ӀƖ ẟangue di ⱴe’ Ʀah

di Nina Ninetta
(/viewuser.php?uid=2426)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.




Ϯ

CAPITOLO
ESTO

 
Il Regno di Niihel era una roccaforte nel bel mezzo del deserto. Le mura alte e spesse proteggevano una cittadina vivace e colorata, le cui stradine si districavano fra abitazioni di mattoni dello stesso colore ambrato della sabbia.
Il bazar nella piazza centrale era un turbinio di sfumature calde e di odori forti, penetranti, ma non nauseanti. Alle spalle di alcuni venditori ambulanti, sopra un’insegna di legno, era inciso il muso stilizzato di un lupo: la tana della gilda “I Lupi di Niihel”.
Garni spalancò le porte a due battenti ed entrò nel locale con le braccia spalancate e un gran ghigno sulle labbra, inspirando profondamente:
«Aria di casa!» Esclamò.
I pochi presenti urlarono di gioia, qualcuno fischiò con entrambe le dita in bocca, qualcun altro sollevò un boccale di vino dandogli il bentornato.
Alle spalle del giovane, i compagni studiarono l’ambiente che li circondava: il posto all’apparenza ricordava una taverna, ma non lo era, non nel senso stretto del termine. Più tardi, lo stesso Garni spiegò loro che quella era la base dei Lupi, dove trascorreva la maggior parte del tempo, quando non era in missione.
«Ehi, bellezza!» La voce baritonale di Dun’Gar tuonò contro le assi di legno. L’uomo discese le scale passo dopo passo, le braccia aperte in attesa di un abbraccio che non tardò ad arrivare. Gar, infatti, lo strinse forte, e il padre lo sollevò di qualche centimetro da terra, poi gli diede un paio di buffetti affettuosi sulla guancia. Quindi si rivolse al resto della compagnia, presentandosi come Dun’Gar, capo della gilda, invitandoli a mettersi comodi: gli amici di Garni erano i benvenuti. Esitò qualche secondo di più su Kewst, il quale chinò lo sguardo sentendosi osservato e temendo che lo avesse riconosciuto. Non a caso, dopo cena, Dun’Gar lo raggiunse sul portico e, mentre fumava la sua pipa, con gli occhi puntati al cielo, gli chiese se fosse il figlio di Kobin Lamarcana e Anthalia Fiammardente. Il guerriero annuì, affermando che tuttavia preferiva essere il figlio di nessuno. L’uomo aveva tirato una lunga boccata di fumo e non aveva detto più nulla.
Quella sera stessa, il capo dei Lupi raggiunse Garni nella sua stanza. Lo trovò seduto sul davanzale della finestra aperta, gli occhi fissi all’orizzonte, dove si poteva scorgere il Tempio di Vhulchanius.
«Pensi all’innamorata?» Gli chiese scherzoso.
«Forse sì» rispose il giovane, mentre Màs ululava alla luna nel cortile interno.
«Immagino ti debba delle spiegazioni.»
«Non sei costretto. Ho sempre pensato che fossi un trovatello.» Gar fece spallucce. «Niente madre, nessuna somiglianza tra di noi, occhi da gatto…»
Dun’Gar abbozzò un sorriso:
«Sei uno sveglio, tu. Per questo, non riesco a capire perché domani andrai al tempio. Sai cosa ti aspetta? L’hai capito, ma capito davvero
«Nessuno sa di preciso cosa mi faranno, magari sarà un taglietto alla mano...»
«Parlano di sacrificio per un motivo!» Dun’Gar parve rimproverarlo con un’occhiata.
«Non ho scelta.»
«C’è sempre una scelta…»
«Se non lo faccio vi condannerò tutti!» Affermò il giovane di Niihel. Il suo era sempre stato un futuro incerto, credeva che avrebbe passato i giorni fra scorribande e amori voluttuari, mai si sarebbe aspettato che nelle sue vene scorresse il sangue di una dea e che perciò avrebbe dovuto sacrificarsi.
Già, ma fino a che punto?
Dun’Gar fissò negli occhi suo figlio. Era cambiato. Il ragazzo che conosceva si sarebbe ribellato, adesso invece pareva accettare il proprio destino.
Perché?
Cos’era cambiato?
«Sei davvero innamorato» sospirò l’uomo. «Chi è? La Leonid?»
Garni sorrise e tornò a guardare le stelle, scuotendo il capo.
«Hai messo su una compagnia importante: due principesse spodestate, il figlio di Lamarcana che credevamo morto…»
«Sai tante cose…»
«Garni, Garni, Garni» sospirò l’altro «Non posso fermati. Ho sempre permesso che fossi tu a scegliere il tuo destino e non cambierò rotta adesso. Ma voglio che tu sappia una cosa», gli afferrò il viso con entrambi i palmi. «Ti voglio bene, sei mio figlio e se non vorrai farlo combatterò al tuo fianco. Dovessi scatenare una guerra con gli altri regni!»
Garni lo abbracciò forte, volgendo lo sguardo al cielo per ricacciare indietro le lacrime. Di sotto, Màs aveva smesso di ululare, adesso teneva il muso verso l’alto e la coda bassa.
 
 
Ϯ
 
Il Tempio di Vhulchanius, di puro oro colato, era stato plasmato sulla roccia del vulcano stesso, al cui interno ospitava la Sacra Fiamma di Ve’Rah. Era una struttura piramidale, aperta alla sommità per permettere al fumo di fuoriuscire. Era visibile già a chilometri di distanza, grazie anche ai raggi della Stella Chiara che vi si riflettevano addosso, emanando riverberi in lungo e in largo. L’entrata consisteva in un enorme bocca cavernosa, presidiata da due sacerdoti di Ve’Rah.
Garni e il resto della compagnia si erano messi in marcia durante l’Ora dell’Alba Nascente, silenziosi come non lo erano mai stati. Solo il giovane Sangue della dea scherzava, provando a stemperare la paura che gli torceva le viscere. Màs camminava al suo fianco, mogia, quasi come se sapesse che presto avrebbe dovuto salutare il suo adorato padrone.
Giunti dinnanzi all’ingresso, si presentarono ai seguaci della Fiamma Sacra, mostrando la Pergamena del Drago come segno tangibile della loro identità. Ma gli uomini vestiti di porpora dissero che il solo Figlio di Ve’Rah poteva oltrepassare le porte divine del tempio, gli altri ne erano banditi.
Stella provò a replicare, ma Emeryl la rimproverò:
«La nostra missione è finita.» Tirò le redini del cavallo e fece per intraprendere la strada a ritroso, poi si fermò per aspettare gli altri.
«E così dobbiamo salutarci…» sospirò Gar, sforzandosi di sorridere.
Kewst gli tese la mano, non era bravo con le parole lui e nemmeno con i gesti affettuosi. Era riuscito nel suo intento di portare a termine quella missione, avrebbe dovuto essere orgoglioso di aver dimostrato che valeva qualcosa, che non era un perdente come lo definiva suo padre. E allora perché si sentiva così… colpevole?
Garni gliela strinse:
«Su con la vita, amico» gli augurò.
«Va bene» furono le uniche due parole che l’altro riuscì a pronunciare.
Poi il giovane di Niihel sorrise a un Damien commosso.
«Sono in debito con te per aver salvato Màs.»
Damien lo abbracciò forte, sussurrandogli all’orecchio che era ancora in tempo per tirarsi indietro, avrebbero trovato un altro modo per fermare il Grande Gelo. Garni lo allontanò da sé tenendolo per le spalle:
«Ti affido Màs. So che te ne prenderai cura.»
Stella teneva le braccia conserte e lo sguardo puntato altrove, quando intuì che Garni la stava osservando si asciugò il viso dalle lacrime in un gesto furtivo:
«Sei un idiota!» Esclamò.
Garni ridacchiò, prendendole una mano per lasciarle cadere al centro una catenina con un ciondolo di ametista.
«È l’amuleto di De’bhella, la dea dell’Amore» spiegò il ragazzo.
«Lo so chi è De’bhella. Idiota!» Aggiunse lei fra i denti. Gar non smise di sorridere mentre le chiudeva le dita intorno alla pietra violacea.
«Voglio che sia tu a tenerla» concluse, posandole poi un bacio sulla fronte, ma Stella era tornata con le braccia conserte e il volto girato.
Infine, Garni si inginocchiò dinnanzi a Màs, accarezzando la sua pelliccia morbida e grigia, l’animale gli leccò una guancia.
«Io e te adesso dobbiamo salutarci, ma tu fai la brava e non cacciarti nei guai, me lo prometti?» La lupa abbaiò una volta soltanto: come risposta andava più che bene.
Il giovane del Deserto si rialzò, guardando Emeryl che gli dava le spalle.
«Mi dispiace» le disse. «Non volevo farti del male quella volta, quando Màs è stata ferita.»
La Din Nadair non rispose, si allontanò al trotto, stringendosi alle redini e piangendo come non faceva da tanto, tanto tempo.
Kewst, Stella e Damien attesero che Garni s’inoltrasse nel tempio, lo videro pian piano sparire, scortato dai sacerdoti. Màs si accucciò lì davanti e, nonostante tutti i tentativi della Leonid e del mezz’elfo, non ci furono versi di smuoverla.
«Ci raggiungerà quando sarà pronta» affermò il guerriero, alzando un’ultima volta gli occhi sull’imponente e dorata struttura fumante.
 
 
Ϯ
 
Durante l’Ora della Stella Nera le temperature calavano di parecchio in quell’angolo di deserto. La forte escursione termica, però, era aumentata da quando era cominciata la IV Era Glaciale e sembrava peggiorare senza tregua.
Stella era in piedi sulla veranda della tana dei Lupi, studiando il ciondolo che Garni le aveva regalato. In lontananza, si distingueva nitidamente il fumo che si alzava dal tempio di Ve’Rah. Lo fissò per qualche istante, chiedendosi cosa stesse facendo Garni, se stesse bene, se avesse già trovato un’altra bella ragazza da corteggiare. Magari una vestale della dea… E Màs? Era ancora lì, dove l’avevano lasciata?
Kewst sedeva dietro di lei, intento ad affilare le armi.
«L’amuleto dell’Amore» la voce profonda di Dun’Gar irruppe nelle sue domande e Stella balbettò un sì. Il capo della gilda si accese la pipa, inspirò e poi lasciò andare una densa nuvola di fumo, tenendo gli occhi fissi sull’oscurità. «Nel Regno di Agran c’è un’antica leggenda su De’bhella. Si racconta che fosse innamorata di un guerriero mortale, il quale era solito regalarle un frammento di ametista quando partiva per le sue missioni, promettendole che sarebbe tornato per riprenderselo. Si capisce che era un pegno d’amore, no? Per questo motivo, noi dell’Est, abbiamo l’usanza di lasciare un ciondolo di ametista alla persona amata quando dobbiamo allontanarci per un lungo viaggio, con la promessa che torneremo sempre indietro, per riprendercelo.»
Stella fissò la pietra viola, senza sapere bene cosa rispondere, poi un lampo di luce rossastra si espanse dalla bocca del vulcano.
«È cominciato» affermò Dun’Gar, spezzando il bocchino con le sole dita.
«Cosa è cominciato?» Chiese Stella.
«Il rito» l’uomo rientrò nel locale tenendo i pugni chiusi e le spalle ingobbite.
La ragazza lo osservò andare via, senza capire veramente a cosa si riferisse, poi il rumore del grosso martello di Kewst che sbatteva sul soppalco di legno la fece sobbalzare. Lo guardò, seduto con le spalle tremolanti contro il muro e la testa fra le ginocchia.
«Kewst?»
«Lo uccideranno» singhiozzò. «Gli strapperanno il cuore dal petto e lasceranno che si dissangui come un… un animale! E io non l’ho fermato. Non ho fatto niente per fermarlo! E perché? Perché volevo dimostrare a mio padre che sapevo fare qualcosa, che ero bravo a portare a termine una missione?! E intanto, ho mandato a morire un amico!»
Stella lo fissava con gli occhi sgranati, il cuore impazzito e un solo pensiero nella testa.
«Va a chiamare gli altri! Io sello i cavalli.» Gli ordinò.
Pochi minuti dopo, Dun’Gar li vide partire al galoppo in pieno buio, quando anche le stelle vanno a dormire, diretti al Tempio di Vhulchanius e la speranza si riaccese.


 
Ϯ
 
 




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4049845