Angeli di carta di giornale

di Milly_Sunshine
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ROSSINI E CARLETTI

«Prego, mi segua.» Damiano Rossini si girò a guardarla, così Olimpia si affrettò a sorridere con sicurezza. «Siamo quasi arrivati.»
Doveva davvero crederla la donna venuta per il colloquio, o almeno non dava segno di dubitare di lei. Presto sarebbe stato smentito, ma Olimpia non ci teneva ad affrettare i tempi. Anzi, sperava che ci fosse ancora un po' di strada da percorrere, per potersi schiarire meglio le idee e non dire o fare nulla di troppo avventato quando fosse venuto il momento. Sapeva che non sarebbe stato possibile evitarlo del tutto: l'unica alternativa era rinunciare al proprio proposito.
Rossini si fermò di fronte a una porta socchiusa, dalla quale uscì una donna che doveva avere più o meno l'età di Olimpia. I due si salutarono velocemente, ma senza formalità, il che avrebbe reso comprensibile a chiunque che si trattava della figlia Paola. Per lei, che aveva già visto la sua fotografia a casa di Vincenzo, durante la famigerata effrazione, non sarebbe stato comunque necessario.
Il signor Rossini fece un cenno a Olimpia.
«Prego, Barbara, venga dentro.»
La introdusse all'interno di quello che doveva essere il suo ufficio personale... o forse l'ufficio personale dell'uomo che Olimpia vide seduto dietro a una scrivania.
«Giorgio, lei è la famosa Barbara» annunciò Rossini.
«Piacere di conoscerla, Barbara» disse l'altro uomo, in tono poco convinto. «Barbara Prati, se non sbaglio.»
Olimpia si limitò ad annuire.
«Prego, si sieda» la invitò. «Io sono Giorgio Carletti, il direttore. Immagino che il signor Rossini abbia già avuto modo di presentarsi.»
«In realtà non l'ho fatto» ammise il nuovo titolare, chiudendo nel frattempo la porta. «Prego, si sieda, signora Prati, e lasci che mi presenti. Sono Damiano Rossini, il proprietario di questo posto. O meglio, per essere più preciso, sono il padre della proprietaria di questo posto. La ragazza che abbiamo incontrato nel corridoio è mia figlia Paola.»
Olimpia prese posto sulla sedia di fronte alla scrivania di Carletti, ma si girò a guardare il signor Rossini.
«Non le somiglia.»
Era giunto il momento di togliere la maschera e si rese conto di avere spiazzato Rossini, dal suo sguardo stranito e dalla sua convinzione di avere capito male. Le domandò, infatti: «Come ha detto?»
«Ho detto che sua figlia non le somiglia» ribadì Olimpia, «E, dato che siamo in tema di presentazioni, temo di doverle comunicare che non sono Barbara Prati e non ho mai fatto domanda di lavoro in questo posto.» Tornò a girarsi verso Carletti, che sembrava ben poco stupito. «Chiedo scusa a entrambi per avervi ingannato, ma l'occasione era troppo ghiotta per lasciarmela sfuggire.»
Carletti fece un mezzo sorriso.
«Si può dire che non le manchi l'iniziativa.»
«Ne ho pure troppa, se devo essere sincera.»
«E lo ritiene un bene o un male?»
Stavolta fu Olimpia a chiedersi se avesse ben compreso.
«Perché me lo chiede?»
«Per scambiare qualche parola» rispose Carletti. «D'altronde è venuta qui per parlare con me, oppure con Damiano. Se non è la candidata, deve essere qui per una ragione. Dubito che sia una pazza senza controllo venuta qui per puro caso.»
Il signor Rossini si intromise: «Posso chiederle chi è e che cosa vuole da noi, signora Barbar-... ehm... signora...?»
«Olimpia.»
«Posso chiederle cosa vuole da noi, signora Olimpia? O preferisce signorina?»
«Può chiamarmi anche solo Olimpia. Non saprei definirmi. Non sono signorina, perché tecnicamente non sono nubile, ma nemmeno signora, perché non sono nemmeno sposata, non più, almeno. Ero la moglie di Claudio Melegari, ha mai sentito parlare di lui?»
Damiano Rossini spalancò gli occhi.
«La nuora di Maurizio?»
«Esatto, proprio io!» confermò Olimpia. «Per caso è sorpreso di vedermi?»
«Sono molto sorpreso che sia venuta qui con un sotterfugio che io stesso le ho servito su un piatto d'argento. Perché non mi ha detto chi era? È la benvenuta, ho conosciuto suo suocero, in passato, quando lavorava per Roberto Gottardi, il vecchio titolare.»
Olimpia confermò: «Lo so bene.»
«Era una persona perbene» osservò il signor Rossini. «C'era chi non lo apprezzava, ma era un uomo davvero a modo.»
Olimpia replicò, secca: «E allora perché ha cercato di scaricare su di lui la colpa dei furti?»
«Quali furti?»
«Quelli commessi da Alfredo Vitale.»
Per la seconda volta, Rossini parve spiazzato.
«Come dice?»
«Non faccia finta di non capire, ha sentito benissimo. Se vuole posso esporle i fatti - o almeno quelli che credo siano i fatti - poi sarà lei a dirmi se ho ragione o meno.»
Carletti intervenne: «Credo abbia già abusato abbastanza del nostro tempo, Olimpia. Stiamo aspettando la signora Prati per il colloquio, non abbiamo tempo da perdere ad ascoltare le sue chiacchiere.»
Olimpia ribatté: «Mi dispiace per il tempo che sto facendo perdere a tutti e due, ma non posso fare altrimenti. Purtroppo mi sono ritrovata in mezzo a una storia che non mi riguardava affatto. Adesso, però, riguarda anche me. So che molti anni fa, più di venti, il qui presente signor Rossini cercò di farsi vendere questo albergo dal titolare, Roberto Gottardi, il quale, tuttavia, non voleva mettere in vendita la propria attività. Allora - chiedo scusa per la mia sfacciataggine, non dovrei darlo per certo, ma non riesco a credere che sia andata diversamente - ecco che il signor Rossini ebbe una brillante idea: commissionare dei furti ai clienti, nella speranza di far colare a picco la reputazione dell'albergo. Se fosse entrato in crisi, avrebbe potuto convincere più facilmente Gottardi a sbarazzarsene, per evitare il fallimento. Dico bene, signor Rossini?» Puntò lo sguardo fisso su Damiano. «Per quella ragione ingaggiò Alfredo Vitale, nella speranza che il suo piano potesse andare a segno, facendo circolare qualche voce sul fatto che fosse Maurizio il complice di quell'uomo.»
Damiano Rossini non disse nulla, né confermò né smentì la sua ipotesi.
Giorgio Carletti, in compenso, insisté: «Ci lasci soli. Se ne vada e non torni più.»
Inaspettatamente, il signor Rossini replicò: «No, non se ne vada, Olimpia. Mi spieghi piuttosto che cosa le fa pensare che sia andata così.»
«Sono la nuora di Maurizio» gli ricordò Olimpia. «So più cose di quante lei creda.»
«Per esempio?»
«Mi sta chiedendo cos'altro so?»
«Ha paura di mettersi alla prova?»
Olimpia scosse la testa.
«No, affatto, non ho assolutamente paura. Non posso esserne certa, ma credo sia stato lei, diversi anni prima dei furti, a testimoniare contro Vitale in merito all'aggressione di Giovanna Riva. Anzi, di Giovanna... non saprei quale fosse il suo cognome, ai tempi, l'ho sempre conosciuta - di fama, non personalmente - come Giovanna Riva. L'ha visto nei pressi della casa della sua ex fidanzata e ha dichiarato quella che credeva fosse la verità, ma Vitale non era colpevole.»
Damiano Rossini non la smentì.
«Non ho mai dichiarato che lo fosse, solo di averlo visto. È proprio così: lo vidi proprio dove raccontai. Non so cosa ci fosse andato a fare, da Giovanna, forse a chiederle dei soldi. Ogni tanto lo faceva e Giovanna spesso gli dava qualcosa. Non ho mai creduto che volesse ucciderla, sarebbe stato come uccidere la gallina dalle uova d'oro.»
«Allora perché l'ha denunciato?»
«Non l'ho denunciato, ho riferito quello che avevo visto. Pensavo fosse la cosa migliore, che la verità sarebbe emersa e che, se il colpevole era qualcun altro anziché lui, tutto sarebbe venuto alla luce.»
«Ma non è mai successo.»
«Non per colpa mia.»
«Però è stato lei a portare Vitale qui in città, quando è uscito dal carcere. È stato lei che gli ha commissionato quei...»
Olimpia non riuscì a pronunciare la parola "furti", in quanto Carletti la interruppe: «Se ne vada! Ha già messo a dura prova la nostra pazienza, non le pare?»
«Stai calmo, Giorgio, è tutto sotto controllo» lo rassicurò il signor Rossini. «Anzi, perché non mi lasci un attimo solo con Olimpia?»
Carletti sbuffò, ma si alzò e si allontanò dalla propria scrivania.
«Credi davvero che sia una buona idea?» domandò.
Rossini fece un segno d'assenso molto lieve, ma sufficiente a convincere Carletti a uscire dalla stanza. Il nuovo titolare andò a sedersi al suo posto.
«Posso chiederle, Olimpia, perché è così interessata a tutto questo?»
«Ho le mie buone ragioni.»
«Lo immaginavo, ma le chiedo di dirmi quali.»
«Mi dia una buona ragione per farlo.»
Il signor Rossini le ricordò: «Ho appena ammesso, causa sua insistenza, di avere ingaggiato Vitale per commettere dei piccoli furti. Mi sembra il minimo che possa fare per ricambiare il favore.»
«Oh, l'ha ammesso, quindi?» esclamò Olimpia. «Mi scusi per lo stupore, ma ha fatto in modo di non essere del tutto esplicito.»
«Come vuole, sarò esplicito: sì, ho fatto quello che sospetta» rispose Rossini. «Credevo che questo albergo fosse un buon investimento per il futuro e pensavo che Gottardi non fosse in grado di farlo rendere al massimo.»
«Eppure ha avuto successo.»
«I successi imprenditoriali di Roberto Gottardi non ci riguardano.»
«Ha ragione, parliamo di lei. È fiero di quello che ha fatto?»
«All'epoca pensavo che, pur di ottenere quello che volevo, andasse bene ogni mezzo possibile.»
«Al giorno d'oggi non ha cambiato idea, non del tutto, almeno» osservò Olimpia. «È riuscito a ottenere comunque il suo obiettivo, coinvolgendo Paola.»
«Che cosa ne sa?»
«So quanto basta.»
«E cosa vuole da me?»
«Non voglio niente da lei, se non la verità. Sto cercando la persona che ha tentato di uccidermi, qualche tempo fa. Un colpo alla nuca, ben assestato, un po' come accadde a Giovanna e a Vitale. Solo che, proprio come Giovanna e diversamente da Vitale, io sono sopravvissuta. Cosa sa della morte di quell'uomo?»
«Poco.»
«Qualcuno l'ha ucciso, ma qualcun altro ha occultato il suo cadavere, così raccontava mio suocero mentre un tumore lo divorava e lo rendeva giorno dopo giorno sempre più incapace di capire cosa fosse opportuno dire e cosa no.»
Il signor Rossini obiettò: «Mi sta dicendo lei stessa che non era lucido.»
Olimpia mise a tacere le sue proteste replicando, con fermezza: «So che la persona che ha ucciso Vitale non ha seppellito il suo cadavere. Ho parlato con una testimone del delitto.»
«Una testimone del delitto che, però, non si è mai fatta avanti, a meno che non sia successo in giornata» precisò Rossini. «Mi risulta che l'omicidio Vitale sia ancora un caso senza soluzione.»
«Era molto giovane e non le era chiaro che cosa stesse vedendo. In parole povere, le era stato messo in testa che non doveva impicciarsi nelle questioni degli adulti e non l'ha fatto. Molti bambini ragionano così.»
«Comunque sia, se sa chi ha ucciso Vitale, dovrebbe sapere chi è stato a tentare di uccidere lei.»
Olimpia negò.
«Oh, no, ne so esattamente come prima. Vede, la persona che ha ucciso Vitale è morta da anni. Non può avere aggredito me poco tempo fa.»
Damiano Rossini rimase in silenzio a lungo, infine ammise: «Non so come aiutarla. È vero, ho avuto a che fare con Alfredo Vitale in passato, ma non sono di sicuro l'unico con cui ha fatto affari poco puliti. Anzi, non penso sia esagerato affermare che ne abbia combinate di ben peggiori prima di iniziare a lavorare per me. Non so cosa ci sia dietro alla sua morte e, per molti anni, ho pensato che fosse semplicemente scomparso di propria spontanea volontà. Il modo in cui aveva vissuto fino a quel momento lo lasciava pensare: sospettavo si fosse messo nei guai e, di conseguenza, fosse andato a vivere altrove sotto falso nome. Non so che cosa c'entri lei e in che modo quello che le è successo abbia a che vedere con Vitale. Se dice che la persona che l'ha ucciso ormai non c'è più, potrebbe trattarsi di qualcuno che non ha niente a che vedere con questa storia.»
Olimpia annuì.
«Probabilmente ha ragione. Mi scusi se le ho fatto perdere tempo e grazie per quello che mi ha confidato.»
Il signor Rossini le scoccò un'occhiata di fuoco.
«Non me ne faccia pentire.»
Olimpia gli strizzò un occhio.
«Oppure sarà lei, stavolta, a mandarmi in coma con una botta in testa?»
«Non ci scherzi troppo» la mise in guardia Damiano Rossini. «Non ho alcun motivo per farle del male, però devo farle notare che il suo atteggiamento potrebbe infastidire qualcuno, se capisce cosa intendo. È venuta qui, si è spacciata per un'altra persona, ha iniziato a fare brutte insinuazioni sul mio passato...»
Olimpia si alzò in piedi.
«Mi sta dicendo che, se mi mettessi a fare discorsi simili con una persona pericolosa, che magari ha già ucciso o ci ha provato, correrei dei rischi che sarebbe meglio evitare. Ha ragione, lo so. La cosa migliore da fare sarebbe stare tranquilla e fingere che nulla sia accaduto. Sarebbe il modo più efficace per tenermi la testa tutta intera.» Iniziò ad avviarsi verso la porta. «Non si preoccupi troppo per me, so badare a me stessa.»
Non ne era davvero convinta e sapeva bene di essere andata a cercare problemi ben più di una volta, ma il suo interlocutore non la conosceva. Uscì dall'ufficio di Giorgio Carletti, con il desiderio di andare al più presto anche fuori dall'albergo, magari eludendo Carolina. Fu fortunata, nel momento in cui passò davanti alla reception, non vide nessuno. Un attimo più tardi era all'esterno, diretta verso il parcheggio.
Trovò l'auto con tutte le ruote a terra e una sola consapevolezza: non poteva essere opera di Rossini. Fissò le gomme tagliate per un tempo che le parve infinito, dopodiché udì una voce dietro di lei.
«È sua quella macchina?»
Olimpia si girò lentamente.
«Signor Carletti.»
Il direttore sorrise, in apparenza imbarazzato.
«Dicevo sempre a Gottardi di mettere le telecamere, invece non ne voleva sapere. Rossini sembra più convinto, ma ancora non le abbiamo messe. Non ho idea di chi possa avere fatto una cosa simile. Però, se vuole, la posso accompagnare a casa.»
Era gentile, molto di più di quanto le fosse sembrato in precedenza, prima che Damiano Rossini lo pregasse di andare via.
«Non si disturbi.»
«Non è un disturbo. Anzi, mi sembra il minimo che posso fare per lei.»
Pochi minuti più tardi, Olimpia era sull'automobile di Carletti, che le parlava di Damiano Rossini e di come fosse soddisfatto del cambio di gestione. Lo ascoltò senza troppo interesse, mentre la portava a casa, almeno finché non le lasciò intendere di avere apprezzato la sua irruzione.
Olimpia si girò di scatto a fissarlo.
«Davvero le sono piaciuta? Credevo le avesse dato fastidio.» Erano ormai giunti nella via nella quale abitava. «Può fermarsi qui.»
«No, si figuri, la porto proprio fino a casa» le assicurò Carletti. «Sa, la figlia di Damiano Rossini è la mia fidanzata. Non potevo fare altro che schierarmi dalla sua parte.»
«Invece Rossini non le piace?»
Carletti rise.
«È questo che pensa?»
Avevano ormai superato il numero civico di Olimpia.
«Sta andando troppo avanti.»
Carletti accelerò.
«Non mi ha risposto. La avverto, però, io non sono come il mio aspirante suocero. Damiano è stato gentile e accomodante. Io, invece, non tollero le squilibrate impiccione incapaci di badare agli affari loro. Chi gioca con il fuoco si scotta, credevo lo sapesse. Eppure è venuta lo stesso ad accendere le fiamme.»
Olimpia sussultò, rendendosi conto di una terribile verità. 
«Io ero venuta là solo parlare con la donna della reception» mormorò. «Il resto è venuto per caso. Io non...» Si interruppe. Che senso aveva affermare ciò che per lei era ovvio? Lo fece comunque: «Non sapevo ci fosse lei, dietro quello che mi è successo al bar. Perché? Che cosa la spaventava di me?»
Un fremito la scosse, mentre Carletti replicava: «Non mi ha mai spaventata. Non sapevo nemmeno che giocasse a fare l'investigatrice, nel suo tempo libero. Era solo una pedina, scelta perché ronzava intorno a Vincenzo Gottardi. Potevano accadere due cose: o uno scandalo che coinvolgeva Vincenzo, oppure la tizia della reception che dichiarava di essere stata con lui quella sera.»
Olimpia cercò di rimanere lucida, nonostante la situazione.
«Che cos'aveva da guadagnarci?»
«Paola.»
«Ma stavate già insieme.»
«Avrebbe sposato Vincenzo, se non avessi fatto nulla. E non potevo accettarlo.»
Olimpia spalancò gli occhi.
«Ha tentato di uccidermi per questo?! Non poteva parlare con Paola, dirle che non voleva si sposasse con un altro uomo, seppure per finta?»
«Mi creda, non ho mai voluto ucciderla, altrimenti adesso non sarebbe qua» ribatté Giorgio Carletti. «In ogni caso no, non avrei potuto fare una simile richiesta a Paola, avrebbe capito che tutto ciò che mi importa di lei sono i suoi soldi, al cui possesso potrei avvicinarmi se fossi io a sposarla.»
«E adesso?» chiese Olimpia. «Cosa succederà?»
«È tutto nelle sue mani» replicò Carletti. «Non ha prove contro di me e io non voglio farle del male, a meno che non mi ci costringa. Penso che potremmo discurerne civilmente e decidere come gestire questa situazione piuttosto incresciosa. Vede, ho bisogno di sapere che resterà in silenzio e che non farà nulla per diffamarmi. È tutto quello che voglio da lei.»





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