Lo
sguardo di Guido si fissa su Luisa, china su Bruno.
L'amarezza,
come un macigno, opprime il suo cuore. Suo figlio Bruno è
condannato a morte.
Riesce
a vedere i respiri sempre più flebili del suo petto
sofferente.
Sente
i singhiozzi di Luisa, in quel momento ritornata donna, malgrado
l'abito monacale.
Il
suo corpo si irrigidisce, come una sbarra di marmo. Ha sempre
desiderato costruire una famiglia con lei.
Ma
quel focolare, appena costruito, è destinato a svanire, come
un blocco di marmo distrutto da una carica di dinamite.
A
stento, frena un ruggito d'ira. Quella situazione, tanto dolorosa, è
il frutto dei maneggi di sua madre e sua moglie Elena.
In
nome di uno stupido orgoglio classista, loro hanno voluto separarlo
da Luisa e da suo figlio.
E, per colpa loro,
Bruno non ha conosciuto l'amore di una famiglia.
Certo,
sua madre si è pentita, ma il suo ravvedimento non ha portato
rimedio a quanto era accaduto.
E
sua moglie Elena pensa di impietosirlo con le sue lacrime fasulle?
–
Mamma...
Non lasciarmi. Non ti vedo più. Dove sei? Mamma! Mamma! –
urla la voce di Bruno.
Di
scatto, Guido avanza d'un passo, poi si ferma, congelato.
Suo
figlio, con uno spasimo doloroso, si è inarcato all'indietro,
poi è spirato tra le braccia di Luisa.
Con
movimenti gentili, premurosi lei appoggia il bambino sul letto, poi
lancia un grido di dolore.
Nelle
sue parole, risuona l'amore materno, troppo a lungo represso, a causa
di una sorte avversa.
Sopraffatto
dalla disperazione, in un gesto d'estremo pudore, l'uomo volta la
testa e si appoggia al muro. Tutto è finito.
Bruno
è morto tra le braccia di sua madre
Ad
un tratto, boccheggia, come un pugile colpito da un pugno, e si
abbandona alle lacrime. Qual è la ragione del suo fragile contegno?
Solo macerie restano dei suoi sogni e delle sue speranze. Poco dopo, solo i loro lamenti
risuonano nel silenzio di quella camera d'ospedale.
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