~Mors
[Guida alla lettura:
questa fan fiction è stata per me la più grande
sfida. Caius non è un personaggio che mi piaccia
più di tanto, anzi, lo trovo molto animale e quindi un
po’ privo di spessore psicologico quindi mi è
risultato difficile, molto, scrivere su di lui. Ho ipotizzato che lui
fosse l’assassino di Didyme, come tutte le perone come lui
è usato da Aro.
La storia affronta due argomenti distinti: la presa di coscienza della
morte come qualcosa di ingiusto e il riconoscere che nessuno
è veramente immortale. Da qui si rende conto che forse
l’unico modo per non soccombere alla morte è
morire; desiderare di morire, per non essere debole o, per lo meno, di
non fingere di non esserlo con se stesso –è
complicata come cosa-. Ho inserito molte volte il soggetto
“IO” anche se poteva benissimo essere
sott’intesto; il fatto è che vedo Caius molto
egocentrico, quindi propenso a sottolineare la sua persona.
Alla fine però credo di aver riportato sulla scena il
vecchio Caius, dittatore e prepotente. Buona lettura]
Ultimamente
mi dedico un sacco di storie.
Il mio Ego continua a gonfiarsi, gli ho dato un nome, sapete?
Si chiama Pallino.
Non gli piace molto.
Comunque la storia me la dedico.
Perché tutti abbiamo una maschera, il fatto
è quello di riuscire a recitare bene la parte.
Caius lo fa.
Io lo faccio.
Per quanto idiota possa essere... bhé, un po' mi assomiglia.
E'
l'uomo colui che veramente teme la morte? E' veramente lui l'essere che
più ne è atterrito, al punto tale da ricercare in
modo spasmodico l'antidoto? L'antidoto per la morte, questo veleno
impossibile da debellare, che colpisce il mortale con la sua spada nera
e tagliente.
Io sono un immortale; io, Caius, non temo la morte, non cerco di
scapparne, di sgusciare via dalle sue mani sottili e stritolanti. No,
non faccio niente di tutto questo. Per un semplice motivo: sono
già morto da troppo tempo.
Eppure non faccio che tremare.
Continuavo a chiedermi come fosse possibile che tutto si potesse essere
risolto in modo così semplice. I problemi, le preoccupazioni
di anni spazzati via in pochi attimi; i discorsi, le litigate gettate
nel fuoco insieme ai resti di quella povera ragazza.
Era morta, era stata uccisa e tutto si era risolto. Ironicamente
macabro.
Non riuscivo a rimanere in quella stanza, mentre Aro continuava a
parlare e consolare Marcus, quel bozzolo che ne era rimasto; non
riuscivo a sopportare il peso che aleggiava in tutti gli ambienti nei
quali ero rinchiuso.
Il masso che schiacciava tutti sembrava gravare unicamente su di me;
dovevo uscire e fuggire, almeno per poco, almeno per non impazzire.
Senza dire nulla scansai la tenda che copriva la porta, mentre una
sensazione di soffocamento mi attanagliava la gola e sembravo affogare
tra il tessuto rosso. Ne uscii di colpo, respirando a fatica e, senza
guardarmi dietro, iniziai a camminare velocemente.
Mentre mi avvicinavo all'uscita il rumore dello scrosciare dell'acqua
mi giungeva sempre più forte ed insistente, una volta fuori
mi accorsi veramente di quanto la tempesta potesse essere potente.
I rivoli di acqua, sempre secchi o maleodoranti, ora gorgogliavano,
trascinando via questo fiume in piena che si era venuto a creare.
Mi guardai intorno scocciato poi, dopo aver tirato il cappuccio nero
sui miei capelli, mi incamminai verso l'unico posto che ero sicuro di
trovare vuoto e, soprattutto, capace di ristorare la mia coscienza;
che, come una ferita cosparsa di sale, pulsava dolorante e prepotente.
L'odore che mi accolse nella cattedrale mi fece trasalire: morte. Non
riuscivo a liberarmene, quella dama nera voleva continuare un ballo che
io avevo deciso di abbandonare da molto tempo.
Fui quasi tentato dall'uscire e scappare, abbandonare questa cittadella
infernale; eppure, qualche strana forza mi trattenne, spintonandomi
verso la navata laterale.
Passai accanto alle vetrate semplici e poco lavorare, attaccate dalla
forza della pioggia, di quelle gocce prepotenti e dittatoriali.
Le candele emanavano una luce tremolante e insicura, alcune, con la mia
entrata, si erano spente, soccombendo al vento che soffiava, una voce
tenebrosa che accompagnava il soprano dell'acqua.
Giunsi nella stanza dietro la cappella seguendo questa strada di cera;
la porta grossolana era appena accostata, la spinsi leggermente,
facendo scivolare via dalla mia testa il mantello e entrando in quella
camera, proprietà di chi problemi come il mio non ne
avrà più.
Guardai la piccola figura avvolta in un telo bianco, gli occhi e la
bocca socchiusi, un leggero sorriso a solcargli il volto pallido
-quanto il mio-.
Era un bambino, piccolo, innocente e morto.
Boccheggiai senza capirne il perché: io, Caius, non avevo
mai avuto problemi del genere. Uccidevo, conoscevo la
gravità dell'azione, ma, nonostante tutto, non riuscivo a
farne al meno.
L'uccisione di qualcuno porta sempre a qualcosa: potere, soldi, amore.
Tutto, in qualche modo, scaturisce dalla morte.
Si nasce per sostituire chi muore, ci si nutre uccidendo, si respira,
si vive, si sogna uccidendo.
Mai avrei creduto che la morte fosse ingiusta. Che
potesse colpire qualcuno innocente, togliere senza dare.
Mi sentivo sporco, lurido come mai in secoli di esistenza. Non riuscivo
neanche a guardare le mie mani che subito si cospargevano di sangue
immaginario -vero fino a pochi giorni prima-.Le orecchie si
riempivano di quegli strepiti, che, come una frustra, mi colpivano
dritto in quella parte di me che credevo di aver perso: l'anima.
Didyme era morta, ed io l'avevo uccisa.
Didyme era morta, proprio come quel bambino davanti ai miei occhi, che
sembrava dormire; caduto in un sonno piacevole, in balia di maree dolci
e carezzevoli.
Ed un coltello mi colpì, affondando nella carne della mia
coscienza.
Ero io un assassino? Vero e crudo? Ero io, immortale, la morte stessa?
Cieca e indiscutibile; vendicativa e ingenua. Morte.
Tremai, guardandomi intorno agitato, il respiro divenne più
corto, non riuscivo a pensare a nulla se non alla mia colpevolezza.
Come un mostro, di una mitologia lontana ed antica, questa era riemersa
dal mare di indifferenza che mi circondava ed ora, feroce e aggressiva,
mi mordeva, lacerava, distruggeva.
Fui costretto ad accasciarmi, caddi in ginocchio –sintomo di
debolezza umana e spregevole- e chiusi gli occhi, desiderando una sola
cosa: morire.
Volevo morire, scomparire, io, l’uomo dal carattere di
pietra, dal cuore di marmo, io, Caius! L’insensibile animale,
volevo scappare da tutto questo.
Coscienza.
Sfiorai il volto placido del bambino, rabbrividendo. In quella stanza,
apparentemente dimenticata da tutti, stavo finalmente rivelandomi per
quello che ero: un debole.
Un piccolo giunco scosso dal vento, che è costretto a
piegarsi, a rimpicciolirsi per un unico e solo sentimento: paura. E
mentre la raffica continua a percuotermi, a sballottarmi, ho il terrore
di essere strappato, sradicato dalla mia vita; per essere sollevato e
poi riposto in un luogo sconosciuto, adagiato in prati lontani, esanime
e morto.
Mi alzai da terra, un moto di rabbia mi invase le vene, le
assoggettò al suo volere, costringendomi a ringhiare
furioso. Io non potevo essere un debole. Io non potevo avere paura.
Ma la Morte, oh sì!
La Morte, quella donna dai lunghi capelli neri e demoniaci, io la
temevo.
Perché io sarei dovuto soccombere ad una così
folle fobia?
Perché avrei dovuto tremare di fronte ad essa?
Non ero forse io stesso un immortale? Non ero la testimonianza della
sua di debolezza, della sua incapacità?
Io ero immortale, ero il negativo della Morte, il suo annullamento, la
sua paura stessa.
Eppure, non era questo bambino il più grande sfregio ad
essa?
Con il suo volto candido, il sorriso disteso, come il riflesso di una
vita passata a vivere, e basta. Senza preoccupazioni, senza timori.
Semplicemente vita. La brezza d’estate che entra nelle
narici, le assuefa, le rende schiave, dolcemente, però, con
grazia. La neve che cade leggera per le strade, ricoprendole di una
bianca mantella, come quella delle bambine. Un milione di cose che
avevo scordato e che rivedevo ora nel viso di quel piccolo umano.
Ma lui era destinato a morire; lui era mortale. Lui. Non io.
Poiché la
certezza della morte è l'unico segreto che conosciamo a
proposito di tutti i nostri simili e di noi stessi, anche se,
intimamente, non riusciamo a credere in questa fatale prospettiva.
Noi cerchiamo di scampare ad essa, ci nascondiamo dietro nuvole di
sicurezza e folle ignoranza, eppure, questa arriverà a
prenderci.
Tutti, senza esclusione.
Perfino me.
Perché in quel momento, mentre la pioggia continuava a
scendere, in un’orchestra di suoni potenti e rumorosi, mi
resi conto di quest’unica e semplice verità:
l’immortalità non esiste.
Tutti, alla fine, sono costretti a ritornare in quella sala da ballo
che è la Morte, a prenderla per mano e continuare quel
valzer infernale, fatto di note stonate e pericolose, nocive. Verremo
rinchiusi in quella stanza, per l’eternità;
perché dovremmo saperlo, l’unica cosa eterna
è la morte.
Vedremo il suo vestito lussuoso volteggiare, il suo ghigno darci il
benvenuto, le sue mani accarezzarci, le sue labbra baciarci.
Moriremo; senza esclusione.
Mi fermai, di nuovo; oramai singhiozzavo, accasciato a terra.
Credete che ad un cieco piaccia riacquistare la vista? Ritrovarsi
nuovamente lo schifo del mondo davanti agli occhi, la luce del sole
accecarlo?
Io no. Penso che il buio sia molto meglio, là, tra le
tenebre dell’ignoranza, si vive tranquillamente, si
più fingere, si può lasciar correre affianco
anche la Morte; si può far finta di non vederla.
Forse la vera soluzione a tutta questa angoscia era anticipare le mosse
di quella giocatrice?
Sacrificare la regina per salvare il re?
Inizio a sentire il suo
richiamo. Morte! Sì, ti sento!
Potevo veramente continuare ad esistere con questi fardelli? La
Coscienza e la Paura?
Mi aggrappai a quelle coperte grezze, il peso del bambino le teneva
ferme; una volta in piedi iniziai a camminare lentamente, osservando
gli oggetti semplici e scialbi che mi circondavano. Non erano molti, ma
tutti, indistintamente, trasudavano quell’unica Padrona.
Spalancai la finestra, quell’odore mi stava soffocando, anche
lui; tutto, in quel momento, mi sembrava troppo. Mi sentivo stanco, ad
un passo dalla fine. Sfinito.
Avrei potuto chiedere, lo avrei potuto fare. Chiedere la morte, oppure,
più eroicamente, trovarla e non scansarla, magari recitando
di odiarla, ma, in verità, correndo incontro alle sue
braccia, per lasciarmi stringere.
Come con un’amante, la quale si nega davanti alla propria
coniuge ma che nel letto proibito si ama, intensamente e senza rimorsi.
Esatto, volevo affogare nelle forme di quella donna lussuriosa, volevo
cibarmene e farmi mordere allo stesso tempo, volevo abbracciarla e
farmi soffocare dalla sua stretta, dai suoi baci, da lei.
E dimenticare, sì, dimenticare tutto.
Per un attimo Caius, quel Caius bramoso di potere non voleva altro che
divenire un debole o, perlomeno, esserlo senza preoccupazioni.
Perché me ne ero accorto pure io, senza troppi problemi, se
non per il mio orgoglio, che io, in quella ragnatela che era Volterra
non ero altro che il filo; il vero predatore, il ragno, il padrone, era
un altro: Aro.
La pioggia entrò, in un turbinio, mista alla grandine e alle
foglie, strappate dalle loro dimore; queste ballerine aggraziate
volteggiarono in aria, depositandosi poi a terra ed in parte sul corpo
del morto lì vicino.
Rimasi fermo, lasciandomi accarezzare da quelle gocce prepotenti e,
allo stesso tempo, carezzevoli. I capelli bagnati si attaccarono al mio
viso coprendomi gli occhi. Finalmente potevo non vedere.
Sospirai e rimasi così: gli occhi chiusi, pensieroso.
Veramente avrei voluto essere in quel modo: senza
possibilità di rivalsa; definitivamente e totalmente morto?
Avrei lasciato a quel folle il potere su tutto? Avrei potuto
abbandonare la mia partita, la scacchiera che io avevo creato, che io
avevo ideato?
Ce l’avrei potuta fare?
Dolce bambina, ti sei persa?
Io non voglio aiutarti,
vattene!
No! Io non potevo fermarmi davanti alla paura, a quel sentimento tanto
vile.
Lo scoscio dell’acqua mi invase le orecchie e
conquistò il mantello, appesantendolo, facendolo aderire al
mio corpo.
Le candele, l’infinita distesa di luce che mi aveva dato il
benvenuto nella stanza, ora erano dimezzate; le fiammelle tremolanti si
chinavano alla potenza del vento, alla sua volontà.
Ero come la fiamma di una candela, io? Così infimamente
inutile?
Oppure ero la pioggia, la tempesta? Impetuosa, potente e vincente.
Volevo continuare a sorseggiare la vita, come con un vino stantio,
arricciando il naso o, al contrario, berla tutta d’un fiato.
Viverla senza paura, senza timore.
Potevo ritornare a credere di essere veramente e totalmente immortale?
In un moto istintivo passai le mani su uno stoppino e misi fine
all’agonia di quel piccolo fuoco.
Uno.
Bastava dimenticare. Scordarsi di quella notte, di quei pensieri.
Lasciare che la coscienza se ne andasse.
Altro passo, altra candela.
Due.
Didyme era morta per un motivo: era morta per il potere. Non
ingiustamente, affatto. La sua morte era la mia vita, e si sa, in
natura vince più forte; il fatto era solo questo.
La stanza ormai oscura preservava le sue ultime luci con cupidigia,
negli angoli più remoti. Le raggiunsi.
Tre.
L’indice ed il pollice schiacciarono la piccola fiammella. Il
fumo iniziava a spargersi nell’aria, l’odore di
incenso si fece più forte.
Dalla fine nasce sempre qualcosa, forse meno nobile, ma pur sempre
qualcosa.
L’unico modo era scordare, aspettare che il rimorso divenisse
come il fumo, per poi sparire.
L’ultima luce mi guardava impaurita. Un attimo.
Quattro.
Io non sarei morto.
Caius, come mai tremi?
[Noticina: Tutte
le voci di lato possono essere interpretate con quella di Caius,
l’ultima, invece, l’ho pensata come quella di una
donna ;)]
Angolo autrice:
Oh, sì *w* la mia adorabile zitella stitica è
arrivata seconda al contest di storytellerlover Lullaby
of Death a pari merito con Gaara92.
Precisiamo moooolte cose:
1- Amo e Odio caius, lo faccio in modo... non so neanche io come,
ma lo faccio.
2- la storia si basa sulla mia teoria: nessuno è immortale.
3- Tutti hanno paura, tutti sono deboli.
4-Nonostante possa considerarsi come un insensibile e orredno vampiro
credo che anche lui abbia paura di morire. O meglio, abbia paura di
Aro; sì, una cosa del genere.
5- Non sono riuscita a renderlo malinconico. Oh, ya, lui è
tutto tranne che malinconico.
Oh, ya. Ora vi lascio ai giudizi, smetto di rompervi perché
la storia credo ci sia già riuscita.
Eccoli qui, tutti per voi, i giudizi.
II classificata:
Mors di princess of vegeta6
Frase scelta: La certezza della morte è
l'unico segreto che conosciamo a proposito di tutti i nostri simili e
di noi stessi, anche se, intimamente, non riusciamo a credere in questa
fatale prospettiva.
Personaggio sorteggiato: Caius
Correttezza grammaticale e sintattica(ortografia):
14/15 punti
Stile e forma: 7,5/7,5+ 6,5/7,5= 14/15 punti
Originalità: 9/10 punti
Caratterizzazione del vampiro/a: 8,85/10 punti
Contestualizzazione del personaggio umano: 4/5 punti
Attinenza alla traccia e alla frase scelta:
7/7,5+7,3/7,5= 14,3/15 punti
Giudizio personale: 5/5 punti
Per un totale di 69,15/75 punti.
Correttezza grammaticale e sintattica(ortografia):
Dal punto di vista sintattico non ho trovato nessun errore, quindi
posso dire di essere davvero soddisfatta. Ho trovato solo due errori di
grammatica, le virgole andavano veramente bene, quindi, ho assegnato un
bel punteggio.
Stile e forma: Lo stile è davvero bello.
È fluido e scorrevole per tutto il testo e devo dire che sei
stata davvero molto brava. Complimenti, non mi capita spesso di dare il
massimo punteggio nella voce “stile”. La forma
andava bene, anche se ho trovato delle espressioni a volte un
po’ poco adatte. In ogni caso il punteggio è
ottimo^^.
Originalità: Parametro ben rispettato. Mi
è piaciuta soprattutto la parte che si svolge nella chiesa,
poco prima che Caius entri nella camera mortuaria.
Caratterizzazione del vampiro/a: Hai sviluppato una
buona analisi del personaggio. Il flusso di pensieri è
veramente curato e ben articolato. Il personaggio è
analizzato in ogni singolo particolare. L’ho trovato tuttavia
un po’ OOC perché, nonostante la situazione
dell’assassinio di Dydime come premessa, appare
effettivamente troppo provato. Sarebbe stato meglio sviluppare il senso
di colpa fin dall’inizio e poi introdurre il tema della morte
una volta che si entra nella camera mortuaria. L’ho trovato
per così dire eccessivamente terrorizzato.
Contestualizzazione del
personaggio umano: Molto bene anche in questo caso. La
descrizione è stata fatta molto bene. L’unica
pecca, secondo me, è che potevi sfruttarlo un po’
di più. Molto bene in ogni caso.
Attinenza alla traccia e alla frase scelta: molto
buono il primo parametro. Davvero bene, sul serio. Anche in questo caso
manca il finale, cioè il momento in cui lui dimentica le
riflessioni fatte, ma per il resto mi trovo molto soddisfatta.
L’unica cosa che devo sottolineare è il fatto che
il flusso di pensieri è stato un po’ sviato da
quelle che erano le richieste. In alcune parti sembra quasi che Caius
abbia delle credenze mistico religiose. Il flusso di pensieri sulla
morte, doveva iniziare solo nella camera mortuaria. La farse scelta
è stata trattata molto bene.
Giudizio finale: Una storia molto bella. Consiglio a
tutti di leggerla. Scritta benissimo, fluida e interessante. La trama
è semplice quanto bella e interessante, il personaggio, o i
personaggi, coerenti con se stessi e con gli avvenimenti narrati.
Descrizioni sottili ma efficaci, con un tocco noir ed elaborato.
Complimenti.
Banner *O*
Come sempre: au revoir!
Spero in un vostro parere.
Notizia inutile: La scuola è iniziata. Odio la scuola. Pure
voi?
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