Dark Sirio

di _Atlas_
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Capitolo XX
 
 
 
 
 

 
Appena varcata l’uscita della C.A.M. fu come se gli avessero tolto dal petto un macigno di almeno cinque chili.
La conferenza era stata un autentico fiasco e in maniera del tutto infantile ne aveva all’inizio attribuito la colpa alla presenza di Lion, che invece aveva obbedito ai suoi ordini e non aveva fiatato per tutte e tre le ore, persino durante la pausa.
No, la verità è che aveva fallito perché parlare di Dark Sirio lo esponeva come essere umano - fragile e ferito – e lui era troppo codardo per affrontare un rischio di questo livello davanti a un auditorium pieno zeppo di rampolli che addirittura provavano stima nei suoi confronti. Così era più volte incespicato nelle sue stesse parole, lasciando frasi a metà e sviando le domande che gli venivano rivolte.
Lion, dal suo canto, non aveva improvvisamente deciso di fare il bravo ragazzo, no, con tutta probabilità la storia dell’attacco di panico lo aveva ammutolito e gli aveva dato da riflettere su questioni di cui non voleva essere reso partecipe.
«Comunque ho un’idea per la tua storia» gli disse mentre attraversavano il cortile della scuola, ritrovando il buon umore e la parlantina.
«Mmh» borbottò lui intercettando da lontano il professor Layton, che aveva tutta l’aria di stare per raggiungerli.
Merda.
«Tu dici che non riesci a finirla…Hai pensato di non farlo e di dedicarti ad altro e basta?» gli chiese Lion.
«In che senso?» gli domandò a sua volta, senza prestargli davvero attenzione.
«Nel senso che…non devi finirla per forza. Il destino di Dark Sirio è di continuare a inseguire i cattivi per vendetta. Per lui non c’è pace, semplice» sciorinò con una leggerezza che in un altro momento lo avrebbe fatto innervosire.
«Dovrei lasciare un finale aperto?»
«Sì…una cosa del genere.»
Axel soppesò le sue parole, chiedendosi se davvero avesse parlato agli studenti delle sue difficoltà nel chiudere la storia, perché proprio non lo ricordava. Un senso di vergogna gli appiccicò la lingua al palato, proprio quando il professor Layton li aveva ormai raggiunti.
«Ciao Axel» lo salutò, indirizzando però il suo sguardo interamente a Lion.
«S-salve!» ricambiò quello.
«Tu chi saresti, quindi?»
Axel fece per parlare ma Lion decise di agire per conto proprio, mozzandogli il respiro.
«Sono suo nipote. Mi chiamo Lion.»
Lo sguardo sospettoso dell’insegnante fece venire ad Axel la voglia di tornare a New York seduta stante. Lo aveva osservato parecchio durante la conferenza, ma quando si era dileguato senza dire una parola aveva tirato un sospiro di sollievo, sicuro di averla fatta franca.
«Nipote? Davvero?» indagò l’uomo, stavolta spostando lo sguardo su entrambi.
«Sì, sono il figlio di sua sorella Christine» rispose Lion sfacciatamente.
«Pensa un po’…»
Gli sembrò di cogliere un guizzo allegro nei suoi occhi, ma ciò non rendeva la situazione meno scomoda. Fulminò con lo sguardo Lion, che naturalmente non dava alcun segnale di resa.
«Sì, mi ricordo di Christine, brava ragazza. Le somigli molto» rispose l’uomo stando al gioco e gustandosi l’espressione del giovane. Poi tornò serio, senza però perdere il buon umore.
«Non è stata la tua conferenza migliore, o sbaglio?» chiese, stavolta guardando Axel dritto negli occhi.
Lui si morse la lingua e incassò il colpo. «Direi che è stata la peggiore.»
«Succede. Non è poi così difficile intuirne il motivo» gli andò in contro, e di nuovo si sentì protetto e alleggerito dalla naturalezza con cui evitava di giudicarlo.
«Già» mormorò. Riuscì a sorridergli, sempre se quel ghigno nascosto dalla barba potesse considerarsi un sorriso.
«Beh, io vado. Salutatemi Christine» sghignazzò infine il professor Layton, prima di lasciarli di nuovo soli.
«Non ti incazzare, ti prego» mormorò con aria implorante Lion quando l’uomo era ormai distante da loro.
Axel sbuffò. «Sono troppo esausto per incazzarmi.»
«Sei anche una persona di buon cuore, giusto?»
«Giusto.»
«E poi oggi è il mio compleanno.»
«Anche questo è giusto.»
«Lo so che non dovevo farlo» si arrese poi il ragazzo «però è stato divertente. Vero?»
Axel sospirò.
Sì, era stato divertente, e a pensarci bene la cosa aveva persino smorzato la tensione che provava.
«Non è stato divertente per niente» borbottò lo stesso, giusto per darsi un tono che comunque non gli si addiceva. «Per non parlare della figuraccia che mi hai fatto fare con il professor Layton.»
«Tu ti prendi troppo sul serio» ribatté Lion, prima di inchiodare i piedi a terra fermandosi di colpo.
«Che succede?» domandò Axel.
«C’è Amy» spiegò, indicando l’altra parte del marciapiede.
Axel intravide una figura esile che passeggiava in solitaria, di tanto in tanto fermandosi davanti alle vetrine di qualche negozio. Aveva una cascata di capelli castani che le copriva la schiena e portava in spalla uno zaino celeste. Aveva tutta l’aria di essere appena uscita da scuola.
«Beh? Vai a salutarla, no?» gli disse accorgendosi poi che aveva fatto dietro front cercando di svignarsela.
«Che cavolo stai facendo?» lo rimbeccò.
«Cerco di non farmi vedere.»
Axel ritenne opportuno tenere per sé tutto ciò che aveva appena pensato, dalla prima all’ultima parola.
«Lion…non puoi farti scappare questa occasione» cercò quindi di convincerlo, riuscendo miracolosamente a catturare la sua attenzione.
«Cosa le dico?»
«Non lo so, qualunque cosa…quello che ti viene in mente.»
«Non mi viene in mente niente.»
«Questo è perché non ci stai nemmeno pensando.»
«Ci sto pensando, invece!» rispose Lion con veemenza «Tu cosa le diresti?»
Axel sbuffò grattandosi nervosamente la barba.
«Le direi senz’altro…che…che…non lo so, io non…»
«Grazie, bell’aiuto!» si spazientì Lion, in preda all’agitazione.
«Ehi, non è a me che interessa!» gli rispose lui piccato.
L’espressione tirata del ragazzo gli fece mordere la lingua e quasi si sentì in colpa di non avere per lui una soluzione.
Quel pensiero ne attivò un altro, e poi un altro ancora, creando una catena di sensazioni spiacevoli e ricordi sbiaditi. Si impose la calma, obbligandosi a restare nel presente.
«Forse so come fare» mormorò poco dopo Lion, che in quella breve attesa era forse riuscito a trovare una via di fuga dall’impasse.
«Cioè?»
«Oggi ho saltato scuola…Magari le chiedo cos’hanno fatto in classe.»
Axel tirò un sospiro di sollievo. «Direi che va bene, no?»
«Dici che funziona?»
«Beh, se non funziona una cosa del genere direi di puntare su qualcun'altra.»
Lion annuì con aria pensierosa.
«Tu sei sposato?» gli chiese poi.
«Cos-? No!»
«Fidanzato?»
«No.»
Lion sbuffò, guardandolo seccato.
«Se non funziona mi insegni a fumare.»
 
 
 
*
 
 

Alla fine funzionò, o almeno così decise Axel, che dopo aver aspettato oltre trenta minuti il ritorno di Lion seduto su una panchina decise di rientrare a casa.
Era esausto. Continuava a rimuginare su quanto detto in conferenza, sui mille giri di parole fatti per non affrontare di petto la storia della pubblicazione di Dark Sirio, sulle risposte evasive e frettolose che aveva dato a molti degli studenti e sul modo in cui era uscito dall’aula senza fermarsi, come di consueto, a firmare autografi e a scattare qualche foto. La cosa positiva, pensò, era di aver capito che non era tanto l’idea di parlare in pubblico a spaventarlo, quanto più l’idea che quel pubblico entrasse in contatto con la parte di sé che cercava di nascondere.
Qualcuno – il professor Layton, Darryl e a modo suo Loraine – l’aveva colta in silenzio e aveva trovato il modo di conviverci. Gwendolyn, a suo tempo, aveva invece preferito lasciarsela alle spalle. Quanto a Jenna, decidere di fuggire era stata la decisione migliore che potesse prendere per entrambi, o almeno così aveva sempre sostenuto. In quel modo avrebbe protetto lei da sé stesso, e sé stesso dai sensi di colpa.
Iniziò a pensare di voler fare ritorno a New York. In fondo gli mancavano una manciata di incontri con gli studenti, non c’era niente di male a interromperli prima del tempo e tornare alla sua routine di sempre. Certo, Loraine si sarebbe definitivamente licenziata, magari lui stesso avrebbe interrotto la sua carriera per trasferirsi in un posto dimenticato da Dio vivendo di sola rendita. Non era male come prospettiva.
Tuttavia, si ricordò che qualcuno quella sera lo aspettava al Lenox Blues, perciò avrebbe fatto meglio a rimandare i suoi progetti futuri a un secondo momento.
 
 
Non sapeva esattamente come comportarsi, non era mai stato al compleanno di un adolescente e a pensarci erano anni che non partecipava a nessun tipo di serata in generale. In effetti avrebbe volentieri declinato l’invito, ma dopo la giornata passata con Lion non gli sembrava una mossa intelligente da fare.
Si prese il suo tempo per raggiungere il locale, passeggiando per le vie di Mismar con studiata lentezza e fermandosi qualche minuto davanti alla vetrina del pub prima di entrare.
Per l’occasione avevano spostato i tavoli all’ingresso per crearne uno più ampio, su cui Richie aveva appena sistemato un vassoio pieno di leccornie salate. Dall’altro lato c’era un piatto colmo di fragole e scorse Jenna rubarne una mentre era intenta a scattare foto.
Lion, con un cappellino da festeggiato in testa, si stava riempiendo la bocca di panna spray, riuscendo a coinvolgere anche Darryl che sembrava gradire quel piccolo peccato di gola.
Alla fine fu Jenna a intercettarlo, raggiungendolo all’ingresso del locale con un sorriso raggiante che subito lo intimidì.
«La festa sarebbe dentro» gli disse scherzando.
«Sì, stavo solo…»
«Axel!» esclamò Lion non appena lo riconobbe. Aveva le labbra ancora sporche di panna ma si affrettò a tirarlo dalla maglietta per trascinarlo dentro «Vieni, devo farti vedere una cosa. Anzi, due.»
«Stavi solo…?» lo schernì Jenna senza dargli modo di replicare.
Si liberò dalla stretta di Lion solo quando furono abbastanza in disparte per parlare.
«Ho il numero di Amy» gli disse con sguardo radioso.
Axel trattenne a stento un’espressione di stupore e di gioia. «Wow, allora ha funzionato davvero…»
«Sai cosa significa questo?» gli chiese il ragazzo.
«Uhm, che non devo insegnarti a fumare?»
«Sì, beh…sono abbastanza nervoso da poter imparare da solo, questa volta.»
«Non ti spaventa la puzza di marcio?» lo provocò Axel «E i denti gialli?»
«Mi spaventa non avere idea di cosa fare adesso che ho il suo numero.»
«Sono sicuro che te la caverai anche stavolta.»
«Avete finito di cincischiare, voi due?» si intromise Darryl con l’aria di chi aveva appena fatto una scorpacciata di patatine fritte.
«Stavo facendo vedere ad Axel lo skateboard che mi avete regalato» spiegò Lion cambiando bruscamente argomento e mostrando trionfante il modello di Tavole Santa Cruz appena scartato. Due frecce nere disegnate su una tavola con sfondo bianco, giallo e viola, perfettamente in linea con il suo stile.
Aveva iniziato ad elencarne le qualità tecniche, ma un altro vassoio di dolci attirò la sua attenzione e la lezione terminò in un battibaleno, lasciando Axel e Darryl da soli.
Registrò con qualche secondo di ritardo il fatto di essersi presentato al compleanno senza neanche un regalo, e anche se Lion non sembrava averci fatto caso, non riuscì a non sentirsi in colpa.
«Andate d’accordo» disse a un tratto Darryl, osservandolo con attenzione.
«Dici?» commentò lui noncurante.
«Dico. Hai fatto colpo.»
«Non…lui parla un sacco, non è difficile» mormorò impacciato.
«Sì, ma tu gli dai retta.»
Era indeciso se raccontargli o meno il fatto di esserselo portato a spasso mentre avrebbe dovuto trovarsi a scuola, ma preferì evitare.
«Ti sei arreso alla musica oscena, vedo» sviò invece, alludendo alle canzoni che continuavano a passare.
«Già, da Kurt Cobain a Robin Schultz. Una vera merda, se posso dirlo.»
Axel sorrise e sospirò appena.
Darryl non sembrava in ottima forma, aveva il viso stanco e un po’ affaticato, ma comunque deciso a godersi la festa. A un tratto, lo spiazzò con una domanda.
«Chi ti ricorda, Axel?»
Lui ignorò risoluto la fitta al petto, ma si impose la calma.
«Chi?»
«Lion, ovvio.»
Ammutolì, provando improvvisamente rabbia per quella domanda del tutto fuori luogo.
«Non mi ricorda nessuno» rispose con voce piatta. «È un ragazzo vivace con la fissa per lo skateboard e la musica oscena.»
Darryl non replicò, cogliendo evidentemente il suo fastidio e addolcendo un po’ lo sguardo.
«Sì, hai ragione» convenne lasciando poi cadere il discorso. «Dai, vieni a mangiare qualcosa.»
 
 
Allo scoccare delle ventitré, Lion spense diciotto candeline e le sue guance piene di pan di spagna e crema al cioccolato finirono stampate su una polaroid che Jenna appese su una parete già colma di altre foto.
«È davvero buonissima» aveva commentato Richie, gustandosi compiaciuto la terza fetta della torta che aveva creato da zero con le sue mani. Lion, con gli ultimi sprazzi di energia, di tanto in tanto rincorreva Darryl con la bomboletta di panna spray.
«Piantala Lion, lo sai che questa robaccia non mi fa bene» borbottò l’uomo prima di cedere all’ennesima fragola imbottita di panna.
Axel colse lo sguardo esasperato di Jenna, che però lasciò correre l’ennesimo sgarro della serata, impegnata piuttosto a rimettere in ordine la sala.
Decise di darle una mano, anche se l’idea di trattenersi lì ancora lo metteva a disagio.
«Puoi andare, se vuoi» gli disse lei, probabilmente captando la sua tensione. Era sempre stata brava a interpretare i suoi silenzi.
«No, mi fermo ancora un po’» rispose, fingendo di non vedere lo stupore nel suo sguardo.
Poco dopo Richie avviò lo stereo mettendo su Good Riddance dei Green Day.
«Questa l’ho già sentita» borbottò Lion, accasciandosi distrutto su una sedia.
«La cosa mi rincuora» ribatté Richie, alzando appena un po’ il volume e unendosi agli altri per ripulire il locale.
Mentre rimetteva a posto i tavoli, Axel si sorprese a provare un calore che non lo toccava da anni e che forse l’ultima volta gli era arrivato proprio tra quelle mura. Quella sensazione lo spaventò, tanto che preferì ignorarla sperando che se andasse proprio come era arrivata.
Poi, all’improvviso, fu qualcosa di più inaspettato a colpirlo.
«Darryl?!»
La voce di Jenna risuonò sinistra mentre a sua volta incontrò gli occhi spaventati dell’uomo, visibilmente provato, che intanto cercava un appoggio per sostenersi.
Gli andarono entrambi in contro, mentre portava le mani al petto stringendo debolmente la stoffa del grembiule che aveva addosso.
«Mi sa che non sto bene» mormorò nello sforzo di mantenersi lucido.
Axel ingoiò a vuoto, mentre Richie chiamava i soccorsi e Jenna lo aiutava a sorreggerlo.  
Non ci fu molto tempo per pensare, si lasciò trascinare dagli eventi sperando di aver praticato nel modo corretto il massaggio cardiaco e che Darryl reggesse almeno fino all’arrivo dell’ambulanza. Quando lo vide abbandonare la stretta di Jenna, pensò che fosse finita.
 
 
I soccorsi arrivarono dopo diversi minuti e portarono via Darryl alla velocità della luce verso l’ospedale.
«Dove sono le chiavi dell’auto?!» chiese Jenna cercandole disperatamente da ogni parte.
«Voglio venire anch’io!» esclamò Lion, che in tutto quel tempo era rimasto pietrificato senza riuscire a dire una parola.
«Non esiste, tu e Richie rimanete qui.»
«Ma Jenna!»
«Lion non è il momento..ma dove cazzo sono finite!»
Axel le intravide sul bancone e le afferrò di corsa, sfiorando appena il braccio di Jenna. «Trovate, andiamo.»
«Veniamo anche noi!» li inseguì Richie chiudendosi la porta del locale alle spalle e avviandosi verso l’auto insieme a Lion.
Axel, già pronto per partire, guardò Jenna senza però dire nulla. Aspettò che fossero tutti in macchina, poi mise in moto.
 
 
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NdA
Ehm, opsss.
Questo capitolo era inizialmente impostato in maniera diversa, ma rischiava di diventare troppo lungo, così ho deciso di dividerlo con un cliffhanger (un po’ bruttino, in effetti) :P  Ecco, diciamo che da ora in avanti le cose prenderanno una piega diversa, ma spero interessante u.u
 
Grazie come sempre a chi si ferma a leggere e a chi è arrivato a questo punto della storia <3
 
A presto, con il nuovo capitolo
 
_Atlas_




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