Signs

di historiae
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Il telegiornale non parlava d’altro da una settimana.

La vicenda della cattura delle Trix aveva fatto scalpore in gran parte dei regni vicini a Magix, i cui governi avevano trascorso diversi mesi nel terrore, temendo per la sorte dei propri cittadini. Tutti loro erano dotati di eserciti preparati ed eccellenti sistemi di sicurezza, ma inutile dire che avevano fatto volentieri a meno di ricorrervi. Fortunatamente la minaccia era rimasta confinata nella capitale del mondo magico e lì era stata fermata per tempo dalle schiere del Bene.

Del resto i governi e le monarchie di Magix e dintorni avevano i loro dubbi sul fatto che tre studentesse potessero spingersi più in là di così dando vita ad una vera e propria guerra interplanetaria, ma data la piega che avevano preso gli eventi c’era una remota possibilità che la cosa potesse accadere.

Grazie agli allievi delle scuole di Magix, tutti potevano ora dirsi sollevati.

Non sentendosi ancora fuori pericolo, i regni vicini avevano espresso all’unanime la loro volontà di maggior sicurezza e si erano affrettati ad accrescere i loro sistemi di difesa contro eventuali nuovi attacchi.

L’equilibrio tra le forze che vigeva nella dimensione magica e che tutti, da sempre, si impegnavano a mantenere era stato spezzato solo rare volte, e nessuno aveva la certezza di quando e come avrebbe potuto succedere di nuovo.

Con settembre alle porte e con l’inizio imminente della scuola, le fate di Alfea avevano avuto poche occasioni di seguire le notizie, ma i loro mezzi di comunicazione non mancavano mai di far avere loro aggiornamenti. Sui giornali campeggiavano ancora titoli riguardanti la condanna delle tre streghe più folli che Magix avesse mai conosciuto, seguiti da una sequela di istigazioni all’odio unite ad auguri di pace e giustizia.

Bloom, che non mancava mai di buttare un occhio alle prime pagine, si ritrovava spesso a tirare un sospiro di indignazione. Chi scriveva non aveva affatto torto, ma in quanto a imparzialità lasciava molto a desiderare. A volte avrebbe semplicemente voluto che la gente vivesse in pace, senza per forza prendersi a parole e a colpi. Il mondo magico era tutt’altro che perfetto, pensava. Ma, seppur magico, quello era il mondo reale e avrebbe dovuto imparare a convivere con i suoi difetti.

In città l’aria era ancora tesa. Tutti si guardavano le spalle dal prossimo, e Bloom temeva che la gente avrebbe cominciato a girare armata, se le cose avessero continuato di questo passo.

Erano tempi strani, e lo erano anche le conversazioni della gente. Le vicende appena trascorse e il vecchio monastero di Roccaluce, con il suo infallibile sistema di rieducazione, erano sulla bocca di tutti.

Le ragazze ne parlavano a pranzo e a cena, fuori dalle aule, nei locali.

Bloom poteva giurare di udire anche i professori parlarne in modo quasi ossessivo. Le lezioni del nuovo anno non erano ancora cominciate, ma già scommetteva che una volta risaliti in cattedra avrebbero reintrodotto l’argomento alla prima occasione.

Da quel che Bloom aveva potuto sentire, pareva che ai piani alti del monastero di Roccaluce, il centro della comunità religiosa e giuridica di Magix, nonché carcere di massima sicurezza, il Gran Consiglio stesse elaborando alcune nuove e importanti leggi per la sicurezza del pianeta, ma non era tutto qui; si diceva che addirittura volesse conferire ai monaci templari poteri più alti rispetto a quelli che già gli appartenevano, per dar loro maggior voce in capitolo nell’istruzione dei giovani e lasciare che intervenissero per garantire la giustizia nella dimensione magica.

Questa ambizione nel metter mano a competenze diverse da quelle religiose e giuridiche, come l’educazione e la formazione degli studenti, era qualcosa di cui Faragonda si lamentava spesso. Evidentemente non era la prima volta che i monaci di Roccaluce tentavano di acquisire potere dove ne sentivano la mancanza. In quel periodo, però, complice la tensione e il timore ancora fresco, la preside di Alfea non sembrava in vena di opposizione, ma anzi pareva ben disposta ad accogliere le proposte di aiuto dei membri del Consiglio di Roccaluce suoi conoscenti.

Queste voci sembravano essere un’importante ancora di salvezza per gli abitanti di Magix, una speranza in cui confidare che li teneva allegri. Dopotutto la serenità dei cittadini era uno dei primi scopi di quel grande sistema monastico e militare che proteggeva il pianeta.

 

Come Bloom sospettava, la notizia arrivò. Il giorno prima dell’inizio delle lezioni, a seguito dell’abituale assemblea d’istituto che si teneva ogni mese, i professori fecero un annuncio inaspettato.

Come tutte le grandi azioni, anche quella del Gran Consiglio dei monaci aveva bisogno di consenso. Senza l’appoggio dei beneficiari, nessuna legge avrebbe mai potuto entrare in vigore e i confratelli lo sapevano bene. Perciò si erano già premuniti di istituire un sistema di votazione e di convocare, a turno, le personalità più influenti di Magix, a cominciare dal sindaco e dai direttori delle scuole, perchè offrissero il loro consenso alla nuova politica di sicurezza. In questo modo erano certi che sarebbe stato facile ottenere potere decisionale.

-Il preside Saladin e la preside Griffin hanno già espresso il loro favore ad un alleanza con il Gran Consiglio di Roccaluce.- annunciò Faragonda.

-I loro studenti sono stati consultati prima di procedere al voto?- chiese un’allieva.

-Naturalmente, e la maggioranza si è espressa a favore.-

-Preside, come mai Alfea non ha ancora le sue votazioni?-

-Torrenuvola e Fonterossa si sono schierate in prima linea, ma non saremo da meno. In quanto direttrice sono stata convocata per domani e, come da regolamento, avrò bisogno di testimoni.- puntualizzò Faragonda.

Bloom, dal suo banco, osservava attentamente il suo atteggiamento. Era euforica e decisa come sempre, tuttavia il suo tono di voce non lasciava trasparire l’ottimismo per cui in genere si faceva conoscere. Da diretta interessata, doveva aver trascorso intere giornate ad informarsi e a discutere con i colleghi, scambiando con loro le opportune differenze di vedute, e probabilmente tutto questo leggere, capire e dibattere l’aveva stancata molto.

Tra le studentesse, invece, vi era grande fermento. Essere considerate da qualcuno di molto influente accresceva l’orgoglio, e tutte non stavano nella pelle al pensiero che con il loro appoggio al Gran Consiglio avrebbero contribuito a rendere il loro pianeta un posto più sicuro. In occasione di accadimenti come questo era bello essere grandi, sentirsi importanti e assumersi delle vere responsabilità.

-Bloom, tu e le tue amiche sareste le più indicate, dato che vi siete distinte per merito in modo particolare nelle scorse vicende. Ve la sentireste?-

Colta alla sprovvista, Bloom cercò tra i banchi le sue cinque amiche, che già annuivano dando il loro benestare alla preside. Stella tirò la manica della maglietta di Bloom costringendola a voltarsi.

-Dobbiamo informarci meglio, ma ne varrà la pena. Non so tu, ma io non vedo l’ora.- disse, e sorrise all’amica, che rispose con altrettanto buon umore. Si voltò quindi verso la preside e:

-Parlo a nome di tutto il Winx Club; accettiamo più che volentieri.-

 

Più tardi, alle studentesse fu consegnato un piccolo sunto in forma cartacea del documento legislativo perché lo leggessero e se ne facessero un’idea. Tecna lo trovò piuttosto vago, ma nonostante ciò, il quadro era chiaro. Cercando in rete, la fata sperò di trovare altre informazioni che approfondissero la questione, ma nulla. Evidentemente il documento non era ancora stato approvato e quella copia non era che un gentile omaggio da parte dei membri del Consiglio.

Il contenuto era interessante e aveva messo d’accordo la stragrande maggioranza delle ragazze. Mentre scorreva gli occhi sulle righe stampate, Bloom sentiva il sospetto alleggerirsi. Sembrava che finalmente le buone notizie fossero in arrivo e che gli abitanti del mondo magico avrebbero potuto condurre una vita più tranquilla per il resto dei loro giorni, salvo che qualcuno potesse contribuire ancor meglio alla causa. Sorridendo, si chiese come mai Faragonda dubitasse così spesso delle buone intenzioni dei templari di Roccaluce.

Ricredutasi, Bloom cominciò davvero a pensare che Magix non avrebbe mai potuto trovarsi in mani più sicure.

 

Il sole era pallido sopra la fortezza, e quel giorno il tempo atmosferico in generale non era dei più radiosi. Cosa non comune, pensava Bloom mentre veniva accolta assieme alle compagne dai monaci guardiani. Faragonda, capofila, si scambiò i saluti con il Capo del Consiglio, fratello Youta, che era affiancato dai colleghi Givelian e Yerka.

I monaci diedero il loro benvenuto alle ospiti e si affrettarono a condurle nella sala del Consiglio.

Bloom era elettrizzata. Aveva visto solo in foto l’aspetto della Fortezza di Luce, come la chiamavano i libri, ma entrarci di persona faceva tutto un altro effetto. La bellezza dell’architettura era travolgente, la luce investiva le ricche decorazioni delle pareti come se vi stesse intessendo raggi di puro oro, e una musica celestiale giungeva a ondate da una fonte sconosciuta. L’energia positiva le scaldava l’animo e la rinvigoriva.

Dagli occhi di fratello Youta traspariva bontà e le ispiravano fiducia. Givelian e Yerka, invece, avevano uno sguardo austero e altezzoso, sembravano soppesare con cura ogni oggetto e ogni parola giungesse alla loro vista e al loro udito, per poi giudicarli in silenzio. Quel piccoletto, poi, le aveva sorriso con fare beffardo, e Bloom non era riuscita a capire se quell’occhiata significasse derisione, ammirazione o uno strano connubio tra le due.

Quando entrò nella sala del Consiglio, tuttavia, aveva già dimenticato tutto.

Un immenso tavolo di cristallo iridescente era pronto ad accogliere le ospiti, al centro di una sala circolare, attorniato da colonne tortili di alabastro bianco. Ad ogni posto a sedere un calice di acqua di fonte era stato disposto per offrire ristoro al gran numero di monaci riccamente vestiti che vi stavano accomodati, e le eleganti sedie di velluto rosato davano l’impressione di dover accogliere delle regine.

Camminando sul pavimento di marmo giallo antico col naso all’insù per lo stupore, per poco Bloom non inciampò in una delle poltrone. Chiese scusa e prese il suo posto poco prima che fratello Youta desse inizio alla riunione.

Davanti alla direttrice e alle sue allieve comparve un foglio di carta scritto a caratteri svolazzanti. Tecna, che sguazzava nella burocrazia fin quasi dalla nascita, riconobbe la struttura tipo del documento di legge. Bloom, che ancora doveva abituarsi a quel genere di cose e aveva solo da poco iniziato ad avventurarsi in quel campo del sapere, quasi non sentì la voce del capo Youta quando diede inizio alle trattative.

Faragonda prestava attenzione in silenzio, annuendo come se già fosse ben ferrata su quei concetti.

Bloom si immerse nelle righe fitte e composte di piccoli caratteri e ne decifrò facilmente il contenuto.

Alcuni punti cardine della nuova politica erano già noti a tutte, e in quella sede sarebbero stati semplicemente rivisti e spiegati.

Tra i tanti, la fata rivolse l’attenzione ad alcuni in particolare.

 

Le decisioni riguardanti la sicurezza della dimensione magica verranno prese sempre con votazione a maggioranza, e saranno ritrattabili dietro opportune motivazioni.

 

Il confratello Yerka assisteva il Capo del Consiglio sorreggendo i grandi volumi e dando indicazioni più precise quando all’anziano monaco, per via dell’età, sfuggivano dettagli importanti.

In tutto ciò aveva mantenuto quell’espressione bizzarra a cui nessuno sembrava fare caso, ma che Bloom non mancò di notare più volte. E i suoi occhietti dal taglio orientale erano quasi sempre rivolti a lei, come a mostrarle apprezzamento in modo molto inquietante.

Bloom tornò a guardare il documento.

 

I cavalieri templari saranno sempre a disposizione a difesa delle scuole e potranno procedere a privare della libertà personale, anche con la cattura e l’arresto, chi violerà la legge.

 

-Significa che sarà istituita una sorta di polizia templare a Magix e limitrofi?-

-Non sarà necessario.- esalò il monaco Givelian dalla sua posizione eretta e solenne. -Ma il controllo che i templari eserciteranno sul rispetto della legge, se pur a distanza, sarà totale; chiunque si trovasse in pericolo riceverà assistenza immediata e per i trasgressori non vi sarà possibilità di scampare all’arresto.-

Stella si lasciò sfuggire uno sbadiglio e, malgrado tutti i suoi sforzi di mascherarlo, quel piccoletto del monaco Yerka lo notò.

-Abbiamo quasi terminato, care ospiti. Prego, voltate pagina. Il prossimo punto vi allieterà senza ombra di dubbio.-

Bloom fece cadere gli occhi sul suo orologio. Non riusciva a credere che fosse già mezzogiorno. Si era lasciata rapire a tal punto da quell’incontro tanto interessante in quel luogo aulico e maestoso da perdere la nozione del tempo.

Voltò pagina, incuriosita.

 

I criminali non saranno reintegrati nella società fino a completa riabilitazione.

 

Preda di un senso di sollievo, la fata sollevò lo sguardo dirigendolo lungo il grande tavolo fin sulla preside e sulle compagne, e le vide rasserenarsi tutte quante. Poche parole stampate potevano avere effetti straordinari, pensò.

-Bene, molto bene. È certamente il desiderio che accomuna tutti quanti i regni di questa dimensione e di quelle vicine.- proferì Faragonda.

Le sue allieve assentirono, annuendo con entusiasmo.

-E noi ci riserveremo il compito di renderlo realtà, madame.- disse fratello Givelian. -In questo modo la nostra dimensione sarà un luogo più sicuro per tutti. Avremo cura che i trasgressori dell’ordine compiano un percorso di purificazione intensivo e completo, e potranno essere rilasciati solo e soltanto se al termine di questo ciclo saranno dichiarati riabilitati e idonei a tornare a vivere tra i loro simili.-

La mente di Bloom corse istintivamente ad Icy, Darcy e Stormy. Nel vedere i volti delle sue amiche rabbuiarsi all’improvviso, capì che anche loro stavano pensando alla stessa cosa. Di ritorno dalla grande battaglia aerea avevano udito la preside Griffin nominare tale purificazione senza però avere idea di cosa stesse parlando. Avevano visto le loro acerrime nemiche venire ammanettate e affiancate da due cavalieri templari armati di lancia ciascuna; infine le avevano viste attraversare un portale e svanire nel nulla. Non una spiegazione da parte di alcuno, né un accenno su cosa sarebbe loro accaduto dopo. Bloom avrebbe voluto saperlo. Chiunque, pensava, avrebbe voluto essere a conoscenza di quale trasformazione avrebbe subito la propria minaccia vivente per permetterle di non averne più paura in futuro. Aleggiava una tale segretezza, tra quelle mura, da risultare quasi disturbante. Tutte loro avevano il diritto di sapere.

-Ci sono domande, mie care ospiti?-

Bloom sollevò timidamente la mano.

-Prego, miss.-

-In che cosa consiste la riabilitazione?-

Mentre attendeva la risposta, Bloom potè giurare di vedere il monaco Givelian contrarre la mascella, mantenendosi composto e austero e non muovendosi di un millimetro dalla sua postazione. La fata cercò con gli occhi l’approvazione di Faragonda, la quale le sorrise come a confermarle che aveva posto una domanda intelligente.

Givelian rivolse poi alle presenti il più cordiale dei sorrisi e iniziò a muovere pochi passi lungo il tavolo, mentre cercava di ponderare le parole.

-Terapia. Per lo più.-

-Di che genere?-

-Terapia comportamentale e psicomagica. Ci assicuriamo che il detenuto riceva ascolto e supporto emotivo durante tutta la sua permanenza al monastero. Sarà fatto in modo che ciò che alimenta le sue inclinazioni negative sia rimosso dalla sua persona e dimenticato. Sarà invece preparato ad accogliere la Luce e il Bene tramite esposizione giornaliera alla nostra energia positiva.-

La fata del sole chiese la parola e le fu concessa.

-Sono previste punizioni speciali per i trasgressori dell’ordine?- chiese, con una punta di astio nella voce che non sfuggì alle compagne. Nessuna di loro pensò che fosse inopportuno, da parte sua, parlare in quel modo. Era naturale covare ancora della rabbia, dopo quanto successo.

Fratello Givelian tentennò, creando, forse volutamente, una leggera tensione.

-Naturalmente.-

L’attenzione delle presenti si acuì.

-Farà tutto parte della terapia comportamentale. Il trasgressore sarà rieducato a riconoscere la differenza tra le azioni maligne e benigne tramite pena e rinforzo positivo. Inoltre, grazie all’influsso benefico dell’energia di Roccaluce, accrescerà il suo istinto per il Bene e imparerà a perseguirlo e a compierlo.-

Le fate di Alfea si guardarono con compiacimento, preda di una calda euforia. Tutto era così benedettamente promettente da accrescere la loro contentezza di secondo in secondo.

-Fratello Givelian, ci parli meglio della questione della pena.- disse Faragonda, aggiustandosi gli occhiali sul naso. Era un tic che Bloom aveva imparato a riconoscere. Lo faceva sempre quando voleva vederci chiaro su qualcosa.

-Non sarà prevista in nessun caso la pena corporale o capitale. Noi non agiamo con violenza, ma applichiamo la Tolleranza e il Perdono, principi saldi del nostro ordine. Preferiamo compiere azioni costruttive, da che quelle distruttive sono già state commesse. Noi siamo la medicina contro la ferita, e non l’arma che ferisce.-

Erano belle parole, pensava Bloom. Ma alla fine dei conti la domanda di Faragonda non aveva ricevuto una risposta esauriente. Non voleva e non poteva permettersi di uscire da quelle mura senza aver soddisfatto ogni sua curiosità.

Perciò chiese la parola.

-La punizione inflitta sarà proporzionata al crimine commesso?-

Di fronte a quella domanda, fratello Yerka sorrise, come se se lo aspettasse e avesse già la risposta pronta per Bloom. Saltò giù dalla sua sedia, troppo alta per lui, camminò in direzione della fata con la tranquillità di un frate.

-Legga l’ultimo punto, miss.-

 

La dignità dei prigionieri, nelle loro differenze etniche, magiche, culturali e religiose verrà comunque e in ogni momento rispettata.

 

-La gentile signorina aveva forse dei dubbi?-

Bloom sorrise con cortesia al monaco calvo e minuto, convincendosi del fatto che forse quell’aria da furbetto era solamente uno brutto scherzo di madre natura.

-Certo che no, vostra… eminenza. Semplice curiosità.-

Yerka, mantenendo il contatto visivo con lei ancora per pochi istanti, tornò verso il suo posto con le mani dietro la schiena.

-Il nostro ordine sancisce il rispetto di tutte le creature viventi.- spiegò, muovendo passi corti ma decisi. -Il reo che varcherà i nostri cancelli sarà restituito al mondo identico a prima nell’aspetto, nell’identità e nelle abilità, ma con un aura limpida e splendente come cristallo grezzo. Verrà guidato sulla via del Bene, la sfrutterà per divenire artefice del proprio destino e avrà piena libertà delle sue azioni. Non ci sarà più ragione di innalzare barriere o difese contro di lui. Non costituirà più alcun pericolo per la gente comune.-

Faragonda sembrava entusiasta. Lei conosceva l’ordine dei templari e i suoi principi sin da prima che ognuna delle sue allieve venisse al mondo, e l’esperienza le aveva insegnato a fidarsi della loro parola. Avevano protetto la dimensione magica dal Male per secoli e secoli, e l’avrebbero fatto sino alla fine dei tempi. Se il loro modus operandi poteva essere ulteriormente migliorato, sarebbe stato ancor meglio per tutti.

Guardò alla sua destra e poi alla sua sinistra per cogliere segni di assenso o dissenso da parte delle sue allieve o verificare se avessero domande, e le trovò tutte d’accordo. Ognuna annuì, mostrando il proprio supporto alla preside e ai capi monaci.

Bloom, guardando nei volti dei tre confratelli e perdendosi ad ammirare le loro fisionomie, potè notare la bocca sottile di fratello Yerka allargarsi in un sorriso tinto di qualcosa di sinistro.

Non ci fece caso e si preparò a scoprire cosa sarebbe accaduto in seguito.

-Dichiariamo la prima parte delle trattative conclusa.- disse fratello Youta. -La confraternita si ritirerà ora per la funzione di mezzogiorno; la quale sarà seguita da uno speciale banchetto a cui le nostre benvolute ospiti potranno partecipare.-

La voce di fratello Givelian riportò subito ordine zittendo sul nascere le esclamazioni di entusiasmo delle cinque amiche.

-Dopo lo speciale banchetto- disse, -avrà qui luogo finalmente la stipulazione del patto di alleanza tra la scuola di Alfea e l’ordine dei templari di Roccaluce. Confidiamo sin da ora nell’appoggio unanime delle nostre egregie ospiti.- Prima di sciogliere l’assemblea, fece il suo inchino.

-Andate in pace.- pronunciò, e ricevette un piccolo inchino in risposta dalle sei donne.

I membri del Consiglio lasciarono le loro postazioni, avviandosi all’uscita.

Tendendo l’orecchio, si poteva già udire il suono celestiale di una campana tibetana chiamare a raccolta i confratelli per la preghiera.

 

***

 

Seppur umile e senza pretese, il banchetto superò ogni aspettativa. Sulla Terra era usanza comune che la condivisione di cibo servisse a creare unione tra le persone, e in quel frangente non avrebbe potuto esserci niente di meglio per suggellare la futura alleanza.

Bloom, sentendosi come a casa, perse tempo ad ammirare l’abbondanza di prelibatezze in cerca di qualcosa di suo gusto mentre le sue compagne si servivano senza complimenti. Vedendole tanto entusiaste, poi, si unì a loro e si lasciò coinvolgere dai loro discorsi.

-Mi sento come se gli sforzi fatti finora fossero stati ripagati in uno schiocco di dita.- esordì Stella.

-Mettici pure anche tutti i pericoli che abbiamo corso.-

-Già. Finalmente quest’anno potremo concentrarci sullo studio senza dover convivere con l’angoscia ogni minuto.-

-Vero. Non è divertente sapere che c’è sempre qualcuno dietro l’angolo pronto a darti problemi.-

-Ma i nostri problemi non saranno eliminati.- disse la voce della ragione. -Potranno solo essere risolti più in fretta.-

-Non pensate che con queste nuove regole verrà meno il nostro compito di proteggere Magix?- chiese Musa.

-In che senso?-

-Dopotutto è per questo che studiamo per diventare fate. Non certo per diventare articoli da vetrina.-

-Stai scherzando?- replicò Tecna. -Siamo ancora nella fase di apprendiste; la nostra forza è praticamente nulla se paragonata a quella dei cavalieri templari. Il loro controllo su Magix preverrebbe la presa di potere da parte di nemici potenti e difficili da sconfiggere. Ci risparmierebbero un sacco di lavoro e di rischi.-

-Ma in questo modo ci verrebbe a mancare l’esperienza sul campo.-

-Sono sicura che i professori sapranno come provvedere alla nostra formazione senza farci correre pericoli inutili.-

-Sarà. Ma la cosa ancora non mi suona.-

-Credi che i templari vogliano sottrarci il ruolo di protettrici del Bene per prendersi tutti i meriti?- chiese scherzosamente Stella. Musa alzò le spalle. -Faragonda avrebbe reagito diversamente se fosse stato così, o quantomeno l’avrebbe saputo. Non sei d’accordo, Bloom?-

La fata terrestre annuì.

-Lo credo anch’io. Faragonda è tranquilla, il che mi lascia sperare bene. Se ci fosse qualcosa di strano sarebbe la prima ad accorgersene. Lei e fratello Youta si conoscono e cooperano da molto tempo. Già c’è amicizia tra Roccaluce e le scuole di Magix, e officializzare un’alleanza può solo rafforzare questo legame.-

Le compagne annuirono.

-Avete sentito fratello Yerka. Rispetto e Cooperazione sono i capisaldi dell’ordine. L’equilibrio di questa alleanza vuole che nessuno perda nulla, e che entrambi ci guadagnino. Noi conserveremo sempre e comunque il nostro ruolo di protettrici del Bene, solo saremo affiancate da una potente milizia templare.-

 

Un suono di campana tibetana identico a quello di poco prima si spanse nell’aria annunciando la fine del banchetto e il ritorno dei monaci al proprio lavoro quotidiano.

Le ospiti di Alfea si riunirono in attesa di essere scortate nuovamente nella grande sala del Consiglio per procedere con la fase finale delle trattative.

Fratello Youta varcò il portone a grandi passi, affiancato dal suo consigliere Givelian e dal suo inseparabile bastone d’appoggio. Gli altri membri del Consiglio abbandonarono il banchetto per riunirsi a loro, con la loro usuale flemma.

-Tutto è pronto.- annunciò.

-Bene, fateci strada, eminenza.- disse Faragonda.

Un fremito di eccitazione si impadronì delle ragazze. Il grande momento era arrivato: una firma e avrebbero dato inizio ad una nuova era per il mondo magico.

Bloom osservò i due monaci notando la loro differenza di statura, e istintivamente gettò lo sguardo a fianco di fratello Givelian, trovando solo uno spazio vuoto.

Il suo fido compagno Yerka non era presente. Pensando che probabilmente le stesse aspettando già nella sala del Consiglio, si apprestò a seguire le compagne fuori dal refettorio.

Quando però, giunta nella grande sala luminosa non vide traccia del piccoletto, si insospettì. I membri del Consiglio erano già pronti a prendere posto, quando uno di loro notò l’assenza del collega.

-Dov’è il consigliere Yerka?- chiese. -Il patto non può aver luogo senza di lui.-

Givelian, serafico, rispose. -Ci raggiungerà tra un istante.-

-Cosa lo trattiene?- si informò Faragonda. -Qualcuna delle sue visite di riguardo?-

Un anziano monaco canuto le rivolse a quel punto la parola. -Sarà certamente alle segrete, per una delle sue… ispezioni.-

Un silenzio tombale piombò per pochi secondi nella sala.

Bloom sentì d’un tratto il piccolo spiraglio di fiducia appena apertosi in lei abbandonarla, ripensando allo strano atteggiamento di quel tipo. E adesso quella sua strana assenza. E quell’atmosfera di omertà che era caduta all’improvviso sui presenti e a cui nessuno sembrava badare.

Colta da un’inspiegabile impazienza, sollevò la mano per parlare.

-Eminenza, se me lo consentirete andrò io stessa a chiamare il vostro collega.-

Givelian strinse talmente forte la mano attorno al bastone che il legno scricchiolò. -Non disturbatevi, miss, il fratello Yerka conosce la strada.-

Bloom si sentì addosso lo sguardo basito delle compagne, che mai avrebbero preso una simile iniziativa. Ma era stato più forte di lei, e non badò all’idea che anche la curiosità potesse essere irriverente, in un ambiente monastico.

-Nessun disturbo, vostra… nobiltà. Possiamo procedere al patto con tutta la calma e il tempo di cui disponiamo.-

-Ne sei sicura, Bloom? Vuoi che ti accompagni?- le chiese, sottovoce, Stella.

-No, non c’è problema, farò quattro passi. Devo ancora imparare ad orientarmi bene tra queste mura. Non ci metterò molto.- aggiunse, e con un sorriso e un leggero inchino lasciò la sala del Consiglio e i suoi membri che, molto rispettosamente, non si sarebbero accomodati al tavolo dell’assemblea prima del suo ritorno.

 

Ascoltando l’eco dei suoi passi sul pavimento di marmo scintillante, Bloom ripercorse l’intreccio di corridoi che lei e le sue compagne avevano attraversato all’ingresso. Ogni sala in cui si ritrovava, per lo più corridoi e anticamere, galleggiava in un bagno di luce dorata e benefica.

Era piacevole e al tempo stesso spaventevole trovarsi da sola in mezzo a tanta imponenza, tuttavia lo splendore delle pareti adorne di intarsi e finiture d’oro non cessavano di meravigliarla.

Più si addentrava nella fortezza, però, più i raggi del sole faticavano ad entrare e tutto l’ambiente veniva avvolto da una frescura rigenerante.

Abituata ad esplorare i luoghi più disparati, Bloom aveva sviluppato un senso dell’orientamento notevole che più di una volta le aveva impedito di perdersi. Tuttavia scoprì che all’interno della Fortezza di Luce era quasi impossibile orientarsi. Non c’era traccia di indicazioni e nemmeno di qualcuno da cui farsi consigliare la via più breve per le segrete. A quell’ora non vi era anima viva, dato che i monaci erano impegnati nelle loro attività.

Se si fosse trovata in altro contesto avrebbe chiamato a gran voce il nome di fratello Yerka, ma mettersi a gridare all’interno di un luogo sacro non sarebbe stato rispettoso, da parte sua.

Fu solo quando, giunta davanti all’ennesimo muro senza uscita, si imbattè in una piccola scala a chiocciola che pensò di aver finalmente ritrovato la strada.

La scaletta scendeva per diversi metri gettandosi nella semioscurità, e in perfetto silenzio, in punta di piedi, Bloom iniziò a percorrerla gradino per gradino. Ignorò le vertigini e si aggrappò al corrimano. Doveva essere un’uscita di servizio, da che non brillava per sontuosità né tanto meno per agibilità.

Sapeva di star facendo qualcosa di assolutamente sconveniente e che nessuno avrebbe dovuto sapere una volta tornata ai piani superiori. Non aveva diritto di mettere piede laggiù senza permesso, ma l’impulsività aveva avuto la meglio su di lei. Oltretutto non c’erano guardie in vista, il che significava che non stava infrangendo le regole. Da quel che le era stato spiegato, l’accesso alle segrete era consentito negli orari delle visite e non era una zona proibita.

 

Cominciò ad udire delle voci soffuse e dei passi sommessi. Il corridoio in cui era sbucata era ampio e scarsamente illuminato, con alcune torce affisse alle alte pareti di marmo bianco. Avanzando con discrezione potè scorgere poche figure camminare avanti e indietro. Si trattava di innocui monaci piuttosto in là con l’età, i quali la degnarono appena di uno sguardo prima di procedere oltre, diretti chissà dove. Doveva trattarsi di eruditi, probabilmente di ritorno dalla biblioteca, che - da quel che ricordava dalla piantina del luogo - si trovava nel cuore della fortezza.

Dagli occhi di quei pochi individui, però, Bloom ebbe la conferma al suo fondato sospetto che non avrebbe dovuto trovarsi lì. Erano tesi e seri in viso, la squadravano come un’intrusa e le loro espressioni facevano tutto tranne che incoraggiarla a proseguire.

Un’altra piccola scalinata la condusse al livello inferiore. Doveva essere quasi arrivata; non vi era altro motivo per cui le vie d’ingresso e di uscita fossero tanto scomode se non quello di ostacolare la fuga dei prigionieri.

Bloom aguzzò l’udito quando le sembrò di udire, oltre allo scoppiettio delle torce e all’eco dei passi, dei lamenti.

Il suo cuore accelerò quando, con fatica, riconobbe un pianto. Sembrava quello di una donna, ma… no, le voci erano più di una. Adesso era quella di un uomo.

Dei colpi alla porta.

Per un po’ di fu silenzio.

Poi ancora colpi. Sembrava che qualcuno bussasse, chiedendo aiuto.

Altri lamenti, questa volta erano certamente di un uomo.

Bloom sentì un brivido freddo lungo la schiena e si sfiorò le braccia. Aveva le mani gelide e la pelle d’oca.

Per un attimo pensò di lasciar perdere e tornare dalle compagne. In tutto ciò non aveva trovato fratello Yerka da nessuna parte e non c’era ragione per trattenersi laggiù un secondo di più.

Non aveva mai visto delle carceri in funzione, prima d’ora. Non dovevano essere certamente un paradiso, ma da come ne avevano parlato i consiglieri si aspettava di trovare quantomeno un meditativo silenzio.

Un grido più forte, che suonò come un comando intimidatorio, le giunse alle orecchie come una scossa. Doveva essere stata una guardia a gridare così. Non capì il significato di quell’esclamazione, tanto che pensò fosse stato rivolto a qualcuno, forse un detenuto, di provenienza straniera.

Sebbene udisse tutte quelle voci, continuò a non vedere nessuno.

Poi udì un rumore differente.

Rumore di catene.

Adesso era tutto molto più che strano.

I lamenti parvero quietarsi per un attimo, e ciò le consentì di prestare più attenzione a ciò che vedeva e sentiva.

Avanzò con timore nel corridoio di pietra, sull’attenti e pronta a fuggire nel caso le guardie le avessero intimato di andarsene.

Proprio allora le parve di udire una voce famigliare. Si fermò su due piedi e ascoltò meglio. Sì, sembrava proprio la voce stridula del consigliere Yerka. Non doveva essere lontano. Fu tentata di andare a chiamarlo, ma venne colta da un’improvvisa ritrosia.

Yerka non era solo; almeno altre due voci maschili accompagnavano la sua, e provenivano da una delle porte di metallo disposte in fila a intervalli regolari su entrambe le pareti.

Erano quasi tutte chiuse, notò Bloom, e ci impiegò un paio di minuti per riuscire a capire dove si trovassero quelle presenze.

Proprio quando, per un colpo di fortuna, identificò la fonte di quelle voci, le udì farsi più intense e, per timore che la scoprissero, si nascose dietro una delle grandi colonne d’angolo.

Solo allora vide Yerka uscire da una delle celle.

Lo udì distintamente gracchiare qualcosa rivolto agli altri presenti nella stanza e avviarsi lungo il corridoio con la massima tranquillità, diretto ai piani superiori, dove lo stavano aspettando.

Bloom si appartò più che potè all’ombra della colonna, spiando le sue mosse. Non ebbe granchè da vedere, e lui non si accorse minimamente di lei.

Fu con molto sgomento che Bloom notò che, uscendo dalla cella, il monaco aveva lasciato la porta aperta; probabilmente sospettando che non vi fosse nessuno, oltre i carcerieri, che potesse intrufolarsi da quelle parti.

Le voci continuavano imperterrite oltre la soglia, risuonando con evidente aggressività lungo l’intero corridoio. Che cosa stava succedendo?

Fu solo grazie al punto in cui si era appostata, che Bloom potè distinguere la presenza di due guardie armate all’interno della cella.

Quello che vide dopo, però, credette di non poterlo mai dimenticare.

Una delle due guardie strattonò a sé con brutalità una ragazza; era piuttosto alta e pallida di carnagione; il suo corpo longilineo era costretto in un’uniforme di forza che la copriva interamente e che le rendeva molto difficile il movimento. Dal suo viso stanco ed emaciato traspariva una profonda rabbia nei confronti dei due templari che le stavano accanto, cercando di condurla contro la sua volontà al di fuori, verso una meta dove evidentemente non aveva piacere ad essere portata.

I suoi capelli candidi dai riflessi d’argento erano spenti e scompigliati, seppur raccolti con ordine.

I suoi occhi azzurri, del colore del ghiaccio più puro, erano intrisi dell’odio più profondo che si potesse immaginare.

Bloom vedeva Icy.

La prima colpevole della devastazione avuta luogo a Magix solo pochi giorni prima; lo scompiglio da cui solo ora la gente cominciava a riprendersi. Lei era la ragione principale per cui lei si trovava lì in quel momento; la ragione principale per cui il Consiglio di Roccaluce aveva preso dei provvedimenti tanto drastici che avrebbero portato grandi, enormi cambiamenti nel modo di vivere la vita a Magix.

La sua domanda su ciò che ne sarebbe stato di lei, una volta tolta di mezzo, adesso cominciava ad avere risposta.

Quando Icy oppose resistenza alle mani del carceriere, l’altro si avvicinò e, con una forza inaudita, la spintonò facendola cadere a terra.

Il compagno, velocemente, le fu addosso e la bloccò premendole il piede con forza sulla nuca, mentre le afferrava la mandibola e la puntava l’arma tagliente alla gola, per costringerla a stare immobile e dissuaderla dal rialzarsi sulle sue gambe.

Bloom sussultò, sentendo il cuore saltarle in gola.

Il secondo carceriere, che allo stesso modo le aveva tenuto le mani premute a terra con i piedi, le afferrò i polsi e le strattonò le braccia dietro la schiena con tale violenza che Bloom temette per un attimo di vederle spezzarsi.

Con l’improvvisa voglia di portarsi le mani alle orecchie, si limitò ad osservare la scena con occhi spalancati.

Il templare afferrò una sottile corda - nella quale Bloom scorse quelli che sembravano riflessi metallici - e la strinse con gesti rapidi attorno ai polsi di Icy, ignorando il lamento di dolore che le saliva dalle corde vocali ma che reprimeva, pena l’agonia. Strinse con tutta la forza di cui fu capace, anche quando la lana di vetro intessuta nella corda le tagliò la pelle e i polsini bianchi della sua uniforme si macchiarono di rosso.

Bloom sentì il battito del cuore accelerare all’estremo.

La sua abituale forza che le si annidava all’altezza dell’addome la spronava ad uscire da quel nascondiglio e a fermare ciò che stava avvenendo. Ma lo sbigottimento la pietrificava. Era una statua.

Il carceriere che la minacciava con l’arma lasciò andare rudemente il suo viso mentre il secondo, per dissuaderla anche solo dall’idea di ribellarsi, le assestò un calcio nello stomaco e uno ancor più forte nel petto.

Ad ogni percossa, Bloom smise di respirare, e le sembrò di percepire lo stesso dolore.

Trattenendo con sforzo sovrumano un gemito di dolore, Icy cercò di trattenersi dall’emettere il minimo suono, sapendo cosa ciò avrebbe comportato.

Dopo che il compagno ebbe finito di sfogare la rabbia su di lei, il templare armato la afferrò per il colletto dell’uniforme fino quasi a strangolarla. Solo allora Bloom potè notare il lieve segno dell’arma sul suo collo e i riflessi appena accennati delle lacrime sulle sue guance. Dai pochi lividi e graffi che Icy portava sulla pelle, poi, dedusse che non era la prima volta che subiva un tale trattamento.

Bloom non aveva parole neanche per pensare a una spiegazione. Una sgradevolissima sensazione di disagio misto a rabbia iniziava a crescerle dentro, e non vi era motivo per pensare che tutto ciò fosse normale. Avrebbe volentieri distolto lo sguardo, avrebbe tanto voluto voltare la testa e andarsene, tornare dalle compagne e fingere di non avere visto niente, ma qualcosa l’aveva costretta a restare a guardare, e ancora lo faceva.

Senza più neanche la forza di opporre resistenza, Icy lottò per reggersi sulle sue gambe ignorando meglio che potè il dolore che le martoriava il corpo dalla testa ai piedi. Cercò di rimanere impassibile quando la condussero con forza fuori dalla cella e poi in corridoio, mantenendo la sua espressione composta e seria.

Bloom, pietrificata come prima e con il battito a mille, sentì un pizzicore al naso e un’ombra di lacrime farsi strada verso gli occhi.

Icy non avrebbe mai dato a quegli energumeni la soddisfazione di vederla soffrire, ma era chiaro che stava lottando come una dannata per tenersi dentro tutto quel dolore. Il suo respiro era rotto, i suoi occhi erano umidi, ma lei non cedeva. Tutto ciò era qualcosa di inammissibile per Bloom, e sapeva già che se si fosse trovata nei panni della sua acerrima nemica, non avrebbe mai potuto sopportarlo.

Finora si era arrogata il diritto di esercitare forza sulla sua avversaria, ma sempre e solo sul campo di battaglia e sempre e solo a scopo di legittima difesa.

Ma quello era troppo. Anche se si trattava di Icy. Anche se, a detta di tutti, quello era ciò che si meritava. Era troppo anche per il peggior nemico che Magix avesse mai potuto immaginare di avere.

Quella non era affatto purificazione, come la chiamavano ai piani alti. Non era affatto la presunta terapia che avrebbe aiutato i criminali riconoscere la differenza tra le azioni maligne e benigne.

Quella era tortura.

E nel mondo da cui Bloom proveniva, non era affatto un metodo di iniziazione alla via del Bene. Era qualcosa di esecrabile e criminale.

Quello che accadde poi fu pura casualità, anche se Bloom, per tutto l’indomani, avrebbe rifiutato di credere che lo fosse. Credeva di essere invisibile, appartata com’era in uno dei pochi angoli d’ombra di tutta la fortezza, ma accadde che, per un istante, gli occhi vitrei di Icy incontrarono i suoi.

Bloom smise di respirare di nuovo. Non le servì a niente il rintanarsi ancora di più nell’ombra, temendo che la strega avrebbe esclamato il suo nome, facendola scoprire dalle guardie.

Ma dal viso di Icy traspariva soltanto tanta sofferenza e tanta collera da farla impallidire, ma dalle sue labbra contratte non uscì alcuna parola. Non poteva.

Le bastò uno sguardo per gettarle addosso tutto l’odio che aveva in corpo in quel momento. Bloom potè quasi leggervi dentro ciò che voleva dirle. So che sei lì.

I due carcerieri continuarono a camminare impassibili, tenendola stretta.

Guarda, guarda cosa mi stanno facendo. Bloom sentì le viscere contorcersi. Ti senti meglio, adesso? È solo colpa tua.

Quando i tre scomparvero alla sua vista, Bloom credette di svenire. Un buco le si era aperto nel petto e sentiva un vuoto agghiacciante nello stomaco, come se la sua forza d’animo fosse stata spenta a forza di pugni. Con le gambe paralizzate, riuscì appena a sedersi a terra e a cercare appoggio contro la colonna. Fissandosi le punte dei piedi, si portò le mani al viso, alle labbra, sentendole tremare, e agli occhi, sentendo le lacrime arrivare in un’ondata.

Rimase laggiù qualche minuto, riuscendo con difficoltà a ritrovare la calma. Respirò profondamente un paio di volte e, asciugatasi alla meglio gli occhi, si mosse per tornare di sopra. Sentiva il viso in fiamme e un tremore alle gambe, e le sue amiche se ne sarebbero certamente accorte se non si fosse inventata una scusa credibile. Ma tutto quello che la sua mente riusciva a produrre in quel momento erano i ricordi di ciò che aveva appena visto; le immagini tornavano sempre più nitide e insistenti come martelli sulle tempie.

 

Quando Bloom rientrò nella grande sala del Consiglio, le sedie erano ancora vuote e i membri dell’assemblea, fate comprese, erano sparpagliati in piccoli gruppetti e parlottavano tra loro, in piedi, in attesa di qualcosa. La toga rossa del monaco Yerka le saltò subito all’occhio, e lo sguardo le cadde nella sua direzione. Subito contrasse la mandibola sentendo un’ondata di rabbia rivoltarle le interiora. Era tornato fin lì da solo, e ora stava in piedi, pacifico, con le mani unite sotto le maniche ampie della tunica e aveva in faccia un ghigno soddisfatto e accentuato ancor di più dai suoi occhi a mandorla, che faceva accapponare la pelle.

Quel maledetto la guardò ancora con insistenza, ma Bloom non gli mostrò il rispetto sacrale che gli aveva riservato durante le poche ore precedenti. Si sentì stupidamente ingenua e provò disgusto all’idea di averlo fatto.

Stella fu la prima ad accorgersi che qualcosa non andava. Dapprima diede il bentornato alla compagna chiedendole se si fosse persa. Poi, quando Bloom non reagì, notò il suo insolito atteggiamento. Non sorrideva, i suoi occhi erano umidi, il suo viso un po’ arrossato, e camminava meccanicamente. Bloom, in modo poco credibile, diede la colpa di ciò alla luce accecante che entrava dalle finestre, tanto intensa da farla lacrimare. Quando l’amica cercò di abbracciarla per condurla al tavolo con lei e Bloom si ritrasse, Stella cominciò a preoccuparsi.

La fata terrestre alzò gli occhi in direzione della preside, impegnata a parlare con un monaco e ad annuire a quanto egli diceva. Sentì il respiro mozzarsi di nuovo e una grande rabbia gettarle scosse elettriche ogni vena del corpo. Era tutto sbagliato, era tutto così maledettamente sbagliato.

L’eccitazione delle compagne che l’aveva coinvolta e a cui aveva partecipato con contentezza, ora la ripugnava. Si sentiva ignobile, ingiusta, riprovevole, complice. Tutte loro lo erano, nonostante la loro unica colpa risiedesse nell’ignoranza. Istintivamente provò un odio profondo per quelle che da un anno chiamava amiche; provò odio per tutti i presenti. Nessuno escluso. Non sapevano nulla, erano ciechi.

Constatato che c’era un problema, Stella prese da parte l’amica in modo da nasconderla agli sguardi indesiderati dei monaci e le parlò sottovoce.

-Che cosa è successo, Bloom?-

La fata strinse le labbra, non sapendo nemmeno da dove cominciare. Avrebbe voluto gridare, manifestare tutta la rabbia che provava, far sapere a tutte che era stato un errore madornale recarsi lì quella mattina, ma in quel contesto non poteva farlo.

-Ti hanno rimproverata?-

-Qualcuno ti ha fatto del male?-

Le compagne chiedevano, curiose, ma facevano in modo che nessuno le sentisse.

Con voce strozzata, Bloom confessò. -Ho visto qualcosa che non avrei dovuto vedere.-

Stella capì sì e no. Finchè Bloom non si fosse spiegata meglio, non avrebbe saputo come aiutarla, neanche volendo.

-Di che si tratta?-

Bloom deglutiva, come per ricacciarsi nel petto la rabbia. Se fosse scoppiata a piangere avrebbe trasformato il tutto in una scenata e si sarebbe solo sentita piccola e stupida.

-Cari fratelli e care ospiti. Accomodatevi.-

L’annuncio del Capo del Consiglio Youta giunse alle orecchie di Bloom come una pugnalata nella schiena. Vedendo che le parole le morivano in gola, Stella rinunciò a voler sapere cos’era successo, ma si affrettò a dire a Bloom quello che doveva, prima di andare a sedersi al suo posto.

-Qualunque cosa sia, Bloom, se è qualcosa di grave devi informare subito la preside.-

Bloom guardò l’amica dritta negli occhi e provò l’impulso di trattenerla dal tornare a quel tavolo. Se era un errore imperdonabile trovarsi lì, ancora più imperdonabile sarebbe stato stipulare un’alleanza con chi perseguiva e appoggiava certe disumanità o, peggio, ne rimaneva indifferente.

Ma Stella aveva ragione. Se voleva fermare tutto questo doveva agire subito, o in alternativa fare finta di nulla e acconsentire al volere di Faragonda e dei suoi colleghi.

Opporsi all’alleanza avrebbe potuto essere fatale per gli equilibri; lasciar correre, però, era inaccettabile.

Con passo tremante seguì le compagne e si sedette al suo posto di prima, mentre i capi monaci prendevano posto in piedi a fondo tavolo.

-Ci apprestiamo a concludere le nostre trattative passando alla votazione. Avete portato il verdetto?-

Faragonda adocchiò Tecna, la quale le porse una manciata di bigliettini legati con un fermacarte. Il conteggio dei voti di Alfea.

-Siamo a 487 favorevoli e 13 astenute.-

-Bene, Tecna.-

Bloom sentì montare il panico. Davanti a Faragonda c’era il documento di voto.

-Prego ora la nostra egregia ospite Faragonda e alle sue testimoni di procedere al consenso e alla firma.-

Il tremolio alle mani si fece intollerabile e Bloom credette di esplodere. Si alzò bruscamente dalla sua sedia, mentre il viso sofferente di Icy le si riaffacciava alla mente, più vivido che mai.

-Aspettate.- disse, cercando di mantenere la voce ferma.

I volti delle compagne scattarono nella sua direzione. Givelian e Yerka si accigliarono. Rimasero eretti e composti, ma dalla loro espressione era chiaro che non tolleravano intralci nei loro programmi. Senza dare loro il tempo di ribattere, Bloom si rivolse a Faragonda.

-Preside, non firmi quel documento.-

Faragonda la guardò, confusa. -Bloom, cosa…-

-Gentile signorina, si rimetta a sedere.- incalzò Givelian. -E non ostacoli le trattative.-

-Non voglio che venga dato il consenso a questa alleanza.-

La fata tremava dalla testa ai piedi.

-Miss, questa è una sede rispettabile. Deve avere il permesso per parlare.- rispose, acido, Yerka, guardando Bloom con gli occhietti da rettile.

-Non osi rivolgermi la parola, lei.-

Il tono di Bloom gettò la sala nella tensione più totale.

-Bloom, che modi sono questi?- intervenne Faragonda. -Vuoi spiegarmi che ti è preso tutto un tratto?-

La fata strinse i pugni.

-Io accuso questi uomini di inganno e di inadempienza alle loro promesse. Avete mentito!- gridò.

-Che insolenza osare fare simili insinuazioni!- replicò Givelian, impugnando il bastone con forza.

Faragonda non sembrò badare alle parole del consigliere, bensì si concentrò sulla sua allieva, con espressione preoccupata.

-Bloom, calmati. Spiegati meglio.-

-Questo patto è tutto un enorme imbroglio, signora. Quelle votazioni sono frutto di informazione distorta e falsa!- si rivolse poi ai monaci. -Fate ogni giorno promesse di amore e di rispetto per ogni vivente di questo universo, mentre i vostri prigionieri, lontano dagli occhi di tutti, subiscono violenza e trattamenti disumani!-

A quel punto fratello Givelian dovette impiegare un certo sforzo per rimanere calmo, mentre Yerka non riusciva quasi più a nascondere il nervosismo. Il suo respiro era accelerato e gli era comparso un tic nervoso al viso.

-Bloom, perché muovi un’accusa simile?- chiese Tecna, incredula.

-Perchè l’ho visto con i miei occhi!-

Tra i membri del Consiglio esplose l’agitazione.

-Silenzio!- esclamò fratello Youta. Con le mani che tremavano per lo sconcerto, si rivolse a Bloom. -State dicendo la verità?-

-Certo che è la verità!- la voce della fata era nuovamente spezzata, e le lacrime non tardarono ad arrivare, copiose e salate. -Mentre mi trovavo in cerca del consigliere Yerka ho visto cosa accade davvero nelle vostre segrete. Lui era laggiù, e l’ho visto parlare con i carcerieri. Credo fermamente che ci sia lui dietro tutto questo, ed è impossibile che voi tutti non ne sappiate niente. La tanto osannata riabilitazione di cui il vostro ordine si vanta non è altro che tortura, fatta di minacce e percosse e inflitta su prigionieri indifesi e privi dei loro poteri, con il solo scopo per provocare umiliazione e dolore!-

-Ma questo è terribile.-

-Non può essere vero.-

I commenti delle compagne restituirono una minuscola scintilla di speranza a Bloom, che pur non avendo prove tangibili e immediate, confidava di riuscire ad aprire loro gli occhi semplicemente grazie al resoconto dei fatti.

Faragonda, pensierosa, rimuginò sul documento e sulla stilografica che teneva in mano.

-Fratello Youta, voi ne eravate al corrente?- chiese.

-Affatto, Faragonda. Ho dato specifici ordini alle mie guardie e ho sempre preteso da loro che si attenessero alle istruzioni.-

-Dubito molto di questo.- giunse da Bloom, che ormai aveva perduto ogni filtro.

-Vorrei sentire anche il parere degli altri consiglieri. Parlate, signori. Abbiamo il diritto di essere correttamente informate prima di dare il nostro consenso. Vi pare?- disse la preside, con serietà.

Solo allora, un anzianissimo monaco vestito di bianco inforcò gli occhiali e chiese timidamente la parola.

-Vostra eminenza, non credo che sia…- azzardò Givelian. La mano di fratello Youta lo fermò immediatamente.

Ottenuta la parola, il monaco si alzò in piedi.

-Ecco, vedete, il nobile Youta non merita alcuna accusa. Le norme di riabilitazione da lui impartite sono state disattese quando qualcuno tra di noi ha deciso che non erano all’altezza della reputazione dell’ordine dei templari.-

-Chi ha dato ordine di disattendere le norme, consigliere?- chiese Faragonda, spazientita. -Diteci il nome.-

-Ecco, noi sapevamo che ai piani inferiori accadevano delle atrocità, ma… l’onorevole Yerka e il collega Givelian ci avevano fatto giurare di non parlare…-

-Fandonie!- si fece avanti Givelian. -È evidente che si tratta di un malinteso. L’ordine dei templari di Roccaluce non ha mai rinnegato l’uso della forza quando necessario. Senza la forza non può essere garantita la giustizia, ed essa è un efficace deterrente contro le cattive attitudini. Nessuno ha mai sostenuto o perpetrato simili efferatezze. La gentile miss sta semplicemente esagerando.-

Bloom guardò le compagne con occhi imploranti e disperati. Il ricordo del bel viso di Icy stravolto dal dolore non la lasciava nemmeno un attimo.

-Preside, la prego, mi creda. Credetemi tutte. Sta mentendo!-

Faragonda sospirò, rigirando la stilografica nella mano.

-Da che non ti ho mai sentito mentire, Bloom, non posso che crederti.-

Non ci voleva un genio, pensò poi la preside, per capire che la ragazza era profondamente turbata, e le sue lacrime ne erano la prova.

-Signori.- cominciò la donna. Posò la penna sul tavolo e si alzò in piedi. -Stando così le cose, questa trattativa di alleanza è rimandata a data da destinarsi. Nessuna fata di Alfea, compresa la sottoscritta, intende appoggiare una politica basata sull’abuso di potere.-

Quelle parole rincuorarono non poco Bloom, che nel frattempo aveva ritrovato la calma.

-Ma cara Faragonda…- provò a ribattere Yerka.

-Consigliere Yerka.- lo interruppe Youta. -Credo che voi e il vostro collega Givelian sarete chiamati a dare delle spiegazioni in altra sede. Avete osato interferire con i miei ordini in modo inammissibile, andando contro ogni protocollo etico del nostro rispettabile ordine.-

-Eminenza, abbiamo agito in buona fede.- si giustificò Givelian, digrignando i denti. -Non c’è modo per quei malfattori di imparare ad agire con coscienza senza una pena adeguata. A chi importa di loro, ad ogni modo? Sono solo criminali, nessuno verrà a difenderli.-

-Fratello Givelian, voi mi disgustate.- sputò Bloom. -La vostra malignità supera di gran lunga le mie aspettative. Ricordate che la giustizia di un popolo si distingue da come esso tratta gli indifesi, e non dalla sua prepotenza. Finché sarete voi i primi ad esercitare la violenza, Magix non conoscerà mai la giustizia.-

Come per mostrare di essere d’accordo con l’amica, Stella si alzò in piedi. In un muto gesto di supporto, le altre compagne fecero lo stesso.

In ultimo, toccò a Faragonda.

La preside espresse il suo saluto e la sua solidarietà all’amico e Capo del Consiglio Youta, e scortò le sue allieve all’uscita.

Prima di vederlo scomparire, Bloom gettò un’ultimo sguardo colmo di disprezzo in direzione del consigliere Yerka, il quale ormai aveva definitivamente perduto il suo ghigno da deviato. Avrebbe avuto ciò che si meritava.

Stella le corse vicino e la abbracciò. Un gesto che esprimeva delle scuse nei confronti di lei e del buon nome delle fate. Erano state ingannate tutte quante e avevano rischiato di tradire il Bene in nome di false promesse. Ma non l’avrebbero mai più permesso.

Bloom si sentiva più leggera. Soffriva per quanto era successo, ma sapere che non esisteva una e una sola via per perseguire la giustizia, la manteneva serena. Un piccolo gesto avrebbe potuto cambiare le cose, ed era ciò che intendeva fare. Una volta tornata a scuola, avrebbe senz’altro provato a parlare con i direttori di Torrenuvola e di Fonterossa per raccontare loro tutta la verità e forse convincerli a tornare sui loro passi. Non sarebbe mai riuscita ad aprire gli occhi a tutti, e a ciò avrebbe dovuto rassegnarsi. Ma sarebbero bastate poche persone in più che le credessero e che fossero disposte a cambiare le cose.

Rincuorata nell’animo, ringraziò la sua migliore amica per quel gesto di affetto, e con lei e le altre si mise sulla strada per Alfea. Questa volta a testa alta e senza più lacrime negli occhi.

Sarebbe sempre rimasta forte, anche di fronte alle sconfitte e al dolore. Avrebbe sempre conservato la dignità.

Non avrebbe mai detto che Icy potesse insegnarle qualcosa, ma se c’era qualcosa che da lei aveva imparato era quella. La dignità.

Un tesoro da preservare con i denti e con le unghie. E nessuno glie l’avrebbe mai portata via.

 





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