Un diavolo a Roma parte II - L'Inferno può attendere

di AlbAM
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Capitolo 15

Il dannato


Il dannato provava un odio profondo.

Odiava l'Inferno, il Paradiso, la vita, la morte, l'Arcidiavolo che lo aveva sepolto con la bocca piena di ghiaccio e le labbra sigillate per impedirgli di pregare, cosa inutile, perché non aveva più intenzione di dedicare un solo pensiero a Nostro Signore che, ormai era evidente, lo aveva abbandonato. Ma sopra ogni cosa odiava il demone che lo aveva trascinato all'Inferno. Quel lurido, piccolo bastardo riccioluto dall'aria soddisfatta.

Inizialmente era convinto che ci fosse stato un errore. Non era possibile che fosse finito all'Inferno proprio lui che per tutta la vita aveva agito come un buon cristiano e combattuto perché le leggi del Signore fossero rispettate.

Così aveva cercato di non arrendersi, di non perdere la fede e di pregare. Pregare e pregare. Sicuro che il Signore, sempre fosse lodato, avrebbe mandato i suoi messi a liberarlo, a dirgli che aveva superato l'ultima prova e che finalmente avrebbe potuto essere ammesso nel Regno dei cieli.

Ma passava il tempo e nulla cambiava, finché un giorno finalmente era stato trascinato fuori dalla sua prigione di ghiaccio. Aveva ringraziato il Signore per aver ascoltato le sue preghiere e si era preparato a lasciare quell'orrido luogo di sofferenza.

Ma quell'essere infernale dal corpo perfetto, dai lunghi capelli neri e setosi e gli occhi completamente neri e bui lo aveva apostrofato sgarbatamente. «Ho ricevuto delle lamentele dai tuoi vicini di dannazione e dai miei collaboratori. E francamente anche io ne ho le palle piene delle tue giaculatorie. Stiamo già scontando la nostra pena eterna, l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che un bigotto ipocrita, talmente marcio dentro da non aver ancora capito il motivo della sua condanna eterna, ci stracci i maroni tutto il Santo giorno con le sue nenie lamentose!»

«A quanto pare Nostro Signore lassù non è altrettanto insoddisfatto, visto che ti ha ordinato di liberarmi!» Replicò altezzosamente il dannato.

«Credo che tu non abbia inteso bene la situazione, merda umana. Non sono venuto né a liberarti né a portarti messaggi da parte del Padre, altrimenti mi chiamerei Gabriel e non Akenet. Sono venuto a dirti che se non la pianti di rompere le palle, ti riempio la bocca di ghiaccio, te la sigillo e poi ti sbatto dentro il ghiacciaio così in fondo che il freddo e il dolore che hai patito fino a oggi ti sembreranno una vacanza ai Caraibi. Sono stato chiaro?»

Il dannato lo guardò interdetto, non era sicuro di aver capito, soprattutto la parte sulla vacanza ai Caraibi.

«Ti ho chiesto se hai capito, ed è meglio per te che mi risponda di si.» Ringhiò Akenet.

«No! Non è possibile, io non capisco. Credevo di aver superato questa prova, ho pregato e pregato, senza mai lamentarmi, confidando che un giorno avrei ricevuto il mio premio per averlo servito fedelmente. Perché invece Nostro Signore si accanisce così tanto con me?»

Akenet di fronte allo sconcerto del dannato provò un moto di compassione. «Non conosci il detto, il pavimento dell'Inferno è lastricato di buone intenzioni? Forse se riflettessi di più su come ti sei comportato in vita, sul dolore che hai causato in suo nome a tanti innocenti, capiresti perché sei qui e smetteresti di illuderti.»

Il volto del dannato si contrasse in una smorfia di rabbia. «Tu, lurida bestia infernale, sporco traditore di Dio, non osare darmi lezioni di morale o io… »

Non finì la frase. Akenet mantenne fede alla sua minaccia seppellendolo nel ghiaccio, il più in fondo possibile. «Prova a parlare ora, stronzo!» Commentò soddisfatto.

Da allora era passato meno di un secolo. Il dannato ormai aveva perso ogni speranza di essere accolto in Paradiso e la sua fede aveva lasciato il posto a un odio profondo e viscerale verso il Creato e verso il suo Creatore.

Era intento a ripassare il solito elenco di tutto ciò che odiava quando accadde qualcosa. Un piacevole calore circondò il suo corpo. Un calore sempre più forte che un pò alla volta sciolse il ghiaccio che lo imprigionava.

Si sentì strattonare e tirare, qualcuno lo stava portando in superficie.

Pensando che si trattasse di nuovo di Akenet, il dannato anziché sentirsi sollevato si infuriò e si chiese cosa volesse ancora quell'essere diabolico.

Provò a ribellarsi, ma era troppo debole. La bocca era ancora sigillata, per cui non poteva neppure urlare e lamentarsi.

Si arrese e lasciò fare finché fu portato in superficie e buttato sgarbatamente sul pavimento ghiacciato.

Cadde sulle ginocchia, troppo debole anche solo per provare a reggersi in piedi.

«Alza la testa e fammi un cenno se riesci a capirmi!» ordinò una voce femminile.

Il dannato alzò la testa stupito, si aspettava di trovarsi di nuovo al cospetto del suo torturatore e invece era inginocchiato davanti a due demoni che lo osservavano con le braccia conserte. Indossavano entrambi una divisa nera con due bande rosse lungo le cuciture e alti stivali neri. Avevano gli occhi rossi, i capelli neri, le corna, orrende ali da pipistrello e due code che agitavano nervosamente. Si differenziavano solo per le fattezze, uno dei due era leggermente più minuto, aveva i capelli a caschetto e un fisico femminile. L'altro aveva i capelli rasati ai lati e corporatura maschile.

La demone fece un cenno con la mano sinistra e il dannato si rese conto che il sigillo alla bocca era sparito. Provò a parlare ma riuscì solo a tossire e vomitare ghiaccio. Quando si riprese la demone parlò di nuovo.

«Il momento della tua vendetta è arrivato, umano. Puoi approfittarne o perdere la tua unica occasione, cosa rispondi?»

«La mia vendetta contro chi, esattamente?» rantolò il dannato.

La demone sogghignò. «Contro chi ti ha portato qui, mi sembra ovvio!»

«Voi lo conoscete?»

I due demoni risero. «L'Inferno è piccolo, umano!»

«Perché mai dovreste usare un dannato per colpire uno dei vostri luridi colleghi!»

I due demoni smisero di ridere.

«Attento a come parli, umano!» sibilò il demone maschio sbattendo nervosamente la coda.

La collega gli posò una mano sulla spalla per calmarlo e si rivolse al dannato.

«Non siamo autorizzati a rivelarti nulla, ci penseranno i nostri superiori a spiegarti tutto!»

«Perché dovrei fidarmi di voi, come posso sapere che non si tratti di uno dei vostri sporchi giochi per divertirvi alle mie spalle?» domando il dannato provando ad alzarsi, ma ricadendo sulle ginocchia.

«Non puoi saperlo, ma se rinunci potresti pentirtene per il resto dell'eternità!» intervenne il demone maschio.

Il dannato esitò.

«Va bene, peggio per te. Ributtalo nella sua prigione, Carryel!» ordinò Aluarel.

Il demone si avvicinò al dannato che, terrorizzato all'idea di essere nuovamente imprigionato nel ghiaccio, allungò le braccia in un debole gesto di difesa e urlò «No, aspetta!»

Carryel lanciò uno sguardo alla sua compagna che gli fece cenno di attendere e domandò. «Allora, cosa hai deciso?»

Gli occhi del dannato emisero un bagliore carico d'odio..

«Voglio la mia vendetta!»

Lei sorrise. «Hai preso la decisione giusta, Nicolas Eymerich!»


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Zoel osservò Eymerich dubbiosa.

Il dannato, o quel che ne restava, non aveva affatto un bell'aspetto. Con quei lunghi e radi capelli grigi, ancora bagnati e appiccicati alla testa e al collo, il corpo macilento e di un ributtante color giallino, il viso talmente magro che gli occhi iniettati di sangue sembravano voler scappare fuori dalle orbite, le ricordava il personaggio di un libro che aveva scritto un umano non molto tempo prima. Una saga infinita che parlava di anelli magici o qualcosa del genere. Tra l'altro il personaggio in questione, se non ricordava male, faceva anche una brutta fine, il che non era di grande auspicio, a pensarci bene.

«Siamo sicuri che questo rottame umano possa esserci d'aiuto?» Domandò a Krastet.

Erano riuniti a casa di Zoel, più esattamente nell'ufficio privato che l'arcidiavola utilizzava per lo più per pubblicare i suoi video hard su OnlyFans e accaparrarsi futuri utenti. L'arredamento era abbastanza sobrio, un armadio che conteneva i completini per le interpretazioni hard, una scrivania con un portatile Mac, una sedia ergonomica con pallone gonfiabile, color fuxia, che a detta di Zoel era fantastica per evitare il mal di schiena.

«Siete stai voi a ridurmi così e ora ve ne lamentate?» Sibilò Eimerich.

«In effetti Akenet ci è andato giù pesante con te. Non mi sembri in grado di aiutarci, forse non è stata una buona idea pensare di affidarti questo incarico» rispose Krastet.

Eymerich provò un brivido di terrore al pensiero di essere di nuovo sepolto nel ghiaccio e corse immediatamente ai ripari. «Vi sbagliate, mi basta un po' d'aiuto per riprendere le forze e l'incentivo di una adeguata ricompensa.»

«Non mi sembri in grado di contrattare umano!» rispose glaciale Krastet.

«A me invece sembra che siate voi a non avere molte alternative altrimenti avreste usato i vostri scagnozzi anzichè mandarli a liberare me!»

Krastet e Zoel rimasero senza parole. Il dannato aveva colto perfettamente il punto, non era ammissibile per gli Arcidiavoli, inviare dei demoni sulla terra per assassinare una donna umana e rapire il bambino che stava crescendo in lei. Non potevano in nessun modo fare a meno di lui.

«Allora?» li esortò il dannato.

Zoel si sedette sulla sedia ergonomica accavallando le gambe con aria sexy, ma rovinò completamente l'effetto perdendo l'equilibrio e scivolando a terra con le gambe all'aria.

Krastet rimase di sasso, Eymerich disgustato, Carryel e Aluarel si sforzarano di reprimere il benché minimo accenno di sorriso.

Zoel, si rialzò e cercando di mantenere una parvenza di dignità si appoggiò alla scrivania. «Molto bene. Krastet, esponi il piano all'umano.»

«Il piano è che lui e questi due vanno sulla terra e si prendono il bambino» rispose Krastet indicando Aluarel e Carryel.

«E questo voi lo chiamate piano?» domandò Eimerich sarcastico. «Mandare un dannato nel mondo dei vivi a rapire un bambino che non si sa chi sia né come e dove trovarlo?»

I due Arcidiavoli si scambiarono uno sguardo leggermente imbarazzato, l'umano aveva perfettamente ragione, in effetti non avevano mai discusso i dettagli del rapimento del figlio di Azaele.

«Krastet stava giusto per esporti i dettagli del piano» rispose Zoel cercando di fare la sostenuta e di fatto rimbalzando su Krastet l'onere di inventarsi qualcosa di minimamente sensato.

Seguì un imbarazzante silenzio.

Eymerich rimase in attesa per un minuto buono, poi decise che se voleva cogliere l'occasione per fuggire da quel luogo di pena e dolore eterni, doveva aiutare quei due imbecilli a fornirgli le informazioni necessarie per compiere la missione che volevano affidargli. In fondo quando era vivo gli interrogatori erano il suo pane quotidiano.

«Prima di tutto sarebbe utile sapere il nome del bambino»

«Ecco... a dire il vero non sappiamo se abbia già un nome!» rispose Zoel imbarazzata.

«Come sarebbe a dire?»

«Sarebbe a dire che non è ancora nato!» rispose Krastet.

L'inquisitore lo guardò senza capire. «Scusate ma se non è ancora nato, come pensate che possiamo rapirlo?»

«Devi tirarlo fuori dalla pancia della madre!» rispose Krastet come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Per quanto Eymerich non fosse mai stato un esempio di sensibilità verso il suo prossimo, persino per lui fu troppo pensare di poter commettere un simile orrore. «Ma siete completamente pazzi, come potete pensare di chiedermi una cosa del genere? E poi un bambino strappato dal ventre della madre non potrebbe mai sopravvivere!»

«Non è un bambino comune, è il figlio di una strega e di un diavolo!» spiegò Zoel.

Eymerich rimase interdetto. «State forse dicendo che Lucifero è riuscito a generare un figlio?»

«Non esattamente!» ridacchiò Zoel.

«Ma chi altro, avrebbe potuto sfidare Dio in questo modo?» domandò l'inquisitore sconcertato.

Zoel lo guardò dritto negli occhi. «Qualcuno che conosci molto bene Nicholas Eymerich, quattrocento anni fa ha trascinato la tua anima quaggiù!»

Il viso di Eymerich si trasformò in una maschera d'odio. «Azaele!»

«Proprio lui!» intervenne Krastet. «Ricordi la sua strega? L'ha ritrovata e ci ha fatto pure un figlio!»

«Pare che insieme siano molto felici!» aggiunse Zoel sogghignando.

Al solo pensiero che il demone che lo aveva trascinato all'inferno e la sua strega maledetta potessero non solo essersi ritrovati, ma addirittura essere felici, anche l'ultima remora di Eymerich scomparve dal suo animo nero.

In fondo il bambino non era che una creatura empia e mostruosa, figlia di altrettanti mostri. Se anche fosse morto non sarebbe stato altro che un bene.

E mentre rifletteva sulla fortuna di avere un'occasione di vendetta, improvvisamente la verità gli apparve limpida come l'acqua di un ruscello di montagna. Nostro Signore lassù non lo aveva mai abbandonato, al contrario! Lo aveva inviato all'inferno, perché un giorno potesse essere chiamato per l'ultima volta a difendere la Cristianità, prima di essere accolto con tutti gli onori nel Regno dei Cieli. Crollò in ginocchio chiedendo mentalmente perdono al Signore per aver, momentaneamente, perduto la fede. Krastet allungò una mano per aiutarlo a rialzarsi, ma l'inquisitore fece cenno di no. La consapevolezza che presto avrebbe ricevuto il suo premio gli fece tornare le energie. Inspirò con forza e si alzò in piedi.

«Non lo saranno ancora per molto» sibilò con un ghigno crudele.

Krastet e Zoel osservarono la luce carica di odio negli occhi del dannato e si scambiarono uno sguardo soddisfatto.

Tutto sommato non era stata affatto una cattiva idea coinvolgere l'inquisitore.







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