Soundtrack e pop corn. Lettere ad un amante che non fu mai tale.

di LadyStone
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Oggi guardavo una tua foto, un primo piano. 
Non ne ho mai visti di tuoi primi piani, non ne hai, non ne fai, invece oggi il tuo volto era lì e mi fissava. 
In quello sguardo, in quegli occhi, in quelle labbra chiuse, quella mascella dolce e maschia c’eri tutto tu. C’era la tua essenza, tutto quello che sei. C’era la tua solitudine, la tua malinconia, la tua sicurezza, la dolcezza che tieni ben nascosta, ma che sfugge al tuo controllo quando stai bene, quando ti senti bene. 
Ho osservato ogni linea, ogni poro, ogni espressione sovrastata da un’altra e un’altra ancora e mi sono smarrita. 
Ho rivisto ogni mia riga scritta, ogni sfumatura data, ogni pennellata accennata e mi sono smarrita, ho avuto l’impressione di averti creato io, di averti dato vita in una delle notti febbrili in cui scrivevo senza sosta, nei tragitti interminabili dei percorsi in tram, in metropolitana. 
Per un istante e un solo istante ho pesato che tu avessi mosso i tuoi primi passi nella realtà dopo un punto, alla fine di un capitolo, che se tu esisti, che se io ti ho trovato, se tu ti sei subito attaccato a me ed io, ora, non riesco a staccarmi da te è perché tu altro non sei che una mia costola, una materializzazione di un mio pensiero, di un mio gioco: Troppo perfetto per essere vero, troppo imperfetto per essere immaginato. 
Che poi: Quando mai un mio personaggio è stato mai veramente positivo? Vivo di antieroi, di personaggi irrisolti o arresi al proprio destino, che non combattono più e, se lo fanno, senza crederci, senza un vero scopo. 
Te. 
Mi sono fermata a chiedermi se su quella spiaggia, su quella terrazza, su quel prato fossi stata davvero in tua compagnia o se in realtà non fossi sola e davanti ad una mia illusione. Se fosse questo il motivo dei tuoi dinieghi e dei tuoi silenzi alle mie molteplici richieste di essere noi, di viverci anche per un solo giorno. Cosa avrei mai potuto dire ad un portiere che mi chiedeva “Lei e chi?” o a un cameriere che si domandava perché volessi un tavolo con due coperti. 
Però poi la realtà, le persone che ti conoscono, mi hanno fatta tornare in me. Il destino gioca strani scherzi a volte, ti porta chi sembra uscito dalla tua fantasia e ti mostra che, forse, la tua immaginazione non è poi così sciocca, ma sarebbe stato meglio se fosse stata meno tetra, meno dannata. I
Se fosse stata più normale, più banale, non così, non una stranezza. 




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