Oltre il Congo

di Orso Scrive
(/viewuser.php?uid=1210654)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


CAPITOLO PRIMO

 

Il fiume limaccioso, tinto d’un intenso verde dovuto alle essenze vegetali che ne costellavano il fondale, scorreva lentamente, con le sue acque quasi ferme, nel mezzo della lussureggiante vegetazione africana, che si innalzava così fitta da creare quasi una sorta di tunnel attorno a entrambe le sue sponde.

Dai più reconditi recessi della foresta, si udivano provenire i richiami di numerosi animali, mentre gli incessanti versi e i canti striduli degli invisibili uccelli tropicali si susseguivano tra le fronde che si ergevano poco sopra le rive sabbiose, sulle quali pigri coccodrilli si riposavano nell’attesa di rimettersi a caccia. Ogni tanto, dalle acque sembravano sorgere degli isolotti che, ad un più attento esame, risultavano essere, invece, dei pasciuti ippopotami che cercavano un po’ di refrigerio dall’aria torrida ed immobile del pomeriggio.

La piroga avanzava rapida e leggera lungo il corso d’acqua, attraversando gli infiniti nugoli di zanzare che lo abitavano, manovrata con pochi e decisi colpi di pagaia dai due uomini che la montavano.

A prua sedeva un gigantesco e inamovibile congolese, dalla pelle scurissima, vestito con freschi e leggeri abiti colorati, il quale sembrava trovarsi a suo perfetto agio in quei luoghi, che d’altra parte gli erano congeniali; a poppa, invece, boccheggiando a causa dell’afa soffocante, con rivoli di sudore che gli solcavano le guance e il collo, Alan Knight sembrava soffrire parecchio per quel safari a cui aveva dovuto partecipare controvoglia. Di sicuro, il suo elegante completo all’europea, appesantito e infeltrito dall’umidità, non era certo tra i capi d’abbigliamento più adatti ad affrontare le difficoltà della foresta equatoriale: metro dopo metro, l’agente dell’Interpol stava considerando che alla giacca di tweed ed alla bombetta avrebbe di gran lunga preferito, in quel momento, una sahariana e un elmetto coloniale.

Dopo aver varcato i confini del Sudan, aveva continuato a seguire le tracce di Fournier e di Smith, i due ladri d’antichità a cui stava dando la caccia, attraverso vari stati, sempre più verso Sud, fino a superare persino la savana e ad incontrare le impenetrabili e oscure foreste dell’Africa nera. Knight aveva un certo timore, riguardo a quei luoghi che avrebbe preferito di gran lunga evitare.

Anni prima, infatti, un suo vecchio amico di Londra, Robert Park, un ardito esploratore che aveva solcato i luoghi più lontani ed esotici, accompagnando anche, in un paio d’occasioni, il famoso duca degli Abruzzi, era sparito senza lasciare alcuna traccia di sé mentre viaggiava in quelle lande. Erano state organizzate numerose squadre di soccorso, per poterlo rintracciare, ma pure con quelle si erano perduti tutti i contatti, finché il pover’uomo era stato definitivamente dato per morto, esattamente come si era concluso per gli sventurati andati alla sua ricerca.

Alla fine, però, Park era stato ritrovato, delirante e malato, ormai macilento, ai confini di una grande foresta inesplorata, nei pressi della costa marina; ricondotto a Londra, le sue condizioni erano apparse immediatamente irrecuperabili e, per questo motivo, era stato rinchiuso in un sanatorio. Knight era andato a trovarlo, in qualche occasione, ma ogni volta il vecchio esploratore non sembrava averlo riconosciuto né, tantomeno, aveva dato segno di rendersi conto di non essere più sperduto tra la fitta vegetazione dell’Africa misteriosa. Per tutto il tempo, il meschino aveva infatti continuato a starsene rannicchiato sulla sedia, le braccia strette al petto come se cercasse di proteggersi da qualche cosa, sussultando ad ogni minimo rumore e cianciando parole inconsulte riguardo a un regno delle scimmie giganti.

Aveva anche fatto un nome, a un certo punto, uno strano nome che era penetrato nel cervello a Knight e, chissà come mai, lo aveva spaventato a morte: Tumbili…

Consapevole della triste sorte dell’amico, il poliziotto aveva ripromesso a se stesso che mai e poi mai avrebbe messo piede nell’Africa equatoriale, dove chissà quali misteriosi eventi erano in agguato nell’oscurità delle boscaglie impenetrabili; a rassicurarlo era la consapevolezza che, in ogni caso, non avrebbe mai avuto alcun motivo per spingersi tanto lontano dal suo confortevole appartamento nel centro di Londra.

Ma la fuga dei due ladri di antichità proprio in quella direzione aveva, per forza di cose, rimescolato le carte in tavola; a Knight era stato affidato un compito preciso, quello di catturarli e trascinarli di fronte a una corte d’assise, e non poteva certo venirvi meno per una sua paura immotivata, poiché ne sarebbe andato del suo onore e della sua carriera. Se anche ci fossero voluti anni, se anche avesse dovuto compiere il giro completo del mondo (una buona metà, d’altra parte, poteva dire di averla già percorsa), alla fine avrebbe trovato Smith e Fournier, vivi o morti, oppure lui stesso sarebbe perito nel tentativo. E, di conseguenza, non sarebbero certo stati i deliri di un pazzo a fermarlo; eppure, non poteva affatto negare che, più si spingeva nel mezzo di quelle fitte foreste, più le sue inquietudini aumentavano.

Dal momento della sua partenza dall’Egitto, ormai, era trascorso quasi un anno intero; strano, come faccia presto a volarsene via, il tempo! E, quando quasi stava per perdere le speranze di riuscire a rintracciare i due inseparabili compagnoni, era capitato in un povero villaggio di capanne piantate nel mezzo delle savane, il cui capo, un uomo estremamente anziano dal nome per lui impronunciabile, gli aveva riferito di aver veduto i due europei, non molto tempo prima, e di sapere con esattezza verso quale direzione fossero diretti.

Per questo motivo, dunque, si era fatto assegnare una guida che, a bordo della piroga, seguendo il corso del fiume, avrebbe potuto condurlo in breve tempo nelle vicinanze dei due uomini. Andando a piedi, in effetti, Smith e Fournier non potevano essersi diretti troppo lontano.

Prima di inoltrarsi tra le boscaglie, avevano navigato nel mezzo delle immense praterie africane, dove il poliziotto aveva potuto scorgere numerosi e maestosi animali selvatici, come elefanti e bufali che, di sovente, si accostavano al corso d’acqua per bagnarsi e dissetarsi; branchi di gazzelle e di zebre si muovevano rapidamente tra quelle erbe rinsecchite, le quiete giraffe dal collo lungo strappavano le foglie dalle cime delle acacie mentre i rinoceronti ruminavano con calma, senza timore di essere attaccati da qualche predatore, protetti com’erano dalla loro spessa corazza e dal loro grande corno; a un certo punto, sdraiato all’ombra di un gigantesco baobab, gli era persino parso di vedere un leone, il più solenne di tutti i felini africani, intento a riposarsi ed a sfuggire alla calura pomeridiana, in attesa del sopraggiungere della notte per rimettersi in caccia.

Proseguendo con la loro tranquilla navigazione, infine, si erano lasciati alle spalle la savana e avevano intrapreso il viaggio attraverso la foresta, dove la calura opprimente, sebbene in parte mitigata dal fogliame, non era affatto diminuita. L’aria, satura di umidità, rendeva persino difficile la respirazione.

Il suo silenzioso accompagnatore, con cui viaggiava da ormai qualche giorno, si chiamava Mugambi; Knight ci aveva impiegato un po’ ma, finalmente, aveva imparato a pronunciarne il nome correttamente. Per fortuna, il congolese parlava il francese, ed era in questa lingua che i due comunicavano.

«Mugambi» domandò il poliziotto, «credi che ci stiamo avvicinando?»

Il possente nero rimase silente, guardando attorno a sé per alcuni istanti, cercando nella vegetazione qualche segno che solamente un esperto cacciatore come lui sarebbe stato in grado di riconoscere, poi rispose: «Sì. I due uomini che cerchi sono passati di qui, non più tardi di ieri.»

«Un giorno di vantaggio» borbottò Knight. «La distanza si riduce, ma è pur sempre tanta. Mi chiedo se riuscirò mai a raggiungerli… quando penso che, in Egitto, li ho avuti a portata di mano…»

«Non lasciarti scoraggiare proprio adesso, signore» gli disse Mugambi. «Loro viaggiano a piedi, camminano con mille difficoltà lungo le sponde del fiume. Sfruttando la corrente e la forza delle pagaie, noi andiamo più veloci. Presto avremo ridotto del tutto il nostro svantaggio e potrai raggiungerli.»

«Il cielo lo voglia. Mi pare una vita intera, ormai, che sto dando loro la caccia. Mi hanno fatto mangiare la polvere per mezza Europa e mezza Africa, quei maledetti!»

«Che cosa farai, quando li troverai? Li ucciderai?»

«Non ho intenzione di fare nulla del genere!» esclamò Knight, assumendo un cipiglio stizzito, colpito e indignato nella sua vecchia morale vittoriana che non aveva mai perduto. «E non userò le mie armi a meno che non siano loro stessi a costringermi a farlo. Sono un poliziotto, io, non un sicario. Il mio solo scopo è quello di stringergli le manette ai polsi e condurli in Europa, per affidarli alla corte di giustizia.»

Il congolese non aggiunse altro, ma continuò a remare, senza mai smettere di guardarsi attorno.

Anche Knight volgeva nervosamente qua e là i propri occhi, spinto in questo da una strana trepidazione. All’improvviso, infatti, gli era sovvenuto che, insieme a Robert Park, era stato rinvenuto pure il diario dell’esploratore. E le ultime note scritte dal poveretto, probabilmente le sue ultime parole sensate prima di perdere completamente il senno, erano state vergate proprio nella regione in cui, adesso, si trovava lui stesso. Knight rabbrividì e, istintivamente, portò una mano al calcio della pistola che gli sporgeva dalla fondina, cercandovi un poco di conforto.

Avanzarono ancora per qualche ora, poi Mugambi deviò verso riva e scese a terra.

«Il tramonto è prossimo. Ci fermiamo per la notte» spiegò, mentre Knight lo aiutava a tirare in secca la barca. «Domani raggiungeremo i tuoi due uomini.»

«Sperando che questa nostra pausa non gli conceda ulteriore vantaggio, però» dubitò il poliziotto.

«Non devi avere questo timore. La notte è tale per noi come per chiunque altro. Anche loro saranno costretti a fermarsi, poiché sarebbe da sciocchi proseguire lungo il fiume nell’oscurità che, a breve, sarà totale: rischierebbero di smarrire la via, di cadere in acqua o di finire tra le zanne di un animale feroce senza neppure rendersene conto. Dubito che quei due uomini, che da così tanto tempo ti sfuggono, potrebbero proprio adesso, senza alcun motivo apparente, rivelarsi tanto bietoloni. Inoltre, stanno camminando da parecchio, ormai, e anche loro avranno pur bisogno di recuperare le energie.»

Knight dovette ammettere che la sua saggia guida non poteva sbagliarsi; inoltre anche lui, adesso, sentiva il bisogno di riposare: le braccia gli si erano indolenzite e le gambe intorpidite. Dopo aver gettato una coperta sul terreno, si stiracchiò un poco e fece quattro passi nelle vicinanze, prima di mettersi a sedere. Mugambi, invece, batté forte e ripetutamente con un ramo il terreno tutt’attorno, per allontanare eventuali serpenti o altri rettili velenosi, come i letali mamba e i cobra, molto diffusi in quelle regioni; quindi, dopo essersi accertato che non ci fossero pericolo in agguato, accese con estrema maestria un fuoco e iniziò a cucinarvi sopra una zuppa, che sarebbe stata la loro cena.

 

 




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4049161