Il minuto sbagliato
Disclaimer:
Haikyuu! non mi appartiene e io non ci ricavo
neanche uno
zellino.
Il
minuto sbagliato
La
sveglia suonò come di consueto alle 6.43.
Era
un’abitudine ridicola, nata quasi per scherzo durante una
delle
loro lunghe chiacchierate al telefono, quando ancora avevano la testa
piena di compiti in classe, allenamenti ed esami ma al tempo stesso
ancora abbastanza vuota da potersi permettere di ridere sul minuto
sbagliato in cui la fastidiosa suoneria di entrambi gli smartphone
gli dava il buongiorno. Molto stupidamente Tetsurou –
ovviamente –
aveva insistito perché ognuno impostasse la suoneria
dell’altro. E
se del tutto privo di fantasia Kei aveva scelto un'inaspettata
– ma
al tempo stesso prevedibile – colonna sonora di Jurassic
Park,
Tetsurou aveva fatto sì che per anni la sveglia del biondo
fosse una
discutibile versione remix – ancora peggio
dell’originale –
della Caramelldansen. E quando Kei aveva obiettato che l’uso
di
personaggi tipici degli anime era solo un modo per confondere le
acque, visto che l’originale era svedese, Kuroo aveva
ribattuto che
lui era sufficientemente biondo per poter sopportare la musica
svedese.
Kei
aveva sbuffato, ma ogni volta che si era ritrovato costretto a
cambiare telefono, la sveglia veniva sempre impostata alle 6.43 e vi
associava il file che anni prima Tetsurou gli aveva scaricato nel
telefono e di cui Kei non si era mai liberato.
Non
che il biondo non avesse ricambiato il favore, impostando sul
telefono dell’altro il suono prima di un ruggito giurassico e
poi
del gracidio di una rana che avvisava Tetsurou
dell’identità del
mittente dei messaggi ricevuti.
Kei
agguantò lo smartphone, storcendo le labbra alla vista del
vetro
protettivo leggermente crepato prima di posticipare la sveglia di
altri sette minuti, altra abitudine scema che si portavano dietro da
quando erano due ragazzini.
Si
strofinò gli occhi, rimanendo a guardare inerme il soffitto,
lo
sguardo concentrato a osservare il lampadario argentato dai contorni
sfocati che non era mai riuscito a vedere veramente, tranne il giorno
in cui l’avevano comprato. La stanza sarebbe stata immersa
nel buio
se non fosse stato per uno sciocco vezzo che si erano regalati anni
prima: un orologio fatto con un vecchio disco in vinile a cui avevano
fatto ritagliare il profilo di un gatto che osservava la luna e che
cambiava colore grazie alle luci a led. Nonostante la luce, leggere
l’ora con le lancette nere era
impossibile, ma da che l’avevano appeso, non era mai stato
spento.
Kei
allungò il braccio sul comodino afferrando quel telecomando
mai
utilizzato e premendo per la prima volta il tasto dello spegnimento.
Non aveva senso che continuasse a rimanere acceso, lui senza occhiali
non avrebbe visto nulla e non c’era nessun più
altro in quella
stanza che avrebbe gradito un po’ di luce per non inciampare
nel
letto e trattenere le imprecazioni durante la notte. Non
c’era più
nessuno che lo costringeva ad alzarsi sdraiandosi addosso a lui e
facendogli indossare gli occhiali con gli occhi ancora chiusi
perché
voleva che non si perdesse nemmeno un secondo di quella vita che
iniziava con il suono delle loro stupidissime sveglie. Non
c’era
più un’altra sveglia stupida che suonava insieme
alla sua, le
battute sceme e quei piccoli rituali che si erano costruiti nel corso
degli anni e consolidati solo da quando – per ovvie ragioni
anagrafiche – Kei aveva appeso le scarpe da pallavolo al
chiodo e
aveva fatto richiesta per andare a lavorare al Museo di Storia
Naturale di Tokyo.
Non
c’era più niente di tutto ciò
perché Kuroo Tetsurou non viveva
più con lui e Kei Tsukishima si era ritrovato costretto a
iniziare
le sue giornate da solo.
Kuroo
era stato gentile e gli aveva lasciato la casa, lui ne aveva
già
preso un’altra in affitto finché non si fossero
sistemati. Il come
non l’avevano ancora deciso, ma in fondo era passata solo
qualche settimana
da quando il moro aveva chiuso l’ultima valigia e aveva
salutato
Kei chiudendosi la porta di casa loro alle
spalle. Gli aveva preso il volto dal mento con una mano,
l’aveva
osservato con uno sguardo denso e penetrante, quasi volesse
imprimersi il volto di Kei nella memoria. Sembravano tutti e due sul
punto di dire qualcosa, ma alla fine nessuno aveva aperto bocca. Non
sarebbe servito a nulla.
I
primi segni che qualcosa non andava si erano presentanti
l’anno
prima, in modo così stupido che nessuno dei due ci diede
peso. Era
stata colpa di una lavatrice, o meglio, di un maglione leggero con lo
scollo a V che Kuroo amava indossare quando andava a giocare a golf
con i suoi colleghi. Sì, era ridicolo come dei maniaci della
pallavolo avessero iniziato a giocare a golf, ma Kei l’aveva
preso
bonariamente in giro per parecchio tempo. Era rimasto sul fondo del
cesto della lavatrice, nessuno dei due se ne era accorto,
finché un
giorno, quando Kei era tornato a Sendai per fare un saluto alla sua
famiglia, Tetsurou non gli aveva mandato un messaggio alquanto
indispettito sul fatto che l’altro volontariamente
non
gli avesse messo da lavare il maglione nell’ultimo bucato.
Kei gli scrisse una veloce risposta piuttosto caustica e piccata,
prendendolo come uno dei loro soliti bisticci e punzecchiamenti, ma
quando tornò, il moro sembrava essersela legata
particolarmente al
dito. Non servì molto fargli notare che anche lui era dotato
di mani
e che poteva farsi da sé il bucato o scegliere un altro
maglione.
Rimasero offesi l’uno con l’altro per circa un
giorno e mezzo,
poi tutto sembrò tornare alla normalità, ma con
il passare del
tempo le prese in giro sul golf divennero sempre meno bonarie,
cariche di un rancore che stava cominciando pian piano a insinuarsi
nelle loro vite.
Il secondo strano episodio nacque quando Kei, tornando a casa dopo
una giornata particolarmente difficile a lavoro dove non si
riuscivano a far quadrare i conti per poter aprire e garantire
l’apertura di quattro nuove sale della mostra permanente a
cui Kei
aveva dedicato il proprio tempo da che si era trasferito, aveva
trovato i resti di una cena bruciata incrostati a una padella
abbandonata nel lavandino e il sacchetto del kombini in cui andavano
di solito, abbandonato con mala grazia sul tavolo. Dentro un sandwich
schiacciato e una crostata con una fragola ridotta in poltiglia. Kei
sentì un moto di rabbia impossessarsi di lui al pensiero che
Tetsurou quel giorno era rimasto a casa da lavoro e l’unica
cosa
che era stato in grado di fare era lasciargli una cena bruciata (e
una padella da lavare) e un panino disgustoso. Ovviamente di Tetsurou
neanche l’ombra perché quella sera c’era
la cena del Nekoma –
o quanto meno, di chi ancora era nei paraggi – e Kei, con
stizza e
sdegno, buttò tutto nella pattumiera prima di andare a letto
senza
preoccuparsi né di bere né di mangiare. Voleva
che Kuroo, una volta
tornato a casa, vedesse che fine avesse fatto quello schifo di cibo
che gli aveva lasciato sul tavolo a fare la muffa.
La mattina dopo Tetsurou, che aveva dormito sul divano
perché
probabilmente era troppo brillo per riuscire a raggiungere la camera
da letto, gli chiese come mai avesse buttato tutto e Kei rispose
scocciato che l’odore non lo convinceva, forse per colpa
della
puzza di bruciato rimasta in casa.
La cosa, quella volta, iniziò a finì
lì, anche se la padella non
venne lavata per giorni.
Kei
riusciva a ricordare benissimo il giorno in cui con Tetsurou aveva
pianificato quello che sarebbe venuto dopo. Aveva appena compiuto
trent’anni, non era certo vecchio, ma pur giocando in seconda
divisione gli allenamenti richiedevano sempre più tempo e le
giovani
nuove promesse della pallavolo scalpitavano. Certo, non come per
entrare nei Jackals, ma comunque anche i Frogs non passavano
così
inosservati. Erano diventati forti e a Kei piaceva pensare di esserne
stato un po’ il co-autore. Avrebbe continuato a giocare
ancora un
po’, ma la sua caviglia destra da un po’ cominciava
a dargli
problemi e dopo l’ultima distorsione i suoi legamenti erano
diventati completamente lassi e quando, svegliandosi la mattina, si
era reso conto che stiracchiarsi gli provocava dolore, aveva capito
che era arrivato il momento di dedicarsi con tutto se stesso ai suoi
fossili e all’uomo a cui doveva buona parte di quello che
aveva
fatto nella sua vita. Sicuramente a livello sportivo. In fondo, i
Frogs, erano diventati forti perché Tetsurou gli aveva
insegnato a
essere un centrale forte.
“Sei
serio?”
“Ti
sembro in vena di fare scherzi?”
“Tu
non sei mai in vena di scherzi, al massimo rispondi con una battuta
ironica al vetriolo che capiscono in due – io e te
– e
generalmente nemmeno non sono molto sicuro di capirla.”
“Vedi
che ti sei dato dell’idiota e risposto da
solo?”
Kuroo
gli sorrise, a dimostrazione di quanto aveva appena detto.
“Cosa
pensi di fare?”
“Ho
mandato il curriculum, alcune lettere di raccomandazione e ora
aspetto.”
“E
se non ti chiamassero?”
Kei
gli rivolse un sorriso.
“Sarebbero
degli idioti a non farlo.”
E
in
effetti, dopo qualche settimana, Kei ebbe quel colloquio al Museo di
Storia Naturale di Tokyo e poco dopo, un contratto pronto da firmare
per trasferirsi all’inizio del nuovo anno, il tempo di
ultimare i
progetti che stava seguendo a Sendai e – finalmente
– cercare
insieme a Tetsurou una casa. La loro casa.
Non
fu una ricerca molto lunga, per loro fortuna un conoscente
dell’agenzia immobiliare appena appena messo in vendita la
casa
della madre e loro furono i primi a vederla. Era una casa abbastanza
vecchia ma ben tenuta, una camera da letto piuttosto grande, bagno
ridotto ma funzionale, un salotto e un cucino lungo e stretto
adiacente. Insieme all’ingresso era forse la più
grande delle case
che avevano visto… pur non essendo una reggia, non
riuscivano a
togliersela dalla testa. E così avevano deciso di comprarla.
Insieme.
Acquistarla
fu stressante, renderla casa loro fu invece uno dei periodi
più
assurdi ma divertenti (anche se non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno
sotto tortura) della sua vita. I mobili erano moderni e assolutamente
normali, ma il loro tocco si vedeva nelle piccole cose: soprammobili
e immagini di gatti e
lune sparsi
ovunque, dalle tazze ai soprammobili, e qualche inevitabile ranocchio
(e uno con una corona d’oro e la scritta una
volta ero un
principe, poi Tsukki mi ha baciato che
gli aveva regalato Tetsurou la mattina dopo la prima notte che
avevano trascorso nella loro casa. A colazione, accanto al natto, Kei
aveva trovato quell’assurdo salvadanaio che era diventato il
suo
soprammobile preferito… dedica compresa).
Avevano
scelto dei lampadari assurdi, più per decorazione che per
altro,
visto che la maggior parte del tempo c’erano sempre accese le
luci
di Natale che non toglievano mai. Trecentosessantacinque giorni
l’anno facevano bella mostra in quei pochi metri quadrati
delle
strane decorazioni di Natale di dubbio gusto, ma Kei non era riuscito
a protestare a quel tocco personale scelto da Kuroo: avevano iniziato
a frequentarsi veramente durante il Natale del secondo anno di liceo
di Tsukki, e quindi erano rimasti legati a quella festa.
C’erano le
coppie che avevano la loro canzone,
loro – grazie al Natale - avevano a disposizione intere
discografie
a tema. Ogni anno ridevano davanti a quel All I
want for
Christmas is you ma
in fondo,
era da anni che il loro desiderio era sempre realtà e ben
presto
divenne quotidianità.
Innamorarsi
quando si è così giovani è difficile,
ancora più difficile se si
vive a quattrocento chilometri di distanza, però loro erano
sempre
riusciti a trarre forza da quella separazione. Anzi, a volte, a
ripensarci - a letto, nudi senza nemmeno un lenzuolo a coprirli
perché che senso avrebbe avuto quando fuori faceva
così caldo e il
pudore tra loro era solo un vecchio ricordo legato a due adolescenti
– si ritrovavano d’accordo che forse questo gli
aveva permesso di
non bruciare le tappe e vivere al massimo i pochi momenti passati
insieme perché chissà quanto sarebbe passato fino
al prossimo
incontro.
Kei
adorava dormire su un fianco mentre Tetsurou non aveva mai smesso di
cercare di soffocarsi con i cuscini che erano anche il suo
parrucchiere di fiducia. A volte il moro si svegliava prima delle
6.43 e rimaneva a osservare l’uomo che dormiva accanto a lui,
le
labbra leggermente socchiuse, l’espressione finalmente
distesa e
rilassata, priva di quel tipico cipiglio irritato che indossava come
maschera ogni volta che usciva di casa. Era la sua corazza e Tetsurou
si sentiva sempre un eroe nell’essere riuscito a perforare
quell’armatura e far breccia nel cuore del biondo.
Il
passare del tempo però spesso gioca brutti scherzi e quello
che un
tempo era un pretesto per ridere insieme, avere l’ennesimo
pretesto
per toccarsi e sfiorarsi fino a saltarsi addosso, ora era solo un
lontano ricordo.
A
Tetsurou avevano sempre dato fastidio i piedi gelidi di Tsukki, fin
da quanto erano dei ragazzini ma, puntualmente, quando dormivano
assieme, con la scusa di riattivargli la circolazione, il moro si
infilava sotto le coperte iniziando a sfiorare, carezzare e baciare
ogni singolo lembo di pelle che incontrava, quasi lo stesse venerando
(anche senza il quasi).
Ovviamente
la sua bocca si fermava fin troppo spesso a mordere le gambe di
Tsukki, soffermandosi soprattutto sull’interno coscia, stando
ben
attendo che i segni di morsi e succhiotti rimassero ben nascosti al
di sopra dell’orlo dei pantaloni da pallavolo che
l’altro
indossava. Da che poi il biondo aveva smesso di giocare, Tetsurou non
si era fatto più remore e non esitava a marchiarlo come suo
senza il
minimo pudore. Era delizioso vedere Kei contorcerci per il piacere e
supplicarlo – sempre con un tono molto poco accondiscendente
– di
’smetterla di
fare il coglione e usare quella
bocca in modo decente’.
E Kuroo, con i suoi
soliti sorrisi beffardi, lo accontentava fino a che non si ritrovava
con le gambe di Tsukki che gli circondavano la vita e i piedi freddi
sulla schiena che lo spingevano sempre più a fondo dentro di
sè.
Oppure se li metteva lui di sua iniziativa sulla spalle o intorno al
collo nei giorni in cui era particolarmente bisognoso e si ritrovava
ad affondare con decisione del corpo di Kei che – nonostante
tutto
– adorava quel lato più selvaggio e istintivo di
Tetsurou. I
gemiti che era in grado di produrre erano musica per le orecchie di
Kuroo che sempre più eccitato aumentava il ritmo fino a
venire e
collassare sul corpo dell’altro e rimanendo lì,
immobile in un
groviglio di arti, saliva, sudore e disgustoso sperma appiccicoso che
era sempre una scocciatura da lavare via (ma nessuno dei due se ne
lamentava veramente).
Tetsurou
invece russava. Non tanto, ma c’erano quelle volte che anche
a
pancia in giù – come era solito dormire
– il rumore che era in
grado di produrre era così intenso che svegliava Kei
all’improvviso
nel cuore della notte senza che poi riuscisse più a
riaddormentarsi
(e se si riaddormentava, puntualmente si risvegliava). Aveva provato
a girarlo, spingerlo, fargli cambiare posizione in tutti i modi, ma
le volte che Tetsurou russava, sembrava imparentato con Godzilla.
Esasperato, Kei aveva trovato il modo migliore per farlo smettere di
produrre suoni sgradevoli in favore di altri ben più
appaganti:
lentamente scostava il lenzuolo che lo copriva e iniziava a
sfiorargli la base del collo con le labbra mentre con la punta delle
dita disegnava ghirigori fantasiosi sulla pelle, usando quei pochi
nei che spiccavano come riferimento per tracciare la sagoma di una
costellazione immaginaria. Le prime volte Tetsurou si svegliava e si
girava verso Kei, ritrovandosi il biondo che sorrideva come solo lui
sapeva fare prima di avvolgerlo con il calore della sua bocca. Poi
una volta si era svegliato ma era rimasto fermo com'era,
l’aveva
lasciato fare, sentnedolo scendere sempre più
inesorabile
verso il basso, tracciando il profilo della colonna vertebrale con la
lingua. Aveva sussultato quando aveva sentito le mani di Kei
stringergli con decisione il sedere, ma nulla a che vedere con il
gemito indecente che non sapeva nemmeno di aver emesso quando aveva
sentito quella lingua iniziare a lambirlo, mentre lentamente le dita
di Kei si facevano strada, una alla volta, dentro di lui. Tsukki
adorava vederlo così, ridurlo a un ammasso informe di gemiti
e
suppliche. E Kei adorava sentire Tetsurou supplicarlo di smetterla e
daregli di più. Solo quando lui stesso non ce la faceva
più, lo
accontentava, entrando in lui senza difficoltà. Non erano
mai
amplessi lunghi, troppo eccitati e pressoché già
al limite
entrambi, ma erano sicuramente così appaganti da lasciarli
senza
fiato e cadere tra le braccia di Morfeo non era più un
problema, finalmente troppo stanchi
per essere infastiditi da quei dettagli che potevano essere un
po’
di russare o degli arti gelati.
Il
problema è che ultimamente queste tattiche non funzionavano
più.
Nessuno
dei due aveva più voglia di scaldare l’altro o
farlo smettere di
russare. Tetsurou aveva comprato a Kei delle calze per dormire e
l’altro aveva ricambiato con dei cerotti da mettere sul naso
per
non russare. Avevano riso, ma da quella volta che Kuroo era tornato
abbastanza tardi dopo una serata di lavoro che si era protratta a
lungo anche dopo cena ed era collassato sul divano (complice
probabilmente qualche birra di troppo), la loro routine era cambiata.
Spesso
Kuroo finiva per dormire sul divano per buona parte della notte,
venendo a letto solo verso le cinque, quando si svegliava, andava a
lavarsi i denti e poi finiva per dormire un’oretta scarsa con
Kei,
perché in fondo gli piaceva svegliarsi accanto al biondo,
sentire le
loro sveglie suonare all’unisono al minuto sbagliato, ma
passare
tutta la notte insieme… anche no.
E
Kei non aveva mai detto nulla per dissuaderlo dal dormire in salotto.
Per
fortuna, quando stavano arredando casa, avevano scelto di acquistare
un divano molto grande e molto comodo.
Capitava
spesso che Tetsurou tornasse tardi dal lavoro, soprattutto prima e in
dirittura della fine del campionato o in occasione di grandi eventi
sportivi che vedevano impegnate le Nazionali maschile e femminile.
Con il passare degli anni il nome di Kuroo Tetsurou era diventato
importante negli uffici della JVA, quel ragazzino strafottente con
dei capelli ridicoli era diventato un punto di riferimento, il
coordinatore di tutto ciò che era la promozione della
pallavolo
giapponese in tutto il mondo. Ne aveva fatta di strada e Kei era
orgoglioso di lui. I primi tempi che vivevano insieme, le volte che
Tetsurou tornava tardi, Kei si sentiva sempre in qualche modo in
difetto: si fidava di lui, ma non riusciva a togliersi dalla testa
che qualcuno potesse interessarsi troppo al suo compagno, quando era
successo però era stato il moro il primo a dirgli che prima
una sua
collega e poi un tizio di un altro ufficio, l’avevano
invitato a
bere un drink con intenti diversi dal rilassarsi dopo il lavoro.
Tetsurou aveva ammesso che era stata ridicola la scena
perché aveva
incespicato tantissimo come non gli era mai successo (forse solo
quando si era dichiarato a Tsukki, sotto sua stessa ammissione) e
aveva declinato l’offerta dicendo che c’era
qualcuno che lo
aspettava a casa e da cui non vedeva l’ora di tornare.
Sincerità
era sempre stata la parola chiave del loro rapporto.
Kei
avrebbe fatto lo stesso, ma il suo modo di fare era sempre piuttosto
intimidatorio e, per sicurezza, quando cominciava a percepire che la
persona di fronte a lui stava cercando di flirtare, casualmente si
lasciava sempre sfuggire un qualche commento inutile sul suo
compagno.
“Tsukishima,
ti andrebbe di cenare insieme questa sera?”
“No,
ti ringrazio, ho promesso al mio compagno che gli avrei preparato lo
sgombro.”
“Ah,
ma quindi hai giocato a pallavolo come professionista?”
“Sì,
ed è colpa del mio compagno che ai tempi del liceo mi ha
costretto a
diventare un bravo centrale.”
…
e cose così.
Quel
senso però di preoccupazione per anni non lo aveva mai
abbandonato,
ma in fondo era giusto che fosse così, no?
Perché
allora – una sera – con suo sommo orrore si rese
conto che non
gli interessava nulla del ritardo di Tetsurou e che se
l’altro
fosse entrato dicendogli che era stato con un altra persona, lui
avrebbe scrollato le spalle?
Kei
aveva semplicemente catalogato il tutto come la loro oramai
consolidata routine, stavano insieme da così tanto tempo che
non
aveva bisogno di preoccuparsi e che finalmente aveva smesso di fare
riflessioni sciocche più adatte a una studentessa del liceo
che a un
uomo che aveva oramai superato i trentanni da un po’.
Il
problema però era che Tetsurou si era reso conto che oramai
non si
cercavano più. Non si volevano più come prima.
Adorava Kei, per i
suoi innuverevoli pregi ma anche per suoi (tanti) difetti. Gli era
sempre andato bene così, l’aveva voluto proprio
perché quello era
Tsukki ed era bellissimo avere un rapporto dove era un continuo
beccarsi, graffiarsi e amarsi. Kuroo non se n’era mai
lamentato.
Aveva sempre trovato che il loro rapporto fosse perfettamente
bilanciato, Kei per lui era la perfezione una pura gioia per gli
occhi. Ultimamente però si era reso conto che quando
guardava il
biondo si ritrovava ammaliato sì, ma come si resterebbe
ammaliati
alla vista di un bel quadro: un’opera d’arte che
vuoi guardare
all’infinito ma che non hai nessuna voglia (e nemmeno il
diritto,
altrimenti scatterebbe l’allarme) di toccare.
Ti
basta osservarlo e ne sei appagato.
Però
non puoi restare
tutto tempo a
osservare un quadro.
La
vita va avanti.
Kei
gli era sempre piaciuto, gli piaceva stare con lui, ma si era reso
conto che con il passare degli anni avevano iniziato a cercarsi pian
piano sempre meno, i loro rapporti erano diventati sempre
più
saltuari e meccanici, un qualcosa che facevano più per
appagare per
appagare il bisogno fisiologico che per sentirsi una cosa sola.
Non
facevano più l’amore, ma semplicemente sesso,
sempre intenso e
soddisfacente, ma si limitavano a quello.
Anche
il loro modo di parlare era cambiato e sembrava sempre più
uno
scambio di comunicazioni di servizio anche quando cercavano di
esprimere dei sentimenti che avrebbero voluto essere ancora
così
forti e vividi come lo erano anni prima.
Kei
non era mai stato molto espansivo, ma sapeva sempre quando era il
momento giusto giusto per ricordare a Tetsurou quanto lo amasse,
erano parole che pronunciava poco, dosandole, dandogli il giusto peso
e per questo erano ancora più intense e ogni volta
sconvolgevano
l’animo del moro.
Oramai
erano mesi che Tetsurou non glielo sentiva più dire e, in
fondo, non
era davvero certo di volerlo sentire perché, a sua volta,
non era
più sicuro di riuscire a pronunciare quelle parole.
“Tsukki...”
mormorò Kuroo sulle labbra di Kei, mordendogli leggermente
il labbro
inferiore, come gli era sempre piaciuto fare per farlo gemere e
insinuare la lingua nella bocca dell’altro in un bacio
languido e
sensuale che era il preludio di quel sesso perfetto che aveva sempre
funzionato, lasciandoli appagati, innamorati e soddisfatti di
ciò
che avevano.
Kei
aveva portato le mani sui fianchi di Tetsurou, ma senza afferrarlo
con la solita forza e decisione, i suoi gesti erano svogliati, privi
di desiderio, fatti più per abitudine che vera e propria
voglia.
Sembrava il Kei liceale che murava così, tanto per.
Sembrava il Kei del liceo che murava prima di conoscere Tetsurou.
Avevano
continuato a baciarsi, impuntandosi nel voler fare l’amore
pur
percependo chiaramente che i loro gesti non corrispondevano al
desiderio ancora silente nei loro boxer. All’improvviso il
cellulare di Kuroo aveva cominciato a squillare e i due si erano
allontanati di colpo, osservando lo schermo.
Uffici JVA
“Devo
rispondere” disse Tetsurou afferrando il telefono e iniziando
una
conversazione sulla partita imminente che si sarebbe disputata da
lì
a due giorni e per la quale pareva insorto qualche intoppo.
Kei
aveva alzato le spalle e afferrato il cellulare, iniziando sfogliare
Instagram svogliatamente, infilandosi sotto le lenzuola per nulla
desideroso che Tetsurou tornasse.
“Kei...”
lo raggiunse la voce del moro dal fondo della camera mentre
recuperava da terra la camicia e infilandosela svogliatamente prima
di sedersi sul letto.
Il
biondo alzò un sopracciglio e sospirò.
“Credi
sia arrivato il momento di parlare?”
Tetsurou
annuì porgendogli una mano che Kei afferrò.
Non
fu un litigio, non ce ne fu bisogno.
Fu
solo una presa di coscienza di come le cose negli ultimi tempi
fossero cambiate, di come si volessero bene e dovessero così
tanto
l’uno all’altro, ma non c’era
più desiderio e la voglia di
essere quello che erano stati per tanti anni.
“Mi
dispiace che tu abbia cambiato la tua vita per venire qui da
me...”
disse Tetsurou abbassando il capo e stringendogli la mano.
Kei
aveva scosso la testa.
“Sono
venuto qui perché volevo, ho fatto carriera, faccio un
lavoro che
amo e ho vissuto per anni al tuo fianco.”
Tetsurou
sorrise.
“Tieni
tu la casa, io posso trovare già domani un
appartamento con la JVA visto che non ho mai sfruttato la parcella
dedicato all’affitto.”
“Non
è giusto però...”
“Per
il momento facciamo così, ti dovrai accollare il mutuo ma
dovresti
farcela.”
Kei
annuì… Gli si strinse lo stomaco al pensiero che
erano lì, a
letto, in mutande, a discutere di come avrebbero dovuto organizzare
la loro vita separatamente senza poter e dover più contare
l’uno
sull’altro.
“E’
così… strano” mormorò Kei
accogliendo un’ultima volta
Tetsurou tra le sue braccia e dandogli un bacio sulla tempia.
Kuroo
ridacchiò, amareggiato ma al tempo stesso si sentiva come
gli
avessero tolto un peso.
“Grazie
Kei… è stato un bel viaggio.”
“Già...”
mormorò il biondo, cedendo al sonno, dividendo quel letto
per
l’ultima volta.
La
sveglia aveva suonato come di consueto alle 6.43.
Kei
si era alzato, andato in bagno, fatto colazione (largo circa) e
vestito per andare a lavoro.
Si
era voltato a osservare la casa buia e silenziosa che
l’avrebbe
accolto esattamente così al suo ritorno. Nessuna cena
preparata per
lui, nessuno che avrebbe messo a posto quello che lui aveva lasciato
in giro.
Nessun
Kuroo ad aspettarlo.
Un passo alla volta, un gesto alla volta e forse, come Kei era
riuscito a fare entrare Tetsurou nella sua vita, forse prima o poi
sarebbe anche riuscito a lasciarlo andare.
In
fondo l’aveva già fatto molto tempo prima.
Era solo una questione di routine.
Forse avrebbe dovuto cambiare la sveglia e impostarla finalmente alle
6.45.
Questa
volta, al minuto giusto.
Note dell’autrice:
Io
dico sempre che loro sono il mio e vissero per
sempre
felici e contenti,
ma
sono anche sadica e masochista insieme, quindi ho dovuto scrivere di
questo amore che si sgretola.
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