THE SPACE OPERA

di nachiko_nene
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Capitolo quattordici: Il Figlio della Rivoluzione (prima parte)


 

Aratia,
Anno 2119 del calendario terrestre


 

Aleksej Mikhaylov osservava il bambino stretto tra le braccia della moglie, mentre la loro figlia maggiore, Vyronika, gli dava dei buffetti affettuosi sulle guance.

«Hai visto, papà? Mi somiglia!»

«Fa’ piano Dushen’ka.» La raccomandò lui. «Vieni, siediti qua con me, lasciali respirare.»
La bambina ubbidì e trottò verso il padre andando a sedersi in braccio a lui.

«Ero così bella appena nata?»

«Anche di più.»

Le accarezzò i lucenti capelli neri, così diversi da quelli di sua moglie Anya, dotata d'una chioma biondissima, così chiara da risultare quasi bianca. Ora gli sorrideva dal fondo della stanza con un’espressione rilassata.

«Avete deciso come chiamarlo?»

Marito e moglie si scambiarono degli sguardi d’intesa.

«In realtà pensavamo di fare scegliere a te.» Disse Anya osservando sua figlia scattare in piedi e lanciare un gridolino eccitato.

«Mama, Papa… Spasiba!»
(Mamma, papà... Grazie!)

Si avvicinò di nuovo al fratellino e rimase a rimuginare per un momento in attesa di qualche illuminazione.
Poi schioccò le dita e incrociò le braccia al petto in una posa fiera.

«… Ho deciso!» Disse infine, alzando il mento con orgoglio.
«Si chiamerà Lukasz

 

***
 

Aratia,
Jazaroth,
Anno 2126

Lukasz camminava in silenzio accanto alla sorella, attento a non pestare qualche Hyana tapàc nascosto tra gli arbusti. I segni del morso dell'ultima volta se n’erano andati dopo ben quattro settimane e non aveva alcuna intenzione di ripetere l’esperienza.
L’habitat di Aratia non era tra i più ospitali, né tra i più sicuri, soprattutto per due cuccioli di essere umano come loro. Dietro ogni angolo si nascondevano insidie: zanne velenose, code spinate, piante carnivore dall’aspetto mostruoso.
Di conseguenza si erano mossi all’alba, quando le bestie selvagge strisciavano nell’umidità delle loro tane per ripararsi dal calore.
Non era certo piacevole viaggiare sotto i raggi cocenti, ma se dovevano scegliere il male minore… era meglio che essere sbranati in mezzo alle lande.

I due fratelli erano scesi in punta di piedi dai loro letti ed erano sgattaiolati fuori dall’uscio di casa mentre tutti gli altri dormivano.
Non era la prima volta che Lukasz seguiva Vyronika nelle sue avventure, ma mai si erano spinti fino a Jazaroth, il centro abitato, da soli.

Se il papà fosse venuto a conoscenza di quella scappatella li avrebbe di certo ammazzati. La mamma… anche peggio.

La ragazza frugò nella borsa e gli passò un piccolo traduttore portatile da agganciare all’orecchio. Lei non ne aveva bisogno in quanto, appena un anno prima, ne aveva impiantato uno sottocutaneo, molto più moderno ed efficiente.

«Ti avverto, se parlerai in russo quando saremo arrivati non ti capirà nessuno.»

Il bambino le lanciò un’occhiata diffidente, come in attesa di qualche scherzo.

«Dico davvero, se vuoi comunicare con le altre razze dovrai usare l’inglese, i traduttori alieni funzionano solo con quello.»

Lukasz non parve convinto.
Fino a quel momento aveva dato per scontato che le due lingue, usate in egual misura dai suoi genitori, fossero intercambiabili e avessero lo stesso valore anche in pubblico.

«A dire la verità nemmeno su Dystòpia è comune usare i dialetti», aggiunse la giovane, «tutti parlano allo stesso modo.»

«E allora perché noi lo facciamo?»

«Per conservare la tradizione.»

«Che cosa stupida.» Replicò Lukasz scrollando le spalle.

Vyronika rise e gli scompigliò i capelli.
«Be’, se ci pensi non è poi così male, possiamo parlare tra di noi senza essere capiti dagli altri. È il nostro linguaggio segreto.» Poi sul suo volto comparve un ghigno. «Posso anche essere sdolcinata quanto mi pare.»

Lo intrappolò in un abbraccio stritolatore sollevandolo da terra.

«Solntze möye, potseluy menya!»
(Mio piccolo raggio di sole, dammi un bacio!)

Esclamò la ragazza mentre Lukasz tentava di sfuggire a quell’aggressione affettuosa.

«Aaargh...che schifo, lasciami Vyronika!»
 

***
 

Più si inoltravano nel cuore del mercato e più l’aria diventava irrespirabile a causa del tanfo delle carni marce di gilak, accatastate tra i banchi e vendute a ottimo prezzo assieme a un intingolo di radici e spezie. Più disgustoso di quella pietanza era vedere chi, dopo aver fatto la coda, la ingurgitava soddisfatto. 
Anche il resto degli alimenti venduti a Jazaroth erano indigesti agli umani, oltre che ripugnanti, per cui i due fratelli si tennero volentieri a debita distanza.

Mentre avanzavano tra i banchetti ricevettero una serie di occhiate torve e insistenti, soprattutto da parte dei mercanti stranieri.

Vyronika continuò a camminare a testa alta, ricambiando uno a uno quegli sguardi, con ostentata insolenza.
Da quando loro madre aveva iniziato a darle lezioni di tiro era diventata più spaccona del solito. Non si separava mai dal suo fucile e Lukasz sospettava ci andasse perfino a dormire assieme. Ovviamente lo aveva con sé anche in quell'occasione e sembrava infonderle un’invincibile sicurezza, come se stesse indossando un’armatura inscalfibile.

«Non farti mettere i piedi in testa da questa gente», disse la ragazza rivolgendosi a suo fratello senza abbassare mai gli occhi, «non mi importa cosa dice papà, non permettergli di mancarti di rispetto.»

Quella vicenda si ripeteva da sempre, per quel che ricordava, anche quando c’erano entrambi i genitori ad accompagnarli.
Non fateci caso, sono solo sorpresi di vedere degli umani.”
Li rassicurava loro padre. “Si abitueranno.”
Ma la verità era ben più amara e Lukasz, sebbene avesse solo sette anni, ne era consapevole.
 

***
 

Non gli aveva ancora riferito dove erano diretti, lo scoprì solo una volta arrivati davanti a una grossa tenda formata da pelli cucite insieme tra loro.
Vyronika si avvicinò all’orecchio del fratellino.

«Sai chi ci vive qui dentro? Una strega.» sussurrò.

Lukasz fece una smorfia.

«Non esistono le streghe.»

«Ti dico di sì, è spaventosa!» Si ingobbì per imitare la vecchia maga. «Per non parlare del fatto che… lei mangia i bambini!»

Lukasz inarcò un sopracciglio fissandola scettico, al ché lei si raddrizzò facendogli l’occhiolino.

«E va bene, è soltanto un’indovina» ammise, «ma vedi di non toccare niente una volta dentro o Rabaca si arrabbierà.»

Varcarono la soglia e furono investiti da un profumo piacevole che li disintossicò dalla puzza di gilak. Proveniva da un piccolo braciere posto nel mezzo della tenda, su cui stava bollendo un pentolino. L’anziana Rabaca era lì incurvata che li stava aspettando.
Aveva una pelle squamosa e perlacea, degli occhi scuri protetti da una doppia membrana. Lunghe dita ossute avvolgevano una costola d’animale che usava per rimescolare un intruglio denso e luminescente.

Salutò entrambi.
Non con la bocca, non possedeva un apparato fonatorio.
Sentirono invece la sua voce riecheggiare nelle loro menti e si scambiarono delle occhiate impressionati. Era la prima volta che sperimentavano la comunicazione telepatica.

Vyronika si presentò per prima e, senza troppi convenevoli, le porse un piccola rete ricolma di pietruzze scintillanti. La vecchia l’afferrò con febbrile cupidigia, quasi strappandogliela di mano, tanto che la ragazza sussultò dalla sorpresa.
Rimasero in attesa, con una punta di impazienza, mentre Rabaca controllava con minuzia ogni sassolino rigirandoselo tra le dita. Infine, soddisfatta, alzò la testa e guardò Vyronika dritta negli occhi.

Ci fu un lungo momento di silenzio e presto Lukasz intuì ci fosse una conversazione in atto tra le due e lui ne era tenuto fuori di proposito. Rimase a osservare il volto di sua sorella cercando di capire che si stessero dicendo ma ormai era in uno stato di trance.
Rigida e immobile, le labbra rosee appena schiuse. Gli occhi chiari coperti da un velo di temporanea incoscienza.
Rabaca invece sembrava lucida, ma non interruppe mai quel contatto visivo. Passarono un paio di minuti finché Vyronika non si ridestò dal torpore e respirò a pieni polmoni, come se avesse corso per un miglio.

Si girò verso di lui con un’espressione estasiata e a Lukasz sfuggì un sospiro di sollievo.
«È stato…incredibile!» esultò eccitata, «Forza Lúnja, tocca a te.»

«Cosa… cosa ti ha detto?»

La fanciulla si arrotolò al dito una lunga ciocca mora con fare civettuolo. «Non te lo dico.» Rispose candidamente, guadagnandosi un’occhiataccia.
«Se sei curioso fatti avanti. Non avere paura, Rabaca mi ha detto che siccome la vita degli uomini è già abbastanza angustiata ci darà solo visioni felici del futuro.»

«Io non ho paura!»

«E allora provaci, sarà divertente!»

Lukasz avrebbe voluto rispondere di no, che non credeva a certe sciocchezze, ma in verità stava morendo dalla voglia di sapere.
Fece un passo in avanti e guardò con determinazione la creatura, facendole capire che era pronto.
Fu un attimo e la sua coscienza fu proiettata in un futuro lontano.
 

***
 

La borsa di Vyronika pesava tre volte tanto rispetto al viaggio di andata. Aveva acquistato una quantità spropositata di balsami, unguenti e stoffe. Una volta giunti a destinazione sarebbe corsa a riporre tutto nel luogo più sicuro e meno controllato della casa, il suo nascondiglio prediletto: la stanza di Lukasz.
Osservò suo fratello che non aveva aperto bocca da quando avevano lasciato la tenda di Rabaca. Ora stava camminando a testa bassa accanto a lei.

«Insomma, si può sapere cosa hai visto?»

Lui non rispose, troppo occupato a rimuginare tra sé e sé.
Poi, colto da un dubbio, aggrottò le sopracciglia e le rivolse una domanda insolita.

«Su Aratia ci sono altri come noi?»

«No, non che io sappia. La maggior parte degli esseri umani si trova su Dystòpia, uomini e donne.»

«Allora voglio andare lì.» disse infine senza darle ulteriori spiegazioni.

 

Calò il silenzio e quando il più piccolo si voltò verso la sorella vide che il suo volto si era rabbuiato di colpo.

«La nostra famiglia… è stata esiliata su questo pianeta.»

«Esiliata.»
Ripeté lui, studiando quella parola sconosciuta.

«Significa che, anche volendo, non potremmo tornare su Dystòpia. Ci hanno cacciati.»

«Non ci vogliono?»

«Sei troppo piccolo, la mamma non vuole che te ne parli.»
Quella risposta non gli piacque e le sbarrò il passaggio piazzandosi davanti a lei a braccia conserte.

«La mamma non voleva nemmeno mi portassi a Jazaroth.»

La stava fissando con un cipiglio serio, fin troppo serio per un bambino della sua età, tanto che Vyronika non riuscì a trattenere un sorriso.

«Oh, Lúnja... ma guardati, sembri il papà in miniatura», esclamò lei ridendo, «ti manca solo la barba!»

Poi, vedendo che continuava a tenerle il broncio, si inginocchiò a terra e gli prese il viso tra le mani.

«Ascolta...», gli disse addolcendo la voce, «ora non potresti capire, ma ti prometto che un giorno ti racconterò tutto, d’accordo?»

I loro occhi cenerini si specchiarono.

«Davvero?»

«Davvero per davvero.»

 

 

Note:

*Łukasz Alekséevich Mikhaylov: è formato da una prima componente polacca, che richiama le origini della madre. Alekséevich invece è un patronimico russo che letteralmente significa “figlio di Aleksej” e a seguire il nome di famiglia.

*Dialetti umani: Per praticità su Dystòpia le lingue al di fuori dell’inglese sono pressoché inutilizzate e considerate quindi alla stregua di lingue morte. Solo in poche famiglie si conserva l’abitudine di parlare nella lingua d’origine e rimane racchiusa tra le mura domestiche.

*Jazaroth: La capitale del mercato nero. Vedi cap.2

*Dushen’ka : Tesoro, Cara.

*Lúnja: una forma diminutiva del nome Lukasz.

 





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