Capitolo 1: Nightmare
Sarah dormiva
tranquillamente, sotto le coperte e le lenzuola bianche, nella sua stanza che,
con l’arrivare della notte, si lasciava inghiottire dall’oscurità. L’ambiente
era malsano, macabro ed inquietante, ma quella ragazza pareva non accorgersi
del tremendo odore di morte che aleggiava, quella notte, in casa sua.
“Uno, due, tre”
nella mente di Sarah, addormentata, continuava ad insinuarsi una strana
cantilena, una nenia basata sul ritmico e continuo susseguirsi di numeri. Turbata
da quella canzone Sarah si svegliò, si sedette e vide che tutto ciò che era intorno a lei era ancora più oscuro. Si stropicciò gli occhi credendo di aver fatto un brutto sogno
che non riusciva a ricordaree, proprio mentre stava per riaccovacciarsi sotto
le lenzuola ecco che la porta della sua camera cominciò ad aprirsi lentamente, trascinandosi dietro un
inquietante e assordante cigolio.
Crieeeeeeeeeeeeeeeek…
Chi poteva esserci nel suo appartamento? Sarah viveva sola, chi poteva essere. Terrorizzata,
la ragazza cominciò a tremare come
una foglia, vedendo la porta aprirsi sempre più. All’improvviso delle dita
sbucarono dal bordo della porta delle dita bianche e ossute che spingevano
sempre più l’uscio, in modo da aprirsi completamente. Dita ossute, prive di
unghie e sanguinanti. Sarah riusciva a vedere solo quelle, ma le bastavano. Non
aveva mai avuto così paura
in vita sua. Brividi impazziti le percorrevano la schiena, come una sorta di
catena.
Dietro la porta, ormai spalancata, un’ombra di donna. Lo capiva dai capelli
lunghi, dalla fisionomia e dal fatto che indossasse un abito scuro femminile.
Voleva gridare, ma non ci riusciva, pietrificata com’era dal terrore che le
saliva dalle costole e le arrivava sino in gola, come una spirale impazzita che
trascinava la povera malcapitata in un terrore livido, distruttivo e nefasto.
Quando, però, finalmente Sarah trovò il coraggio di gridare ecco che si svegliò davvero. Era ancora nella sua camera ma era
mattina e lo si capiva dal sole che entrava timidamente attraverso le tende
bianche, illuminando quello strano ambiente polivalente. Sarah si alzò una
volta per tutte e lesse l’orario sulla sveglia elettronica e disturbatrice che
teneva sempre sul suo comodino d’ebano: 9.54 del mattino. Si mise una mano tra
i lunghi capelli neri e si grattò. Sentiva una
strana fitta allo stomaco, come se non avesse mangiato da secoli.
A piedi nudi,
in canottiera bianca e shorts di jeans, Sarah si diresse sino alla cucina di
color bianco. Prese due fette di pane tostato dalla credenza e ci spalmò sopra un po’ di burro di arachidi, quando il cordless cominciò a squillare. Lo impugnò con grazia e rispose, allegra con un “Pronto”,
quasi come se avesse dimenticato la terribile esperienza notturna, un incubo
che si celava ancora sottopelle.
“Pronto Sarah,
come va?” rispose una voce di ragazza a lei familiare. Era Clementine, la sua
migliore amica. Un tipo simpatico, solare e decisamente estroverso.
“Come deve andare? Tutto bene, no? Sono in ferie ora. Non sai quanto possa
essere bello svegliarsi all’ora che vuoi, senza fare nulla tutto il giorno”
“Certo che lo so”
“Magnifico.”
“Taci, ti prego. Che io ora sono in ufficio.”
“Ma taci tu. Che io l’anno scorso ho rinunciato alle ferie per gli straordinari
e ho dovuto lavorare per quel porco di Beckett, mentre tu eri felicemente a
Bangkok a spassartela come una faina in calore”
“Sì, anche questo è vero.”
“Ora è il mio turno”
“Si, però non sai quanto
ti invidio. Ti ho chiamata perché qua mi sto annoiando da morire.”
“Io mi sono appena svegliata e mi sto preparando un sandwich. Sai che ho fatto
un incubo strano?”
“Che incubo?”
“Ma non lo so…c’ero io a letto che vedevo una mano bianca e insanguinata che
apriva lentamente la prota di camera mia. Provavo dei brividi pazzeschi. Sapevo di essere dentro un sogno,
ma era come se facessi finta che fosse la realtà e per questo ero spaventata a
morte.” Dicendo questo Sarah, azionò la macchina
del caffè e raccolse il sacco della spazzatura con la mano destra, mentre
teneva il telefono tra la spalla e l’orecchio sinistro. Stava portando il sacco
dell’immondizia nel cassonetto sotto casa.
“Vabbè, alla
fine era solo un sogno”
“Già, infatti
ora non me ne preoccupo molto. Ho intenzione di passare una giornata all’insegna
del fancazzismo assoluto”
“mmmmmh…vuoi proprio che ti uccida tu”
“ahahahhaha…”
scoppiò in una risata Sarah, che aprì la porta, con uno scatto di chiave. Ma ecco che, una volta varcata la
soglia con il suo piede magro ecco che sentì la punta dell’alluce
scontrarsi contro un corpo estraneo che giaceva sullo zerbino.
Sarah lasciò cadere il sacco sul pavimento, strinse il telefono nella mano sinistra e
abbassò lo sguardo. C’era una videocassetta davanti all’ingresso.
Una vhs anonima, senza custodia, senza alcuna etichetta. Sarah non sapeva cosa
fosse, ma non capiva perché uno stato d’angoscia ed ansia la stava rapendo,
soffocando. Che cosa conteneva quel nastro? Chi gliel’aveva mandata?