Love and duty

di DewoftheGalaxy
(/viewuser.php?uid=1066389)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


 

 

“Ho due figlie predilette a cui pensare: Roma e Giulia” 

 

Bizzarro come, da giorno all’altro, il sacrificio di una sia divenuto necessario alla salvezza dell’altra. 

 

Augusto si profonde in un sospiro, sfregiando il parapetto di marmo con le unghie, tanta la tensione accumulata. 

 

Roma e Giulia. 

 

La vita risparmiata di una segna la rovina dell’altra. 

 

«Condanna a morte.» ha sentenziato Tiberio con un lucore malato, putrido, negli occhi da falco. Gli occhi scuri e luccicanti di Livia, così densi d’oscurità da non lasciare speranza nemmeno al più flebile brandello di luce. «Quale altra soluzione sussiste? Lei ha infangato il tuo nome. Lei e la sua fila infinita di concubini ci volevano morti. Abbiamo le prove, Iullo è coinvolto. Non esiste altra strada.»

 

Sì, pensa Augusto, nei suoi appartamenti dominanti su Roma, una vastità di tetti e statue e dorati pinnacoli, di fori rotondi d’anfiteatri come ombelichi di questa vecchia madre. Esiste un’altra strada. 

 

Meno violenta, sadica, rumorosa. 

 

Esilio. 

 

Tiberio brama di vedere il sangue di sua figlia innaffiare il patibolo, la sua carcassa penzolante a catene arrugginite come il più debosciato dei criminali. Un riscatto a una vita nell’ombra, sottovalutato e poco amato, se ne rende conto. Attraverso la morte della moglie adultera, della consorte portante in dote un vistoso paio di corna al posto di un figlio vivente oltre la culla, assaporerà la rivincita, l’attenzione. Pagamento ai danni e ai mali. 

 

Come se la morte altrui potesse arrecare pace. 

 

Sarebbe fattibile secondo la legge, orribile, ma fattibile. Un marito comanda e supervisiona la moglie, la sua condotta. Stabile e definito dall’alba dei tempi. Secondo la legge di Roma, vetusta e scolpita nella storia del mondo però. Quella del cuore sostiene diversamente. 

 

«Giulia…»

 

Vederla processata? Vederla morire? Il suo cuore non reggerebbe. No, non la sua Piccola Roma. È convinto che anche il Senato disapproverebbe a gran voce. Una figlia trascinata al ceppo dal padre? No.

 

Ma per contro… per contro… la guerra civile. 

 

Tiberio irato, un’incursione armata sul Palatino contraffatta dietro il pretesto della salvaguardia della vita del patrigno. Soldati alle armi. Cavalli nelle strade. Ferro e fuoco e morti e feriti. O anche rovesciante l’ordine. Scontento del verdetto potrebbe radunare un contingente, marciare, prendere d’assalto la città. E allora Gaio e Lucio, ardenti di gioventù, imbraccerebbero le armi a difesa della madre oltraggiata, del nonno offeso. Lo farebbero comunque, senza alcun dubbio, se emettesse la macabra condanna. 

 

Il pericolo della perdita della sua autorità significherebbe una nuova guerra civile. La morte sua, forse, ma ha già ampiamente dato. La morte di Giulia, sicuramente, il fato incerto di Gaio e Lucio. 

 

All’inverso, se mettesse a tacere Tiberio, un silenzio eterno di ferro e squarci, come reagirebbe Livia? Livia… il cuore rulla, ora come anni or sono, ma il nodo si aggroviglia più in là dell’amore. Tiberio e i suoi appigli, il suo incastro nella nobiltà, nonché unico anello di congiunzione rimastogli tra uomini assennati e ragazzini spavaldi. 

 

Se smettesse di respirare oggi Gaio e Lucio sarebbero troppi giovani e inesperti per trainare il carro dell’Impero. 

 

La nobiltà si rivolterebbe. Uccidere un loro membro, tu, tu che ti sei insediato sul trono, abile regista di una farsa, l’Impero, una monarchia, travestita da Repubblica restituita. Gli anziani mantengono vivo il ricordo, potrebbero infiammare la nuova generazione. 

 

Guerra civile ovunque volga lo sguardo. Salvi Giulia e la condanni comunque. Compiaci Tiberio, ottemperando alle leggi, e i tuoi nipoti ti volterebbero le spalle. 

 

No. Non può. 

 

L’esilio è un giusto compromesso. 

 

Guarda nel Foro, nelle strade, nelle vie. Bambine giocanti con i loro padri, figlie ridenti, sollevate, fatte volare. Padri che le baciano e sussurrano come loro siano un tesoro, quanto valgano ai loro occhi. 

 

Quanto vale Giulia ai suoi? E Roma? E la pace faticosamente strappata da terreni zuppi di sangue e gremiti di cadaveri? 

 

Un padre esilia la figlia affinché altri possano amare le loro. 

 

E poi Giulia… Giulia sembra non sapere di questa congiura ordita dal suo amante. Può? Può davvero? Sceglie di crederle. È la sua bambina, le ha sempre creduto. Anche quando si inventava bugie estrose per salvarsi dalla punizione in seguito a una marachella, attrice nata. 

 

Sarebbe esiliata - l’imperatore si dimostrerebbe coerente, le leggi dell’adulterio applicate anche a sua figlia e una dimostrazione d’umiltà, sopprimendo chi lo accusa di porsi al di sopra della legge - lontana da Tiberio, dalle sue grinfie, lontana da lui, da Roma, ma viva. 

 

Viva. Non morta. Viva

 

«Voi che avreste fatto?» 

 

Agrippa e Mecenate sono busti laddove le loro controparti si polverizzano in ceneri e urne. Gli mancano ogni giorno come un pezzo di lui. Amici cari, più forti, smaglianti di salute, eppure l’hanno preceduto nella tomba. 

 

Se li tiene in camera, accostati, seri e concentrati, per sempre immortalati nel marmo. Amici miei… 

 

«Abbiamo combattuto una vita intera per questo Agrippa.» Gli fa male dentro, nel profondo, ricevere dal busto solo il solito naturale silenzio. «Roma, la sua pace, cittadini liberi dal fantasma delle lotte e discordie. Ma tu… tu l’amavi, la mia bambina. Anch’io l’amo! Preferirei morire io al suo posto se a ciò ci spingerà il destino, ma a che costo la condannerei alla gogna? Quale immensurabile costo di vite?»

 

Di padri che abbracciano e figlie che ridono. Loro che possono goderne. 

 

«E tu Mecenate?» pone all’altro. «Sei sempre stato il sentimentale tra di noi. Ma in un caso simile? M-Mi esorteresti al pragmatismo? Mano di ferro?»

 

Lacrime pizzicano. Col cavolo. Le lacrime sono debolezza e la debolezza va repressa. Ricorda Cesare, mai mostrarla, m-mai mostrarla! 

 

Ingoia un respiro, si dice di calmarsi. 

 

Meglio saperla confinata su un’aspro grumo di terra e roccia flagellato dalle onde, dal tempo inclemente, meglio saperla melanconica conversatrice della luna, sola, in disgrazia, depauperata, ma viva, viva, che riversa nel sangue fertile di vendetta, di una dinastia divorante se stessa nell’omicidio. 

 

Gaio e Lucio contro Tiberio, tutti i loro sforzi… 

 

«Tu lo sapevi!» singhiozza - non deve! Un princeps non si rammollisce nel pianto, non è debole! - Augusto al busto inflessibile del prozio e padre adottivo. Cesare inghirlandato d’alloro. «Tu sapevi quale condanna fosse reggere Roma, quale prigione fosse il potere. Ti hanno fatto sloggiare da qua prima che potessi sprofondare nell’abisso oscuro eh?»

 

Anche lui aveva una Giulia, una figlia Giulia. Moglie di Pompeo e deceduta in un parto imbrattato di sangue. Fatale a lei e fatale a Roma, scintilla della guerra civile tra suo zio e il generale. Chissà se sarebbe stato meglio se… p-può pensarlo?… se pure la sua Giulia ci avesse rimesso nel parto. Si sarebbe evitata la sofferenza, sua e di suo padre, il fato di divenire linea tra la devastazione e una pace amara. 

 

Giulia e Roma. La condanna di una vale la sopravvivenza dell’altra. 

 

Sopravvivenza di innumerevoli padri e innumerevoli figlie loro cocche, gemme dei loro occhi. Altri amori e altre vite e altre avventure. 

 

Il vocio fragoroso sale dal Foro. Padri che possono amare le loro figlie alla luce del sole, senza barricarsi dietro leggi e maschere di ribrezzi. Padri che non detengono nelle loro mani la sorte del mondo intero. Augusto vorrebbe intimarli di smetterla, di chiudere il becco. Allontanarsi quanto più possibile. 

 

Custodite questi istanti, non sapete che fortuna tenete accanto a voi. 

 

«Padre!» Sua figlia. Picchia e piange e lo invoca alla sua porta. «Papà! Papà ti prego! Papà!»

 

È tentato di aprire quella porta e abbracciarla, confessarle tutto, prometterle che rimedieranno. 

 

Si salda al pavimento. 

 

No. 

 

Non sopporterebbe di accoglierla e assistere al suo viso frantumarsi mentre le rivela che ha anteposto il bene di una città, di un impero, di molti, al suo. 

 

Giulia deve venire esiliata perché Roma continui a prosperare. Perché folle continuino a vivere, la cultura e la civiltà a sottomettere il mondo, perché padri possano continuare ad adorare le loro bambine. 

 

Liberi. Libertà. 

 

Vorrebbe urlare e distruggere tutto, scaraventare Tiberio e la nobiltà romana e chiunque nella fossa dei leoni. Vorrebbe scagliarsi su Cesare - che gli ha lasciato il fardello - in una sfilza di scurrilità sconce. 

 

Ma l’imperatore non può. L’imperatore coincide con Roma e Roma coincide con la stabilità. Stabile e grandiosa, un capolavoro di marmo. 

 

Freddo marmo. 

 

Augusto crolla in ginocchio, il pianto trattenuto gli taglia la gola come una falce, gli mozza il respiro.

 

Ho dato a Roma una libertà di cui io solo non posso godere. 

 

«Io non ho figlie.» gli esce all’improvviso e riconosce che così convincerà il Senato, la plebe, le masse. Un padre dalla rabbia e vergogna implacabili. «Io non ho figlie. Sarebbe stato meglio se non le avessi avute.»

 

Sì, lo sarebbe stato. Così le urla disperate della sua bambina, della sua Piccola Roma, non gli trapasserebbero nel cranio, massacrandogli il senno, rubandogli il sonno e la pace, disseccando quello striminzito virgulto di felicità superstite, lasciando al suo posto un passivo deserto. 

 

Così Giulia sarebbe potuto nascere da una famiglia migliore, da un padre meno incatenato al dovere. 

 

Ifigenia la sua bambina. Immolata alla salvezza di tanti. 

 

Ma è viva

 

Dovrebbe lenire la ferita, no?













N.A

La frase pronunciata sulla libertà di Augusto non mi appartiene, ma è tratta da un magnifico libro, Augustus, di John Williams, di cui consiglio vivamente la lettura se si vuole avere un ritratto più intimo e sfaccettato del personaggio, nonostante non sia stato scritto da mani "contemporanee" all'imperatore.
Comunque sì, questo è come vedo lo scenario dietro la condanna di Giulia, la ragion di stato anteposta all'affetto paterno, purtroppo per lei e anche, credo, purtroppo per Augusto. Dopotutto mascherare davanti al tuo popolo che avete quasi sfiorato una possibile crisi con conseguente guerra civile corroborando la tua versione di "in realtà ho esiliato mia figlia per il suo stile di vita scandaloso" riferendosi a lei con epiteti molto poco carini non deve essere stato facile.
Poi ognuno vede gli avvenimenti che la condussero all'esilio come vuole, ci mancherebbe altro. Già le fonti mi sembrano confuse a riguardo.
Spero che vi sia piaciuta, che non l'abbiate interpretata come un tentativo di imporre la mia visione storica (e in caso contrario mi scuso profondamente se così è parso) e... niente😁
Alla prossima!





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4052213