Il
cielo, d’un blu cobalto, privo di nubi, era rischiarato dalla luce
perlacea della luna piena, che si adagiava sulle piante dell’ampia
tenuta dei conti Carani.
Guido,
seduto presso una finestra, osservava il paesaggio, mentre lacrime
velavano i suoi occhi scuri. Conosce bene quel luogo ameno.
Quelle
terre avevano veduto i suoi giochi di bambino.
Sospirò
e si passò una mano tra i capelli. In quei giorni, tanto lontani,
suo padre era ancora vivo e la malaria, contratta in Africa, non
l’aveva consumato.
Sua
madre, avvolta in eleganti abiti policromi, riempiva la villa con la
sua vivacità.
Era
ben lontana dalla donna severa e dura che, forte del suo potere
economico, continuava a perseguire una gestione della cava disumana e
insensata.
Il
suo corpo, d’impeto, si irrigidì e un ruggito sommesso salì sulle
sue labbra. Con la sua cecità, aveva distrutto il loro legame.
Non
si era curata della sofferenza che, con precisione chirurgica, gli
aveva inflitto.
Rise.
No, sua madre, pur di compiacere il suo orgoglio classista, non si
era curata di nulla.
Aveva
condannato a morte Luisa, la figlia del defunto custode della loro
cava, colpevole di amarlo e di essere da lui amata.
Per
lei, era solo un ostacolo alla sua sete di potere e di dominio.
La
sua classe sociale inferiore la rendeva inadatta al matrimonio con
l’unico erede Carani.
‒ Sono
stato un idiota… ‒ mormorò. Aveva creduto che sua madre avesse
compreso le sue idee e non aveva saputo vedere oltre la sua apparenza
benevola.
Si
era lasciato manipolare e, a causa della sua leggerezza, Luisa era
morta annegata in un torrente.
E
non aveva nemmeno una tomba su cui piangere la sua tragica fine.
E
lei, l’arrogante contessa Carani, si aspettava il suo rispetto
incondizionato, come se non fosse accaduto nulla.
No,
lei non meritava alcuna considerazione.
La
sua sola presenza gli causava ripugnanza fisica.
Guido
sospirò. A cosa serviva l’odio?
Lei,
arrogante e tronfia, non comprenderà nulla e crederà di avere fatto
la scelta giusta.
Inoltre,
la sua collera non ridarà la vita alla povera Luisa.
Lei,
vittima del suo stesso amore, dormiva il sonno eterno in un gelido
torrente.
Alzò
lo sguardo e fissò l’astro notturno. La sua amata, ad una
bellezza rigogliosa, univa un’indole angelica e gentile.
Ne
era sicuro, era in Paradiso, con i suoi genitori ed era libera dal
greve peso delle angosce terrene.
‒ Luisa…
Ovunque tu sia, perdonami. Perdonami per la mia stupidità, amore
mio… ‒
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