Le Chimere di Salomone

di BabaYagaIsBack
(/viewuser.php?uid=572215)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.







disclaimer: ricordati di controllare sempre i capitoli precedenti - non arriva notifica per alcuni


 

...ma raggiungere l'appartamento fu impresa meno facile di quello che si sarebbero potuti aspettare. Zenas arrancava, a ogni passo persino la sua gamba buona sembrava cedere - e Alex dava l'idea di essere altrettanto provata. La sua fronte brillava sotto i timidi raggi dei lampioni, la sua bocca stava aperta come quella di una bestia dopo una lunga corsa e fin troppo spesso strizzava gli occhi per riuscire a mettere a fuoco ciò che aveva di fronte. Era impossibile negare che avessero bisogno delle cure di Salomone, ma sfortunatamente dovevano sopportare ancora gli ultimi metri che li separavano dall'appartamento. Era lì, giusto a qualche falcata. In meno di una manciata di minuti avrebbero oltrepassato la soglia dell'edificio e a quel punto... beh, a quel punto ci sarebbero state tre rampe di scale ad attenderli. E di fronte a quella prospettiva Akràv si sentì scoraggiare. In altre circostanze sarebbe stato una sciocchezza fare quella strada, lo sapeva, ma d'improvviso ciò che li aspettava aveva più l'aspetto di una sfida. Dannazione, imprecò tra sé e sé, sfiduciato innanzi a tutto ciò, ma poi un pensiero gli solleticò la mente: Levi era in casa, avrebbe potuto correre da loro liberando Z'èv dal gravoso compito di trascinarlo su per i gradini. Lui e Noah certamente avrebbero fatto meno fatica, sarebbero stati più veloci. Un colosso del suo calibro lo avrebbero issato quasi come un fuscello e una volta nell'appartamento, al sicuro, si sarebbero potuti riposare.

«Lamarebeh hamazal atah bileti enoshiyim, bileti nitanim la'atsirah, o sheani to'eh? (fortunatamente siete inumani e invincibili, o mi sbaglio?)» in un fiato che pareva una sorta di risata spezzata, la voce di Noah interruppe i suoi pensieri e quelli della sorella, che sussultò accanto a lui presa alla medesima sprovvista. L'Hagufah non aveva usato il suo solito tono, piuttosto quello di un sé passato, lontano, che nemmeno Zenas riusciva a ricordare con nitidezza; persino la sua lingua si era prostrata a un alfabeto diverso, così familiare e al contempo inusuale da lasciarlo perplesso - e si chiese ancora chi ci fosse al loro fianco in quel momento, se Noah Dietrich o il Re d'Israele. Probabilmente se fosse stato più lucido, come era Alexandria, glielo avrebbe chiesto insieme a decine di altre cose, ma invece tacque, soffocando a propria volta l'ilarità.
«Ha-hayita ts-tsarikhe lekhashuv 'al z-eh lifnê (dovevi pensarci prima)» sputò tra un affanno e l'altro, parlando quasi con un vecchio amico.

«Khosser shiqul da'att shel tse'irim (errori di gioventù)» un altro ghigno, stavolta più evidente, ovvio, tanto che il tempo parve riavvolgersi su se stesso, portarli indietro fino a epoche dimenticate, ingiallite insieme alle pagine dei libri di storia. Akràv sentì il cuore perdere un colpo, poi stringersi e far esplodere un'emozione che gli inumidì gli occhi. I piedi si scontrarono, arrancò ancora e obbligò i suoi compagni a rallentare, ma dannazione! Quel bastardo di Levi alla fine aveva ragione.

«Veyesh lenatush otanu? (e abbandonarci?)» la voce di Alexandria sembrò il fruscio del vento. Se non l'avesse avuta tanto vicina probabilmente nemmeno si sarebbe accorto di quella domanda così pesante e al contempo leggera. La stretta nel petto aumentò e ciò che stava provando cambiò, si attenuò fino a diventare altro.
Malinconia.
Amarezza.
Nostalgia.
Forse pure una punta di dolore.
Alla fine la sua lucidità aveva avuto la meglio.

L'Hagufah si bagnò le labbra, il sorriso ancora appollaiato lì, imperturbabile quasi non avesse udito nulla. L'arroganza sul suo viso, quella vena maliziosa non ebbe alcun tipo di cedimento - perché di certo il Re sapeva che quella domanda sarebbe arrivata e probabilmente si era persino preparato in tutti quegli anni. I suoi occhi non scesero mai su quelli della Contessa, rimasero fissi davanti a loro e quando aprì bocca Zenas temette di udire la sua risposta. Chissà cosa avrebbe detto, come si sarebbe giustificato di fronte a un atto tanto egoista. E se ciò che li aspettava non fosse stato di loro gradimento? Non volle pensarci, Akràv provò a focalizzarsi su altro, sulla sua instabilità, sul male che il suo corpo riusciva a percepire.

«Tareu ett, haakh hagadol hu kann (guardate, il fratellone è qui)» e d'improvviso il suo sguardo cambiò. In un attimo, esattamente come poco prima, Noah tornò a essere se stesso e quando Levi scansò Alex per prendere il suo posto sotto la spalla del fratello, di Salomone parve non esservi più alcuna traccia. Niente più espressioni tracotanti e beffarde, nessuna risposta in arrivo.
«Ehi!» Stavolta la voce di Alexandria raggiunse le orecchie di tutti, si levò forte sopra alle imprecazioni di Nakhaš facendolo voltare appena, furioso.
«"Ehi" un cazzo, Z'év!» sibilò, i denti stretti e con grande probabilità il viso già sul punto di mutare, riempiendosi di scaglie. Zenas non faticava a immaginarsi la sua espressione, i pensieri che stavano attraversando la mente del fratello: erano ancora in pericolo, alla mercé di qualsiasi cittadino di Vienna e, soprattutto, degli adepti del Cultus; la priorità era nascondersi. «Vai di sopra e recupera degli asciugamani puliti, muoviti.» L'autorevolezza nella sua voce non accettava né esitazioni né insubordinazioni di alcun genere. Per qualche istante poi vi fu silenzio. Loro sorella probabilmente tremò, cercando di contenere rabbia e chissà quale altro tipo di emozioni. Lo intuì dal modo in cui le dita di Levi si strinsero con maggior forza intorno al suo braccio, quasi stesse cercando di mantenere il ruolo di capo, di Generale per i soldati del Re. Solo quando Alex li oltrepassò affrettandosi sulle scale sentì la pressione scemare e il corpo di Nakhaš prepararsi alla salita.
«Mi aspetto un resoconto completo da tutti voi appena ti avrò messo a posto» sibilò ancora. E sentendosi rincuorato, Zenas abbozzò un sorriso: «Lapequdott shelekha, akh (ai tuoi ordini, fratello).»

 

Con gran poca premura, Nakhaš lasciò andare la presa su Akràv. Il corpo della seconda Chimera si accasciò sul divano, stremato dopo qualsiasi cosa fosse successa in quelle poche ore che lui e Alexandria avevano passato lontani dall'appartamento. Era ovvio che ci fosse stato uno scontro con gli adepti del Cultus, ma non avrebbe saputo dire quanto bene, o male, fosse andato.

«Alex, socchiudi le tende» ordinò senza voltarsi, infuriato per ragioni che nemmeno lui avrebbe ben saputo definire: «Non troppo, chiaro? Deve sembrare che chi abita qui voglia solo un po' di privacy, non che stia cercando di nascondere qualcosa. Poi vai in bagno e prendimi degli asciugamani.» Sulle spalle nude Levi non sentiva il bruciore del suo sguardo, il fastidio che le aveva letto in viso poco prima, ma nell'aria avvertì la vibrazione dei suoi passi decisi, rabbiosi. Accolse quell'astio come un pugno scagliato addosso, poi proseguì: «Tu,» stavolta si rivolse a Noah, «metti qualcosa alla radio e portami dell'acqua calda.»
«C-come?» L'Hagufah corrugò le sopracciglia.
«Mi serve dell'acqua calda per togliere il sangue rappreso, poi se ci sono delle bende» si passò una mano tra i capelli scompigliati e ancora umidi dalla doccia: «Poi metti qualcosa dei Twisted Sister... "Leader of the pack" credo possa andare.»
L'altro mosse un passo, poi si fermò. Nuovamente guardò con confusione la Chimera. Aprì bocca.
«Serve per coprire le nostre voci» si affrettò a dire, come se già sapesse cosa Noah volesse chiedergli: «e perché ho bisogno di concentrazione.»
Zenas sotto di lui rise. Con una mano sporca di sangue si coprì gli occhi, lasciando segni rossi sulle tempie: «Theós! (Dio!) Gli anni passano ma i tuoi gusti restano discutibili» scherzò - e quantomeno, se aveva ancora voglia di fare il simpatico, voleva dire che tanto male non era messo. Anche Levi a quel punto si concesse un sorriso. A metà tra il rincuorato e il nervoso si concesse poi d'osservare finalmente lo sbrego da cui lo stinco del fratello fuoriusciva. La pelle lacerata lasciava intravedere parti di osso e persino un occhio meno esperto del suo avrebbe decretato che si trattava di una gran bella frattura - ciò che non avrebbe saputo dire, a differenza sua, è che persino se avessero avuto delle ɛvɛn non si sarebbe sistemata tanto facilmente. Una lunga serie di imprecazioni fece capolino tra i suoi pensieri.
Solo Salomone, il vero Salomone, sarebbe riuscito a guarire quella ferita in un lasso di tempo accettabile per le loro esigenze.
Con la coda dell'occhio Nakhaš cercò Noah. Lo vide intento a riempire d'acqua bollente un pentolino, le bende già appoggiate sul tavolo accanto alla cucina, pronte per l'uso. Se solo l'anima del Re si fosse risvegliata... se solo quel corpo avesse ricordato... D'improvviso Levi grugnì, chinandosi all'altezza della gamba di Zenas e strappando con un unico movimento il jeans insanguinato. Alexandria arrivò poco dopo, gli asciugamani stretti tra le mani e il viso contratto in una smorfia preoccupata.
Senza domandargli nulla gli mise in grembo uno dei teli, stando attenta a non far sfiorare le loro pelli: «Puoi sistemarla?»
Lui si morse un lembo della lingua biforcuta, poi cautamente si sedette a terra e prese la gamba del fratello. Questi non emise alcun rumore, semplicemente si concesse una smorfia di fastidio che tradì il vago tentativo di nascondere il dolore. Doveva essere una sensazione lieve, vista la natura di Akràv, ma non ignorabile - e come biasimarlo? Un umano qualsiasi avrebbe gridato e pianto, si sarebbe dimenato come un ossesso per il male a cui stava facendo fronte, quindi anche una Chimera non ne sarebbe stata immune.
Levi esaminò con più cura la ferita. Ruotò la gamba quanto più possibile per vedere se vi fossero altre lacerazioni, studiò l'angolatura dell'osso e valutò con quanta pressione spingerlo in sede. 
«Dovresti già conoscere la risposta» sussurrò, troppo concentrato per concederle una qualsivoglia spiegazione. Alex a quel punto si avvicinò, forse per capire meglio cosa avesse intenzione di fare. Una ciocca le scivolò davanti al viso, sfiorandogli la spalla e facendolo rabbrividire.
«Seriamente, akh
Nakhaš socchiuse gli occhi, inspirando il profumo di lei e quello del sangue. Li conosceva entrambi così bene...
 «Rimettere a posto l'osso è semplice, così come ricucirgli la carne,» le prime note del brano che aveva richiesto si mossero lungo le pareti del salotto, avvolgendoli: «ma non so quanto ci vorrà prima che possa camminare normalmente... senza ɛvɛn sarà un processo lungo, lo sai anche tu.»
Zenas sbuffò. «Sono su questa Terra da quando Troia è caduta, non sarà una gamba rotta a uccidermi, akh
«Non è questo il punto.»
A quel punto Akràv si tirò su. Il piede andò a premersi sulla bocca dello stomaco di Levi e un rivolo di sangue fresco scivolò a lato della ferita: «Il punto è se sarò in grado o meno di camminare e correre, mi è chiaro» sputò, infastidito.
Ancora una volta i denti di Levi si premettero su una delle punte della lingua. Già, la sua preoccupazione più grande era esattamente quella. Appena lo aveva visto, ferito e sorretto da Alexandria e Noah, il suo pensiero era andato a parare lì. Se il Cultus era riuscito a scovarli significava che dovevano fuggire, allontanarsi da Vienna il prima possibile - e questo voleva anche dire: nascondersi, correre, combattere. In quelle condizioni suo fratello ci sarebbe riuscito? Quasi certamente, no.
«Senza l'Ars potrebbero volerci settimane.»
«E allora voi andrete avanti senz-» Noah gli spuntò accanto. Con il pentolino in una mano e la bende nell'altra corrugò le sopracciglia, intromettendosi.
«Di cosa diavolo state parlando?» Sembrava inorridito, come se in qualche modo sapesse cosa tutto ciò stesse a significare. «V-voi... voi non starete pensando di-»
«Calmati, moccioso» il tono deciso di Z'év arrivò prima che Levi potesse anche solo formulare un pensiero di senso compiuto, mettendo a tacere parole che avrebbero infastidito chiunque, lì dentro. «Stiamo solo valutando la situazione» aggiunse poi, allontanandosi dalla sua spalla: «Senza un alchimista che possa supportarci siamo limitati.» Di fronte a quella considerazione fu semplice per Nakhaš vedere l'ombra di colpevolezza ghermire il ragazzo. Capiva anche lui a chi Alexandria si stava riferendo, dopotutto non esistevano altri alchimisti al pari di Salomone - e l'Hagufah in fin dei conti era ciò che rimaneva del Re, il suo lascito, l'unico a poter curare le Chimere; sarebbe stato compito suo rimediare a quel casino, lenire il dolore e sanare le ferite, se solo non fosse stato in quelle condizioni.
«Io... potrei provarci, potrei...» le parole che gli uscirono di bocca furono poco più di un sussurro, una proposta di cui nemmeno Noah era certo visto ciò che era accaduto con Alex ore prima. Levi avvertì la necessità di alleviare la coscienza del suo Signore, di liberarlo dal peso di quel compito gravoso a cui era ovvio non potesse far fronte. Così prese un respiro profondo, fece correre i palmi delle mani lungo la gamba di Zenas, tra i peli incollati alla carne e il sangue in parte rappreso. Cercò le aree più gonfie e, senza alcun preavviso, diede un colpo.

Crack!





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4045027