Sotto il cielo del Nord

di Star_Rover
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XXIII. L'incontro. La runa di von Rosen. Poika 


«E così voi Jäger eravate al fronte con i tedeschi?»
Yrjö annuì.
«Quanto tempo siete rimasti laggiù?»
«Un anno di addestramento, un altro anno in prima linea e poi a difendere il nord fino alla resa dei russi»
«Dannazione! Non deve essere stato facile resistere così a lungo»
Yrjö rivolse lo sguardo fuori dal finestrino, il panorama innevato della Carelia risplendeva davanti ai suoi occhi. Jari aveva ragione, quelle terre erano davvero magiche.
Lo sconosciuto con cui condivideva lo scompartimento continuò il suo informale interrogatorio.
«Ha detto di essere un dottore…» disse osservando con curiosità la fascia stretta al suo braccio.
«Sono stato promosso a ufficiale medico dopo il mio ritorno»
L’uomo sorrise: «il generale Mannerheim ha voluto onorarvi per il servizio reso alla Patria»
«Purtroppo la nostra missione non è ancora terminata»
«Questa guerra non durerà a lungo. Anche gli svedesi sono dalla nostra parte, preferiscono vederci indipendenti piuttosto che comunisti!»
Yrjö rimase perplesso, non aveva idea di quel che sarebbe accaduto, la sua unica certezza era che in meno di due giorni sarebbe tornato a combattere.
«È diretto a nord?»
Il medico esitò: «devo raggiungere Vaasa, ma…prima voglio far visita a una persona»
Lo sconosciuto impallidì, mostrandosi seriamente preoccupato.
«La Carelia non è sicura, soprattutto per i soldati»
«In questi tempi nessun posto in Finlandia è sicuro» fu la pronta risposta.
«Questa persona deve essere davvero importante»
Yrjö si rialzò dal suo sedile accorgendosi di essere ormai giunto a destinazione.
«Oh, certo. Lei è la ragione per cui sono ancora vivo» concluse prima di abbandonare lo scompartimento.
 
Jari aveva parlato spesso di casa sua, definendola come una modesta fattoria ai margini della foresta. In realtà la proprietà della famiglia Koskinen era la perfetta dimora di un medico di campagna, borghese e benestante.
Yrjö attese davanti all’entrata, aveva bussato in modo pacato, ma deciso. I rumori provenienti dall’interno dell’abitazione gli confermarono che qualcuno si era accorto della sua presenza.
Quando Kaija si presentò alla porta egli si bloccò per un lungo istante, non potendo far altro che restare immobile ad ammirarla. Era bellissima, ancor più dell’immagine che aveva adorato per tanto tempo.
Lei fu sorpresa da quella visita inaspettata, dalla divisa suppose che quel giovane stesse cercando suo fratello.
«Mi dispiace, ma Jari è uscito per una passeggiata a cavallo nei boschi»
«A dire il vero non sono venuto qui per lui» 
La ragazza osservò il suo volto con più attenzione, pur non avendolo mai visto prima trovò qualcosa di familiare in lui.
«Yrjö? Sei davvero tu?» chiese con la voce spezzata per l’emozione.
«Nell’ultima lettera avevo promesso di venire da te»
Kaija sorrise ed invitò il giovane ad entrare.
«Devi essere stanco per il viaggio. Posso offrirti qualcosa di caldo?»
Egli non esitò ad accettare la proposta.
 
Yrjö strinse tra le mani la tazza fumante, assaporò il dolce sapore del miele, inebriato dal profumo delle erbe aromatiche. Il salotto aveva un aspetto familiare con un’atmosfera intima e accogliente. 
I due giovani cominciarono a conversare spontaneamente, si trovarono subito in sintonia, in fondo si conoscevano già da molto tempo.
Kaija parlò del suo passato e della sua famiglia, dell’affetto che provava per il fratello e anche del dolore per la perdita della madre. Esternò la sua preoccupazione per Kris e il timore per i recenti eventi che avevano sconvolto la Finlandia.
A sua volta Yrjö le raccontò della sua passione per la medicina e del dilemma interiore che aveva dovuto affrontare prima di decidere di arruolarsi. Parlò del suo rapporto con il dottor Lange e di quanto si sentisse solo e perso senza di lui. Riuscì persino ad esternare il senso di colpa che non l’aveva mai abbandonato dopo il suo ritorno in Patria.
Kaija ascoltò con interesse le sue parole, mostrando comprensione ed empatia nei suoi confronti. Si commosse nel conoscere le sue più intime motivazioni, non aveva mai dubitato delle sue buone intenzioni.
Il giovane medico trovò conforto in quel viso dolce e innocente.
Dopo un lungo silenzio Kaija decise di chiarire ciò che nelle lettere era rimasto in sospeso.
«Perché sei venuto qui?»
«Volevo vederti prima di partire»
La ragazza avvertì un nodo alla gola.
«Quello che hai scritto nelle tue lettere è tutto vero?»
Yrjö confermò senza esitazione.
«Allora dimmelo adesso»
Egli la guardò negli occhi: «ti amo»
Kaija sfiorò la sua guancia con una tenera carezza, avvicinò il viso al suo, finché le loro labbra non si unirono in un bacio leggero e delicato.
Yrjö si stupì quando lei si allontanò, distaccandosi dal suo abbraccio.
«Mio padre e mio fratello torneranno presto. Puoi restare per cena, saresti un ospite gradito»
Il giovane tornò mestamente alla realtà.
«No, io…non voglio disturbare la tua famiglia. Cercherò alloggio in una locanda per questa notte»
Sul viso di Kaija apparve un’espressione angosciata.
«Questo significa che stai per andartene?»
«Non avrei nemmeno dovuto concedermi questa tappa, non posso perdere il treno di domani mattina»
La ragazza provò profonda tristezza, si erano appena incontrati e già dovevano dirsi addio.
I due giovani si separarono frettolosamente, quasi freddamente.
Yrjö si ritrovò solo in strada, aveva sperato in un ultimo bacio, invece lei non gli aveva più rivolto alcun segno d’affetto.
 
Per tutta la sera Yrjö pensò a quel che era accaduto, domandandosi se in quel caso avesse commesso un errore a seguire il suo cuore. Kaija sembrava ricambiare i suoi sentimenti, ma lui non avrebbe potuto far altro che causare altro dolore a quella ragazza. Era stato egoista e si sentiva in colpa per questo.
Consumò la cena alla locanda tormentato da questi pensieri, finendo per bere qualche bicchiere di troppo. Tornato nella sua stanza si distese sul letto, con la testa pesante e le immagini del fronte davanti agli occhi aperti.
Il giovane era rassegnato a trascorrere un’altra notte insonne, quando ad un tratto avvertì dei battiti alla porta.
«Yrjö! Per favore, apri!»
Egli si rialzò di scatto, confuso e sorpreso nel riconoscere quella voce femminile. Rapidamente corse alla porta.
«Kaija…»
La ragazza esitò sulla soglia.
«Posso entrare? Fa freddo qua fuori»
«Come mai se qui?»
Lei tornò tra le sue braccia: «non potevo lasciarti andare via così…voglio stare con te questa notte»
Yrjö cedette al suo istinto, l’effetto del vino gli permise di superare ogni inibizione ed esprimere senza più timore il suo desiderio. Non voleva sprecare quell’occasione, consapevole che sarebbe potuta essere l’unica.
La strinse a sé, le accarezzò dolcemente i lunghi capelli castani, inebriandosi del suo profumo. La baciò con dolcezza, e poi con passione. Le mani scivolarono sui fianchi mentre continuò a cercare le sue labbra con sempre più trasporto.
Kaija slegò i lacci del vestito lasciando cadere la pesante stoffa sulle assi di legno.
Yrjö rimase immobile ad osservare la sua figura nella penombra della stanza, riuscì solo a pensare che fosse bellissima.
Lei prese l’iniziativa, iniziando a slacciare i bottoni della sua divisa. I due amanti si distesero sul materasso, esplorandosi a vicenda con baci roventi e bramose carezze.
Yrjö avvertì la ragazza fremere e ansimare al suo tocco. Lei prese la sua mano, premendola sul proprio petto, in modo che potesse percepire il battito accelerato del suo cuore e il respiro affannato.
Kaija non era mai stata con un uomo, eppure con Yrjö non provò alcun timore. Intrecciò le dita alle sue, abbandonandosi alla crescente sensazione di piacere. Fare l’amore insieme fu dolce e romantico, ma anche intenso e passionale.
Spossato e appagato, Yrjö si distese al suo fianco. Kaija si rannicchiò contro al suo petto.
Egli scostò delicatamente una ciocca dal suo viso.
«Quello che hai fatto è un vero miracolo»
Lei non capì: «di che stai parlando?»
«Quando sono tornato dalla guerra credevo che non avrei mai più potuto conoscere la felicità. Invece adesso sono convinto di non essere mai stato più felice»
Kaija si commosse nel sentire quelle parole.
Restarono abbracciati nell’oscurità, scambiandosi parole dolci, addormentandosi l’uno stretto all’altra.
 
Kaija riaprì gli occhi con i primi raggi del giorno che filtravano dalla finestra. Yrjö era seduto sul bordo del letto, già vestito, intento ad infilarsi gli stivali.
«Stai già andando via?»
«Il mio treno partirà tra meno di un’ora»
Lei lo guardò con apprensione, ma rimase in silenzio. Non poteva pretendere alcuna promessa da quell’addio.
Yrjö si chinò su di lei per salutarla con un ultimo bacio.
Quando la porta si fu richiusa Kaija si ritrovò sola, ancora mezza nuda tra le coperte.  
La giovane si nascose il viso tra le mani, abbandonandosi a un silenzioso pianto.
 
***

Dopo il suo ritorno in Finlandia Bernhard aveva dovuto affrontare una serie di avversità. Per quanto gli Jäger fossero stati accolti in Patria come degli eroi, su di loro gravavano ancora molte responsabilità.
Inoltre il suo addio alla Germania era stato particolarmente doloroso. Winkler non poteva considerarsi estraneo al destino del popolo tedesco.
Mentre il conflitto stava incendiando l’Europa, oltre al Mare del Nord, la Finlandia era dilaniata dalla violenza e dall’orrore della guerra civile.
Bernhard, da sempre diviso tra le sue due identità, si ritrovò a provare ugual disperazione nell’assistere a quei sanguinosi eventi.
La situazione era problematica anche per questioni politiche. Non si fidava del generale Mannerheim, il quale sembrava più interessato al suo tornaconto personale piuttosto che alla salvezza della Patria.  
In ogni caso Winkler era determinato a rispettare gli accordi e fare il suo dovere. Aveva lottato per tanto tempo al fine di raggiungere i suoi obiettivi. La formazione di un esercito, l’alleanza con la Germania, la lotta per l’Indipendenza…a quel punto la guerra civile era inevitabile.
Winkler osservò la sua scrivania, sulla superficie in legno era riposta l’ultima lettera ricevuta da Jari.
L’ufficiale prese un profondo respiro. La loro separazione non era stata semplice da affrontare, quel giovane era l’unico in grado di donargli conforto.
Sicuramente sarebbe tornato a combattere con il grado di ufficiale.
Era orgoglioso di lui, ma allo stesso tempo temeva di perderlo. Una parte di sé avrebbe desiderato continuare a proteggerlo come aveva sempre fatto fino a quel momento, ma era consapevole che ciò non sarebbe stato possibile.
Aveva riflettuto a lungo sulla natura del loro rapporto, alla fine aveva compreso di non potersi permettere di giocare con il fuoco.
La loro attrazione, seppur innegabile, era una vana illusione. Entrambi erano innamorati di ideali. Bernhard vedeva nel finlandese la rappresentazione dei valori patriottici che aveva sempre sostenuto, allo stesso modo Jari cercava nel suo superiore un punto di riferimento.
Questa consapevolezza poteva aiutare Winkler a giustificare le sue scelte, ma sarebbe stato comunque difficile rinunciare a colui che, prima di ogni cosa, si era dimostrato il suo unico vero amico.
 
Bernhard stava osservando con aria assorta la linea di confine tracciata sulla mappa quando all’improvviso avvertì dei battiti alla porta. Prontamente diede il permesso di entrare.
Poco dopo sull’uscio comparve la sagoma del tenente Halvari.
«Capitano Winkler, gli svedesi sono appena arrivati. Dovrebbe venire a vedere che bel regalo ci hanno portato!»
Bernhard si rialzò, incuriosito e insospettito da quell’esclamazione.
I due ufficiali attraversarono l’accampamento superando le baracche dei soldati.
Una gran folla era radunata ai confini del campo, tanto che era impossibile scorgere l’oggetto di tanta attenzione e meraviglia.
«Lei è stato in Germania?» domandò Halvari.
Winkler annuì.
«Allora ciò che vedrà non sarà una novità, però posso garantirle una bella sorpresa!»
Quell’ultima affermazione sollecitò ancor più la sua curiosità.
Finalmente i due ufficiali raggiunsero la loro destinazione, facendosi spazio tra la folla si aggiudicarono un posto in prima fila. Winkler non credette ai suoi occhi, davanti a lui si trovava un aereo, un monoplano biposto in ottime condizioni.
«Si tratta di un velivolo da ricognizione, per l’occasione è stato armato di mitragliatrice» specificò il tenente Halvari con soddisfazione.  
Bernhard si avvicinò per ammirare l’aereo con più attenzione, la fiancata era decorata con la runa blu di von Rosen [*].  
«Credevo che la Finlandia non avesse un corpo di aviazione» commentò.
«Questo è vero. Dovremo fare affidamento sui volontari»
«Volontari?»
«Già, diversi piloti stranieri hanno deciso di schierarsi dalla nostra parte. Svedesi, danesi…persino russi!»
Winkler mostrò un affabile sorriso.
«Spero che siano tutti onorati di volare per la nostra causa»
«Siamo certi che questa collaborazione potrà essere un gran vantaggio per noi»
 
Bernhard tornò al suo alloggio pensando che in fondo l’alleanza con la Svezia potesse avere anche i suoi lati positivi. Per vincere quella guerra avevano bisogno di mezzi, armi e uomini. Se necessario dovevano scendere a compromessi.
Winkler terminò con calma di fumare la sua sigaretta, non aveva motivo di preoccuparsi, almeno per il momento la situazione era sotto controllo.
 
***

Evert camminava per le strade di Helsinki con il fucile in spalla e lo sguardo vigile. Osservò il viale deserto, poi voltò l’angolo e proseguì per un’altra ronda.
Quando tornò dai suoi compagni avvertì un’insolita tensione, ma inizialmente non diede troppa importanza a quelle sensazioni.
L’ufficiale che gli chiese rapporto era piuttosto irrequieto, fumava nervosamente e parlava a chiunque con tono aggressivo.
Evert avvertì l’odore di alcol ancor prima di avvicinarsi. 
Ad un tratto l’uomo l’afferrò per la giacca, come se fosse intenzionato ad aggredirlo. Fortunatamente intervenne un altro tenente, il quale separò i due e si preoccupò di calmare il suo parigrado.
«Per questa sera è meglio che tu vada a riposare, non è il caso che ti faccia vedere in questo stato dai tuoi uomini!»
L’ubriaco esitò un istante prima di allontanarsi senza dire nulla.
Evert stava per obiettare, ma il suo superiore lo fermò.
«Dobbiamo lasciarlo in pace, è ancora sconvolto per quel che è successo»
Il giovane gli rivolse uno sguardo interrogativo.
«Ieri suo fratello è stato giustiziato, è stato suo dovere ordinare agli uomini di premere il grilletto»
Evert rabbrividì nel sentire quelle parole.
«Tutto ciò è davvero terribile»
Il tenente scosse le spalle.
«La guerra è guerra» fu l’amara risposta.
Evert rimase turbato da quella narrazione, per quanto fedele alla causa, egli non avrebbe mai potuto compiere un atto del genere. Forse avrebbero potuto considerarlo un vigliacco, eppure lui non aveva alcun rimorso. Aveva tradito i suoi ideali e i suoi compagni quando aveva deciso di aiutare sua sorella a fuggire. Era certo di averle salvato la vita obbligandola ad abbandonare Helsinki per rifugiarsi oltre al confine.
Marja era innocente, eppure tra i Rossi c’era chi non avrebbe esitato a farle del male, accusandola di tradimento. La sua unica colpa era stata quella di innamorarsi di uno Jäger.
Evert non approvava la relazione di sua sorella ben prima dello scoppio della guerra civile e le questioni politiche non avevano nulla a che fare con tutto ciò. Considerava Lauri egoista e arrogante, per quanto ritenesse sincero il suo amore per Marja, temeva che egli l’avrebbe fatta soffrire.
Aveva tentato di farle aprire gli occhi prima del matrimonio, ma lei non aveva voluto ascoltare le sue motivazioni. Alla fine non aveva potuto fare altro che rassegnarsi e sperare che almeno Marja potesse essere felice.
Per quel che riguardava Lauri non aveva cambiato opinione in tutto quel tempo, ma era stato costretto a nascondere l’avversità nei suoi confronti.
Non si era sorpreso quando aveva saputo della sua partenza per la guerra in Europa, doveva ammettere di aver sperato che egli non facesse più ritorno. Ma amava troppo sua sorella per augurarle un triste destino. Per qualche ragione lei era davvero innamorata di quell’uomo e la sua perdita le avrebbe causato solo un profondo dolore.
Evert era stato paziente, consolando Marja per tre lunghi anni in assenza del marito. Aveva sempre tentato di proteggere la sua famiglia, ma ora non c’era più nulla che potesse fare, se non sperare che nonostante tutto le persone che amava stessero bene.
 
Evert tornò in strada in compagnia di un suo commilitone, il quale non aveva affatto l’aspetto di un soldato. Quel giovane non poteva avere più di sedici anni, indossava abiti troppo larghi e a stento reggeva il peso del fucile.
Evert non conosceva nemmeno il suo nome, tutti lo chiamavano semplicemente Poika, il ragazzino.
I due si addentrarono nel distretto di Kaartinkaupunki oltrepassando le vecchie caserme. Avanzando nell’oscurità si accorsero che le strade diventavano sempre più strette e silenziose.
Istintivamente Evert imbracciò il fucile, a suo giudizio quella zona era fin troppo tranquilla.
Allertato da un rumore si voltò di scatto, puntando l’arma nel buio. Era certo di aver intravisto un’ombra. All’improvviso un gatto randagio uscì dall’ombra per attraversare la strada e scomparire oltre a un muretto di mattoni. Il soldato sussultò arretrando.
Poika non riuscì a trattenere una risata, divertito nel vedere un uomo armato spaventarsi per un gattino indifeso.
Evert sbuffò, maledicendo il povero felino.
«Calmati, è tutto a posto. Hai bisogno di rilassare i nervi. Vuoi una sigaretta?» domandò il ragazzo offrendogli la sua scorta.
Evert non ebbe il tempo di rispondere, nell’istante in cui voltò lo sguardo udì il botto di uno sparo.
Poika cadde in avanti, accasciandosi tra le sue braccia.
Il giovane tentò di sorreggere il compagno, trascinandolo al riparo. Altri spari echeggiarono nella notte, mancando di poco il secondo obiettivo. Dopo l’ultimo colpo l’attentatore fuggì via come un’ombra nella notte.
Evert si rannicchiò dietro al muro, adagiò il ferito a terra, chinandosi su di lui.
«Poika! Poika…dannazione, rispondi!»
Quando si rese conto che era troppo tardi Evert prese il compagno tra le braccia, stringendolo a sé in preda alla disperazione.
«Mi dispiace…scusami…non ho potuto fare nulla» farfugliò tra le lacrime.
Per un istante rivide ancora il suo sorriso, ma quando riaprì gli occhi trovò soltanto un viso pallido e contratto dal terrore. Le labbra sottili erano cianotiche, un rivolo di sangue fuoriusciva dal lato bocca. Gli occhi vitrei non brillavano più con innocente spensieratezza.
Ancora sconvolto Evert si rialzò sulle gambe tremanti, quando le guardie allertate dagli spari gli domandarono che cosa fosse accaduto ringhiò con rabbia.
«Poika è morto, i Bianchi lo hanno ucciso!»
 
 
 
 
 
 
 
[*] Lo stemma personale del conte svedese Eric von Rosen era una svastica blu, il simbolo fu scelto dal nobile per il suo significato nella cultura vichinga. La runa era considerata un auspicio di buona fortuna.
Il primo aereo donato da von Rosen determinò la nascita dell’aereonautica finlandese, per questa ragione la sua svastica venne adottata come insegna dal 1918 al 1945. Soltanto dopo il 1920 essa acquisì l’accezione politica della Germania Nazista. Lo stesso von Rosen negli anni ’30 divenne un convinto sostenitore del nazionalsocialismo.




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