Gennaio

di lagertha95
(/viewuser.php?uid=986711)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Torschlusspanik: paura di fallire, di non raggiungere i propri obiettivi.

9 gennaio
 
(204)
La sveglia era suonata alle cinque e quarantacinque, strappando Daphne ad un profondo sonno totalmente privo di sogni.
Era montata sul treno che era ancora buio, piena di ansie come sempre prima di un esame.
Tremava: stanca, ansiosa, stressata. Daphne sentiva che la propria sanità – fisica e mentale – era al momento attaccata ad un filo sottilissimo di istinto di sopravvivenza.
Gennaio sarebbe stato un mese pieno e lei, disorganizzata come era, si sentiva sempre più vicina ad essere sopraffatta dall’inaspettata serie di eventi che le si prospettava: gli ultimi esami, il nuovo lavoro, la vacanza…
Aspirò avida la nicotina dal drum stretto e voluttuosamente soffiò via il fumo in volute cineree ricalcanti il colore del cielo.
Andrà tutto bene, hai studiato, sei pronta, non farti spaventare da una cosa così stupida…
Daphne camminava e fumava e pensava, cercando di scacciare la folle paura che la attanagliava, mentre si dirigeva verso la facoltà.
Le vie, inaspettatamente piene nonostante fosse mattino presto, le sembravano vuote per quanto era concentrata su sé stessa.
Il portone di facoltà le apparve senza preavviso, come se i venti minuti di cammino non fossero esistiti.
Un ultimo, profondo, tiro di drum: Forza Daph, ce la farai anche questa volta.


10 gennaio
 
(258)
Il giorno prima la tranquillità dell’esame superato era durata solo qualche ora, il minimo indispensabile per riprendere fiato prima di tornare a studiare.
Avrebbe avuto un esame il giorno dopo e quel martedì lo avrebbe dedicato allo studio. O almeno era quello che aveva pensato al mattino, una volta ingerito il suo caffellatte.
Seduta alla scrivania, con le mani tra i capelli riccioluti e gli occhi chiusi, Daphne pareva sprofondata in una fervida preghiera.
Ventiquattro ore. Solo altre ventiquattro ore di tortura e poi sarai libera per almeno un paio di giorni. Ventiquattro, fottutissime, ore.
Sull’orlo di una crisi di nervi, con un drum stretto tra le dita tremanti, Daphne uscì sul terrazzo e, poggiata distrattamente al balcone, tirò una lunga boccata.
In un primo momento la nicotina le fece schizzare i battiti a mille, poi, lentamente, il cuore le si calmò, riacquisendo il normale ritmo di 58 battiti al minuto.
Respira…respira…respira…
Le informazioni le si accumulavano nella testa, caotiche, vorticanti come le carpe koi che una volta aveva sognato trascinarla giù a fondo in un laghetto oscuro.
Il telefono vibrò sonoramente sulla scrivania ingombra di fogli e penne.
“Ciao! Come stai? Senti, ma che valigia porterai in montagna?”
Cazzo. CAZZO.
Daphne si era completamente scordata dell’imminente partenza e tra tutte le persone, mai si sarebbe aspettata che le scrivesse proprio lui.
Il panico l’avvolse. Le carpe la trascinarono a fondo, strappandole via dai polmoni fino all’ultima goccia d’aria.
Respira, ci penserai domani.
“Ciao! Tutto bene, posso dirtelo domani, quando avrò fatto l’esame?”
Domani. Ci penserai domani, Daphne.

 

11 gennaio
 
(165)
L’esame era andato bene, fortunatamente.
Tornata a casa con qualche kilo meno, aveva cercato il borsone, preso le misure, inviato la risposta alle richieste del giorno prima, poi si era addormentata.
Si era svegliata che il sole era già calato, ma non era una sorpresa: a gennaio il sole tramontava decisamente presto.
La valigia.
Daphne si tirò su dal divano così velocemente che il movimento le provocò un capogiro così forte da farla rimettere seduta.
Calma Daph, calma…
Il telefono vibrò sulla scrivania: “Come sono andati gli esami?”
Bene. Erano andati bene, fortunatamente. Non avrebbe sopportato un altro fallimento.
“Bene, grazie. Ora ti cerco la valigia, tranquillo.”
“Non ti ho scritto per quello, ma grazie…”
Ah. E allora per cosa le aveva scritto?
Il telefono rimase in silenzio per il resto del pomeriggio: la valigia non l’aveva cercata, troppo stanca per accucciarsi in soffitta a rovistare.
E poi tutta quell’incertezza di intenti la stava divorando: Daphne non avrebbe sopportato un altro – l’ennesimo – fallimento.


12 gennaio 

(207)
La mattina la accolse soleggiata e calda: una mattina strana per gennaio.
I raggi le scaldavano il viso mentre faceva colazione, il caffellatte le scottava le labbra.
Un sorriso le piegò le labbra mentre la caffeina entrava in circolo.
Sola in casa, sveglia e rilassata, Daphne cercò la valigia, prese le misure, inviò i dati. Poi si dedicò a mettere a posto il caos che la sessione si era lasciata dietro, mentre la musica riempiva le stanze.
Un lieve scirocco entrava dalle finestre e dalle stesse usciva la voce dolce di Daphne che cantava.
Era, inaspettatamente, una bella giornata. Finite le faccende Daphne prese un libro, lo mise in borsa e uscì.
Il mare era calmo, di un azzurro pieno. Il sole aveva scaldato la sabbia e il cemento delle scale su cui Daphne era seduta.
Ad occhi chiusi dietro gli occhiali da sole, Daphne inspirò profondamente.
Poi una voce familiare la svegliò dal sogno che stava vivendo.
“Tesoro, ciao! Che sorpresa trovarti qui!”
Daphne aprì gli occhi, pregando che fosse tutto un incubo. E invece no, il suo più grande fallimento la guardava, sorridente e noncurante come sempre, torreggiando su di lei e oscurando il sole che l’aveva resa così felice di svegliarsi quella mattina.
Cazzo.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4047671