava
una classica tenuta da ninja.
Il soggetto N 3 gli si avvicinò, parlandogli in inglese “Ehi, tu!
Grazie per darmi una mano con tutta questa gente! Te la cavi davvero
bene! Però, mi raccomando, non abbassare la guardia e stai attento a
dove metti i piedi!”.
Lui gli fece cenno di sì con il capo “Sei una gaijin?”.
La stessa gaijin ringraziò il cielo di aver trovato qualcuno con cui
poter comunicare “Esatto, anzi sono anche più di quello, però ora
non ho tempo per spiegarti. Per il momento, tieni le persone lontane
dagli edifici, o comunque da tutti i luoghi che potrebbero crollargli
addosso”.
La superficie terrestre tremava ad ogni passo del kaiju. Per fortuna,
le strutture giapponesi, da anni costruite in maniera tale da
resistere ai più forti e intensi terremoti, resistevano bene a
quella catastrofe che, di naturale, aveva ben poco.
“Da dove viene quel mostro?” domandò il ninja.
“Per quanto ne sappiamo noi” Arone gli rispose tra il frastuono
generale “pare provenire dagli abissi dell’oceano, di certo però
sappiamo che fa tanti danni”.
“Lo vedo”.
“Tu come ti chiami?”.
“Puoi chiamarmi Fury”.
“Bel nome!” gli sorrise velocemente la donna, prima che uno
scoppio sopra le loro teste non li fece abbassare all’unisono.
“Cos’è stato?” si tirò subito su il nipponico.
Un uomo, vestito anch’egli con un’uniforme rossa e un’enorme H
gialla sul torso, si avvicinò alla coppia. Fury notò che
quest’ultimo aveva una pistola, o almeno la forma era quella,
incredibilmente fusa con la propria mano destra.
“State attenti anche ai lampioni!”.
“Grazie, Andrea” ritirò su la testa la transalpina.
“I nomi in codice!” la redarguì lui.
“Ah, già!” scocciata, fece un cenno con la mano “Grazie,
Soggetto N. 4”.
“Siete nello stesso gruppo?” s’interessò il ninja.
“Esatto! Ed ora cercate di non starmi tra i piedi, tutti e due!”
ordinò perentorio l’italiano, mentre la sua stessa mano destra
riprese a mutare forma.
“Come se la stanno cavando gli altri?” insistette Arone.
“Credo bene” rispose Alberti “l’unico problema è che, quel
gran figlio di puttana di un lucertolone, è davvero resistente”.
Mentre i due discutevano, un gruppetto di ragazze con finte orecchie
da gatto sulla testa trottarono davanti a loro.
“Oddio, dove sono finito…” esclamò sconsolato il Soggetto N.
4.
“Ma dai, Andrea…”.
“I nomi in codice”.
“Sì, vabbe’…” lo ignorò Il Soggetto N. 3 “sarai stato
giovane anche tu…”.
“Solo per cinque minuti!” replicò secco il soldato.
Giusto per rincarare la dose, una di quelle ragazzine, vestita tutta
di nero compreso le orecchie feline, si avvicinò all’italiano.
Inspiegabilmente, nella sua mano destra portava un finto barattolo di
miele.
“Tasukete!” gli urlò ripetutamente in faccia.
“Non mi rompere le palle, stupida gattara, stiamo facendo il
possibile!” tentò di scrollarsela di dosso imbufalito.
“Cavolo! Dov’è finito il ninja?” si preoccupò improvvisamente
la francese.
“Inizio a non sopportarlo più questo posto” Andrea era sempre
più irritato “quasi quasi lo lascio a Gozuki che, di sicuro, lo
risistemerà per bene”.
“Invece di lamentarti, pensa a far bene la tua missione!” lo
redarguì lei.
Incredibilmente, la ragazza gatto si era staccata dal mutaforma,
spostandosi da un altro cosplayer, forse un suo conoscente.
Quest’ultimo era vestito con una lunga tunica rossa scarlatta che
gli arrivava fino ai piedi. In mano teneva un manoscritto farlocco
con, scritto su di esso, delle improbabili formule alchemiche, o
presunte tali.
L’uomo in rosso e giallo rimase sbigottito nel guardare quella
coppia così assurda “Qui mi sembrano davvero tutti matti”.
Questa volta la donna non replicò, preferendo scandagliare gli
edifici con la sua vista a raggi x.
Fortunatamente, vi erano anche qualche trasformista che si stava
operando nell’aiutare il prossimo. Come un gruppo vestito in stile
francese dell’Ancien Régime che, nonostante la sfarzosità dei
propri abiti, se li strappava e sporcava senza problemi mentre
soccorrevano dei feriti.
Un ramo di un albero distante dalla coppia di mutanti iniziò a
spezzarsi. Le potenti vibrazioni dei passi di Gozuki lo danneggiavano
sempre più, finché non cadde rumorosamente al suolo, per puro caso
senza registrare vittime.
“Andrea, guarda! Quel ramo ora ostruisce una via di fuga!”
Frédérique richiamò l’attenzione dell’amico.
“Tranquilla cara, ci penso io” la mano destra mutava “E ormai
lasciamo perdere i nomi in codice…”.
La sua arma organica aveva una forma allungata. Tramite un mirino
posto su di essa, il ragazzo dai capelli castani chiari puntò
l’obiettivo. Poi fece fuoco. Uno schizzo di un rosso accesso partì
dalla canna del fucile, per finire a sommergere il legno.
Nel giro di qualche secondo, quel liquido caldo e denso andò a
consumare tutto l’ostacolo, comprese le foglie ancora verdi.
“Niente male” riconobbe lei “Che arma è?”.
“Fucile a lava ad ampio raggio” rispose lui.
Una volta terminata la sua operazione di sgombro, la lava si andò
via via a stemperarsi, fino a diventare semplice pietra friabile.
In quell’istante, l’attenzione di Andrea fu catturata dal
manifesto di un locale. Pizza al sushi.
“Non ci siamo proprio…”.
Era ormai da qualche minuto che Geran Giunan fissava l’enorme
dinosauro camminare sopra la capitale del Giappone.
Vicino a lui vi era un negozio di articoli elettronici con, ben
esposti dietro il vetro della vetrina decorata con ideogrammi di
varie forme, vari televisori piatti ben allineati uno fianco
all’altro. In uno di essi si vedeva l’imperatore, visibilmente
preoccupato, che esortava la popolazione a resistere a questo
terribile attacco a cui era sottoposta la nazione.
L’indiano fissò ancora qualche istante quell’autorità a lui
sconosciuta. Poi, voltato il capo, vide un’automobile che, come ce
ne sono tante nel sol levante, assomigliava più ad un cubo con
attaccate quattro ruote. Risquadrò per un attimo il suo gigantesco
obiettivo, per poi avvicinarsi alla vettura.
Senza il minimo sforzo, la sollevò da terra, sorprendendo i pochi
fuggitivi vicino a lui poi, con la medesima facilità, la scagliò
contro la bestia. Quel singolare dardo lo colpì esattamente sulla
nuca squamosa.
La creatura si voltò, più infuriata che mai, emettendo un nuovo
ruggito stridulo.
Il più asociale degli Humana lo fissava con sguardo di sfida, metri
e metri più giù. Sul suo volto comparivano già i colori di guerra
della sua tribù, gli Shoshoni.
Nel mentre, sempre alla televisione, l’ambasciatore degli Stati
Uniti dichiarava che la propria nazione avrebbe offerto il massimo
dell’appoggio alla nazione che lo ospitava.
Per tutta risposta, Gozuki iniziò a sferrare calci alle altre
automobili che aveva ai suoi piedi.
L’insospettabile agilità del pellerossa gli fu molto utile,
riuscendo ad evitare tutte le macchine colpite con notevole
precisione dalle zampe del rettile.
Poco distante dalla lotta, una giornalista e il suo fidato cameraman,
sprezzanti del pericolo, o meglio in cerca dello scoop che poteva
stravolgere la loro vita, si avvicinarono sempre di più ai due
duellanti.
“… Sembra proprio che questa enorme creatura sia comparsa, alla
prime luci del mattino, nella baia di Tokyo…” la zelante
giornalista faceva una rapida ricapitolazione degli eventi.
Vestita con un elegante e, al tempo stesso, economico tailleur, era
ormai a pochi passi dal mutante in rosso e giallo.
“… Qualcuno ha già ribattezzato tale mostro Gibberslash…”.
Il Soggetto N. 5 notò appena la donna, ma tanto basto per distrarsi
ed essere colpito al fianco da un’altra macchina.
L’inviata, alquanto preoccupata, le si fece vicino “C-Come si
sente? C-Chi è lei?”.
L’energumeno giaceva esanime sull’asfalto. Poi riuscì a fatica a
rialzare le larghe spalle. Dopo qualche secondo, fu in grado di
puntellarsi con i gomiti e piegare un ginocchio, in modo da non
strusciare per terra. Ripreso fiato, Geran scrutò, con occhi fissi e
severi, il duo che aveva rischiato così tanto la propria vita.
“Si chiama Gozuki” disse perentorio al microfono, subito
piombatogli vicino alla bocca da cui fuoriusciva un rivolo di sangue.
Ancora sofferente, il canadese tornò a guardare verso Gozuki. I suoi
occhi si spalancarono. Come un giocatore di football americano,
placcò in un sol colpo entrambi i nipponici, facendoli così evitare
di essere investita da un’utilitaria volante.
Questa volta, l’indiano scattò subito in piedi come una molla.
“Andate via di qui! Subito!” gli urlò contro.
I due, ancora a terra e tremanti come foglie, ubbidirono senza
obbiettare. Rapidi, si dileguarono dalla stessa via laterale da cui
erano provenuti. L’operatore, con t-shirt, jeans e cappellino da
baseball, si tenne comunque ben stretta la videocamera sulla spalla
destra.
I due rivali tornarono a fissarsi, questa volta con gran rispetto.
“Solenne Manitù, proteggimi in questa dura battaglia” pregò il
Soggetto N. 5.
Una tipologia tipica, e spesso unica nel suo genere, che si possono
trovare a Tokyo sono i cosiddetti bar a tema. Se ne possono trovare
seriamente di qualsiasi tipo, magari associati a manga, anime o serie
televisive. Quello dove si erano rintanati Chang Yu e Bernardo Borghi
era a tema UFO e dischi volanti in generale.
“… Io col cavolo che esco!” si lamentava il messicano.
“Ma come puoi dire così, Berny!” lo rimproverava il cinese.
“Come posso? Come posso, dici? Ma l’hai visto quel bestione là
fuori?!” indicandogli con un braccio l’esterno dell’edificio.
“Certo che l’ho visto, è lo stesso di Atlantide”.
“Appunto. Io già mi sono cagato sotto ad Atlantide, figuriamoci
ora in Giappone!”.
“Non puoi dire così, Berny. Hai uno dei poteri più fighi
dell’intero gruppo” insistette il Soggetto N. 6.
“Ma piantala!”.
“Dico sul serio. Sei niente meno che un mutaforma!”.
“Anche Andrea lo è!”.
“Sì ma lui è molto più limitato di te. Insomma, può solo
trasformarsi in armi da fuoco. Non ti pare scontato da un
ex-soldato”.
Il Soggetto N. 7 tentennò un po’.
L’altro proseguì “Te invece puoi trasformarti in qualsiasi cosa,
mi pare”.
“Sbagliato. Solo in animali e oggetti”.
“E ti pare poco?”.
“Cioè?”.
“Pensa a tutti gli animali pericolosi che puoi diventare!”.
“Tipo questi?”.
Detto ciò, il baffuto del gruppo tramutò la sua forma
rispettivamente in: montone, gufo, criceto, mucca e foca.
Tutti i pochi clienti rimasti dentro al locale, più che altro nella
disperata ricerca di un rifugio, rimasero sbigottiti.
“Beh…” riprese la parola l’asiatico “ce ne sono anche di
più pericolosi…”.
L’altro riprese forma umana. Intanto, gli stessi pochi clienti di
prima, si misero a fotografare con i propri cellulari la strana
coppia.
“E ora perché questi musi gialli si sono messi a fare foto?”.
“Ehi!” lo richiamò Chen, offeso “sarà per le nostre
uniformi…”.
Dopo l’ennesimo ruggito di Gozuki, i lampadari presenti nel bar,
chiaramente a forma di dischi volanti, si misero ad oscillare
pericolosamente.
“Oh San Domenico, aiutaci tu!” si mise a pregare Bernardo.
“Ora che c’entra San Domenico?”.
“Era tanto per dirne uno”.
“Cerca piuttosto di trovare il coraggio di uscire lì fuori e
affrontare quel mostro!” lo spronò deciso l’amico.
“Ma come faccio…” il Soggetto N. 7 era sempre più disperato
“Ci sono! Sai cosa ci vorrebbe per affrontare quel mostro?”.
“Sentiamo”.
“Una truppa di pipistrelli!”.
“Cosa?”.
“Così possono distrarlo, facendogli perdere il senso
dell’orientamento!” appena esposta la sua idea, il suo corpo si
trasformò in un chirottero.
“Ma chi ti credi di essere, Dracula? O Batman? Non stiamo giocando!
Non siamo in un manga! Qui dobbiamo davvero affrontare un mostro
preistorico!”
“E allora fattela venire tu un’idea geniale!” sbraitò appena
riprese sembianze umane.
Accogliendo l’invito del compagno, il Soggetto N. 6 si mise
intensamente a pensare.
Passarono dei minuti. Bernardo lo fissava fiducioso. Poi sempre meno.
“Magari una cosa di giorno, Chen”.
“Un attimo…” esclamò l’altro, alzando un dito.
Ancora attimi di silenzio.
“Ce l’ho!”.
“Spara!”.
“Potresti provare a trasformarti anche tu in un dinosauro”.
Il messicano soppesò tale proposta.
“Incredibile! In effetti, non è un’idea così malvagia…”
esclamò mentre si lisciava il mento.
“Perché hai voluto aggiungere l’esclamazione “Incredibile!”
all’inizio? mi sento estremamente offeso”.
“Non ci pensare!” tagliò corto il baffuto “Però fino ad ora,
nelle mie trasformazioni, non ho mai affrontato degli animali
estinti”.
“Ma che stai dicendo? Giusto ieri hai replicato quello strano
volatile”.
“Beh, oddio… proprio replicato non direi…”.
“Almeno ci hai provato”.
“Che poi, lo sai che Igor ha dato un nome a tutti e tre quei
mostri?”.
“Davvero?”.
“Sì, però non mi ricordo come l’ha chiamato quello”.
“Comunque, a parte questo, cerca di concentrarti su un dinosauro!”.
“Giusto!”.
Il Soggetto N. 7 chiuse gli occhi. La respirazione si fece più
lenta. Il corpo iniziò a mutare.
Gli occhi si restrinsero. Una volta riaperti, si notarono che anche
le pupille si erano ristrette, e colorate di un rosso rosato. Sulla
testa, i capelli furono ben presto sostituiti da delle spine
acuminate. Il suo corpo si ricoprì di squame bluastre. Il suo viso
cominciò a farsi più rettiliano che umano. Ai lati del viso, le sue
orecchie si allargarono sempre più. Una serie di spine gli
percorrevano lungo la schiena. Sulle spalle, ali enormi e membranose.
Ed infine, una coda tozza con la punta che ricordava un bastone
appuntito.
Yu fissava sbigottito l’amico.
“Allora, come sto?” parlò improvvisamente la creatura di fronte
a lui.
L’altro sobbalzò di paura. Come fecero anche, sui tavolini, le
boccette a forma di alieni contenenti salsa di soia.
“Niente male, direi” riconobbe l’altro “però, di altezza sei
rimasto uguale a prima”.
Il rettiloide controllò visivamente quanto appena affermato.
“Magari, una volta usciti di qui, potrai crescere a piacimento”.
“Forse…”.
Un sorriso si dipinse sul volto del cinese “Benissimo! Siamo pronti
per attaccare!”.
“Perfetto!”.
“Allora, facciamo così: appena usciti di qui, mentre io distraggo
Gozuki con una delle mie fiammate, tu ti allarghi sempre di più così
da affrontarlo da uomo a uomo”.
“Uomo a uomo?”.
“Vabbe’, hai capito!”.
“Ok, speriamo che funzioni”.
“Tranquillo. Poi avremo comunque i nostri compagni Humana a darci
una mano”.
“Giusto”.
“Ok, al mio 3. 1… 2… 3!”.
Il duo uscì fuori dal locale come fossero due furie. Subito il
Soggetto N. 6 eruttò in un’alta fiammata verso il cielo. Accanto a
lui, il Soggetto N. 7 si mise a concentrarsi. Poi, passato qualche
secondo, la coppia si fermò. Attorno a loro non vi era alcuna
traccia di Gozuki.
“Dov’è finito?” si domandò il rettile umano.
“Eppure sono sicuro di averlo visto qui fuori” commentò lo
sputafuoco.
In effetti il cinese diceva il giusto. Difatti, fino a qualche attimo
prima, Gozuki era intento a fissare, in gesto di sfida, l’indiano
d’America che lo aveva così impegnato fino ad allora.
Improvvisamente, lo sguardo fiero di Geran fu testimone della
rinuncia dell’avversario. Quest’ultimo, muovendosi con lentezza,
rivolse il suo cammino verso l’oceano.
Mentre iniziò ad immergersi, il Soggetto N. 8 si affiancò al
Soggetto N. 5.
“Che è successo? Perché ora se ne sta andando?”.
“Non percepisco altra ostilità da parte sua” esclamò serio
l’energumeno.
Una voce di bambino si fece spazio nella testa dell’africano “Juna,
dice Sara che devi inseguirlo assolutamente!”.
“Ricevuto” rispose lui.
Con un rapido scatto, corse fino al termine della banchina, per poi
tuffarsi in bello stile in quelle fredde acque scure.
A quelle profondità, la visibilità è davvero scarsa. Ma lo zairese
sapeva che la creatura gli era vicina. Nonostante non possedesse gli
stessi poteri del Soggetto N. 1, la sua era una percezione comunque
molto chiara, quasi un’empatia in quel mondo liquido.
In superficie, il resto degli Humana si era riunito sul pontile.
“Ci sono molti feriti?” chiese il Soggetto N. 4.
“Non credo, anche perché Johnny sta girando tutta Tokyo per
cercare di dare una mano un po’ ovunque” informò il resto del
gruppo il Soggetto N. 3.
“Sennò che ce lo abbiamo a fare un velocista…” fu sarcastico
il Soggetto N 2.
“Volendo, anche tu con il tuo volo potresti fare qualcosa…”
sottolineò il Soggetto N. 6.
“Io sono più contemplativo che aggressivo” replicò il dandy.
Negli abissi, Juna sapeva ora di trovarsi davanti alla creatura.
Questa pareva stare con gli occhi chiusi, eppur ben attenta ad ogni
minima mossa del mutante.
“Giunan ha ragione” pensò “sembra proprio che questo mostro
non abbia più alcuna voglia di lottare”.
Quasi a confermare quello che l’umano stava pensando, delle bolle
d’aria emersero tra i denti aguzzi del dinosauro, come se fosse
totalmente a riposo.
La voce del Soggetto N. 1 intervenne nuovamente “Mi pare,
addirittura, che inizi a provare simpatia nei nostri confronti”.
Sul molo, una nuova folla di curiosi si radunò attorno agli uomini
in rosso e giallo. Fra di essi, vi erano anche il ninja e la
ragazza-gatto.
“Eppure mi pare di conoscerti…” esordì Fury “Come ti
chiami?”.
“Il mio nome è Neneko” rispose sorridente lei “E il tuo?”.
Lui stava per rispondere, finché venne fermato dal Soggetto N. 7.
“Insomma, ragazzi. Proprio vi dovete mettere a flirtare? Dopo tutto
quello che è successo, poi? So che qui in Giappone ci sono dei
simpaticissimi locali chiamati “Love Hotel”. Perché allora non
vi prenotate una stanza in uno di quelli?”.
I due giovani arrossirono, cercando di nascondere il più possibili i
loro imbarazzi.
In mare, Gozuki si era di colpo riattivato. Seppur con molta più
calma rispetto a prima, il lucertolone aveva scelto di riemergere
sulla terra ferma. Questa volta, però, parve scegliere
scrupolosamente una zona più sicura per la gente del posto.
A molti metri in verticale di distanza, Juna lo aveva seguito.
“Che cosa vuoi fare, Gozuki?” tentò inutilmente di farsi sentire
dal kaiju.
Gozuki scrocchiò rumorosamente il suo gigantesco collo, come un
wrestler pronto ad affrontare il suo match. Vicino alle sue zampe,
per strada comparve una striscia luminosa rosso e gialla. Il
velocista si era finalmente deciso a scendere in campo.
Sulla darsena affollata, gli altri Humana cercavano inutilmente di
avvertire il loro compagno.
“Soggetto N. 1, avverti il Soggetto N. 9 che non intervenga!”
ordinò Sara.
“Ci sto provando!” spiegò Igor “Ma a quella velocità non è
semplice”.
Vedendo quella scia luminosa, Gozuki ne fu attirato come un gatto dal
puntatore laser sparato sulla parete.
“Ok lucertolone, vediamo se riesci a prendermi!” lo provocò
l’americano, fermandosi di colpo di fronte al rivale.
Il mostro accettò la sfida, alzando e riabbassando subito il piedone
destro sul mutante. Nel mentre, emise un ruggito acuto.
In alcune serie di fiction, la tecnica utilizzata da Johnny Wayne si
definisce “immagine residua”. E fu proprio questa che il
dinosauro calpestò, senza ovviamente alcun danno.
“Ritenta, lucertolone” lo sbeffeggiò lo stesso Soggetto N. 9.
“Johnny, mi senti?” finalmente il russo era riuscito a mettersi
in contatto con lui.
“Sì, dimmi Igor. Veloce che sono impegnato…”.
“Sara ordina di fermarti!”.
“Cosa?! Perché?”.
“Gozuki non sembra voler combattere con noi, o crearci altri
problemi”.
“Che stai dicendo?”.
“È vero. Lo dicono anche Geran e Juna”.
“Ma siete seri?!” lo statunitense non credeva alla sua testa.
“Johnny” questa volta fu la stessa Silvestri ad intervenire
“Smettila di attaccare l’obiettivo. Ripeto, smettila di attaccare
l’obiettivo!”.
A quell’ordine perentorio da parte dell’italiana, il biondo si
fermò davvero.
Gozuki, che finalmente riusciva a vedere chiaramente il suo
avversario, si accovacciò al suolo, fissandolo con un ghigno che
pareva quasi un sorriso divertito.
Sembrava di vedere un bambino che, nella sua cameretta, osserva
entusiasta il suo nuovo giocattolino.
Intanto,
sulle calme acque oceaniche del Giappone, la Unfriendly Gladys aveva
preso ormai il largo.
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