Un piatto rotto

di Fragment
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                                                                                UN PIATTO ROTTO


Sono al limite. Non ce la faccio più.
Sono qui, immobile, al centro della cucina, ancora tremante per la paura e lo shock, con il cuore che mi batte talmente forte da farmi credere che avrò un infarto. O forse è una speranza.
Tento di riordinare le idee, sedendomi lentamente. Avevo commesso il crimine di entrare nella zona off limits, la camera da letto, mentre stava al computer. Non ricordo nemmeno io per chiedere cosa, era una sciocchezza.
Non avevo nemmeno fatto in tempo a mettere un piede dentro che subito aveva reagito come ad una puntura di tafano. Ergendosi in tutta la sua altezza, che forse a me pareva maggiore di quanto effettivamente fosse, aveva cominciato ad urlarmi epiteti irripetibili
A quel punto non ci ho visto più e ho risposto. Come si permetteva di insultarmi completamente a caso, senza motivo?
Fu un grosso errore, perché alzò le mani. Sapevo che non mi avrebbe ucciso, colpiva dappertutto ma non in viso, proprio per evitare che gli altri vedessero e dunque scoprissero la verità, eppure ho temuto per la mia vita.
Un giorno non riuscirà a trattenersi, non si fermerà, prenderà un coltello, una forbice e…
Poi mi aveva obbligato a bere dei sorsi d’acqua. Aveva a che fare con l’acqua ciò che avevo chiesto? Sì, credo.
“Vaffanculo.” avevo sentito dire con voce lamentosa, dalla porta della stanza, quando era tutto finito.
È quasi ora di pranzo, mi alzo e apro l’armadietto, nel farlo un piatto cade e si rompe. Sobbalzo perché ho paura che mi senta e si precipiti fuori con il secondo round di insulti. E non uso la parola round a caso.
Fisso il piatto con gli occhi spiritati, sto per cominciare a raccogliere i cocci, quando qualcosa mi ferma. È così… rotto… sì, insomma, un istante prima era tranquillo insieme a tutti gli altri, bianco e splendente e ora, ora di lui non è rimasto più nulla.
Sento le lacrime scorrermi sulle guance. Anche di me non è rimasto più nulla, sono un guscio vuoto che aspetta l’ultimo scatto d’ira con la rassegnazione di un condannato che sale al patibolo. Non ricordo nemmeno quando è cominciato ma so come finirà.
Mi accovaccio e prendo un coccio del piatto. Il dolore mi provoca una scossa quando lo infilo nella carne del mio braccio, guardo il sangue, una sottile striscia rossa che scorre come un fiume sulla mia pelle, sento il plop delle gocce che cadono.
Plop, plop, plop.
Quel suono mi riscuote. Scatto in piedi, prendo straccio, paletta e scopa e mi metto a pulire. Pian piano mi calmo dicendomi che in fondo è stata anche colpa mia: ho sempre saputo che non devo disturbare se è in camera, avrei potuto benissimo chiederla dopo quella cosa, no? E poi la sua voce sembrava pentita, quindi, forse gli dispiaceva. Ma sì, di sicuro era così. Bisognava stare più attenti, ecco tutto. Cosa vuoi che sia uno scatto d’ira, siamo tutti nervosi.
Sento la porta della stanza che si apre. Sorrido. Andrà tutto bene.










Ciao a tutti e spero che la storia vi sia piaciuta (anche se non credo sia il termine corretto).
Ho volutamente lasciato non specificato il genere dei personaggi e il loro rapporto, perché queste dinamiche non sono riservati solo alle coppie e non sempre è l’uomo il carnefice.
Un grazie a chi recensirà.




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