Sandman

di trollpazzo
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Capitolo Sei

Aurora non si smaterializzò subito al distretto, ma ad Hyde Park. Ormai era notte fonda e i lampioni illuminavano di luce fioca i vialetti.

Si sedette sulla prima panchina che trovò e fece dei respiri profondi. Non poteva fingere che tutto quello che aveva visto, che aveva passato negli ultimi due giorni non l’avesse colpita. Sentiva che era solo questione di tempo prima che la consapevolezza le piombasse addosso lasciandola stordita. Era in arrivo una bella crisi…

Ma non adesso.

Per il momento, voleva solo respirare l’aria fresca notturna di Londra, ascoltare il vento che faceva frusciare le foglie degli alberi e lasciarsi riposare su quell’anonima panchina verde.

Per il momento, era solo… lei. Una ragazza seduta in un parco nel bel mezzo della notte. Non la profiler geniale che era stata licenziata dall’FBI, non Aurora Reckless che era scomparsa dalla circolazione dopo la Seconda Guerra Magica scappando anche (e soprattutto) dai suoi amici più vicini. Non Aurora Campbell, la bambina di dieci anni che ancora viveva dentro di lei, terrorizzata, tremante, affamata dell’amore del padre.

Era solo lei. Era un nessuno.

Voleva solo chiudere gli occhi e respirare.







Trovarono Jonathan nel seminterrato della casa della governante, terrorizzato, ma non incolume. Si sbrigarono a chiamare comunque i paramedici, conoscendo le condizioni di salute precarie della vittima, e questi subito caricarono Jonathan in una barella e lo portarono via.

- Quindi ha ucciso tutte quelle persone per lui, e poi ha deciso che fosse una buona idea rapirlo e rinchiuderlo. Perché? Qual è la logica? – chiese Jonah, accigliato.

- Immagino che abbia trovato Jonathan non così entusiasta degli omicidi come avrebbe dovuto essere, - rispose Harry mentre osservavano l’ambulanza che partiva. – Ma sono sicuro che Aurora ti spiegherà in maniera dettagliata il profilo psicologico della governante non appena ne avrà occasione –

Harry si aspettava che Jonah sorridesse, o facesse una battuta, o esclamasse il suo entusiasmo… Invece lo vide accigliarsi.

- Che succede? –

Quando Jonah si accigliava, si trattava di qualcosa di grave.

- Non ne sono sicuro… - sussurrò Jonah, e cercò con lo sguardo Sam, che stava ancora parlando con la polizia babbana insieme a Diana.

- Jonah? – lo chiamò Harry.

- Sapevi chi è il padre di Aurora? – chiese Jonah voltandosi di scatto verso di lui.

- Il padre…? -. Harry ripeté. – No, è importante? –

- Immagino di no… - borbottò Jonah. – Ma è importante se… -. Sospirò e scosse la testa. – Mi ha salvato la vita, prima. Aurora, intendo. Ma penso… penso che se non fossi intervenuto, avrebbe lasciato che la governante la uccidesse –

Harry si sentì gelare.

Aveva familiarità, molta familiarità con il dolore, la colpa e la stanchezza che non ti lasciano in pace neanche un momento, che ti portano a desiderare solo di poter riposare un momento… o per sempre.

Ma Aurora? Perché Aurora avrebbe dovuto portarsi dietro quello stesso dolore? E come aveva fatto lui a non accorgersene, in tutti quegli anni in cui l’aveva conosciuta?

Come se fosse difficile nasconderlo quando non vuoi che gli altri lo sappiano.

Ricordava l’Aurora di Hogwarts. Era sempre in movimento, a correre da qualche parte a combinare guai (o a crearli, se non riusciva a trovarli), in biblioteca a fare ricerche che non avevano niente a che vedere con quello che studiavano, a riempire di domande i professori finché non le intimavano di stare zitta (Piton) o le dicevano di andare nel loro ufficio a fine lezione per discutere in modo approfondito di quello che le interessava ma che non era concerne alla lezione (McGranitt).

I suoi occhi sembravano sempre carpire cose che agli altri sfuggivano, ed era snervante quando ti osservava, inclinando la testa e facendo commenti su cose che non avrebbe potuto sapere.

Chi non ne era spaventato la trovava insopportabile. Spesso entrambe le cose.

Ma aveva amici. I suoi sorrisi ampi, le sue battute pronte e la sua energia erano riusciti a conquistare Malfoy, Blaise e Pansy, anche se i tre si mostravano spesso esasperati ed imbarazzati. Ma erano sempre insieme, e quando qualcuno si arrabbiava con Aurora, gli altri tre erano lì, a spillare insulti precisi e organizzare vendette leggendarie.

Certo, Harry non l’aveva mai davvero osservata, e non la conosceva bene. Per quanto avesse passato sei anni a condividere lezioni e incontri con il gruppetto dei Serpeverde, non poteva dire di conoscerla davvero.

Ma neanche Ginny gli aveva mai raccontato niente di allarmante su Aurora che potesse giustificare un tale dolore.

La guerra? Era stata la guerra a cambiarla? O qualcos’altro?

Harry non si reputava una persona impicciona, ma quell’improvvisa rivelazione l’aveva colpito come un fulmine a ciel sereno lasciandolo con una valanga di domande.

Come posso aiutarla?

Devo aiutarla. Deve esserci un modo.

Non posso vedere morire qualcun altro.


- Chi è suo padre? – si ritrovò a chiedere. Jonah lo scrutò, come se non sapesse bene se rispondere o meno.

In quel momento, Sam e Diana li raggiunsero.

- Come state? – chiese immediatamente Sam.

- Bene, - fu la risposta automatica di Harry e Jonah. Sam fece per ribattere, ma alla fine scosse la testa, rassegnato.

- Dobbiamo compilare i rapporti del caso entro domani, potete andare al distretto a farlo subito, o occuparvene domani mattina -.

- Dov’è Aurora? – chiese Jonah.

Sam sospirò. – E’ già andata, ci aspetterà al distretto -.

- Sta bene? – Harry si ritrovò a chiedere.

Sam li osservò con una strana espressione. – Perché lo chiedete? –

Jonah aprì la bocca, la richiuse, la aprì di nuovo…

- So chi è, - disse infine. – So che è la figlia dello Scienziato –

- Aspetta, cosa? – esclamò Harry. – La figlia di chi? Del serial killer? –

Sam sembrava essere improvvisamente preso dai sensi di colpa. Si passò una mano tra i capelli, poi cominciò a guardarsi intorno, come stesse cercando una via di fuga.

- Può fidarsi di loro, - fu Diana a parlare. Fissò Sam dritto negli occhi, quasi costringendolo a non distogliere lo sguardo. – Li conosci. Ci conosci –

- Sam, - intervenne Harry. – Chi è Aurora per te?

Sam emise un sospiro esausto, e finalmente sollevò gli occhi rassegnati su di loro.

- Venti anni fa lavoravo con la polizia babbana, - rispose. – Una notte ricevemmo una chiamata, un ragazzino, uno scherzo telefonico. Mi mandarono a sistemare la situazione, a scusarmi con il padrone di casa e chiarire la situazione. Il dottore che viveva lì non riuscì a capire chi avesse fatto la chiamata, ma mi invitò dentro, mi offrì anche una tazza di thè -. Il suo sguardo divenne gelido. - Era come lo Scienziato stordiva le sue vittime: thè e chetamina. Prima che potessi berlo, una bambina si avvicinò, e mi disse di tirare fuori la pistola, o suo padre mi avrebbe ucciso -.

- Quella era… - sussurrò Jonah.

- Aurora -.

- Ha chiamato la polizia per far arrestare suo padre? – chiese Harry.

Sam annuì. – Ha salvato molte vite quella notte. Inclusa la mia –

Per qualche attimo rimasero tutti in silenzio. Sam abbassò la testa, sembrando più esausto che mai.

- Lo sappiamo, - fu Diana a parlare. – Sappiamo che Aurora è una brava persona –

- Ma certo! – esclamò Jonah. – Pensavi che le avremmo voltato le spalle solo per suo padre? –

- Non giudichiamo le persone dai loro genitori, - affermò Harry. Aveva perso il conto di quanti ragazzi figli di Mangiamorte avevano combattuto al suo fianco nella battaglia finale di Hogwarts. E quanti di loro erano morti per questo…

- Sarebbe davvero ipocrita, da parte mia, - confermò Diana. Il suo solito tono indifferente aveva una sfumatura esasperata.

Le loro parole sembrarono rassicurare enormemente Sam, a giudicare dalla tensione che lasciò le sue spalle.



Prima di rendersene conto, Aurora era nel distretto, a camminare verso l’ufficio di Sam. Gli altri Sandman non erano ancora tornati, ma a lei non importava. Riusciva a pensare solo ad una cosa. E i minuti passati sulla panchina non erano riuscita a distoglierla dalla sua decisione.

Aveva bisogno di risposte.

Aprì la porta dell’ufficio di Sam, si diresse subito verso il caminetto e afferrò una manciata di metro-polvere.

Era una pessima idea. Al momento era vulnerabile, sconvolta, arrabbiata, spaventata. Non avrebbe avuto il controllo. Non sapeva cosa sarebbe potuto succedere.

Non dovresti andare, provò a convincerla una vocina nella sua mente. Una vocina che sembrava un po’ Sam, un po’ Hermione.

Fai un respiro profondo. Riprendi il controllo. Pensaci con più lucidità.

Lo sapeva. Sapeva che era la cosa giusta da fare, la cosa migliore, la cosa sensata.

Ma… Aveva bisogno di risposte.

Entrò nel caminetto. - Bentley Psychiatric Hospital – ordinò, gettando la metro-polvere ai suoi piedi. Una fiammata verde la avvolse e presto si ritrovò ad inciampare all’ingresso dell’ospedale psichiatrico.

Non ricordò di aver parlato con Maggie, né di aver rivolto la parola al signor Stevens. Tutto era avvolto da una sorta di nebbia, finché non si trovò davanti alla porta della cella di suo padre.

- Hai dieci minuti, - affermò il signor Stevens. – Non è orario di visite, perciò sii rapida –

Aurora rispose con un gesto secco della testa. La porta si aprì e lei entrò prima che potesse ripensarci.

La cella era avvolta nella penombra, la linea rossa da non superare solo una macchia indistinta sul pavimento. Il dottor Campbell era seduto sulla sua poltrona, posa rilassata, sorriso accogliente in volto.

- Bambina mia! – esclamò, il tono caloroso, gli occhi sorridenti. – Che bella sorpresa! Come è andato il caso? –

Per un attimo, Aurora non riuscì a parlare. Per un attimo, si chiese cosa diavolo ci facesse lì, a fare domande ad un narcisista psicopatico che amava manipolare le persone e danzare attorno alla verità con labirinti di parole.

Il dottor Campbell la guardò con più attenzione. – Oh, tesoro, - si alzò dalla poltrona. – Sembri sconvolta, stai bene? –

Aurora si trattenne a stento dal ridere. – Ho delle domande -

- Ma certo -. Un sorriso disponibile, aperto. – Chiedi pure, bambina mia. Qualunque cosa –

- Cos’è successo alla ragazza del seminterrato? –

Per un momento, il sorriso si congelò sul volto di suo padre, poi lasciò andare un sospiro.

- Tesoro, lo sai, nessuno ha mai trovato una ragazza in quel seminterrato, e più di uno psichiatra ti ha già spiegato come fosse la tua immaginazione, la tua mente che reagiva alle foto delle mie vittime… -

- Ma avresti potuto liberartene, - lo interruppe Aurora. – Se fosse passato più tempo da quando l’ho trovata a quando ho chiamato la polizia -.

Il sorriso del dottor Campbell divenne sottilmente più affilato. – Domanda interessante… - disse. – Ma quale risposta stai cercando? Se ti dicessi che le tue supposizioni sono giuste, ricorderesti che sono un bugiardo cronico… Se ti dicessi che sono sbagliate, penseresti che voglio manipolarti -. Inclinò la testa, guardandola dritto negli occhi. – Dimmi, quale risposta vuoi? –

Aurora si sentì improvvisamente svuotata. Non trovava la forza neanche per arrabbiarsi.

- La verità, - sussurrò. – Voglio solo la verità –

– La verità… - il dottor Campbell annuì. – La verità è complicata, e non credo che vorresti davvero saperla –

Cosa si era aspettata? Di trovare forse suo padre, quello che Aurora bambina pensava l’amasse?

Il padre che una parte di te ancora pensa esista. Che ancora cerchi, sperando un giorno di potergli credere quando dice che ti vuole bene.

- Basta! – esclamò, e non sapeva se stava cercando di zittire suo padre o il suo stesso cervello. – Se non vuoi rispondere a nessuna domanda, me ne andrò. Uscirò da quella porta e non mi vedrai mai più! –

Il dottor Campbell non si scompose. Sembrava fin troppo calmo dopo la dichiarazione della figlia.

Aurora annuì. Il dottor Campbell non era suo padre. Era uno psicopatico che le aveva distrutto la vita.

Si voltò e bussò alla porta per segnalare che voleva uscire.

- Stai attenta, - sussurrò il dottor Campbell alle sue spalle. – I tuoi dubbi solleveranno solo più domande: se è davvero passato del tempo, cos’è successo a quella ragazza? Perché non riesci a ricordare? Cosa hai fatto tu durante quel tempo mancante? –

Il signor Stevens aprì la porta e Aurora sfrecciò fuori da quella stanza soffocante.

- Oh, tornerai! – le gridò dietro il dottor Campbell. – Sono l’unica persona con le risposte che cerchi, bambina mia! –

Il dottor Stevens chiuse la porta mentre Aurora correva via, per il corridoio, per le scale, attraverso l’ingresso e di nuovo al caminetto.

Aveva bisogno di andarsene. Aveva bisogno di allontanarsi il più possibile.



Quando Jonah, Diana, Harry e Sam tornarono al distretto, non c’era traccia di Aurora. Sam si accigliò, ma proseguì verso il suo ufficio senza dire niente e si chiuse la porta alle spalle. Nessuno provò a fermarlo.

Era stata una giornata pesante per tutti. Non vedevano l’ora di finire il lavoro burocratico e andare a casa.

Da Ginny, pensò Harry. Che è a casa, e sta bene, e il bambino sta bene, ed era solo un incubo.

Fece un respiro profondo e si sedette alla sua scrivania, cominciando a compilare il rapporto del caso e a riordinare le prove.

Stavano lavorando da circa un’ora, e avevano quasi finito, quando sentirono il suono inconfondibile di qualcuno che usciva dalla metro-polvere del caminetto dell’ufficio di Sam.

Si scambiarono uno sguardo: doveva essere Aurora.



Sam sobbalzò quando Aurora arrancò fuori dalle fiamme verdi, pallida, tremante e con gli occhi spaventosamente vuoti.

Si alzò immediatamente e le andò incontro.

- Aurora? – sussurrò. Lei sollevò lo sguardo su di lui, ma non sembrava vederlo.

Sam voleva arrabbiarsi. Voleva prenderla per le spalle e scuoterla, sgridandola per essere tornata da quel mostro che osava dichiararsi suo padre. Ma non riuscì a trovare la forza di arrabbiarsi, ed era l’ultima cosa di cui Aurora aveva bisogno al momento.

Senza parlare, si avvicinò e la strinse in un abbraccio. Per un attimo, Aurora rimase rigida e testa tra le sue braccia, poi parve sciogliersi. La tensione le scivolò via mentre lo stringeva a sua volta, cominciando a singhiozzare sulla sua spalla.

Sam le accarezzò la testa, continuando a stringerla. Voleva portare via tutto quel dolore da cui non sembrava riuscire a scappare. Voleva solo farla sentire al sicuro.

Lentamente, i singhiozzi di Aurora si calmarono, finché la ragazza non tirò su col naso, sciogliendo l’abbraccio. Aveva ancora gli occhi rossi, ma si asciugò le lacrime rimaste sulle sue guance e cercò di darsi un contegno.

- Andiamo a casa, - affermò Sam. Aurora si limitò ad annuire.



ANGOLO DEL TROLL PAZZO

Ehm ehm.

Ciao!

Probabilmente non c’è più nessuno qua, ma beh… nuovo capitolo!

Sono viva. Sono tornata. Non me la sento di fare promesse, visti i miei precedenti, ma la mia intenzione è di continuare questa storia.

L’ultimo anno e mezzo è stato… intenso. Ho affrontato il più grande trauma della mia vita, liberandomi finalmente da flashback improvvisi e panico nel bagno, ho cambiato casa trovando delle coinquiline stupende, ho cominciato a lavorare, ho quasi finito la laurea triennale, smesso di flagellarmi per come funziona il mio cervello, avuto un paio di crisi d’identità e capito cosa voglio dalla mia vita (il che comporta che dopo questa laurea ricominci da capo, ma sono felice delle esperienze che mi ha portato studiare cinese, e felice come non mai di aver finalmente capito cosa voglio davvero studiare e fare nella vita. Anche se, col senno di poi, era così ovvio che mi sento stupida. La me di otto anni mi sta giudicando male al momento. Ma meglio tardi che mai!)

Ho anche perso il mio gatto. Una gattina di un anno e mezzo, mia e delle mie coinquiline. Un mese fa circa abbiamo scoperto che era malata, ed è andata sempre peggio da lì in poi. Abbiamo fatto tutto il possibile, ma siamo riuscite a regalarle solo una settimana in più di vita. Per una serie di impegni familiari, ho anche perso il giorno in cui l’hanno dovuta portare dal veterinario per farla andare via senza soffrire, e sono ancora nella fase dell’auto flagellamento per questo. Il che significa che la mia insonnia è peggiorata di nuovo (non che se ne sia mai davvero andata) il che mi ha riportato qui. A trovare il tempo e la voglia di mettere insieme i frammenti che avevo di questo capitolo e pubblicarlo. Perciò… beh, almeno una cosa buona ne è uscita!

Ma davvero, questa storia è ufficialmente il mio coping mechanism ed è molto importante per me, mi ha aiutato e continua ad aiutare nei momenti peggiori. Mi dispiace molto per il ritardo terrificante, però!

E mi dispiace anche per aver reso l’angolo di nota della scrittrice più lungo del capitolo…

Sproloqui sulla mia vita a parte, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e che sia valso almeno un po’ la pena di aver aspettato così tanto!

Ogni recensione, ogni visualizzazione, mi scaldano il cuore, davvero. Perciò grazie a tutti!

Spero a presto!





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