Aspettami sulla riva del mare

di darkangelII
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Rapita nello specchio dei tuoi occhi respiro il tuo respiro.
E vivo.


I suoi capelli erano come seta nel vento mentre il profumo di lei mi riempiva la mente. Guardare la sua pelle baciata dal sole del tramonto era come osservare la rugiada illuminata dal sole, splendete e cristallina, un piccolo pezzo di diamante immerso nel fumo grigio di una città di mortali.. Ed io non volevo fare nulla che potesse rompere l’incantesimo della sua immagine.
Lei indossava una lunga veste chiara che sapevo ricopriva il suo corpo nudo, mentre io indossavo jeans e una maglietta nera con uno scollo profondo che lasciava usciva il tessuto del costume da bagno ed avevo i capelli scuri, spettinati e secchi a causa dell’acqua salata.
Eravamo l’una l’opposto dell’altra eppure eravamo lì, insieme, a guardare il mare.
Quel mare da cui lei era nata molti millenni prima che io nascessi, quando ancora l’essere umano credeva nel mito e veniva accompagnato da leggende viventi in un mondo fatto di magia e stupore, paure e passioni.. Si, lei guardava il mare ma io pensavo a lei.
Quei capelli castani bagnati da ciocche bionde che sfumavano non appena il vento le sfiorava, quei pozzi d’anima dei suoi occhi che vibravano tra l’azzurro intenso del cielo e il viola del mare in tempesta, quella pelle bianca che io sapevo essere fredda quando la sfioravi per poi sentirla tiepida dopo un paio di carezze. Quella bocca perfetta, sempre un po’ increspata dal suo spirito inquieto e sempre gonfia di baci che io le avevo dato o che a volte lei riceveva da altri.
Oh io sapevo tutto di lei.. Tutto e niente.
E’ impossibile mia cara, è impossibile. Mi avrebbe detto Apollo.
Non puoi sapere tutto dell’amore e del suo spirito, ma io mi illudevo, mi illudevo sempre di conoscere i suoi segreti e averla in pugno. Amavo illudermi di averla con me. Di essere con lei, di amare lei e a mia volta essere amata.
Ero pazza, completamente fuori di testa.. Ma come non amare l’amore?

Eccoci li una accanto all’altra.
«Smettila di guardarmi così, ti stai perdendo lo spettacolo.»
Le sue parole mi sorpresero e il suo tono stizzito mi ferì.
Lei diceva che il fatto che io potessi guardare il resto del mondo senza concentrarmi solamente su di lei era ciò che amava di me. Non doveva essere perfetta e rispondere alle aspettative, non doveva adoperarsi per essere la divinità che era perché io ero diversa e potevo guardare un tramonto senza essere incantata da lei. Ma io ero umana e in quei momenti, dove eravamo solo io e lei in mezzo al mondo, cedevo e mi incantavo. Ero fallace.
Diceva che adorava anche questo di me. Adorava le mie contraddizioni.. Ed io difficilmente le credevo.
Trattenni il fiato per un paio di secondi per prendere il controllo del mio orgoglio ferito e mi concentrai su altro, tornando in me e nei miei sensi.
Si il mare. Eravamo lì per il mare e il tramonto.
Apollo creava sempre bellissimi capolavori.
Eravamo solite passeggiare con i piedi immersi nell’acqua ma quella sera avevamo voluto variare e rimanere tra la gente che passava e che osservava, sfiorava e parlava della mia Dea, chiamandola lontana da me. Io ad ogni uomo che la intratteneva rispondevo con stizza e cattiveria, lei rideva e mi diceva che le ricordavo Ares senza però la sua stessa sete di vendetta, mentre io annegavo nella mia gelosia e nella mia sete di lei.
Oh lei sorrideva, si, ma se qualcuno guardava me e che fosse questo uomo oppure donna, conficcava le unghie nel mio braccio e mi teneva stretta a sé con possessività. Insieme ai segni rossi sulla mia pelle avevo capito da tempo che la libertà d’amore e del sesso che lei millantava di avere in suo potere era una strada a senso unico. Io avrei potuto avere chiunque ma gli attacchi di gelosia che ne seguivano erano di una intensità tale che spesso e volentieri mi facevano passare la voglia.
Era una tortura stare con lei, era la mia fine stare senza di lei.. ma era felice ed io lo ero con lei, quindi perché non vivere così in eterno?
«Oh e cosa potrà mai accadere se per un giorno mi dimenticassi di guardare il sole?»
Alzai gli occhi al cielo per poi spostare subito lo sguardo da quella palla di fuoco accecante. Era troppo da sostenere.
«Cosa potrebbe mai accadere? Apollo si offenderebbe. Noi divinità creiamo queste meraviglie per voi e tu oseresti guardare me al posto di questo sole stanco?!»
Afrodite si girò verso di me in un turbinio di vesti e capelli biondi, bocca imbronciata e occhi lucidi. Una creatura pronta a colpire per l’offesa subita ed io attesi sforzandomi di guardarla negli occhi senza cedere.
Mi fissò per qualche istante con così tanta forza e intensità da farmi dubitare seriamente di me stessa, ma quando stavo per cedere e sentirmi infinitamente piccola e fragile, il suo volto si sciolse per poi fiorire con un sorriso dolce, le labbra distese e le gote rosa, gli occhi lucidi e belli come le onde del mare sotto i raggi dell’alba.
Io la guardavo da dietro gli occhiali da sole scuri, lei ricambiava e mi trafiggeva con una profondità tale da lasciarmi a bocca aperta boccheggiando per qualcosa da dire. Fu per questo che strinsi le labbra e mi morsi la lingua facendo resistenza, mentre lei continuava ad osservarmi passando dalla dolcezza alla perfidia, quella che stuzzica i sensi e ti lascia il corpo caldo senza possibilità di sfogo. Lo sapevo. La riconoscevo perché l’angolo destro della sua bocca si era alzato verso l’alto e un sopracciglio elegante si era mosso verso l’attaccatura dei capelli, la sua lingua aveva bagnato il labbro inferiore passandoci sopra e si era morsa le labbra.
Lo avevo detto di sapere tutto di lei. Chi avrebbe mai potuto dire che il collo di questa meravigliosa creatura si arrossava quando una qualsiasi emozione le vibrava nel corpo? Io, io avrei potuto dirlo.
Eravamo in sospeso, in attesa che una delle due crollasse e si avvicinasse, iniziando un bel gioco di danze che con un po’ di fortuna ci avrebbe portato una nelle braccia dell’altra. L’aria si increspava e potevo giurare che se ci fosse stata la possibilità, perfino la natura si sarebbe fermata ad guardarci.
Ci fu un soffio di aria fresca che si insinuò tra noi, poi lo vidi: un movimento delle labbra che si arricciavano in una smorfia e poi in un sorriso, alla fine lei gettò il capo all’indietro e rise piano. Io riuscii a respirare e le sorrisi mentre le sfioravo il polso con la mano.
«Smettila di giocare con me.» Le dissi.
«Oh mia adorata, ogni giorno che passa riesci a resistermi sempre di più..» rispose.
La sua voce era calda e densa come il miele, delicata come un canto di primavera. Mi prese le mani e mi tirò più vicina senza però abbracciarmi. Il mio petto sfiorava il suo e sapevo che lei stava aspettando me. Io dovevo fare la prima mossa perché lei amava sentirsi desiderata e io non avevo problemi a dimostrarlo.
«Tu mi ami, vero?»
«Che razza di domande fai?»
«Rispondimi. Tu mi ami, vero?»
Annuii ma non dissi nulla perché la mia voce si sarebbe increspata.
Sapere di amarla era un fatto ma dirlo ad alta voce era così intenso da farmi tremare.
«Allora non dirmi di finirla. Sei l’unica con cui posso fare così ed essere.. me. » mi disse lei a bassa voce.
Io non aggiunsi altro e le sorrisi. Lei sapeva che avrebbe potuto chiedermi la luna e io in qualche maniera gliela avrei data nel palmo della mano.
«Va bene allora, non smettere.» Le circondai i fianchi con il mio braccio e le passai una mano sulla parte bassa della schiena. Era una cosa che amavo fare perché lei si scioglieva e si adagiava contro di me, come in quel preciso istante.
«Rimani con me?» Fui io a sussurrare questa volta.
Il profumo della sua pelle ricordava vagamente le rose e io mi ci immersi mentre appoggiavo la fronte nell’incavo del suo collo. Nascosi il volto contro la sua pelle che mi affrettai a baciare piano come io adoravo fare, la strinsi più forte e decisi di non lasciarla più andare tentando di distrarci entrambe e guadagnare tempo. Perché sapevo di conoscere la risposta che mi avrebbe dato da lì a poco e io non volevo sentire, non volevo capire, non volevo.
Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego!
Tratteni il respiro e forse fu ciò che mi tradì, perché lei mi allontanò quel tanto che bastava per prendermi il viso tra le mani e baciarmi con una dolcezza straziante che io per qualche secondo scambiai per pietà.
«Non posso. Sai che non posso.. Devo tornare da loro o ci scopriranno.»
Le mie dita la strinsero.
Gli olimpi. Erano sempre loro il motivo della nostra separazione, erano sempre loro a mettersi tra noi. Gli unici a conoscenza di questa nostra unione erano Apollo, Artemide e Ares. Ai primi due portatori degli astri nulla poteva sfuggire e al dio della guerra invece, nessuno poteva resistere. Lo avevo imparato a mie spese molto tempo prima quando un giorno lo vidi venirmi incontro e sentì il timore reverenziale farmi tremare il corpo, la violenza attanagliarmi le viscere e la consapevolezza della mia prossima morte se avessi osato attaccarlo. Ma fu strano e decisamente insolito il modo in cui mi parlò: la voce roca e graffiante si presentò dicendo il nome di lei. E mi ordinò di parlare. Dovevo dargli solo un motivo per non distruggermi perché era patetico uccidere una semplice donna, mortale per di più. Preferiva fare altro con le femmine, lui. Così io gli raccontai e quando finì di parlare Ares mi guardò e mi disse di avere qualcosa in comune con me. Solo una cosa, ma fu sufficiente e come arrivò poi scomparve lasciandomi spaventata e confusa.
Io capì molto più avanti cosa volesse dire: eravamo entrambi innamorati dell’amore.
«Quando potrai?» Le chiesi sempre nascondendomi contro di lei. Era da tempo che non glielo chiedevo.
«Forse mai..» Era sincera.
Dopo un momento di silenzio le mie dita la strinsero e la baciai ancora ed ancora, prima delicatamente e poi con più fervore mentre la mia possessività prendeva il sopravvento e tentavo di lasciare un ricordo di me quella notte, nella speranza che lei non lo consumasse con qualcun altro.
«Devo andare amore.. Ti troverò qui?»
«In riva al mare..?»
«Si, davanti al mare!» Forse mi sbagliai ma sentii del dolore uscirle dalla gola.
«Si.. Sarò ovunque e sarò anche qui.. »
La presi in giro con una delle sue frasi di commiato che lei amava usare. Riuscì a sorriderle anche se non c’era gioia ad allietare i miei occhi e quel momento, lo sapevamo entrambe. Tentavo di farla andare via senza dolore ma la sentivo e sapevo che sarebbe voluta rimanere con me quella notte, con la stessa foga e lo stesso desiderio che provavo io.
Fu l’ultimo bacio quello più doloroso e fu un bacio che decise di darmi lei.
Seppi che era l’ultimo perché aveva un gusto diverso, un qualcosa di più amaro.
Sentii le sue mani morbide sulle mie guance, le labbra bagnate sulle mie che si incastravano come tasselli di un mosaico, i suoi capelli che cadevano intorno a noi e tutto aveva un peso preciso, una profondità sentita che sfumò piano come se stessi toccando una fiamma diventata fumo.
La solidità divenne leggerezza che a sua volta divenne vuoto e nulla ed io che come ultima cosa avevo sentito il suo corpo e il suo bacio mi sporsi in avanti perdendo per un attimo l’equilibrio, prima di aprire gli occhi e vedere che davanti a me non c’era più nessuno.
Se ne era andata. Nessun gesto, nessun oggetto, nessun ricordo se non tutto quello che era impresso nella mia mente.
Mi girai verso il sole che ormai faceva capolino verso il confine del mondo e vidi che accanto all’astro di Apollo c’era la mia stella, quella che compariva prima di tutte le altre e quella che per ultima si spegneva. E brillava. Brillava più di tutte.
Sarai dove ci siamo incontrate. Sarai li.. Aspettami, aspettami, aspettami!
La sua voce nella mia mente mi parlava spesso ed era l'ultima cosa che rimaneva di lei dopo ogni incontro. Sempre.
Mi girai verso il mare e sorrisi guardando in basso, incamminandomi verso il punto da cui eravamo arrivate, muovendomi piano in mezzo alla folla che nemmeno ricordava di aver visto la mia Dea camminare per quel solco di mondo. Perché le divinità facevano così: arrivavano, ti scompigliavano la vita e poi facevano in modo che te ne dimenticassi, facendosi relegare nel regno del mistero, delle leggende o dei sogni.

Arrivai al mare e l’acqua calda mi accolse tranquilla con un’onda gentile, quasi a volermi salutare ancora una volta sorpresa ma pacifica nel sapermi ancora lì accanto.
La luna ormai faceva la guerra con il sole per prendere il comando e l’astro caldo si stava spegnendo lento, come se fosse troppo stanco per rimanere ma volesse comunque accertarsi che la terra si ricordasse del suo ritorno imminente da lì a poche ore.
Ero felice per lui ma io a differenza sua, non sapevo dire quando la mia Dea sarebbe tornata.
Perché le divinità facevano anche questo: ti tenevano nel palmo della mano e ti sconvolgevano la vita, lasciandoti aspettare in riva al mare un loro ritorno promesso, ma sempre incerto.
Con un sospiro lasciai cadere le scarpe accanto a me, mi passai le mani sui pantaloni per poi sedermi sulla sabbia che non tardò ad attaccarsi ed entrami nei vestiti. Incrociai le gambe, mi appoggiai alle mani che e guardai il confine dove il mare si gettava nel cielo, pensando che da lì l’amore della mia vita sarebbe arrivata. Proprio da lì, dove tutto nasceva e finiva.
«Fai in fretta però.. Io non ho tutto il tuo tempo.»
Rimanevo pur sempre una mortale.
Lasciai che i rumori della città si spensero e che la gente finisse di parlare lontano da me, isolandomi nei miei pensieri e fantasticando nel mondo che nascondevo dentro alla mia mente.
E feci nel frattempo l’unica cosa che avrei potuto fare: aspettai.
Aspettai Afrodite sulla riva al mare.




 





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