Persi

di Quebec
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Si trovavano su un sentiero sterrato che si snodava in una valle avvolta da una fitta nebbia. L'uomo e la donna. Due anime sperdute nel nulla. Lei impaurita, lui inquieto. Spaziavano lo sguardo verso oriente, ma la nebbia li avvinghiava, li scherniva.
— È tutta colpa tua! — disse la donna. — Dovevamo fermarci al motel, invece hai voluto continuare. Per dove, poi? Ci siamo persi! Perché continuiamo a camminare? Torniamo indietro.
L'uomo non rispose.
Un gufo bubolava lontano. Un refolo di vento tra le foglie.
— Mi hai sentito?! — chiese lei.
Silenzio. Lui camminava sul sentiero, lei alle spalle.
Arrivarono a un bivio, la foschia una parete grigia impenetrabile. L'uomo guardò a sinistra. Una stradina scendeva verso una conformazione rocciosa. Spostò lo sguardo a destra e si grattò la testa.
— Ci siamo persi, vero? — domandò la donna, irritata. — Non sai nemmeno dove stai andando! Finiremo per morire congelati, qui. E Nadia è da sola in macchina con la febbre. Non dovevamo lasciarla da sola. Ma tu sei cocciuto!
L'uomo sospirò. L'aria era umida. A breve sarebbe sceso un freddo pungente. Doveva trovare un riparo. Prese la stradina a destra e scesero la scarpata.
Uno sparò esplose tra gli alberi.
Si pietrificarono.
— Hai sentito? — chiese la donna, impaurita. — Era uno sparo. Ci sono cacciatori nei paraggi? Non è illegale cacciare la selvaggina, qui?
L'uomo serrò gli occhi, pensieroso. Non erano rari gli spari nella valle. Cacciatori, il clan Morton o il clan Morgan. I primi cacciavano la selvaggina, i secondi cacciavano i terzi e i terzi i secondi. Era raro che scendessero a valle, ma quando lo facevano si lasciavano dietro una scia di morti. Erano otto mesi che nessuno li avvistava e lui sperava di non essere il primo.
La donna si strinse all'uomo. — Ho paura. Non dovevamo allontanarci dalla macchina. Dovevamo seguire la strada, invece di andare nei boschi. 
 Fece una pausa.  Sono preoccupata per Nadia. Non...
Un altro sparo. Vicino.
La donna si strinse ancora di più all'uomo, poi si incamminarono lungo la strada.
Mezz'ora dopo raggiunsero un capanno attorniato da una folta vegetazione di betulle. Pareti e finestre invase da arrampicanti. La carcassa di un auto arrugginita poco distante. Uno scheletro sul sedile del guidatore con un'accetta piantata nel cranio.
La donna si voltò per non vomitare, indicò il cranio con dito e scoppiò in lacrime.
L'uomo guardava lo scheletro. L'avevano ucciso i Morton? E se sì, quando? Dieci anni fa?
Uno sparo.
La donna trasalì e si strinse al braccio dell'uomo. Entrarono nel capanno.
Erbaccie e radici sbucavano tra le assi del pavimento marcio e dissestato. Una sedia ribaltata, un tavolo rotto, un armadio con le ante aperte. In cucina la carcassa putrefatta di una volpe.
Un altro sparo.
— Sono vicini — disse la donna, terrorizzata. Il mascara sbavato.
L'uomo fece sedere la donna in un angolo e la guardò negli occhi. — Se non mi vedi tornare, scappa, capito? Non guardarti indietro.
La donna annuì, gli occhi arrossati dal pianto.
Lui uscì dal capanno e si guardò intorno con fare turbato. La nebbia avvinghiava ogni cosa. Un gufo bubolò, svolazzò da un ramo all'altro e bubolò di nuovo. L'uomo spostò lo sguardo verso il tronco cavo adagiato vicino all'auto arrugginita. Un calpestare di foglie alle spalle. Si girò.
Veniva nella sua direzione.
L'uomo si nascose dietro una fila di cespugli, gli occhi piantati verso il rumore.
La sagoma di un uomo grasso e alto quasi due metri prese lentamente forma nella nebbia. Aveva il doppio mento e una manciata di lunghi capelli neri in testa. Indossava una salopette di jeans e imbracciava un fucile da caccia. Gettò uno sguardo allo scheletro, ci puntò l'arma con un mezzo sorriso e sparò. Una parte del cranio saltò in aria. Una scheggia arrivò in faccia all'uomo.
L'uomo grasso si grattò la pancia, raggiunse lo scheletro e staccò l'accetta dal cranio. Osservò la lama per un momento, poi la piantò nel cranio. Le ossa si frantumarono e caddero al suolo. L'accetta restò conficcata nella pelle lacerata del sedile. L'uomo grasso scoppiò a ridere e raggiunse l'entrata del capanno. Controllò il colpo in canna, sternutì due volte e scrutò all'interno con fare divertito. Appena mosse un piede, la testa gli esplose. Sangue e cervella schizzarono sugli arrampicanti e sulle pareti. L'uomo grasso crollò sul fianco.
L'uomo sbarrò gli occhi, spaventato. Il sangue sgorgava dallo squarcio in testa dell'uomo grasso. Chi aveva sparato?
Un uomo molto alto e magro uscì dalla vegetazione con un ghigno. — Te l'avevo detto che saresti morto come un coglione! — Si sedette sui talloni a fissare il cadavere, soddisfatto. — Un Morton in meno. Tanto quella puttana di tua madre ha altri sedici figli. Uno in meno che differenza fa? — Si alzò, si stiracchiò le ossa e svanì dietro una fila di contorti cespugli e rami di betulle.
L'uomo rimase immobile per un lungo momento, poi si diresse nel capanno. La donna era ancora lì, rannicchiata in un angolo. Quando lui le posò una mano sull'avambraccio, la donna trasalì e gli sferrò un coltellata verso la mano. L'uomo si ritrasse appena in tempo.
La donna lasciò cadere l'arma, sconvolta e in lacrime. — Mi dispiace... Non volevo... — Lo abbracciò intensamente.
L'uomo raccolse il coltello e lo ripose nella guaina.
— Ho pensato... ho pensato che ti avessero ucciso — disse lei, spaventata. — Cosa è successo?
Lui la condusse nel portico. L'uomo grasso giaceva in una pozza di sangue.
La donna vomitò.


 

Lasciarono il capanno e proseguirono tra la vegetazione. Betulle e pini per un'ora. Superarono un ruscello e si inerpicarono su una ripida scarpata. Il terreno cominciava a salire, la nebbia a diradarsi.
— Non ce la faccio più — disse lei. — Mi fanno male i piedi. — Si sedettero su una roccia. Gli occhi di lei su di lui. — Chi ha ucciso quell'uomo?
Lui non rispose. Un coniglio balzò da dietro un albero e sparì subito dopo con un paio di saltelli.
Ripresero a salire e arrivarono davanti a una grotta. Il sole una sfera arancione in un cielo rosso arancio. L'uomo raccolse alcuni rametti secchi, li ammucchiò in un angolo e li accese con l'accendino. Una fiammella si propagò sull'estremità del rametto. Lui la posò sugli altri e quelli presero fuoco.
La donna lo guardava, sorpresa. — Dove lo hai imparato? — chiese. — Sei stato nei boy scout?
Nessuna risposta.
Il fuoco crepitava, un gufo bubolava in lontananza. Il freddo annunciò la notte.
La donna si sistemò tra le braccia dell'uomo. Si sentiva protetta, al sicuro. Si addormentò.
L'uomo restò sveglio tutta la notte, lo sguardo puntato sull'entrata. Il bagliore del fuoco era visibile nell'oscurità. Doveva stare attento. Chiunque poteva avvicinarsi di soppiatto. Magari lo stesso tizio svitato che aveva ucciso l'uomo grasso.


 

La donna si svegliò con uno sbadigliò e lanciò un'occhiata fuori dall'entrata, il cielo azzurro coperto parzialmente dal fogliame degli alberi. — È una bella giornata. Senza la nebbia sarà più facile trovare la strada. Spero che Nadia stia bene. Mi sento incolpa per averla lasciata da sola... Forse dovevo restare con lei...
L'uomo si alzò, uscì e si guardò intorno. Spostava gli occhi dagli alberi ai cespugli e dai cespugli agli alberi. Non c'era nessuno. Solo un silenzio inquietante. Il cinguettìo degli uccelli un ricordo grigio.
La donna lo raggiunse. — Forse siamo vicino alla strada.
L'uomo non rispose.
Camminarono nella fitta vegetazione per un pezzo, salirono una scarpata e si ritrovarono su un sentiero sterrato. Un corvo gracchiava in lontananza.
— Dove siamo? — chiese la donna.
Il rombo di un motore. Un veicolo si avvicinava nella loro direzione. Si nascosero dietro un groviglio di arbusti.
Un furgone sbucò da dietro una curva. Tre uomini armati di fucili da caccia erano in piedi nel retro e scrutavano la vegetazione.
— Frena! — urlò un uomo calvo.
Il veicolo si arrestò e gli uomini scesero.
— Cosa hai visto? — domandò l'uomo col petto nudo e peloso e voce impastata.
— Ho visto qualcosa tra gli alberi.
— Dove?
— In quella direzione.
I tre si fermarono a pochi passi dalla coppia.
L'uomo calvo guizzò gli occhi per un momento, poi sbuffò. — Forse era un cerbiatto.
— Ci hai fatto fermare per un fottuto cerbiatto? — biascicò l'uomo col petto nudo. 
— Montate su! — urlò l'autista con baffoni giallastri e voce acuta. — I Morgan devono essere nei paraggi! Saltate su! dai, dai! Cazzo, Mike, sali su questo cazzo di furgone!
— Sto salendo!
— Aiutate quel ciccione a salire, o resteremo qui fino a pasqua!
— Fottuto stronzo!
Gli uomini lo aiutarono a salire a bordo e il furgone si allontanò con smarmittate e nugoli di fumo. L'uomo e la donna uscirono allo scoperto.
— Chi sono quelli? — chiese lei, impaurita.
Lui sollevò le spalle. La verità l'avrebbe mandata fuori di testa. Doveva mentire.
Cominciò a piovigginare.
Camminarono nella direzione opposta per un bel pezzo e giunsero su una strada asfaltata. La Dodge Caravan del 2005 dell'uomo era ferma a duecento metri sul ciglio della strada. La donna sbarrò gli occhi contenta e si lanciò verso il veicolo metallizzato. Lui le andò dietro.
Lei aprì la portiera e si coprì la bocca con le mani. La sua amica giaceva nuda sui sedili posteriori, il volto insanguinato, tumefatto, le gambe spalancate, i seni puntellati da bruciature di sigarette.
La donna crollò a terra in un pianto disperato. L'uomo abbracciò la sua ragazza e guardò l'amica morta, rattristito.
— Sono... sono stati loro — disse la donna.
Lui le adagiò la testa sul petto e le accarezzò i capelli. Lei smise di piangere e l'uomo lanciò uno sguardo alle ruote bucate.
Un motore in avvicinamento.
Lui chiuse la portiera, prese la donna per mano, scesero l'avvallamento e si nascosero dietro un albero.
Il furgone passò lungo la strada. L'uomo calvo rise e sparò una decina di colpi contro la fiancata dell'auto. Risate isteriche e bestemmie. Poi il veicolo sparì dietro una curva coperta dal fogliame degli alberi.
— Forse ci stanno cercando — disse la donna, terrorizzata. — Hai visto cosa hanno fatto a Nadia. Se ci trovano...
— Non succederà — rispose l'uomo.
— È tutta colpa mia... Non dovevo lasciarla da sola...
Lui l'abbracciò e lei pianse sul suo petto.


 

Aveva smesso di piovigginare.
Si diressero lungo il boschetto e uscirono in una radura. Una capanna di tronchi vicino a un ruscello che scendeva a valle. Sei capre belavano in un recinto di legno malandato. Un uomo anziano era chino su un piccolo orto. Una donna anziana uscì dalla casa, lo raggiunse, poggiò il secchio accanto ai suoi piedi e si diresse al ruscello.
— Forse possono aiutarci — disse la donna.
— No, restiamo qui — rispose l'uomo.
L'anziano mise una dozzina di pomodori dentro al secchio, si alzò, lo afferrò e andò in casa. L'anziana lo raggiunse poco dopo.
— Non sembrano pericolosi — disse la donna. — Magari...
— Siamo circondati da psicopatici — rispose lui. — E loro sono ancora vivi. Non possiamo fidarci.
Girarono a largo dalla capanna e salirono un versante roccioso per un pezzo. Poi seguirono a valle un ruscello e si fermarono accanto a un carretto abbandonato. C'era un accampamento poco più avanti. Tende strappate, una panca di legno spezzata a metà, la carcassa di un pick-up arrugginito. Un ampio capanno invaso dalle piante, la porta abbattuta, le finestre rotte. Un'ascia era piantata sul montante. Un cadavere putrefatto riverso sul portico imbrattato di sangue rappreso, le chiavi del pick-up tra le dita adunche.
L'uomo le prese e andò alla macchina.
La donna tremava e si guardava intorno, guardinga. 
Lui aprì la portiera dell'auto che cigolò un poco e infilò e girò la chiave nel blocchetto d'accensione. Il motore borbottò un poco. L'uomo sorrise. Non si aspettava che partisse.
Lei si sedette sul sedile passeggero. Lui fece retromarcia e seguì la stradina che li condusse sulla strada asfaltata, i bassi edifici di una cittadina all'orizzonte e oltre il cielo plumbeo riflesso nelle acque cristalline del lago.
— Non vedo l'ora di arrivare in città — disse la donna. — Non farò mai più campeggi in vita mia. Mi avevano avvisata di tenermi lontana da questo posto. Dovevo ascoltarli. Invece ci sono venuta. Per cosa, poi? Per fare una scarpinata sul monte Johnson? E tu non mi hai nemmeno fermata! Sapevi che questo posto era peggio dell'inferno. 
— Si voltò a guardarlo. — Perché volevi andare per i boschi per raggiungere la prossima stazione di servizio? Il motel non ti piaceva? Se ci fossimo fermati, il motore non sarebbe morto e...  Si rabbuiò di colpo.  E poi... poi Nadia non sarebbe morta... Non dovevo lasciarla da sola...



Quando sotto un cielo diafano arrivarono a un incrocio a T, il furgone veniva da destra. I tre uomini in piedi sul retro urlarono e aprirono il fuoco. I proiettili si conficcarono nella carrozzeria del pick-up. L'uomo sbandò un poco e svoltò a sinistra con un fischiare di ruote sull'asfalto. Altri spari. Le pallottole colpirono il veicolo, il lunotto andò in frantumi.
— Accelera! Accelera! — gridò la donna.
Il pick-up procedeva a tutta velocità, il furgone alle spalle. La cittadina si faceva più vicina. L'uomo svoltò a destra. Un proiettile bucò una ruota posteriore. Il veicolo slittò un poco e tornò al centro della strada.
I tre uomini continuavano a sparare, a gridare insulti.
— Si stanno avv... — Sangue e cervella schizzarono sul parabrezza crepato. La donna si accasciò in avanti con la testa squarciata da un proiettile, un occhio che penzolava fuori dall'orbita oculare.
Lui sbarrò gli occhi, scioccato. Altri proiettili fischiavano tutt'attorno. Uno centrò il parabrezza che si staccò e scivolò sull'asfalto. Il furgone lo frantumò sotto le sue ruote.
L'uomo girò a sinistra e discese la lunga strada che portava in città.
Il furgone si fermò in cima con un fischiare di ruote e un nugolo di polvere. I tre uomini smisero di sparare e urlarono imprecazioni. Poi il veicolo fece retromarcia e sparì dietro la cima.
L'uomo rallentò un poco. La sua ragazza era morta e lui non si era accorto di essere stato colpito a una spalla. Perdeva molto sangue.
Continuò a guidare per una manciata di secondi, poi la vista si offuscò e perse i sensi. La testa picchiò sul manubrio, il pick-up sbandò, si capovolse diverse volte sul fianco e finì nel fossato di fianco alla strada. Un sottile fumo bianco usciva dal motore, la benzina gocciolava dal serbatoio.
L'uomo aprì lentamente gli occhi, la faccia tumefatta e insanguinata, il corpo indolenzito. Cercò di aprire la portiera, ma era incastrata. Insistette per un momento, poi si trascinò fuori dal parabrezza e strisciò verso una betulla, dolorante.
La benzina prese fuoco e il veicolo saltò in aria. L'ondata di calore lo investì in pieno, ma continuò a muoversi. Si inerpicò lungo il fossato e raggiunse la strada.
L'auto dello sceriffo si fermò a pochi metri da lui e ne uscì un uomo basso e stempiato.
— La mia ragazza... — disse l'uomo con un rantolo di voce. — Lei... L'hanno uccisa... Ci hanno attaccati...
Lo sceriffo tirò fuori la pistola e gli sparò in testa a bruciapelo. — Dannati campagnoli. Alla fine hanno fatto venire qui i federali. — Posò a fatica un ginocchio per terra con qualche sbuffo di dolore, controllò le tasche dell'uomo e pescò un distintivo. 
— Ho visto giusto... FBI. Certe facce non le dimentico. E Poket aveva ragione, alla fine. Hanno mandato una recluta a indagare. — Afferrò il cadavere per le gambe, lo trascinò a bordo del fossato e lo spinse giù. Ci avrebbe pensato qualcun altro a ripulire tutto. Lui si occupava solo di sistemare i bersagli designati che entravano in città. E questo bersaglio scottava parecchio. Doveva fare una chiamata ai piani alti. Presto i federali avrebbero invaso la zona e setacciato ogni centimetro della contea.
Si soffiò il naso in un fazzoletto di nylon, scatarrò due volte, salì in macchina e si diresse verso la città, la colonna di fumo nero che si innalzava nel cielo terso.





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