Il mondo del Natale

di ConstanceKonstanz
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CAPITOLO 11
L’ABISSO DEL DOLORE
Il padre di Nick era un genio.
Non in senso metaforico, come dite spesso voi, sulla Terra. In senso letterale. Aveva un QI superiore alla media. A quanto pare era un fattore ereditario.  Da secoli, i Grace erano abituati ad essere più intelligenti del normale. Il bisnonno di Nick lo era stato e aveva inventato qualche strana caramella alla menta di cui voi andate pazzi, il nonno di Nick lo era e aveva scoperto le loro miniere, il padre di Nick lo era ed era stato il più vicino a realizzare le fantasie della sua famiglia. E Nick … Nick  avrebbe dovuto esserlo, ma il gene, senza un motivo apparente, l’aveva saltato. L’ultimo erede dei Grace non era un genio, solo un ragazzo molto sveglio. E questo, naturalmente, non era abbastanza.
“Chi è la tua amica?” domandò il padre di Nick.
Lui gli rivolse uno sguardo di fuoco “Non ti interessa”
L’aria si fece pesante. Non mi piaceva il modo in cui quel uomo mi guardava. Sembrava avere già mille domande e mille risposte a tutto ciò che ero. Spostò lo sguardo su Nick. C’era tensione nell’aria. C’era odio nei gesti di padre e figlio, dura acredine, ma c’era anche affetto nei loro occhi, la muta preghiera di guarire una ferita mai sanata. Volevano abbracciarsi, ma erano separati da un abisso di incomprensioni. Volevano saltare, ma l’orgoglio li bloccava.
“Non rivolgerti a me con quel tono, ragazzino!” sbottò il padre, agitando seccamente la mano. Nick sbuffò, il padre abbassò la mano. Sembravano due attori stanchi.
Per un po’ nessuno parlò, vidi Nick far saettare continuamente gli occhi dai fogli sparsi sul letto a suo padre.
Quando capii, era già troppo tardi.
“Cos’è un passaggio infra-mondo” disse suo padre. Senza punto interrogativo. Più che una domanda, la sua sembrava una affermazione. Aveva gli occhi che brillavano, ovviamente lo sapeva. Sapeva cos’erano. Sapeva chi ero.
Nick reagì per primo.
“Niente!” rispose preoccupato, lanciandosi in avanti per quanto una gamba ingessata glielo consentisse. Ma suo padre fu più veloce e afferrò il foglio di Ground Zero.
Il tempo sembrò fermarsi, sentii il mio battito accelerare, l’aria diventare pesante, fissai lo sguardo sul padre di Nick e mi immobilizzai.
“Papà, ti prego, lasciaci stare!” protestò Nick, cercando di strappargli il foglio di mano, ma quello non lo ascoltava, non sembrava neppure sentirlo. Sollevò lo sguardo su di me. Uno sguardo folle.
“T-tu …” balbettò, le mani tremanti. Allentò la presa sul foglio e Nick riuscì a riprenderselo, ma perse l’equilibrio e cadde a terra. Inconsciamente, mi allontanai di un passo. Suo padre sembrava in preda ad una crisi, tremava e continuava a balbettare “Tu … “
“Smettila!” sbottò Nick.
Suo padre lo ignorò. “Da dove vieni?” continuò “Perché sei qui? Come si chiama il tuo mondo?”. Ad ogni domanda, si avvicinava di un passo.
Io indietreggiai fino ad incontrare il muro. Quel uomo mi impauriva e a nulla servivano le preghiere di Nick. Ero il premio che aspettava da un vita Ricordai le parole di Dinah, mi aveva avvertita che non sarei stata al sicuro, che non ce l’avrei fatta. Strinsi i pugni. Il padre di Nick era ormai davanti a me.
“Sembra così umana!” squittì, stringendomi il viso in una morsa. “Però sei fredda” sentenziò alla fine “Molto fredda”
D’improvviso mi afferrò per i capelli e tirò.
“Ahi!” gridai, lui mi lasciò subito.
“Interessante” mormorò “Sente il dolore come noi” Si allontanò di qualche passò e mi osservò.
“Parli la nostra lingua?” domandò “Hai qualche potere magico? Perché sei qui? Com’è il tuo mondo? Posso vederlo?”
“Piantala!” Intervenne Nick “Sei un pazzo se credi a queste cose, è solo una mia compagna di …”
“Taci, Nicholas!” sbottò suo padre, spostando lo sguardo su di lui. “Nick …” sussurrò di nuovo, ma stavolta, qualcosa era cambiato nella sua voce. Era più dolce, immensamente più delicata, quasi grata.
Gli occhi di Nick lampeggiarono per la sorpresa. Mi chiesi da quanto tempo suo padre non lo chiamasse così. 
“Nick, figlio mio, sapevo che eri un Grace, sapevo che ti saresti ricreduto, che un giorno saresti stato il più grande di tutti, più grande di me e perfino di tuo nonno! Figlio mio!” sospirò un’ultima volta, prima di abbracciarlo. Vidi i muscoli di Nick tendersi per la sorpresa, osservai le sue mani stringersi ancora di più attorno alle stampelle, ma i suoi occhi si riempirono di lacrime. Si rifugiò in un abbraccio che gli era mancato per così tanto.
In quel momento capii di essere in pericolo.
Corsi verso la porta, ma suo padre se ne accorse.
“Ferma!” urlò, lanciandosi verso di me ed afferrandomi per un braccio.  “Devo portarti in laboratorio” sentenziò “Quello grande. Dobbiamo chiederti così tante cose! Dobbiamo farti alcuni esami! Abbiamo aspettato così tanto … ”
“Esami?” Avevo la gola chiusa. Guardai Nick, ma lui distolse lo sguardo.
Suo padre alzò le spalle “Esami, banalissimi esami. Tanto per vedere le tue funzioni vitali, come reagisci a degli stimoli interni, magari una piccola vivisezione, ma per quella c’è tempo”
“Nick?” provai, ma lui mantenne lo sguardo fisso a terra.
Suo padre sorrideva felice, lo sguardo estasiato. “E parla anche! Coraggio, non dobbiamo perdere un attimo” aprì la porta e chiamò Rosa.
“Fa preparare l’elicottero” le disse quando comparve “Dobbiamo andare al laboratorio”
 “Dobbiamo?” chiese stupita.
“Sì, dobbiamo” replicò quello seccato “Mio figlio, io e la sua amica”
 Rosa mi guardò, poi guardo lui ed infine spostò lo sguardo su Nick. Se ne stava dietro, in silenzio, con lo sguardo basso e le spalle curve. Sembrava invecchiato di trent’anni in un solo colpo.
“Capisco, signore” rispose infine.
 
Il padre non mi mollò per un secondo. Ero la cosa più preziosa che gli fosse mai capitata, non poteva permettersi di perdermi. Osservò tutti i preparativi con fredda attenzione. Suo figlio, accanto a lui, non riusciva ad alzare lo sguardo da terra. Io non mi ero mai sentita così impotente e stupida allo stesso tempo. Dinva aveva sempre avuto ragione. Sarei morta. Non riuscivo nemmeno a piangere al pensiero. Se ero disperata, non lo ero per me, ma per la mia famiglia. Perché non sarei mai più riuscita e rivederla. E per il mio popolo, perché sarebbe morto consumato dal suo stesso odio.
“E’ tutto pronto, signore” annunciò Rosa.
“Perfetto” replicò lui estasiato “Sai, Rosa” aggiunse poi “Appena avremo diffuso la notizia della nostra scoperta, dovrai ricordarmi di darti una promozione. Anzi, dovrai ricordarmi di dare una promozione a tutti quelli che erano presenti oggi”
Rosa rimase ferma, le mani incrociate, lo sguardo fisso sul padre di Nick.
“Non per me, signore”
Lui la guardò confuso. “Che intendi dire?”
“Che mi licenzio, Aldobaldrino”
Aldobaldrino? Era quello il suo nome?
“Che cosa?!” protestò Nick, rianimandosi all’improvviso “Non puoi abbandonarmi, Rosa! Avevi promesso che non l’avresti mai ! Mai”
A quelle parole, gli occhi di Rosa divennero lucidi.
“Mi dispiace, Nick” mormorò “Ma temo di non aver fatto un buon lavoro”
 “Non puoi lasciarmi! Non puoi!”
Lei sospirò, mi rivolse una rapida occhiata. “Non ho fatto un buon lavoro”
“Rosa, ti prego!”
“Mi dispiace” ripeté, avvicinandosi a lui e baciandolo delicatamente sulla fronte. Per un attimo ebbi l’impressione che qualcosa brillasse nelle sua mani, ma velocemente come era apparsa, la luce scomparve.
Il padre di Nick sbuffò, aveva fretta di andarsene. Inoltre era infastidito dal comportamento di Rosa. Non era abituato a venire contraddetto.  
“Basta smancerie” dichiarò bruscamente “Dobbiamo andare!”
Rosa si scansò e nel farlo, disperse il suo profumo nell’aria.
La guardai. “Aiutami” sussurrai.
Lei mi strinse delicatamente una mano, poi con un movimento fulmineo,  si avvicinò.
“Non perdere la fiducia in Nick” mormorò. “Non perdere la fiducia in nessuno di noi, principessa”
Spalancai gli occhi e quasi caddi per la sorpresa.
Non potevo crederci.
Cercai conferma nei suoi occhi, ma lei si era già ritratta. Nelle orecchie sentivo ancora la sua voce. Principessa.
“Chi sei?” urlai, ma nello stesso istante il padre di Nick mi strattonò. Quando mi voltai, Rosa non c’era più.
 
 Aldobaldrino parlò per tutto il tempo. Era troppo emozionato per tacere, preso da un’ansia quasi febbrile di analizzare e ricordare qualunque cosa di quell’eccezionale momento. Non riuscivo a guardare Nick negli occhi. Rosa mi aveva detto di fidarmi di lui, mi aveva chiamata principessa. Ma più andavamo avanti, più la sua voce si affievoliva . Iniziai a pensare di aver solo sognato. Mi appoggiai la sedile e chiusi gli occhi. Ero in trappola. Esattamente come aveva previsto Dinah. Una fitta di dolore mi artigliò lo stomaco. Pensare a lei, pensare a Nico faceva male. Strinsi i pugni e cercai di concentrarmi sulle parole del padre di Nick, ma fu inutile.
Ripensai ai miei genitori, a mia madre e mio padre ed ebbi paura. Mi accorsi di tremare al pensiero che non gli avrei rivisti mai più. Ma sarei morta piuttosto che rivelare l’esistenza del mio mondo.
Forse non sarebbe servito a molto. In fondo, Nick sapeva come arrivarci. Ma ero la principessa del mio popolo e l’avrei protetto fino alla fine.
Ero sull’orlo delle lacrime e strinsi i pugni. Nick, accanto a me, si mosse e mormorò qualcosa, non lo ascoltai. Mi misi a canticchiare, invece. Mi ricordai di una vecchia ninnananna che avevo sentito tante volte da piccola.
 
La neve scende
E le luci si spengono,
non temere la pioggia,
non temere il fuoco,
il cuore di chi ti ama rimane con te
non temere il buio,
 perché i sogni sono colorati
 
Mano a mano che ripetevo quelle parole, sentivo la paura abbandonarmi. Ritornavo a casa, da mia mamma, accanto a mio padre, potevo nuovamente giocare con Dinah nel giardino, conoscere il mio regno senza paura di esserne inghiottita. Sulla Terra dite che solo il dolore fa crescere, che tutto quello che non ti uccide ,ti rafforza. Io sono dovuta crescere di improvviso e troppo presto e vi assicuro che non c’è nulla di eroico in questo. I mostri che da piccoli si nascondono sotto il letto, da grandi indossano una maschera e tentano ancora di spaventarti. Esattamente come allora, devi imparare a non temerli. Cantare quella ninnananna mi fece ritornare piccola, felice. Per qualche secondo, riuscii ad estraniarmi.
Poi, Nick urlò, il terrore si dipinse sul volto di suo padre e per la seconda volta in vita mia mi ritrovai a precipitare da un elicottero.
 
La cosa strana era che non ricordavo di essere scesa dall’elicottero. Avevo aperto gli occhi e mi ero ritrovata in caduta libera. Nick e suo padre precipitavano accanto a me.  Nessuno dei due sembrava in vena di spiegazioni.
La cosa ancora più strana era che non avevo paura. Ero confusa, arrabbiata, stanca, ma non spaventata. Era una strana sensazione di calma quella che mi aveva presa, sentivo ogni suono attutito, vedevo ogni cosa al rallentatore. Una sensazione strana e pericolosa.
“Siena!” urlò Nick perforandomi un timpano “Siena!”
Lo guardai e fu come vederlo per la prima volta.  
Poi, l’aria mi sferzò le guance ed io divenni drammaticamente consapevole di quanto stavamo rischiando.
“Nick!” urlai, non sapendo cos’altro ribattere “Nick!”
“Mi dispiace!”
La terra, sotto di noi, si avvicinava ogni secondo di più.
Scossi la testa e afferrai la mano di Nick. Quando si sta per morire, si perdona più facilmente. Aldobraldino, più pesante, cadeva più velocemente, ma lo vedevo dimenarsi cercando di recuperare la presa sul figlio, oppure su di me. Non avrei saputo dire a chi tenesse di più.
“Mi dispiace, Siena!” urlò Nick. Piangeva, ma non sapevo se per l’aria che ci tagliava il viso o per paura.
Non ribattei, mi limitai ad aumentare la forza della mia stretta.  
“Rosa aveva ragione” borbottò Nick “Rosa …” ma non riuscì mai a terminare la frase.




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