Il Paradosso del 27

di Milly_Sunshine
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DISCLAIMER: una storia simile a questa l'ho già pubblicata nel 2019 su Wattpad (con il nickname Sunshine295, account che utilizzavo allora) e su un forum a tematica Formula 1 e altre serie di automobilismo, del quale sono admin. Quella era una fan fiction e c'erano personaggi ispirati a veri piloti. In questa versione, la cui trama è per vari versi diversa da quella originaria, ciò ovviamente non accadrà in quanto EFP vieta di pubblicare fan fiction su sportivi (se siete appassionati di Formula 1, comunque, c'è caso che possiate notare qualche personaggio secondario velatamente ispirato a qualche pilota vero).
I personaggi principali, Yannick Leroy e Alysse Mercier, hanno fatto la loro prima comparsa nella fan fiction del 2019 (ai tempi intitolata "Il Paradosso del What-if") così come Ryuji Watanabe. Il personaggio di Tina Menezes, invece, l'avevo inserito in passato in altre fan fiction, faceva anch'esso la sua parte nella versione del 2019, per poi scegliere di mantenerlo presente anche in questa versione.
L'idea di piloti che devono mantenere segreta la propria identità mi è stata ispirata a suo tempo da una fotografia in cui era ritratto un gruppo di kartiste dell'Arabia Saudita, la maggior parte delle quali avevano preso parte alla foto di gruppo tenendo il casco in testa, facendomi ipotizzare che non volessero posare a volto scoperto per motivi religiosi, oppure che, essendo stato solo di recente rimosso il divieto di guidare per le donne del loro Paese, preferissero non rivelare la propria identità.

A mio parere non è necessario essere grandi appassionati di automobilismo per comprendere le dinamiche del racconto. Averne comunque una conoscenza di base (anche a livello "ci sono venti macchine che girano in tondo") può essere d'aiuto. La maggior parte della storyline, comunque, riguarda intrighi che non avvengono strettamente in pista.




Era la fine di settembre. Milionari disposti a spendere migliaia e migliaia di dollari per assistere dal vivo agli eventi che avrebbero fatto da contorno al Gran Premio di Las Vegas presto avrebbero potuto posare sulle tribune extralusso con l’aria annoiata e le mani sulle orecchie per proteggersi dal frastuono dei motori. Frattanto squattrinati disposti a spendere decine e decine di euro, dollari o sterline per sottoscrivere abbonamenti alle PayTV e acquistare gadget a tema, si sarebbero affaccendati sui social network a scrivere insulti rivolti a chi, per impegni lavorativi, avesse saltato la visione sistematica di qualsiasi sessione di prove libere. Non che fossero rimaste molte sessioni di prove libere, prontamente sostituite da gare sprint o a griglia di partenza invertita da dare in pasto all’affamato pubblico che amava la A+ Series, ma quello che contava era il concetto.
Talvolta lo stesso CEO si stupiva di quanto fosse facile raggiungere menti poco brillanti e di convincerle che tutto venisse fatto per assecondare i loro desideri. In realtà non erano che parte del tutto: seguivano un campionato automobilistico con un interesse maniacale per qualsiasi elemento di contorno, prestando addirittura più attenzione a colore delle paillettes della giacca che avrebbe indossato il celebre rapper Hamster Gangster al concerto di apertura della stagione piuttosto che alla competizione. Perfino quel pubblico che un tempo si lamentava perché il fragore dei motori era calato a poco a poco, nel corso degli ultimi tre lustri, aveva da tempo dimenticato l’argomento. Del resto ormai erano qualifiche e gare a fare da contorno a un evento più ampio, spesso contornato dalla presenza di ospiti d’onore che non avevano il benché minimo legame con l’automobilismo, piuttosto che il contrario.
Un tempo il CEO stesso era stato scettico di fronte all’idea di un simile futuro, ma un’ottima collaboratrice gli aveva aperto gli occhi e l’aveva messo a tu per tu con una verità scintillante: l’idea di preservare l’essenza delle competizioni motoristiche era il nulla, gli incassi erano tutto, e da ogni click, ogni flame e ogni commento ai colori delle bandane portate in testa dalle celebrità che si aggiravano per il paddock senza la benché minima comprensione di quanto vedevano portava all’aumento degli incassi.
La collaboratrice in questione si chiamava Maelle Heidelberg e aveva lavorato come social media manager della A+ Series fin dal primo momento in cui i social network avevano iniziato ad avere un ruolo attivo nello sport. A distanza di anni, tuttavia, era giunto il momento di una promozione. Il CEO aveva bisogno di collaboratori fidati e nessuno era più fidato della Heidelberg. Tra i quaranta e i cinquant’anni, il CEO non ricordava la sua età precisa, era una donna piuttosto pragmatica, che offriva il proprio contributo in molteplici forme. La sua competenza era molto utile, il suo genere anche: le tifose non facevano altro che invocare la rappresentazione delle donne nel motorsport e Maelle faceva al caso loro. Sorrideva con aria compiacente alle ragazzine che urlavano “girlpower!” e una volta tornata dietro le quinte si occupava di ciò che importava a ogni affarista, indipendentemente dal genere: l’interesse economico della categoria.
In più il CEO doveva riconoscerle una buona dose di sadismo. Non aveva molta confidenza con lei e non gli interessava conoscerla meglio in ambito non lavorativo - anzi, forse ne avrebbe quasi avuto paura - ma sul lavoro non aveva alcun pelo sulla lingua. Non si faceva remore a pronunciare ad alta voce parole o frasi che molti altri avrebbero avuto a malapena il coraggio di pensare e non era raro che se ne uscisse con qualche invettiva contro gli standard di sicurezza troppo elevati. Secondo Maelle, una maggiore possibilità che si verificassero incidenti gravi o addirittura mortali durante le gare avrebbe contribuito a innalzare il livello di attenzione da parte dei tifosi. Non aveva tutti i torti: buona parte del pubblico non l’avrebbe mai ammesso, ma il sogno di buona parte dei telespettatori era quello di vedere il proprio idolo morire e diventare un eroe. Non era più possibile alla stessa maniera di un tempo, ma bisognava lavorare a quell’aspetto. Purtroppo prima c’era una brutta gatta da pelare e, proprio per quella ragione, il CEO attendeva Maelle.
La Heidelberg bussò allo stipite della porta, prima di entrare. Conosceva la prassi: se trovava aperto, poteva introdursi liberamente nell’ufficio del CEO, a condizione di segnalare la propria presenza. Aveva l’aria soddisfatta, mentre si infilava dentro. Per chi non la conosceva, nel suo completo grigio e con i capelli raccolti, poteva apparire come una professionista qualsiasi. Non lo era e l’espressione del suo volto significava una cosa sola.
«Buongiorno Maelle» la accolse il CEO. «Si sieda.»
Maelle si accomodò di fronte a lui e, con un sorrisetto beffardo, osservò: «Il nuovo sistema di influenza esterna è fantastico. Secondo me dovrebbe essere sperimentato già a Las Vegas. Ho già in mente perfino il pilota.»
Quella donna stava facendo il passo più lungo della gamba.
«Maelle, l’ho convocata per parlare di Rosso Ventisette.»
«Sì, direttore, lo immaginavo. Pensavo che, dato che siamo qui, si potrebbe parlare anche della nuova opzione, tuttavia. Le assicuro che la mia idea le piacerà tanto quanto a me piace il concetto.»
«Non lo metto in dubbio» ammise il CEO, «Ma manca una settimana all’inizio del campionato e abbiamo un pilota che sta violando le regole della categoria, o quantomeno minaccia apertamente di violarle. Spero si renda conto della gravità della situazione e del fatto che necessiti la priorità.»
Maelle scrollò le spalle, con aria quasi indifferente.
«Mi ha chiamato per questo? Non voglio essere scortese, ma credo non abbia bisogno del mio parere per agire. Morto un Ventisette se ne fa un altro.»
«Lei è troppo ossessionata dalla morte» ribatté il CEO. «Quel tipo non deve essere soppresso, ma semplicemente radiato dalle competizioni. Dopotutto deve essere il suo obiettivo. Vuole andare a correre in Indycar, perché il suo sogno è ottenere la Triple Crown. Da come parla, sembra voglia lasciare intendere di avere già vinto la Ventiquattro Ore di Le Mans, e questo finirebbe per dare indizi sulla sua effettiva identità. Come se non fosse già abbastanza grave, sembra considerare la sua vittoria al Gran Premio di Montecarlo di parecchi anni fa come una vittoria effettivamente sua e non del numero che porta. Tutto ciò non è accettabile. Il lavoro fatto per rendere i colori e i numeri superiori alle scuderie di un tempo e ai piloti non può essere vanificato dalle sue ambizioni.»
Maelle obiettò: «Radiarlo, però, non farà altro che risvegliare la sua sete. Finora si sta trattenendo perché deve sottostare alle nostre regole. Dovremmo fare qualcosa di più. Potrebbe bastare poco, non dico necessariamente un’uscita di pista, quelle hanno effetti così difficili da controllare. Vediamo botti micidiali, ma fin troppo spesso i piloti ne escono senza nemmeno un graffio. Dicono che hanno visto tutta la loro vita scorrere davanti ai loro occhi, e quelle scemenze lì, ma il giorno dopo se ne dimenticano e tutto continua esattamente come prima. Non c’è molto che possiamo fare, da quell’aspetto, ma si può pensare ad altro. Non saprei, magari potrebbe ricevere una scossa elettrica dalla monoposto mentre è al volante e...»
Il CEO interruppe quella proposta sul nascere: «Dobbiamo rimanere ancorati alla realtà, Maelle. Mi rendo conto che sarebbe molto bello potere influire sulle gare e sulla vita dei piloti anche tramite scosse elettriche mentre stanno guidando, ma non possiamo spingerci così tanto in là, possiamo solo sognarlo. Abbiamo dodici opzioni meravigliose per controllare, se necessario, gli esiti delle competizioni. Rispettano tutte certi principi etici e non dobbiamo allontanarcene.»
Maelle riprese improvvisamente a sorridere.
«Dodici?»
«Finora erano dodici» ammise il CEO. «Lo so, vuole parlare a tutti i costi dell’opzione tredici, ma le assicuro che...»
Maelle lo interruppe: «Nero Trentasei.»
Il CEO non capì.
«Cosa intende?»
«Intendo Nero Trentasei, quel pilotino arrivato dalla Seconda Divisione.»
«So benissimo di chi sta parlando, ma in che modo si collega alla nuova opzione?»
«Quell’opzione deve essere sperimentata in opera» puntualizzò Maelle. «Abbiamo bisogno di una cavia e non potrei immaginare una cavia migliore di lui.»
«È solo un pilotino delle retrovie» replicò il CEO. «La gente si rende conto a malapena della sua presenza. Potrebbe essere chiunque: il figlio di un milionario qualsiasi, un pilota supportato da un grosso sponsor che ha creduto nel suo talento, oppure addirittura un pilota di seconda generazione con un cognome famoso. Però è solo Trentasei, l’ultima ruota del carro.»
«Appunto» ribatté Maelle. «Dobbiamo fare una prova, non qualcosa di altisonante. Quello di Las Vegas sarà il primo gran premio della stagione. Non abbiamo alcun motivo valido per bloccare all’improvviso e a sorpresa il traction control sulla vettura di uno dei big, quello potremmo farlo quando sarà il momento opportuno e inizierà a delinearsi la lotta per il mondiale. Per questo ho proposto Nero Trentasei. È solo un tizio qualsiasi di cui non importa nulla a nessuno. Non si farà male, le vetture di oggi sono indistruttibili. Poi c’è pure l’halo, non gli arriverà una ruota in testa, se dovesse staccarsi dalla sua vettura. Peccato perché al pubblico piace il sangue, ma in questo momento non dobbiamo pensarci.»
«Perché Nero Trentasei?»
«Perché mi piace l’ironia.»
«Le ho mai detto che è un genio del male, Maelle?»
«Decine e decine di volte.»
«Allora glielo ripeto, ma le faccio anche notare che certa ironia possiamo coglierla soltanto noi, che stiamo ai piani alti.»
Nemmeno a quelle parole Maelle smise di sorridere.
«Ancora meglio, non crede? Gli affari sono importanti, ma non bisogna mai smettere di cercare un po’ di allegria. Il modo migliore per trovarla è essere al di sopra di tutto. Il pubblico non sa. Il personale dei team non sa. La stampa e gli addetti ai lavori non sanno. Noi sappiamo benissimo chi c’è dietro a ogni numero, chi sono quei piloti senza identità che pubblicamente devono sempre indossare tuta e casco e parlare attraverso un congegno che neutralizza il loro accento. Nessuno può riconoscerli, ma noi sappiamo perfettamente quale sia l’identità di ciascuno di loro. Abbiamo un potere enorme, abbiamo il controllo di tutto. Dobbiamo sfruttarlo per il nostro interesse, ma non c’è nulla di male a farlo per puro divertimento personale. Ci pensi e mi faccia sapere cosa ne pensa, se sperimentare l’opzione tredici sulla macchina di Nero Trentasei non le sembra una possibilità meravigliosa.»
Il CEO annuì.
«Come vuole. Adesso, però, parliamo di cose serie. Ho già trovato un nuovo Ventisette, non ci resta altro da fare che formalizzare l’addio con quello precedente.»
Maelle non parve indifferente alla notizia.
«Chi è il nuovo Rosso Ventisette?»
«Non abbia fretta, Maelle» ribatté il CEO. «Ogni cosa a suo tempo.»
«Pensavo mi avrebbe dato almeno qualche anticipazione. Chiaramente è normale che io non sia stata consultata, nemmeno a titolo informativo, ma sa benissimo che può fidarsi di me. Abbiamo sempre gestito bene la stanza dei bottoni e mi piacerebbe se...»
«Lo so, le piacerebbe essere informata subito. È proprio insaziabile, Maelle. Uno vale l’altro, non crede? Ho scelto il profilo più adeguato per le nostre esigenze: Rosso Ventisette deve essere in grado di competere alla pari con Argento Quattro e con Viola Cinque. Dobbiamo chiaramente assicurarci che non vinca il mondiale, per la solita regola aurea secondo cui le monoposto di colore rosso devono arrivare vicine al titolo, almeno occasionalmente, ma non vincerlo, il che ovviamente sarà molto facile da controllare.»
«Si è assicurato che Rosso Ventisette sia un pilota più veloce del suo compagno di squadra? L’altra regola aurea è che alle vetture rosse corrispondono i numeri 27 e 28 e che chi porta il numero 27 debba essere considerato un pilota più interessante e promettente del compagno di squadra.»
«Non si preoccupi per questo aspetto, Maelle. Mi fa piacere che sia così interessata alle sorti del campionato, ma non metta costantemente in dubbio le mie capacità.» Il CEO ridacchiò. «Invecchiando non perdo colpi, anzi, mi viene sempre in mente qualche trovata migliore. Non sarò diabolico tanto quanto lo è lei, in alcune occasioni, ma me la posso ancora cavare.»
Maelle lo guardò con aria implorante, insistendo: «Il nome?»
Il CEO sospirò.
«Come vuole. Lo saprà.»
Fissò la sua assistente, mentre pronunciava le vere generalità del prescelto Rosso Ventisette.
Maelle parve spiazzata.
«Oh, non mi aspettavo che...»
Il CEO le strizzò un occhio.
«Lo vede? Sono ancora capace di stupirla. La A+ Series è in buone mani.»
«Assolutamente» convenne Maelle. «Mi fa piacere che abbia avuto questa idea. Non potevo immaginare candidati migliori, se devo essere sincera.»
«Veniamo alle cose davvero serie, invece» ribatté il CEO, un po’ come se il nuovo pilota chiamato a guidare la vettura più in vista della griglia fosse una questione di poco conto. «Ho convocato l’attuale - quasi ex - Rosso Ventisette per oggi. Arriverà tra circa un’ora. Voglio essere da solo con lui, quando lo informerò della sua radiazione. Gli proporrò un accordo vantaggioso anche per lui, affinché non gli venga in mente di violare le nostre regole anche quando non farà più parte della A+ Series. Presto questa faccenda sarà chiusa e potremo occuparci a tutto tondo del campionato imminente.»
«E i fan» osservò Maelle, «Potranno occuparsi del colore dei pantaloni attillati di Hamster Gangster come se da quelli dipendesse il destino delle corse automobilistiche.»
«Esattamente» confermò il CEO, «Mentre noi valuteremo come sperimentare la nuova opzione. Aveva ragione. Nero Trentasei potrebbe essere il candidato ideale.»
«Sapevo che avrebbe tenuto in considerazione la mia proposta» concluse Maelle. «Ne sono davvero felice, mi fa molto piacere.»





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