Le Lettere dell'Innocenza

di Milly_Sunshine
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[10 gennaio]
Ellen guardò la schermata bianca del computer, sperando che le uscissero le parole. Finito il Natale e gli articoli spazzatura a proposito di come dovesse o bon dovesse essere festeggiato, il calendario offriva ovviamente tanti altri spunti. Le era stato affidato un compito ancora più noioso e, in circostanze normali, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a inventarsi qualcosa. Quella, tuttavia, non era una circostanza normale: le vicende legate ai delitti di Goldtown continuavano a girarle avanti e indietro per la testa, come se ci fossero domande alle quali non aveva potuto dare risposta.
Sapeva che smettere di tormentarsi sarebbe stata di gran lunga la soluzione migliore. Aveva rischiato di provocare danni colossali, quando si era sforzata di trovare a tutti i costi la soluzione a tutto in una mezza verità. Diverse persone si erano ritrovate in pericolo a causa del suo comportamento avventato, non poteva dimenticarlo.
"Ellen, smettila" cercò di ordinarsi. "Restane fuori, sarà meglio per tutti."
Purtroppo c'erano ordini ai quali non era possibile obbedire e si rendeva conto di essere proprio in una di quelle situazioni.
Prese il cellulare e scrisse un messaggio.
"Sei l'unico con cui posso parlare. Ci sono delle cose che non mi tornano. Posso chiamarti?"
Kevin le rispose subito.
"Manca un quarto d'ora all'apertura pomeridiana. Steve mi starà già aspettando al lavoro."
"Steve è sempre in anticipo" replicò Ellen. "Ti prego, non ti disturberei se non fosse fondamentale."
Kevin mise in chiaro: "Non ho voglia di parlare di faccende private."
Ellen sospirò.
"Non succederà."
Non le sarebbe affatto dispiaciuto se fosse accaduto, ma sapeva di non potersi esporre troppo. Poteva già ritenersi fortunata se Kevin non l'aveva totalmente esclusa dalla sua vita, visto com'era andata tra di loro.
Attese che Kevin le scrivesse, ma non successe più. Si stava rassegnando, ma ricevette una chiamata, alla quale si affrettò a rispondere.
«Grazie, non ci speravo.»
«Sì che ci speravi» la smentì Kevin. «Non hai mai fatto niente senza un obiettivo, né quando non c'era la possibilità di ottenere quello che volevi. Perché mi hai cercato?»
«Sei arrivato a smascherare Roger Callahan prima di me» gli ricordò Ellen, «E per giunta quando non stavi nemmeno cercando la verità. Non posso tenerti all'oscuro di quello che sento.»
«Cosa senti?»
«Non so, non c'è tutto. Qualcuno, vicino a noi, ha mantenuto qualche segreto, a causa del quale la soluzione ai delitti di Goldtown rimarrà sempre incompleta.»
Kevin azzardò: «Non mi avrai chiamato per chiedermi ancora una volta di quella notte. Non ho visto niente, non so come abbia fatto Callahan a cadere dalle scale e sono stanco di ripeterlo.»
Ellen puntualizzò: «In realtà sei stato tu a chiamare me. Ad ogni modo, non voglio chiederti di quella sera. Non parlo della sua morte, parlo della morte di tutti gli altri. Continuo a pensare che le conclusioni a cui siamo arrivati - sia noi, sia le autorità - a proposito di Mark siano incomplete.»
Kevin le ricordò: «Sei stata la prima a teorizzare che Mark sia stato ucciso quasi per caso, per via dei suoi contatti con Will Mason, contatti che però nessuno ha mai potuto provare per l'assenza di tracce telefoniche - il che non deve sorprendere, dato che sappiamo bene come Mark preferisse non usare il cellulare.»
«Sono stata la prima a formulare anche altre teorie» replicò Ellen, «Che si sono rivelate incomplete. Temo di non essere arrivata davvero in fondo alla verità.»
«Importa ancora?» obiettò Kevin. «Sono passati più di vent'anni. È giusto che i morti possano riposare in pace, non credi? Lascia perdere Mark e vai avanti con la tua vita, invece di guardare indietro.»
«Non ho mai guardato indietro» chiarì Ellen, «Anche se devo avere dato questa impressione. Mi dispiace che tu l'abbia pensato. Mi piacevi davvero e mi piaci tuttora, non è solo per via della nostra sbandata giovanile.»
«Non stavamo parlando di questo.»
«Però credo sia giusto parlarne.»
«Non adesso. Stavo per uscire per andare a lavorare, allo studio insieme all'altro tuo ex. Non mi sembra il momento.»
«Scusa se ti ho complicato la vita.»
«Scuse accettate, ma adesso devo andare.»
Ellen cercò di trattenerlo.
«Aspetta. Quando possiamo rivederci?»
«Rivederci?» obiettò Kevin. «Vuoi rivedermi?»
«Sì, anche una di queste sere. Judith si è abituata a dormire a casa del padre. Possiamo incontrarci a casa mia, se te la senti.»
Per un attimo Kevin non rispose, facendole temere che per lui quell'idea fosse da scartare sul nascere. Fu prontamente smentita, quando lo sentì dire: «Perché no? Così mi parlerai anche di Mark, se lo vorrai.»
«Grazie. Allora ci sentiamo. Ti lascio andare a lavorare. Saluta Steve da parte mia.»
«Non sono certo che sia il caso, proprio ora che le cose stanno andando meglio, tra me e lui.»

 

Kevin aprì la porta e si precipitò all'interno. Proprio come si aspettava, non solo Steve era già arrivato allo studio, ma sembrava già immerso nel proprio lavoro.
Gli venne spontaneo scusarsi per il ritardo e solo a quelle parole Steve guardò l'orologio appeso alla parete.
«Non fa niente» replicò con tono apatico, «E comunque non mi pare tardi. Sono io che sono arrivato presto.» Si girò a guardarlo e, solo allora, con una voce che appariva più interessata, gli domandò: «È successo qualcosa?»
«No» rispose Kevin. «Ho solo perso un po' di tempo al telefono.»
«Fammi indovinare, un operatore di telemarketing che non ti lasciava più andare via? Ti capisco, nemmeno a me riesce tanto facile sbattere il telefono in faccia a gente che sta lavorando, magari sottopagata.»
«No, era una chiamata personale.»
«Qualcosa di interessante?»
«Niente di che.»
Steve arrivò molto in fretta alle conclusioni.
«Per caso era Ellen? Guarda che non devi per forza fare finta che non ti interessi. Sono capace di accettare l'idea che tu e lei stiate insieme.»
«Non è necessario che fai questo sforzo» replicò Kevin. «Non sto insieme a Ellen. Ora, se non ti dispiace, ho perso già abbastanza tempo, ho del lavoro da fare.»
Si diresse verso il retro e, mentre si toglieva la giacca, aprì il programma di posta elettronica; aveva lasciato il computer acceso prima della pausa pranzo.
C'erano diverse e-mail e, subito dopo essersi seduto, iniziò a leggerle. Riuscì a farlo solo per pochi istanti, dato che venne immediatamente raggiunto da Steve.
«Se pensi di insistere a parlarmi di Ellen, non ho altro da aggiungere» ribadì Kevin. «La mia vita privata non è affare tuo, specie adesso che Ellen non ne fa più parte.»
«Mi rendo conto di essere l'ultima persona al mondo con cui vorresti parlare di lei» ammise Steve, «E mi dispiace per i casini che ho fatto. Però te lo ripeto, non devi sentirti obbligato a fingere che tra voi non ci sia niente.»
Kevin sbuffò.
«E va bene, se proprio lo vuoi sapere, mi ha invitato ad andare a trovarla a casa sua, qualche sera, quando ne avrò voglia. Non so cosa ci sia tra noi e non lo sa nemmeno lei. Mi ha invitato da lei perché vuole scopare? Probabilmente sì. Ci andrò? Anche in questo caso, probabilmente sì. Ho soddisfatto il tuo desiderio di sapere?»
«Sei stato anche fin troppo esplicito.»
«Perfetto. Adesso mi lasci lavorare, spero.»
«È un modo elegante per dirmi che per te questa conversazione è finita?»
«Non credo ci sia molto altro da dire.»
Steve arrese: «Hai ragione, non sono la persona giusta con cui parlarne.»
Stava per andarsene, ma Kevin lo trattenne.
«Un po' ti invidio, sai?»
Steve lo fissò senza capire.
«Di cosa parli?»
«Se fossi al posto tuo, mi sentirei imbarazzato a indagare sulla mia frequentazione con Ellen. Tu no, a quanto pare, nonostante tutto.»
«Sono molte le cose che non mi imbarazzano» ribatté Steve. «Penso di essere troppo sicuro di me stesso... e non sempre è un bene. Anzi, oserei dire quasi mai, dato che, per un eccesso di sicurezza, ho rischiato di farmi uccidere.»
«A proposito, tu che conoscevi Callahan, hai capito come mai abbia studiato quella trappola? Perché voleva uccidere qualcuno a tutti i costi?»
«Posso solo immaginare che volesse spingere Ellen a fermarsi o far ricadere i sospetti su di lei. Ha scelto me perché ero l'obiettivo più facile, senza pensare che, in ogni caso, Ellen non si sarebbe fermata fino alla fine. Se Callahan non si fosse incastrato da solo, starebbe ancora dando la caccia alla verità.»
«Temo che lo stia ancora facendo, nonostante tutto. Certo, adesso non è più pericoloso, ma non è del tutto soddisfatta.»
«Te l'ha detto oggi quando vi siete sentiti?»
«Sì, secondo lei c'è ancora qualche elemento che non quadra, ma le ho consigliato di lasciare perdere. L'assassino è morto, cosa importa se anche qualcuno non ha detto tutta la verità su qualche aspetto? E poi, chi avrebbe dovuto mentire?»
Steve annuì.
«Hai ragione, questa storia è diventata una specie di ossessione per lei. Le farebbe bene staccare. Tutti dovremmo staccare. Si stava così bene, quando nessuno veniva ammazzato e non c'erano criminali efferati da fermare. Non mi illudo: niente sarà mai più davvero come prima, ma dovremmo sforzarci tutti di lasciarci questo periodo alle spalle.»
«Capisco perfettamente quello che dici» convenne Kevin. «Se qualcuno ha qualche segreto che si porta dietro da settimane, oppure da vent'anni, non è un problema nostro, fintanto che non può nuocere. Dobbiamo rassegnarci: non possiamo sapere tutto. Quello di cui siamo a conoscenza dovrebbe bastarci.»

 

Jack non si accorse di Lydia Blackstone fintanto che non udì la sua voce.
«Disturbo?»
Alzò gli occhi di soprassalto. Non si aspettava di vederla e impiegò qualche istante prima di rendersi conto che era andata da lui in veste di cliente.
«Come posso aiutarti?»
«Quando avvio la macchina, mi esce una strana spia. Quando te la posso portare?»
«Anche oggi pomeriggio, se vuoi. Ci sono fino alle sei. Non mi è rimasto molto da fare, posso guardarci subito.»
Lydia diede un'occhiata all'orologio.
«Sì, va bene. Allora vado a prenderla.»
«Okay, ti aspetto.»
Jack la guardò allontanarsi, tornando con il pensiero a Elizabeth, la sua ex moglie. Lydia non le era mai piaciuta, fin dall'adolescenza. Jack aveva sempre pensato che la ragione per cui in tanti la screditavano, a quei tempi, fosse l'invidia. Lydia era sempre stata una bella ragazza, molto desiderata, anche se a lei sembrava non piacere mai nessuno. Ai tempi delle scuole superiori circolavano parecchi pettegolezzi sul suo conto, molti messi in giro da persone - come la povera Maryanne Sherman - che si divertivano a mettere in cattiva luce chi non andava loro a genio.
A distanza di anni e anni, a volte Elizabeth aveva insistito affinché anche Jack si scagliasse contro Lydia. Non l'aveva mai assecondata, ma le aveva sempre fatto credere di essere del tutto indifferente alla faccenda, le aveva sempre nascosto che, in realtà, a lui Lydia non aveva mai dato fastidio.
Si ritrovò a chiedersi se l'avere spesso indossato una maschera l'avesse allontanato dalla sua ex moglie e concluse che, chiunque si trovasse nella sua situazione, poteva indossare qualsiasi maschera senza sentirne il peso.
Andò a sedersi all'interno del gabbiotto nel quale gestiva le pratiche dell'officina. Prese fuori lo smartphone, che teneva in tasca. Trovò un messaggio di Ellen, che lo informava di avere sentito Kevin e di avergli proposto di incontrarsi.
Gli faceva piacere avere riallacciato i contatti con Ellen, qualche mese prima, dopo tanti anni di separazione. Era sempre stata una vera amica, per lui, fin da quando si erano conosciuti. Aveva cercato di fare il possibile per essere all'altezza, per renderla felice. Avrebbe preferito di gran lunga rivederla accanto a Steve - erano loro la coppia ideale, secondo i suoi standard - non le avrebbe messo i bastoni tra le ruote, in fondo anche con Kevin poteva essere felice.
"Sono contento per voi" le scrisse. "Mi raccomando, se tornate insieme tienimi aggiornato."
Ellen rispose con una semplice emoticon: un sorriso. Meglio così, si meritava di sorridere e di non scoprire mai cosa fosse successo davvero la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre 2002.
Jack ricordava ancora ogni singolo momento di quella tarda serata: l'uscita di soppiatto da casa, l'incontro con Kimberly, su insistenza di quest'ultima, fatto che Ellen era riuscita a scoprire a vent'anni di distanza. Era saltata alla conclusione affrettata che il loro fosse un incontro romantico e Jack glielo aveva lasciato credere. Non poteva rivelarle che, su richiesta di Kimberly, quella notte avevano pedinato Mark, perché la Richards riteneva fosse coinvolto in un affare poco pulito per via del quale era tornato a Goldtown.
Ellen ci aveva visto giusto, sull'incontro tra Mark e Will, ma non si erano trovati per discutere dell'incidente dello specchietto della macchina. Jack aveva udito chiaramente, così come Kimberly, i due che facevano il nome di Linda Miller. Will si era messo ad accusare Mark di avere accettato dei soldi per fare qualcosa che aveva preferito non menzionare.
C'era qualcosa di grosso in mezzo, Jack e Kimberly l'avevano compreso subito. Mark aveva replicato che i suoi interessi economici non erano affare di Will e che non aveva tempo di rimanere a dibattere di quell'argomento insieme a lui, dato che doveva incontrarsi con la persona che lo pagava e che, a causa sua, stava perdendo tempo prezioso.
Si erano lasciati così, mentre Jack e Kimberly si defilavano di soppiatto, valutando il da farsi. Sull'auto della ragazza non avevano avuto un rapporto sessuale, come credeva Ellen, bensì concordato che, qualunque cosa fosse accaduta, avrebbero dovuto fingere di non sapere niente dell'incontro tra Mark e Will. Jack avrebbe utilizzato come "alibi" la visione della partita, Kimberly avrebbe fatto credere a Patricia di averla attesa in casa tutta la sera, facendole giurare di non rivelare a nessuno del loro appuntamento. Più avanti avrebbe cercato di lasciarla con una scusa - il tradimento se l'era inventato - e di non recarsi più a Goldtown, per evitare di rimanere invischiata in una storia più grande di tutti loro.
Jack poteva solo immaginare cosa fosse accaduto dopo: Mark doveva essere andato a un appuntamento con Roger Callahan, che invece di consegnargli altri soldi l'aveva ammazzato. Non era difficile ipotizzare il movente: doveva essere stato lui il tramite con cui Callahan si era messo in contatto con Linda. Jack dubitava che Mark fosse al corrente delle intenzioni di Callahan, prima dell'omicidio, ma dopo la morte della ragazza doveva avere intuito il coinvolgimento di quell'uomo. Era probabile che gli avesse chiesto altro denaro in cambio del suo silenzio.
Era plausibile anche che Will, pagato invece da John Stewart per scoprire invece chi avesse ucciso Linda, avesse seguito Mark e visto o udito qualcosa di compromettente, da cui la decisione del killer di eliminarlo a sua volta. Kimberly, infine, sapeva soltanto che quella sera Mark doveva vedere una persona che lo pagava in merito a un affare inerente la Miller: era quello che Mark aveva detto, testualmente. Doveva avere fatto due più due ed essere arrivata alla conclusione errata che quella persona fosse Ellen.
Jack non aveva mai sospettato di lei, non aveva ragioni per farlo. Dopo la morte di Mark aveva deciso sia di proteggere la sua memoria, sia di impedire che Ellen scoprisse di che pasta era fatto. Peraltro, visto il suo interesse giornalistico, già ai tempi, per il delitto della Miller, Jack sospettava fortemente che Mark si fosse messo insieme a Ellen con il secondo fine di carpirle eventuali informazioni, forse utili per estorcere soldi all'assassino.
Non gli era stato difficile realizzare che, innamorandosi di Steve, Ellen si era finalmente avvicinata a un ragazzo che ci teneva davvero a lei e che non aveva segreti infamanti. Infine, quando vi rifletteva, Jack si rendeva conto di avere a sua volta un segreto infamante.
Non sapeva cosa sarebbe cambiato se avesse parlato, a suo tempo, di quello che aveva sentito la notte del delitto. Forse non sarebbe stato sufficiente a fermare Callahan, ma esisteva la possibilità che almeno alcuni dei delitti che erano seguiti potessero essere evitati.
"Magari sarei morto io, ma qualcuno di loro sarebbe ancora vivo."
Ci pensava sempre più spesso, negli ultimi tempi, un po' come se i delitti più recenti e la fine di Roger Callahan avessero riaperto una ferita che per vent'anni aveva cercato di cancellare. Sapeva di non esserci riuscito, sperava solo, nonostante tutto, di essere in grado di continuare a tenerso dentro quel peso.
Mentre il suo cellulare vibrava, stavolta per informarlo che la batteria era ormai scarica, Jack si maledisse per non essere rimasto a casa a guardare davvero la partita in replay, quella sera. Assistere al goal di Harvey Lee, invece che a quella maledetta conversazione tra Mark e Will, sarebbe stata un'opzione decisamente più accettabile. Purtroppo non poteva tornare indietro, nonostante per una parte fosse ancora il novembre del 2002. Se non altro, seppure per ragioni diverse, aveva molto in comune con gran parte dei cittadini di Goldtown.





Era con tutta probabilità il 22 ottobre 2002 quando scrissi le prime righe de "Le Lettere di Mabel", così si chiamava inizialmente il mio tentativo di romanzo, su un foglio di bloc notes a quadretti di cinque millimetri. Mesi di fogli, quaderni, ripensamenti, trame assurde, un triangolo amoroso nonsense tra Ellen, Steve e Kevin (a un certo punto continuai la storia solo perché non ero convinta della ship Ellen/ Steve con la quale l'avevo fatta terminare), l'apparizione di Roberta, gemella segreta di Jennifer (ai tempi una delle due era già fidanzata con Patricia, anche se non ricordo quale, per colpa dei continui scambi), moventi nonsense per i delitti e quant'altro.
La trama è cambiata molto nel corso di questi vent'anni, ogni tanto provavo a scrivere versioni nuove, ma nessuna mi aveva mai convinta. Nessuna prima di questa. "Le lettere dell'innocenza", il titolo che poi prese "Le Lettere di Mabel" a un certo punto del 2003, è ricominciata verso la fine di ottobre del 2022, con la volontà di celebrare in qualche modo il ventennale di quello che consideravo il mio "primo romanzo". Mi piace ancora considerarlo in questi termini e il 31 gennaio 2023, dopo tre mesi, sono arrivata in fondo. I titoli delle varie parti, "Le Lettere di Mabel", "Lacrime macchiate di sangue", "Ellen non deve morire", "Anche gli assassini sono vittime" e "La vendetta di Mabel" sono tutti ispirati (oppure presi tali e quali) da titoli di sottosezioni o seguiti della versione originale. Il periodo di ambientazione è simile a quello delle prime due parti della versione del 2002, anche se in parte spostato più in là di vent'anni: ai tempi spesso scrivevo giorno per giorno, ambientando i fatti nella stessa data del giorno in cui scrivevo, questo successe per circa due mesi, fino verso la fine di dicembre.
Vorrei ringraziare la mia compagna di banco di prima superiore S., che probabilmente nemmeno si ricorda di questa "opera", ma alla quale parlavo costantemente delle mie idee, la mia amica E., che si ricorda ancora dell'esistenza del Mabel-verso e alla quale tempo fa ho riferito di avere ricominciato questa avventura, i ragazzi del forum Scrittori della Notte, con cui in passato ho condiviso stralci di versioni prodotte nel corso degli anni, ma soprattutto le persone che mi leggono su EFP e quelle che hanno recensito e recensiranno. Sappiate che anche grazie a voi ci sono arrivata in fondo.
Aggiungo che "Le lettere dell'innocenza" ha contribuito a risvegliare il mio interesse per la scrittura, riportandomi a percorrere vie che credevo ormai abbandonate. In primo luogo mi ha condotta su EFP, dove ho condiviso diversi miei scritti risalenti agli scorsi anni, e in secondo luogo mi ha spinta a rimettermi in gioco. Pensavo che ormai la scrittura non facesse più parte di me, invece mi sbagliavo. Chissà che qualche altra storyline vecchia di decenni non torni alla luce in una nuova forma.




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