Un amore che non faccia male

di SelfPreservation
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Un amore che non faccia male
 
A quindici anni, chiusa nella tua stanza con la testa chinata verso libri che profumano di sogni e di esperienze non vissute, nessuno ti avvisa che l’amore fa male. Nessuno te lo dice mentre guardi da lontano le tue compagne di università uscire con i primi ragazzi, dare i loro primi baci, innamorarsi. Tu rimani all’angolo a guardarle, anche a invidiarle a dire la verità, perché la loro ti sembra un’adolescenza normale, i loro visi sono felici, raggianti, i loro caratteri estroversi e non hanno imbarazzo o titubanze nel rapportarsi con gli altri. A quindici anni per te è difficile persino andare a comprare il pane da sola, parlare con un estraneo per richiedere un’informazioni: è la timidezza a fare da padrone alla tua vita, quel rossore sulle guance e le mani tremanti che ti fanno sentire ogni volta inadeguata, non all’altezza. Guardi le tue amiche e vorresti essere una di loro ma sai che non è il momento, che nessuno ti guarderebbe con quell’alone di goffaggine che ti circonda, non con quel viso paffuto e bambinesco.
Quando arriverà, ti ripeti, sarà bellissimo.


A vent’anni la maggior parte delle tue colleghe di università, per non dire tutte, ha dato più di un bacio nella sua vita e non uno di quelli a stampo o sulla guancia ma baci veri, passionali, quelli che fanno mancare il respiro, battere il cuore fino a rimbombarti nelle orecchie e tremare le gambe. O almeno così raccontano perché tu i baci di quel tipo li hai soltanto visti nei film o letti e immaginati in qualche libro. In cinque anni il momento giusto ancora non è arrivato. Qualche chilo è andato via di mese in mese con una dieta faticosa, il viso inizia a essere più maturo ma sempre puerile, anche se meno tondeggiante. Persino la timidezza sembra meno marcata, sei andata all’università da sola, prendi la metropolitana in autonomia, siedi a lezione senza timore di non conoscere nessuno e nel giro di qualche mese sei persino riuscita a parlare con qualche ragazza, stringere amicizia. Forse, inizi a pensare, non sei così male come immaginavi di essere. Forse, la speranza di trovare un giorno qualcuno con cui condividere uno di quei baci di cui hai sentito così tanto parlare non è poi così vuota. Eppure ti guardi attorno e non riesci a incontrare un solo sguardo maschile che incroci il tuo, alle tue colleghe è sufficiente spostarsi i capelli, indossare una gonna più corta per essere femminili, per attirare gli sguardi di qualche collega, essere invitate a prendere un caffè. Abbassi gli occhi sui tuoi jeans a vita alta per nascondere la pancia, quella maglia nera e un po’ sformata che ti fa sentire più a tuo agio e torni a pensare che di femminile non hai nulla, che per forza i tuoi compagni non ti guarderanno mai.
Cos’hai di interessante? Cosa può attirare la loro attenzione? Ti fermi e respiri: non è il momento giusto, te lo ripeti come cinque anni prima. In fondo sei rimasta acerba, riservata, introversa, non è ancora arrivata la tua stagione per sbocciare ma arriverà e quel primo bacio sarà migliore persino di come è stato immaginato.


A ventidue anni ti crolla il mondo addosso.
Sono sufficienti un paio di settimane per sentirti sola, debole, spaesata: la nonna non c’è più. La donna con cui hai vissuto per ventidue anni a stretto contatto, colei che ha giocato con te, con cui hai parlato, la persona che ti è stata accanto quando in un giorno d’estate sei “diventata donna” se n’è andata in una altrettanto calda giornata di fine luglio. Ti domandi se ti riprenderai mai da quel dolore insopportabile che fa sì che il cuore si stringa su se stesso. Avevi letto di dolori tali da spezzare il cuore ma non immaginavi di poterlo sentire fisicamente mentre a ogni passo questo si stringe, sempre di più fino a toglierti il respiro. Per un mese ti senti vuota, come se la vita avesse abbandonato anche te perché vivere senza la nonna è come vivere senza un braccio, un pezzo di te, e non sei sicura di sapere come si faccia ad andare avanti. La mamma è cambiata, sta soffrendo più di te, e l’atmosfera in casa non è più la stessa. Ripensi a quante volte avete dato la colpa proprio alla nonna per quel clima di tensione e di rabbia che aleggiava in cucina ma ora che lei non c’è più e quella sedia è rimasta vuota con ancora il suo profumo addosso il silenzio è insopportabile.
Ti guardi allo specchio e non ti riconosci: quel volto fanciullesco e paffuto di colpo sembra aver preso dieci anni. Se ti avvicini riesci a scorgere qualche ruga sulla fronte e attorno agli occhi, ce n’è qualcuna persino ai lati della bocca per colpa delle smorfie che inconsciamente ripeti ogni volta che pensi alla nonna e senti il nodo salire dal cuore fino alla gola. Non vuoi piangere, non vuoi far vedere agli altri che stai crollando dentro, la mamma non merita anche quel dolore. Ti sfoghi di notte, in silenzio e al buio per non vedere il tuo volto sfigurato dal dolore e dall’impotenza che senti gravarti addosso come una colpa. Alle prime luci del giorno tutto torna come prima, almeno in apparenza.
Quell’anno scopri per la prima volta che l’amore può fare male. Certo è un amore diverso da quello della tua amica Giorgia che passeggia mano nella mano con il fidanzato, distante da quello di Martina che all’uscita dall’università il giorno del suo compleanno trova ad aspettarla un mazzo di fiori e un ragazzo che ha occhi solo per lei. Un amore forse infantile, ma che una volta perduto ti porta a chiederti se sarai mai capace, in futuro di provare di nuovo qualche sentimento. A ventidue anni metti da parte la speranza di un amore come quello degli altri, il sogno di una prima volta dolce, di due mani che si stringono.
 Quell’anno di avere una storia come quella dei film non ti interessa nemmeno un po’, il tuo cuore non ha spazio se non per dei dolci, quanto aspri, ricordi.


A ventitré anni è il mondo intero a collassare sotto il peso di una pandemia inaspettata che stravolge le vite di milioni di persone. Da un giorno all’altro non esiste più il pensiero dell’università che sei in procinto di finire, l’ansia della tesi da scrivere, il caffè dopo le lezioni, tutto è sostituito dalla preoccupazione per la salute delle persone che hai attorno. In fondo sei giovane e in salute, sai che se dovessi incontrare quel virus maledetto e invisibile avresti alte possibilità di superarlo, ma le persone a cui vuoi bene? Segui le indicazioni alla lettera, a volte le anticipi persino, e il cuore che stava piano piano incanalando il dolore all’esterno viene nuovamente occupato da un sentimento diverso: la paura.
Nel giro di qualche giorno saluti le tue abitudini, indossi una mascherina per uscire e ascolti il Presidente del Consiglio annunciare alla nazione che per salvaguardare la salute di tutti il Paese rimarrà chiuso fino a data da destinarsi.
Lockdown”.
Un pensiero egoista è il primo che si affaccia nella tua mente, per un istante ti fai corrodere dalla rabbia, dal senso di ingiustizia: - e noi?- ti chiedi. -e io?-. Tu che avevi da poco iniziato a riappropriarti della tua vita, eri tornata a respirare, a trovare il coraggio di muovere i primi passi verso il futuro senza volgere costantemente lo sguardo al passato e a quel profumo che quasi non ricordi più, cosa farai tu?
Ringrazi le lezioni che ricominciano prontamente a distanza, non è la stessa cosa ma in fondo non doversi alzare presto e prendere i mezzi non è poi così male. È un pomeriggio di marzo quando succede qualcosa di inaspettato.
È la prima lezione di un nuovo laboratorio, la professoressa chiede un’esercitazione, un video di presentazione. Dovrebbe essere facile parlare di te, chi sei, quali sono le tue aspirazioni, farlo attraverso un video è più facile che presentarti davanti a trenta persone in silenzio in un’aula. Eppure ancora una volta la voce ti trema, ti senti goffa come sempre, anche un po’ stupida e per non incrociare lo sguardo di nessuno attraverso la webcam metti a tutto schermo la tua faccia che con quel nuovo caschetto biondo platino non ti piace nemmeno un po’. Tre minuti, respiri, il video è fatto, non ti resta che aspettare quello degli altri. Un ragazzo parla poco dopo di te, è carino, simpatico, ti piace il suo umorismo, un accento marcatamente ligure che non sa nascondere come mostra quel “belin” sfuggito al suo controllo che lo fa ridere con un sorriso che illumina lo schermo. Lo guardi nella tua cameretta dipinta di rosa e il sonno che sentivi avanzare all’improvviso è scomparso. Il ragazzo è carismatico, attira facilmente l’attenzione su di sé, ti sembra persino che possa cercare il tuo sguardo ma è solo un’impressione. Lo stomaco si stringe in una morsa, improvvisa, dolce, piacevole. Erano mesi che non provavi un’emozione così potente e positiva, sorridi e ti sembra di essere tornata la persona che eri prima di quel luglio che vorresti fingere non sia mai esistito. Per la prima volta in mesi senti una voce nella testa sussurrare “se uno così mi chiedesse di uscire non ci penserei un secondo prima di accettare”. In non sai neanche tu quanto tempo non ti rimproveri nemmeno per aver pensato che un ragazzo così solare e attraente possa davvero chiederti di uscire, è difficile, certo, ma il suo sorriso e le sue battute hanno spazzato via persino la tua storica razionalità. Sei contenta perché dopo mesi di buio ti sembra di vedere la luce e non ti importa se con quel ragazzo, come al solito, non succederà nulla, finalmente hai qualcosa di bello a cui pensare prima di chiudere gli occhi e addormentarti.
Come spesso accade nella vita il destino sa essere beffardo e alcune date, a distanza di anni, possono acquisire significati squisitamente diversi. E così è stato per te in quel 17 marzo assolato, una data che per molto tempo avevi associato alla perdita è diventata la data della speranza. Quel giorno che avevi sognato, in cui avevi creduto e sperato, è finalmente arrivato: un ragazzo, ma non uno qualsiasi, proprio quel ragazzo che avevi osservato e immaginato al tuo fianco, si è accorto di te al punto tale da chiederti di uscire, un giorno, non appena quell’infimo e interminabile lockdown giungerà al termine. È il tuo momento, puoi essere uguale alle tue colleghe, alle tue amiche, certo con qualche anno di ritardo ma come ti ripetono tutti ognuno ha i suoi tempi. Sei sbocciata.
Quella primavera tardiva è destinata a infrangersi in un giorno di inizio maggio, appena due mesi dopo, stritolata dalle tue stesse mani provate da una chiusura eccessivamente prolungata e da una luce in fondo al tunnel che non sembra sopraggiungere mai. Scomparirai dalla vita di quel ragazzo con le lacrime agli occhi, le mani tremolanti e un cuore che ti pregherà di non farlo: è una scelta difficile, insensata, sciocca, ma la razionalità che tanto odiavi è tornata e ti ripete con insistenza che se non lo farai tu sarai lui a sceglierlo presto per te. Lui così luminoso e brillante, tu così opaca e spenta rischieresti alla fine di far appassire anche lui. Lo lasci per non farlo soffrire, in silenzio come una ladra sgattaioli via dalle vostre conversazioni quotidiane, l’unica cosa che avevate a vostra disposizione per tenervi in contatto. Sei convinta che così non soffrirà ma è impossibile, a distanza di tempo, pensare di non averlo ferito. Hai sbagliato e non c’è giorno in cui tu riesca a perdonarti per aver commesso un errore così infantile e ignobile. Per mesi avresti voluto vederlo dal vivo, chiedergli scusa, di poter ricominciare, ma la pandemia non vi ha dato una seconda possibilità fino a che non è stato troppo tardi.
Alla fine siete riusciti a vedervi, due anni dopo quel primo incontro virtuale, ma nel suo cuore c’è ormai un’altra persona. L’hai osservato fugacemente come in quel giorno lontano, timorosa di incontrare il suo sguardo per paura che potesse ritenerti giustamente responsabile della sua sofferenza, colpevole di aver spezzato un sogno d’amore che non aveva avuto la possibilità nemmeno di decollare. Al suo saluto con un sorriso dolcissimo hai capito che da errori come quello, nella vita, non si torna indietro e la punizione più dolorosa è vivere per sempre con il rimpianto.
A ventitré anni hai capito che anche gli amori non realizzati fanno male, un dolore diverso, quello di qualcosa che avrebbe potuto essere ma rimarrà per sempre sospeso nel vento dei se e dei ma.


A venticinque anni ti sei rassegnata a una vita in solitudine, all’idea che quel sogno spezzato fosse la tua unica possibilità di vivere quello che per le altre persone era la normalità e per te ancora un miraggio. Con una cascata di lunghi capelli, anche questa volta biondo platino caro destino beffardo, non cerchi nemmeno più di nascondere i chili di troppo, le insicurezze, la voce tremolante e l’incapacità di incontrare uno sguardo maschile senza arrossire. Tanto, ripeti tra te e te, chi ti guarderebbe? Chi sarebbe attratto da te? Sei l’amica intelligente, quella che tutti chiamano in cerca di consigli, la spalla su cui piangere, la ragazza che vive attraverso le esperienze degli altri. In fondo al cuore continui a sperare che qualcuno un giorno si accorga ancora di te, che ti dia una possibilità per rimediare, conoscerti, farti sentire una donna…farti sentire una persona normale.
Un nuovo luglio bollente incrocia il tuo cammino, uno scenario diverso, un panorama montano, una camicia color sabbia indosso abbinata a una gonna verde militare perché vuoi sentirti bella, donna. All’ora del tramonto due pozze color del mare incontrano i tuoi occhi, un volto appena abbronzato e fanciullesco, dei capelli corti, una polo blu o forse grigio scuro con un logo che non conosci. Per quanto tu finga senti il mare addosso, inaspettatamente caldo, bollente come il sole di quel luglio, ti percorre il corpo su e giù. Presa da chissà quale coraggio ti volti e la stretta allo stomaco torna con una differenza: la conosci già, non è più nuova benché non così conosciuta ed esplorata come dovrebbe esserlo alla tua età. Qualcuno ti sta dando un’altra possibilità: eccolo lì, di nuovo quel pensiero insidioso, quel “se un ragazzo come questo mi chiedesse di uscire non ci penserei due volte”. In meno di un giorno ti ritrovi a camminargli affianco per le vie di un paese che stai iniziando a sentire come tuo, tra i volti di persone che da qualche settimana hai imparato ad associare con la parola “casa”. È bello quel ragazzo, non il tuo tipo, ma bello. I suoi occhi sono penetranti e non riesci a sostenerli a lungo, ma camminargli accanto e parlargli ti piace nonostante tu stia sudando e il caldo non sia il responsabile del rossore sulle tue gote. Non sai nemmeno quanto tempo sia trascorso dall’ultima volta in cui sei stata impaziente di rivedere una persona. Le camminate sono diventate più lunghe e ravvicinate, lo spazio tra di voi si è via via ristretto e gli sguardi lontani sono diventati sempre più vicini. Siete timidi entrambi, non conoscete il corpo dell’altro, cosa sta pensando, ma quei tocchi fugaci ti fanno stare bene e la voglia di baciarlo elettrizza l’aria. Sei troppo insicura per compiere il primo passo, però, incerta su come fare, come muovere le labbra, dove mettere le mani. Venticinque anni e ancora non hai dato un bacio, hai il terrore di fare la figura della stupida, di fare scappare anche lui. Così aspettati che sia lui a prendere l’iniziativa e quando finalmente compie quel passo sei presa alla sprovvista.
Un abbraccio, la luce calda e ronzante di un lampione poco lontano ma sufficientemente distante affinché i vostri corpi siano in penombra. Il sussurro roco di lui -Devo trattenermi o potrei fare cose che non dovrei- a cui trovi il coraggio di mormorare in risposta -Ad esempio?-, non c’è nemmeno un tempo per il “questo” soffocato che muore tra le vostre labbra che si incontrano e scoprono per la prima volta.
Vorresti raccontare di un bacio indimenticabile, e per certi versi così sarà perché come dice il detto “il primo bacio non si scorda mai”, ma se potessi tornare indietro diresti al tuo cervello di prendersi una pausa dai suoi continui giri e chiudendo gli occhi ti lasceresti andare fregandotene di non sapere dove mettere le mani, come e dove abbracciare un corpo più grande del tuo. Chiuderesti gli occhi e ti abbandoneresti alla sensazione di una lingua calda e umida per la prima volta a contatto con la tua, che ti accarezza dolcemente il confine delle labbra socchiuse per la sorpresa, il suo movimento lento ma eccitato mentre sfiora la tua, rivivresti i brividi lungo la schiena al passaggio delle sue mani.
Avresti voluto che qualcuno, insieme al grande amore, alle uscite insieme, ti raccontasse anche che i primi baci sono così, caotici, bagnati, incerti, ma che i successivi sono uno migliore dell’altro e di quelle labbra e di quelle braccia, in poco tempo, impari di non poterne più fare a meno.
Emozionante, non è vero? Pensi di essere finalmente cresciuta, di essere diventata una donna come le colleghe che tanto avevi invidiato. Insieme al primo bacio non così perfetto, però, avresti voluto anche che qualcuno ti dicesse che le relazioni non si alimentano da sole, che sono un susseguirsi di prove, di ostacoli più o meno grandi da superare, di esami a cui noi stessi per primi siamo chiamati a rispondere. Avresti preferito ti raccontassero che per una relazione devi imparare a metterti a nudo, ad appoggiarti all’altro, ad abbandonare le tue certezze, la coperta di Linus, che non sei più da solo.
Non avresti così pensato che un momento di passione potesse trasformarsi in un ostacolo che con il tempo avrebbe portato a dubbi, incertezze, paure fino a far rovinare tutto. A distanza di tempo pensi che il punto di svolta sia stato quella maledetta sera in cui hai scelto di essere sincera, di confidare un segreto scomodo alla persona con cui avevi scelto di condividere un pezzo di vita.
Seduti su un divano che odora dei vostri profumi mescolati insieme lo guardi negli occhi, con la tua mano tra le sue, respiri profondamente prima di dirgli -Non l’ho mai fatto, non ho mai fatto l’amore- convinta che nulla sarebbe cambiato, che avrebbe capito e che ai suoi occhi saresti rimasta la stessa ragazza che aveva desiderato fino all’istante prima che quelle parole lasciassero la tua bocca. Il suo viso si trasforma assumendo il colore del divano, e quella morsa che avevi riconosciuto la prima volta che i tuoi occhi avevano incontrato i suoi torna a farti visita ma di positivo, questa volta, non ha più nulla. È una morsa fastidiosa, nauseante, che sa  di umiliazione, di vergogna, di rigetto e le sue parole successive, per quanto dal suono dolce, non riescono a scacciarla.
L’inizio della fine, già, perché nessuno ti insegna che essere vergini a venticinque anni è un problema, che il ragazzo con cui vorresti fare l’amore dia per scontato che tu non lo sia più e che da quel momento in avanti ti guarderà sempre come un animale indifeso in procinto di scappare a ogni suo tocco. E tu vorresti soltanto piangere, sfogarti, perché all’idea di essere finalmente una donna, di esser desiderata, amata come tutte, ti sei ormai abituata e non sai se dopo quei momenti potrai tornare quella di prima. Non vuoi tornare quella di prima. Così fingi che vada bene il cambiamento nel vostro rapporto, il modo in cui si relaziona con te come se fossi effettivamente una bambina immatura e non una donna che, seppur vergine, come tutte ha dei desideri, delle pulsioni, una donna che sente il desiderio di sentirsi sua, anche solo una volta.
Non ti insegnano nemmeno che non sei solo tu a dover essere pronta ma anche lui che psicologicamente è bloccato dal fatto che tu non abbia esperienza, terrorizzato all’idea di essere il primo ragazzo a fondersi con te perché chissà cosa potrebbe accadere a quell’essere fragile che ha davanti agli occhi. Non ti insegnano che uscirai da casa sua con le lacrime agli occhi perché non riuscite a concludere nulla, che abbasserai lo sguardo davanti ai suoi occhi grandi che vorrebbero che tu fossi diversa, come tutte le altre, perché così non ci sarebbero problemi, potreste divertirvi insieme, mentre con una ragazza che non ha mai avuto contatti fisici con un uomo il sesso deve per forza assumere un qualche significato e lui non vuole ritrovarsi legato a vita. È quella la sua paura più grande, che tu un giorno possa innamorarti e quello che per anni ti hanno raccontato essere una cosa bellissima finisce per diventare il tuo incubo. Hai paura di chiamarlo per non disturbarlo, di scrivergli perché magari è con qualcuna che può dargli quello che tu ancora non puoi, temi che quando ti guarda lui non ti veda come donna e forse è quella la cosa che fa più male perché hai aspettato una vita intera che qualcuno lo facesse e proprio quando lo hai provato non hai nemmeno avuto il tempo di assaporarlo che ti è stato sottratto, come un bambino con un giocattolo nuovo, ancora in parte incartato.
Una sera quel momento arriva e il muro viene abbattuto ma la magia ormai non esiste più, non capisci se lo faccia per dovere, perché ormai siete lì e lui non può tirarsi indietro in eterno, o se davvero quella sera ti vuole, ti vede in modo diverso. Avresti voluto anche che ti raccontassero che la prima volta non è necessariamente quella dei film, che non tutto va sempre per il verso giusto e che per quanto lui possa essere dolce e attento nessuno ti prepara mai al momento in cui si alza, ti volta le spalle e tu rimani nel letto, nuda e non solo perché gli abiti giacciono a terra ma perché quando sarai tu ad alzarti da quel letto qualcosa in te sarà cambiato, ti sentirai diversa, per certi versi nuova, ti sentirai potente e fragile allo stesso tempo.
Nessuno ti prepara alla stretta al cuore quando lui non ti abbraccerà, eppure nei film e nei libri fanno sempre così…accettare che la realtà non sempre è come i film fa male, accettare che quello che credevi potesse diventare un amore, il tuo primo amore, non è ricambiato da altro che affetto fa ancora più male.
Avevi promesso a te stessa che non saresti scappata un’altra volta, che non avresti detto addio a un’altra persona per colpa della tua testa e dei suoi pensieri vorticosi, ma le voci si rincorrono e questa volta non provengono da te. Tutti notano che qualcosa non funziona, che non è così che dovrebbe andare dopo qualche mese, così quando esci da casa sua ti nascondi su una panchina al freddo in attesa che le lacrime di delusione si asciughino da sé, non vuoi che gli altri ti vedano. E laggiù, nel tuo cuore, ti senti sola. Il problema è che alla solitudine non sei più abituata perché anche questa volta nessuno ti ha mai detto che l’amore è una droga e una volta che inizi a provare quel sentimento ne vuoi sempre di più, e ancora, e di più fino a diventare insaziabile anche quando questo non viene ricambiato, o almeno non come dovrebbe. È più facile autoconvincersi che lo sia che tornare indietro sui propri passi e dire addio a quelle sensazioni.

A ventisei anni arrivi a un punto in cui raggiungi il limite e capisci che è ora di dire basta, di lasciare andare quello che avresti voluto diventasse amore e riprendere la tua vita in mano. Lo saluti con una telefonata, non scappi come hai fatto in precedenza e capisci che dagli errori, comunque, si impara. Per la prima volta in mesi ripensi a quel ragazzo che nei tuoi ricordi è ormai sbiadito, è un po’ che non lo vedi, e non riesci a fare a meno di chiederti se con lui sarebbe stato diverso. Il lui di questa volta non accetta silenziosamente come l’altro, no, insiste che tutto vada alla perfezione, che non ci siano problemi, ma quando gli dici quello che vorresti si blocca e capisce in fondo di non potertelo dare. È un saluto amaro quello che rimane nell’aria quella sera, sospeso tra il “tu-tu-tu” del telefono e la radio a basso volume per sentirti meno sola. Un altro addio, pensi che questa volta farà meno, che sei abituata e che questa volta la decisione è stata per il tuo bene. Allora perché nessuno ti ha preparato ai ricordi che ti invadono la mente quando meno te lo aspetti?
Al suo profumo che riconosci su un autobus, alle macchine simili alla sua di cui controlli la targa con la speranza che possa essere lui. Perché nessuno ti ha spiegato che l’amore fa male anche quando sei tu a lasciare andare l’altra persona, anche se l’altro non ti ama e tu non sei nemmeno più certa di quello che provi? Nessuno ti ha detto che anche chi lascia soffre, anche chi lascia sogna, è colto dalla malinconia…
A ventisei anni ti ritrovi a non dormire nonostante sia quasi mattina, la quinta alba in una settimana non ancora terminata che ti coglie sveglia con una sigaretta in una mano e la penna nell’altra a chiederti semplicemente “perché?” e non trovare risposta. Sai che ti rialzerai anche questa volta, che prima o poi passerà e le lacrime notturne saranno nuovamente sostituite dal sorriso, che quei ricordi che ora sembrano così chiari prima o poi si affievoliranno e verranno sostituiti da nuovi. Sai che passerà come ha fatto in passato ma un dubbio ti tormenta ancora, di nuovo, quel dubbio che eri convinta di aver scacciato per sempre nel momento in cui le labbra di un ragazzo dagli occhi color del mare si erano posate sulle tue: sarai mai abbastanza per qualcuno? E poi l’amore, quel grande amore con la A maiuscola di cui tutti parlano, scrivono, dipingono, cesserà mai di fare male?
 
 
 




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