Darkside

di Sidney Prescott
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     Chapter 4: Dress like a man, act like a man, but live as a woman.
        

   Current Day

 

London, Mayfair.

 

«Signorino Jude..? Singnorino Lowell?!! Per l’amor di Dio, signorini, smettetela di correre sulle scale, finirete per farvi molto male! Vostro padre potrebbe darvi pure il resto in quel caso, lo sapete?»
Ben lontano da dove la povertà regnava sovrana, nel ricco quartiere del Mayfair, le urla di gioia e di spensieratezza sembravano portare un bagliore di luce in quella fredda schiera di magioni aristocratiche, una in particolare: casa del barone e cavaliere Benjamin Burke. Fra quelle mura domestiche, ornate di splendidi arazzi, mobilio costoso e tappeti importati dall’oriente, due bambini, fratelli, ignoravano categoricamente i richiami dell’anziana governante, che cercò in tutti i modi di disarmarli di quelle improvvisate spade giocattolo, ovvero due appuntiti bastoni da passeggio con cui presero a rincorrersi sempre più velocemente. Eppure i tentativi dell’anziana donna dai capelli ormai candidi vennero messi a tacere dalla voce della figlia maggiore del padrone di casa, nient’altro che la madre di quei terremoti, comodamente seduta su uno dei divanetti broccati di quel accogliente e sofisticato salotto.
«Via, via, Bernadette! Se quella…carcassa di mio marito riuscisse anche solo ad acciuffare uno di quei discoli gli verrebbe un infarto il secondo dopo…non diciamo sciocchezze, sono solo bambini! Lasciali pure giocare, non ti ricordi com’eravamo noi 3 alla loro età?» disse la stessa giovane donna dai capelli rosso fuoco, con le braccia avvolte attorno alla seduta del divano, sorseggiando un profumato liquore in un bicchierino di cristallo. Bernadette annuì quasi con un sospiro nostalgico, tenendo sempre un occhio di riguardo sui due fratellini dai capelli riccissimi, color pece, quasi anomali in una famiglia di teste bionde e rossicce come quella.
«Ricordo bene, signorina Yvonne, come se fosse ieri…siete cresciute tutte quante così in fretta che a stento riesco a starvi più dietro!» commentò la vecchia con un piccolo singhiozzo, quasi triste, interrotto però dal borbottio di una delle domestiche di casa, intenta a fare da sarta ad un’altra delle 5 figlie di lord Burke. Yvonne si lasciò andare ad una risata quasi divertita, osservando la sorella minore, in piedi su una pedana di legno, immobile come una statua, in preda alle mani completamente inesperte della nuova cameriera di casa, che cercava di rammendare un evidente strappo alla camicia della fanciulla; quest’ultima non emise nemmeno un fiato alle innumerevoli scuse della domestica, osservando il vuoto con i suoi grandi occhi azzurri, quasi assente o esterna a ciò che stava succedendo lì dentro. Alzò solo una mano in alto, facendo fermare di botto la giovane sarta al suo fianco, con ago e filo ancora in opera.
«Perdonatemi signorina Evelyn, vi..vi.. ho forse fatto male?» chiese la donna con fare da cerbiatto impaurito. La ragazza rispose con una negazione del capo, congedandola con un semplice gesto della nuca, facendo praticamente fuggire la sarta terrorizzata da quel suo gesto perentorio. Chiunque avrebbe reagito alla stessa stessa maniera davanti a quello sguardo di ghiaccio, nient’altro che silenziosa freddezza negli occhi di Evelyn Burke, un nome di battesimo poco usato in quella casa, solo di facciata forse; Yvonne posò sul tavolino il suo bicchiere vuoto, guardando la sorella di spalle, con un’espressione incuriosita, appena sarcastica, per nulla sorpresa dal suo fare, a cui era abituata fin dall’infanzia. Fece spallucce, sdraiandosi del tutto con il suo sfarzoso vestito verde lungo il suo personale triclinio.
«Noto con dispiacere che stamattina la cortesia l’abbiamo lasciata altrove..."Evelyn", sbaglio? Che succede, problemi con lord Luther? Di sicuro è un uomo più loquace di te!» concluse provocatoria, sciogliendo la folta chioma riccia dal fermaglio dorato che la tratteneva sulla nuca.
Saul, quello era il suo nome, rispose con un ghigno fintamente divertito, osservando allo specchio il lavoro appena passabile eseguito sull’orlo della sua camicia blu elettrico; a differenza di Yvonne, i capelli della giovane lady erano di un biondo estremamente chiaro, quasi tendente al bianco, esattamente come la sua pelle pallida. Il suo fisico asciutto era messo in evidenza da un abbigliamento poco consono ad una donna del suo status sociale, anzi, non era consono a nessuna donna e basta, visto che erano abiti di taglio maschile, fatti esattamente su misura; non era una casualità, o forse una novità per l’aristocrazia di Londra, ma restava, a porte chiuse ovviamente, un pettegolezzo sempre di moda.
«Non ne dubito, meglio di te non li conosce nessuno….i nobili inglesi….dico bene,sorella..anche se dubito che un uomo come lui ti lascerebbe la lingua ancorata in bocca, non è così?»
Saul era di poche parole, quasi muta, ma quel poco che proferiva era tagliente come una sciabola; si voltò a ¾ in direzione di Yvonne, in tempo per godersi la sua espressione infastidita, eppure si ritrovò il viso di bronzo di quest’ultima, intenta a sventolarsi con il suo ventaglio in piume di pavone.
«Dunque oltre al “sissignore”  e “nossignore”, la mia mansueta sorellina azzarda queste frecce? Saul, potresti quasi sorprendermi, lo sai?»
«Come tu obbedisci agli ordini di nostro padre e di quel patetico flaccido di tuo marito, io eseguo il mio ruolo sotto comando del mio superiore, funziona così la catena di montaggio, se non ricordo male….» disse la bionda, aggiustandosi i gemelli d’argento nelle asole del polsino. «Pesce piccolo si sottomette al pesce più grosso, non è quello che dici sempre tu? Anche se non ricordo se me lo accennasti in riferimento a questo argomento o blaterando qualcosa con le tue dame di compagnia sui tuoi amanti…»
Negli occhi bruni di Yvonne passò un chiaro fulmine, d’avvertimento, recepito perfino dalla governante, che scelse saggiamente di lasciare sole le due sorelle nel salotto, preferendo di gran lunga badare ai due ragazzini. Non appena le porte si chiusero, la rossa si alzò senza alcuna fretta, raggiungendo come meta unica il tavolinetto degli alcolici: un anestetico comune in qualsiasi ambiente, a quanto pare.
«Se pensi di ferirmi raccontandomi la mia vita, Saul, stai facendo un bel buco nell’acqua, perché per lo meno qui, discutiamo di solide verità, tu invece, che scusa hai?»
«Di che stai parlando?» la bionda sbottò, con le sopracciglia chiare aggrottate, fermandosi dal vestirsi, solo per pochi istanti. La sorella indicò con gli stessi occhi i suoi abiti, anzi, non tanto quelli, forse più il loro significato, roteando all’interno dello stesso bicchiere quel liquido miele.
«Hai veramente intenzione di esaudire i desideri di un porco e di un folle fino alla tomba, Evelyn? Eh? Per quanto ancora fingerai di avere il cazzo e di portare i capelli raccolti come una vedova?»
«Che linguaggio colorito, sorella…e poi, se per essere un vero uomo bastasse solo avere il cazzo, beh, il cervello sarebbe quasi inutile, non pensi?»
«Come se non andassero già così le cose…» mormorò fra sé e sé la maggiore, puntando il suo sguardo su quello contrastante di sua sorella; sembrò l’incontro tra fuoco e ghiaccio, due forze distruttive a loro modo. Il primo sembrava trasparire una tempesta, il secondo invece non lasciava emergere alcuna emozione, ben celate sotto anni di rigida educazione maschile, addestramento militare e privazione di qualsiasi sentimento simile all'amore o all'empatia. 
Non era la prima volta che quel discorso animava le due donne, e forse non sarebbe stata l’ultima, ma una cosa era certa: l’essere irremovibile di Saul non sarebbe mai mutato, nemmeno davanti al sangue del suo sangue. Mise la sua giacca, i guanti, il cappello, riservando una piccola scrollata alle spalline del cappotto scuro; il buon profumo di agrumi e di vaniglia era forse l’unica cosa che addolciva quella sua figura così burbera ed autoritaria, un viso su cui il sorriso era tramontato, o forse non era mai sorto, una cosa orribile per una giovane di appena 23 anni. La distanza fra le due sorelle diminuì nel momento in cui la bionda si avvicinò alla rossa.
«Siamo tutti colpevoli, Yvonne, di questo sistema corrotto, dal pedone alla regina, siamo noi stessi a creare le basi di un apparente equilibrio ed è nostro compito salvaguardarlo, mantenerlo intatto, pensa se davvero ognuno di noi potesse veramente avere il libero arbitrio su tutto…pensa, sorella, cosa ne sarebbe della tua bella casa, dei tuoi splendidi figli se veramente potessi sbarazzarti di tuo marito…non saresti una donna libera, tutt’altro, dovresti svenderti come si fa con la carne di seconda scelta, e sai meglio di me che passati i 30 anni una donna, in questo ambiente, non ha altra scelta che diventare un frivolo passatempo per qualche noioso lord troppo pigro per cercare cacciagione più fresca….»
Negli occhi scuri della donna si vide un chiaro brivido di disgusto, seguito dalla stretta crudele di Saul suo stesso braccio; non violenta, ma stretta il giusto da trasmettere un ghiaccio penetrante, più illuminante di quelle stesse vere e laceranti parole. Si avvicinò all’orecchio di Yvonne, quasi congelata sul posto.
«Smetti di giocare col fuoco, Yve, non hai più l’età né la possibilità di rimetterti in gioco qualora quel cieco di Mason dovesse venire a sapere che ti prendi gioco di lui, e pensa che cosa farebbe a Jude e a Lowell, o a te stessa, se scoprisse che non sono figli suoi..a volte perfino le persone più stolte possono essere pericolose, figurati per una donna adultera e per dei figli bastardi…nessuno ci salverà, ne nostro padre, né ciò che resta della mamma…siamo noi contro loro, e se per affrontarli a testa alta dovrò avere un paio di pantaloni…che ben venga allora…» le disse senza alcuna indecisione, diretta come una freccia in pieno petto. Saul sciolse quella presa, ma la mano di Yvonne la bloccò esattamente dov’era: un ultimo disperato tentativo?
«E tu...sorellina? A cosa vai incontro? Ti negherai tutte le gioie di essere donna? Essere amata? Essere…quello che sei davvero? Questo equilibrio vale veramente la tua felicità? Pensaci anche tu; conosco i miei peccati, mi perseguitano, ma li ho commessi con consapevolezza, dal primo uomo che ho incontrato dopo essere stata costretta a questo matrimonio fino all’ultimo, che ultimo probabilmente non sarà…» commentò sarcastica con un sorriso amaro sulle labbra ciliegia, sfiorando la gote candida di Evelyn con le nocche della mano.
«Dimmi, quando sua maestà si sarà stancata dei tuoi servizi, Luther Richter sarà finalmente in una coltre di legno e io in fondo ad un dirupo, di te esattamente cosa ne resterà? Una vecchia, una vecchia sola, senza nessuno accanto, né un marito, né un amante, dei figli, nulla, né un amico, nessuno a piangere per te quando te ne andrai...ora dimmi, ha così tanto valore soddisfare le volontà di chi ci controlla? Io non credo, sorellina, e l’ho capito troppo tardi per scappare…ci sono cose che non si possono cambiare, come la mia situazione,ma...che io sia maledetta se pure la mia prole dovesse scontare la mia stessa pena…» disse Yvonne, quasi pronunciando un solenne giuramento sulla sua misera vita, guardando gli stessi bellissimi figli oltre la vetrata della porta finestra che dava sul grande giardino sul retro; pure gli occhi di Saul finirono inevitabilmente sugli spensierati nipotini, uno più bello dell’altro, due anime libere e innocenti. Non volle cedere ad un sorriso, ma dentro di sé avvertì un chiaro dolore, quasi una ferita nascosta mai curata, e che sarebbe rimasta tale se non l'avrebbe messa a nudo a breve. Non erano le vesti a cambiare le cose, non un bustino o una camicia, ma gli animi repressi e soffocati da essi; bisognava prendere una scelta, nessuna mai facile: piegarsi e soccombere, o alzarsi e morire? Vincere, in ogni caso, non era contemplato, a meno che a giocare non fosse il re o la regina.
«S-Signorina Evelyn..? Mi perdoni se la disturbo, ma i fratelli Nardi sono arrivati, e insieme a loro c’è il signor Richter che chiede espressamente di lei..» 
Yvonne a solo sentire quel nome diede le spalle alla sorella, la quale annuì appena al messaggio della cameriera, che scappò via esattamente come pochi istanti prima, lasciando miss Burke ai suoi ultimi effetti personali.
La rossa la guardò, senza il benchè minimo stupore.
«Come puoi non ascoltarmi? Ma non lo capisci che questo è un gioco malato? Lui è un assassino, un manipolatore..» cercò le parole giuste, ma avrebbe solo sprecato fiato, poichè lo sguardo di ghiaccio della sorella minore le congelò l’anima, inchiodandola contro il muro.
Saul strinse appena il nodo della cravatta, recuperò il suo bastone ed infine gli occhiali scuri.
«Apprezzo la tua premura, sorella, ma resta fuori dal mio mondo, non entrarci mai, perchè non ne usciresti, non viva almeno, e fammi questo favore..levati dalla bocca il nome di quell’uomo, perchè non sai di cos’è capace,e nemmeno io!»
Detto questo, della presenza di Saul Burke rimase solo il dolce profumo di lillà, delicato con un sussurro, un sussurro che racchiudeva in esso segreti, molti segreti, che avrebbero fatto bene a restare tali.
In quella stradina del ricco Mayfair, una carrozza attendeva l’arrivo della giovane miss di casa Burke, e due giovani damerini dall’aspetto non esattamente familiare facevano quasi da guardia a quella casupola su ruote oscurata; il primo era molto più alto e robusto, dai capelli castani lisci, un taglio quasi militare ai lati e ciuffi lasciati più lunghi sul davanti, un paio di penetranti occhi azzurri e uno sguardo serio, vigile, attento. Il secondo, beh, diciamo che l’essere serio non era esattamente fra le sue tante e ignote qualità; molto più magro, ma non meno agile o sprovveduto, ben vestito, con uno sgargiante cappotto mogano, i capelli tinti di un biondo quasi metallizzato, il cappello a cilindro alto e un paio di neri occhiali da sole borchiati attorno alle lenti. 
Diego Nardi riservò al fratello un’occhiata praticamente basita, con le braccia incrociate al petto; Ivo si abbassò gli occhiali appariscenti sulla punta del naso, facendo comparire quei verdi occhi da stregatto.
«Che?» fece indispettito, appoggiando la suola del suo stivale con il tacco contro la ruota della carrozza. 
L’altro lo squadrò da capo a piedi, a rendere palese il messaggio.
«Ti sei vestito per il carnevale?»
«A te invece è morta la zia di Castellammare del Golfo, Don Carmine? » rispose prontamente il linguacciuto giovane dagli italiani natali, con un occhiolino riservato al nero guardaroba di Diego, che gli consegnò un coppino dietro la nuca. 
«Ti ricordo che non siamo venuti fin qui per fare i clown, e so che la cosa ti viene naturale, ma vedi di darci un taglio, Ivo! Se ti chiedo di non attirare l’attenzione un motivo ci sarà, non pensi? Ma se vuoi farti notare per essere la nuova puttana di un pappone, allora vedi di startene a casa, fratello..» gli intimò il maggiore all’orecchio, quasi come se fossero ancora due bambini, e non due giovani uomini ormai adulti.
Ivo si diede una sistemata alla giacca, cercando di rimettersi in riga, sebbene fosse quasi più forte di lui; fratelli gemelli, due facce della stessa medaglia, solo che una scintillava come un penny lustrato, la seconda era opaca, come ricoperta da ossido.
Diego si passò una mano sul viso, per poi sospirare, come a cambiare argomento.
«Duncan Griffith..è lui il motivo della nostra visita..le famiglie vogliono l’approvazione di Luther..»
«E chi cazzo è? Un altro dei figli di Rhys? » fece stupito Ivo, non ricordandolo affatto.
Diego annuì, allungandogli una fotografia dal taschino del cappotto nero. Il ragazzo analizzò con un ghigno maligno quel giovane viso, ma prima che potesse esprimere qualsiasi apprezzamento, il Nardi riprese quel piccolo foglio di carta, storcendo il naso.
«Guarda che non devi aggiungerlo alla lista delle tue cavie sadomaso, dobbiamo portarlo a Luther, integro..» ribadì con un cipiglio costantemente sdegnato.
Ivo sbuffò, riportando con l’indice gli occhialini sul volto.
«Caro fratello, integro vuol dire tante cose, e dubito che al nostro gentile padre scocci se mi ci diverto un pochino, mica dobbiamo proporlo in moglie a nessuno..» concluse il ragazzo, guardando l’orologio sul polso. Erano le 12.00 in punto.
«Ivo?»
«Si, Diego?»
«Tieniti. Il. Cazzo. Nei. Pantaloni. » 
«Lo farò quando tu, amato fratello, ti toglierai la scopa dal culo,e fino ad allora sei gentilmente pregato di non rompermi il suddetto cazzo, ok?»
Diego sentì il suo pugno formicolargli all’idea di dare un bel pugno in viso al fratello, ma si trattenne quando vennero entrambi raggiunti dalla persona che stavano aspettando. 
«Avete trovato Griffith?» chiese a bruciapelo Saul, non guardando nemmeno Ivo, bensì Diego, che annuì, ma venne sorpassato dal biondo, che si tolse giusto il cappello dal capo.
«Non ti piacciono i preliminari vedo, del tipo, “buongiorno ragazzi, avete dormito bene?”»
«Nardi non sono qui per prendere il the con una prostituta dell’Est End come te! Ho un lavoro da svolgere, e parlerò solo con il signor Richter, non con il suo bastardo..»
Tra i due albini ci fu quasi una viva tensione di schiaffi volanti all’orizzonte, a cui Diego sorvolò con uno sbadiglio di noia, mettendo una mano sulla spalla del fratello, non troppo incline al dialogo.
«Inutile accoltellarci tra di noi, per quanto sia divertente! Salga su, miss Burke, il viaggio è lungo e magione Griffith non è esattamente alle porte della città.» 
Non bastarono altre parole; Saul salì senza degnarli di uno sguardo, prendendo posto in carrozza, ma prima che le porte di chiudessero, Ivo prese Diego per il braccio,lasciando fuori emergere una lingua che difficilmente i cittadini inglesi avrebbero capito.
«Se questa bagascia mezzo uomo mi dà ancora della puttana, non rispondo di me, fratello, perché comincio a non sopportarla più e me ne frego se è al servizio della Corona, sai?»
«Se tu la accoltelli, mio caro ragazzo, che racconteremo a Luther? Che l’hanno rapita i predoni? » rispose sarcastico l’altro.
«Come no, nemmeno sua madre la vorrebbe indietro a quella puttana..»
«Sebbene comprenda la tua collera, ci serve viva! Lei conosce…il tramite, e il tramite sa cose che nessun altro conosce, e se lei muore addio alle informazioni sul libro che, ti ricordo, tu hai perso..Ivo, se siamo nella merda è anche colpa tua..quindi o ti metti zitto e buono a sedere, oppure le segrete della Hunter avranno un nuovo ospite, e nemmeno Luther potrà salvarti il culo questa volta!»

Era stato chiaro, pure fin troppo.

Ivo fu l’ultimo a salire in carrozza, ma prima di farlo si voltò di scatto verso il vicolo buio e deserto che precedeva l’ingresso di magione Burke; si girò diverse volte, come se qualcosa lo stesse guardando, spiando, o forse qualcuno, non era sicuro, ma difficilmente si sbagliava. 
Che fosse solo una stupida sensazione?

Si sfiorò il retro del magro collo, dove una croce rovesciata al contrario era tatuata, ma non indugiò ulteriormente; far indugiare il suo patrigno non era una cosa saggia.

Affatto. 





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