CANTO XII - Ove incontrano la prima anima dell’insediamento cristiano che procede a spiegargli com’è strutturato
"Ahi te alma tarda e cupidigia"
Riprese il vecchio ad ammonirmi
"Non creder d'esser sovra ogni ligia
Sol perché ducato pe' li dintorni.
Sii stolto se speri d'essere onorato
Perché un savio te guida questi giorni:
Questi eran già infatti calendati
Affinché venissi, qualc'anno più tardi,
Non come ospite ma fra i dannati.
L'etrusco s'é carcato de li tu fardi
Umiliandosi menando l'umile aniella.
Tristo è il giorno che chi a cristo fu pardi
Sia più mertevole de chi udì la novella.
Ora va e ascolta, kyrie eleisòn."
Così congedammo quell'accorta stella
De Bisanzio che difese dal cattolico panthèon
E il mio maestro, sentendo ellena lingua
Rispuose non meno "Imus ad phlegethòn."
Or volgemmo ove la luce più rimpingua
Quei rossi mattoni dell'alveare dedalide
Ch'ascendean finché guglia altezza estingua.
Non havvi finestre, balconi o salide
Ma sol muri lisci e smaltati in pigmenti
Ch'io non capii ove entrar in tali lide
E chiesi cagion pe miei ragionamenti
A lo mio duca "Come siam passate?
Ateo son, te servisti l'olimpiche genti
E ov'è il popol de la santa civitate?"
E il duca a me "Già sai pell'esiliato:
Fortuna ebbi più da morto che in vitade
Me chiamarno profeta e dissero fatato
Poiché lesser quel passo de la pastorale
In cui poetavo d'un ritorno in divin fato
De saturnici tempi e la fine d'ogne male,
Per bimbo portato da una virgine dama
Ch'Apollo istesso istruirà sacerdotale
E il mercante dal mar la nave chiama,
Le mura non cingon più li propri beni
E il ferro cederà all'aurea trama.
Molti han creduto, de certezza pieni,
Ch'indicassi de Marc'Antonio prole
O Cesario allattato da Cleopatra i seni
Od Ottavio principe, dacché consòle,
E l'oratore Caio Asinio Pollione.
Pur li cristiani nomarno questo sole:
Chiamollo cristo e faceromi campione
D'una fede che mai vivetti a vedere.
De ciò non farti scappar la spiegazione
O non potria più ann'ar ov'ho piacere.
Di dove son tutti dirotti niente
Mira e basta" e andò incontro al mio volere:
Ei portossi ai piedi d'un rudente
Che pendea da un muro e la scosse delcato
Squillando una campana ch'era giacente
Dentro al nurago e all'opposto lato.
Rintronando il sono acuto per l'aere
Stemmo auscoltando un passo incespicato
Finché una dama ebb'a soprassedere
In cima la colonna e parvermi assai stanca.
"Virgilio, chi tu cerchi e cos'hai il volere?"
Chiese quella avvolta in veste franca.
"Compiuta" l'appellò il mio pretorio
"Ho qui chi de rettitudine manca
E molte domande ha sul purgatorio."
Quella allora se fu tutta riscossa
"Messere, che vedi è il solingo oratorio
Nel qual prego e scrivo più che possa
Lontana da ogni distrazion mondana.
Molti condividono in questa fossa
Un destino che da lungo è nostra tana
Che evitato avremmo se fatto in vita.
Qui accanto mira, nella torre subitana
È rinchiusa la moglie del santo, Margherita
Che regnò sui francesi e tutta la Provenza
E or conduce come misera eremita;
Più avanti è Libussa, dotata de veggenza
Che Praga vide pria che la fondano
E or piange questa imprevista giacenza;
Ancor tu vedrai Cristina da Pizzano,
Che fu la biografa de Jeanna d'Arco
E or scrive solo inni al buon cristiano.
Così perseguiamo il nostro giusto incarco
Finch'a librarci non verrà il noi sire
Preparando a più lauti lidi imbarco."
"Damigella" Io pregolla "Tu che non puoi mentire,
Chi vi guida in questa terra e pose tale legge?
Quanto dura questo stato e avrà mai finire?
E chi altro, se lo sai, si trova in tale gregge?"
Quella meditò a lungo e diè poi risposta
"Tu già lo sai che il cielo a noi ci regge
Ma per saper chi concretizzò l'imposta
Fu un egiziano, il savio Antonio Abate,
Cui lungamente la mi speme fu riposta,
Che per primo ordinò le masse qui affolate
E dié partizioni più strette che in terra.
Separò i devoti da genti malfamate
Per non tentarci ed esse demmo guerra.
Ci demmo ruoli per tenerci ben accorti
E tu sai che per quanto stretta serra
L'anima niente de la vita qui riporti.
Acciò noi si scrive, per tenere canoscenza
De quelle scritture che risorgono i morti
E dura è farlo, da Adamo e la semenza
Fino a Giovanni che da Patmos rivela,
Affidandosi solo alla mnemonica scienza.
Ognuno mette il genio alla tutela
E grazie a quel Biagio detto de Parma
Calcolai da quanto il mio spirto anela
Da quando ignobile membra fei disarma:
Ottocento e due anni pass'ivi a languire
E ancor molti condurrò da miserevol tarma.
Se poi voi saper se si riuscì ad uscire
Sappi ch’Antonio istesso se n’andette
Essendo il secondo ministero all’imbrunire.
E niun lo trovò nè fra le perse vette
O fra i navigli arditi oltre a noi regna.
Rimase centoquaranta volte sette
E di vederlo fui appen io degna.
C’è chi dice impazzì come il Nabucco
Ma la mente de speme trabocca pegna
Che rapito sia da un divin trabucco
Com’Elia alzato per quadriga de fuoco
Fin’a un ciel più degno de chesto ributto.
Altri spariti, se ci ragiono un poco,
Debb’esser Francesco e Chiar d’Assisi
Che restarno appena sol per gioco
Ch’io nol vidi neanche i loro visi;
Passò poi l’audace Giovanni Bosco
Che molto fe pei lavorator divisi
E illuminò il viso de fuligin fosco
Dei picciol operai de tutta Torino
E portò istruzione in ogne posto
Fin le pregioni a li spazzacamino
E nel mondo novo missionò l’Argentina;
De Alberto Hurtado fu similar destino;
La pulzella d’Orlèans, de cavalier regina,
Non ti sorprenda ch’ella sparì tosto
Più ratta de quando a Patay diè rovina
All’inglesi che la miser poi arrosto
E vileggian tutt’or pe la guerra persa.
Ancor parlerei per non tornar al losco
In cui troviamci e chi v’è riversa:
Tu ben mi vedi, de Dante fui sorella,
E Guido Cavalcanti, Lapo e Cino,
Alfani, il Bicci ed il cantor Casella.
De questi tutti alcuni le ho trovati
Altri han preso diversa navicella.
Chi altro abita non serve ti sian dati
Poiché tu stesso potrai vederne assai
All’incontro che celebriamo indaffarati
Giust’oggi e unirti anco potrai.”
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