A
passo rapido e deciso, Mathias Meier entrò nell'ospedale, lo
sguardo verde fisso davanti a sé.
Di
tanto in tanto, la sua fronte si corrugava e la sua bocca si
contraeva in una smorfia. suoi sensi avvertivano con intensità
dolorosa l'odore ferrigno del sangue mescolarsi al tanfo dei
medicinali e delle deiezioni umane.
Urla
strazianti, come lamenti di animali morenti, si levavano dai soldati
feriti, ormai quasi del tutto privi di cure.
Un
ringhio, a stento frenato, risuonò sulle labbra sottili del
giovane. Questo era il glorioso risultato dei sogni di potenza di
Hitler e dei suoi servi.
Tanti,
troppi giovani morivano per compiacere le sue brame di dominio.
Un
forte calpestio interruppe il corso dei suoi pensieri.
Mathias
si girò e, a poca distanza da lui, vide un medico di mezza
età, di media statura, dai corti capelli biondi e dagli occhi
celeste chiaro.
– Heil
Hitler!* – scandì il dottore, deciso.
– Heil
Hitler! – ricambiò il soldato, il tono incolore. Che
senso aveva quel saluto?
Hitler
si era ritenuto un condottiero geniale, erede di Napoleone, aveva
condotto la Germania su un abisso.
Lui,
che proclamava di volere ridare splendore alla Germania, aveva
sacrificato le vite di tanti suoi compatrioti.
E,
in quel momento, erano costretti a difendere la loro capitale.
– Cosa
fai qui? Non mi sembri ferito. – domandò il medico,
perplesso.
– Ho
dolore al polso destro. Può darmi un'occhiata? Poi, ho saputo
che qui è stato ricoverato il camerata Siegfried Huber. Potrei
vederlo? – chiese.
A
quella richiesta, il medico aggrottò le sopracciglia.
– Non
ne avrà per molto. Le sue ferite erano troppo gravi. –
mormorò, lugubre, dispiaciuto.
Il
gelo, implacabile, coprì il cuore di Mathias. La guerra aveva
deciso di prendersi anche lui.
Quel
senso di ingiustizia, di nuovo, trafiggeva il suo cuore.
Con
un gesto nervoso, allontanò le lacrime, che minacciavano di
cadergli sulle guance, poi fissò il medico.
– La
ringrazio, dottor... –
– Mi
chiami solo Karl. Anche se, per tutti, sono dottor Wolf. –
rispose il dottore, ironico.
Un
mezzo sorriso sollevò le labbra sottili di Mathias. Il saluto
di prima nascondeva un'anima ben lontana dalle folli ideologie
naziste.
Tuttavia,
pur di aiutare quei soldati sfortunati, figli di un indottrinamento
crudele, celava il suo cuore.
Sospirò.
Il suo amico Siegfried, nei suoi ultimi istanti, aveva conosciuto un
medico umano e generoso.
Forse,
era una fortuna, nella sua tragedia.
Sollevò
la manica della divisa e scoprì un polso robusto, su cui
campeggiavano diversi lividi.
Il
medico esaminò con attenzione il polso, poi lo sfiorò
con un tocco leggero.
Una
fitta di dolore attraversò il braccio del soldato e,
d'istinto, strinse i denti.
– Che
idiota... – sibilò, irritato contro se stesso.
Karl
scosse la testa.
– E'
solo una slogatura. In condizioni normali, ti direi di tenere il
polso a riposo. Ma vi sono ora delle necessità superiori. –
sospirò.
– Non
si preoccupi. Anzi, mi ha rassicurato. – replicò il
giovane. In quelle parole, gli era parso di avvertire un vibrante e
beffardo sarcasmo.
Poi,
si alzò e seguì il medico.
Si
fermarono davanti ad un letto su cui era disteso un giovane di
statura media e di corporatura snella.
I
folti e riccioluti capelli castani erano sparsi sul cuscino, come
un'aureola, e il suo viso, dai lineamenti delicati, era dominato da
un pallore spettrale.
Sul
torace si apriva un ampio squarcio, rosso di sangue e la sua mano
destra sporgeva inerte dal letto.
Mathias
si irrigidì, come se il suo corpo fosse diventato di ferro, e
rilasciò un debole sospiro. Come erano diversi loro...
Tanto
lui era alto e imponente, quanto Siegfried era snello e delicato.
Quel
corpo, però, celava una forza immensa.
Nulla
però restava di lui.
Il
medico si allontanò e Mathias si inginocchiò alla
destra del suo letto.
– Siegfried...
Siegfried... – lo chiamò, gentile.
L'interpellato,
sentendosi chiamato, girò la testa e aprì gli occhi
grigi, lucidi di dolore, in quelli verdi dell'amico.
Un
sorriso sollevò le labbra, rosse di sangue, di Sigfried. Il
suo compagno e mentore era lì.
La
fame aveva lasciato il segno sul suo corpo, ma non aveva annientato
la luce determinata del suo sguardo.
Era
un degno guerriero tedesco.
La
Germania non avrebbe mai perso, con simili, meravigliosi combattenti.
– Sono
felice di vederti qui... So che non dovrei pensarlo... –
dichiarò.
Mathias
scosse la testa e appoggiò la mano sulla sua spalla.
– Non
darti troppe pene, amico mio. Pensa a riprenderti. – lo
incoraggiò.
Sono
un idiota, pensò. Il
medico glielo aveva detto.
Per
Siegfried non c'era alcuna speranza.
Le
dita del ferito, ad un tratto, si strinsero attorno alla mano
dell'altro.
– Mathias...
Ricordi... Ricordi i nostri campeggi? – domandò ad un
tratto Siegfried.
A
stento, l'altro trattenne un singhiozzo. Con quelle parole, il suo
amico aveva rievocato i ricordi della loro permanenza della Hitler -
Jugend.*
Quei
giorni, che pure risalivano a pochi anni prima, gli parevano così
lontani.
In
quei campeggi avevano creduto in un destino glorioso.
– Certo...
Certo che li ricordo... – disse, la voce incrinata.
Sigfried,
sovrastato dalla fatica, chiuse gli occhi e rilasciò respiri
ansimanti.
– Io...
Io credo che la Germania rinascerà... Ho fiducia nel nostro
Fuhrer... Lui... Lui ci guiderà attraverso questo fuoco...
Lui... Lui è la Germania... E io... Io sono felice di morire
per liberare la Germania dai suoi nemici... – scandì,
risoluto, lo sguardo perso in un punto indefinito.
Mathias,
a fatica, frenò un gemito e alcune lacrime tremarono nei suoi
occhi. Il suo amico Sigfried non aveva perduto la sua ingenua fiducia
nelle virtù divine di Hitler.
Come
aveva fatto a non comprendere l'inutilità di quel conflitto
crudele?
– Mathias...
Ti prego... Ho bisogno di un favore... Me lo farai? – domandò
Sigfried, supplichevole.
Un
mezzo sorriso sollevò le labbra di Mathias.
– Ad
una condizione. Se sopravvivo. E non è scontato. –
rispose.
Siegfried,
a quell'affermazione, ridacchiò. Forse, non tutto era perduto.
L'ironia
di Mathias non era svanita.
– Se
sopravvivi... Porta questo messaggio ai miei genitori... Sono morto
nel nome del Fuhrer e della Germania... – dichiarò, gli
occhi grigi fissi nelle iridi verdi dell'altro.
Provò
ad alzare il braccio destro nel saluto militare, ma fitte di dolore
dilaniarono il suo corpo e si abbandonò, inerte.
Con
delicatezza, Mathias strinse l'arto e lo sollevò. Doveva
tacere.
Sigfried
meritava di morire in pace.
Lui,
così giovane, era una vittima della loro età crudele e
il suo animo gentile era stato corrotto.
Gli
occhi grigi di Sigfried luccicarono di commozione. Mathias era
rimasto un camerata splendido.
– Grazie,
amico mio. –
Poco
dopo, il respiro di Sigfried cessò e la sua testa si abbandonò
sulla spalla.
Per
alcuni istanti, Mathias rimase immobile, mentre le lacrime , ormai
prive di controllo, bagnavano il suo viso. Sigfried aveva cessato di
soffrire.
Forse,
il suo destino, per quanto doloroso, era ben più felice di
quello di altri.
Sigfried
era morto puro, malgrado i crimini commessi, perché aveva
mantenuto le sue illusioni d'eroismo e gloria.
Lui,
invece, si sentiva privo di qualsiasi scopo nella vita.
Con
premura, appoggiò la mano di Sigfried sul suo petto, ormai
fermo, poi, con il pollice, gli terse le labbra, umide di sangue.
– Addio.
Spero di incontrarti di nuovo, amico mio. –
Si
alzò, girò le spalle e si allontanò.
*saluto
nazista
*
Gioventù hitleriana.
Settore
giovanile del partito nazista. Uno dei suoi capi fu Balduch von
Schirac.
Per
cementare il senso di appartenenza al nazismo, venivano organizzati
dei campeggi all'aria aperta, con attività sportive e di
addestramento militare.
|