Amélie et sa lettre
Note dell'autore:
Questa storia è nata dall'ispirazione datami dalla frase:
E lì alla stazione pensai che i treni sono fatti apposta per gli addii.
Partono piano, lenti lenti... hai tutto il tempo per pensare a chi sta partendo
tratta da "Il Ciclone"
Nel caso i personaggi di questa storia e/o le vicende in essa narrate
coincidessero con scritti di altri autori (sia del sito che estranei), sono
pronta a scusarmi e a ritirare la storia dal concorso e non pubblicarla sul
sito, in quanto non consapevole di farlo.
Nella
lettera scritta dalla bambina si potrebbero trovare degli errori grammaticali
assolutamente voluti da me autrice, in quanto ho tentato di immedesimarmi in
lei.
Cara
signora maestra,
mia
madre mi ha detto questa mattina che partite per un lungo viaggio in treno e che
non tornerete più a scuola.
Quando me l’ha detto mi sono dispiaciuta un
po’, però poi ho pensato che a tutti piacciono le vacanze, per cui non mi dovevo
dispiacere per la sua partenza, anche se so che mi mancherà
molto.
Amélie
aveva il cielo negli occhi.
Occhi
neri, luminosi. Il cielo vi si specchiava dentro in tutta la sua immensità e
densità.
Non
solo il cielo azzurro della primavera e quello soleggiato dell’estate, anche
quello grigio dell’autunno e quello freddo dell’inverno.
Nei
suoi occhi ci leggevi il sole e ti perdevi, incantato dal sorriso in essi
racchiuso.
Ho
pensato di scriverle perchè così lei possa avere un mio
ricordo.
Negli
ultimi giorni ho visto che ci sono tante persone che vanno in vacanza, e mi
piacerebbe molto che anche i miei genitori mi portassero dove vanno tutte queste
persone, ma loro dicono che non si può e allora non
andiamo in vacanza.
Amélie
teneva in mano il suo pupazzo sgualcito. Occhi di bottone e farfallino rosso,
pendeva statico dal braccio della bambina, steso lungo il corpo, e quasi toccava
il suolo nero e sporco della stazione.
Amélie
guardava il treno pieno di pesrsone e lo frugava con gli occhi e
con la mente, lo percorreva, si faceva largo tra la gente. Cercava un viso,
bello; delle labbra, rosse. Dei capelli. Neri.
Ce
n’erano tanti, tutti simili, ma nessuno era il suo volto.
Mi sarebbe piaciuto venire in vacanza con lei,
signora Aadith, così mi avrebbe potuto insegnare anche a nuotare e io avrei
potuto disegnare lei mentre nuotava in mezzo al mare. Però non si può e quindi
non ci pensiamo, perchè pensare alle cose che non si possono avere fa venire la
tristezza, e io non voglio essere triste e non voglio nemmeno che lei sia
triste
.
Amélie
era immobile, in mezzo ad una folla in movimento, in mezzo alla gente che
gridava, che piangeva, che correva, che spingeva.
Immobile
nel suo vestito verde e nero, con un pupazzo in una mano ed una lettera
nell’altra. Aveva appena imparato a scrivere, Amélie. Aveva impiegato oltre
un’ora per scrivere quella pagina di lettera e ora doveva consegnarla alla
signora Aadith, che le aveva insegnato a guardare il mondo e a disegnarlo, a
capire il suo rumore e a scriverlo, che le aveva regalato quel pupazzo dal
farfallino rosso e che amava quel vestito verde e nero che indossava.
A
scuola mi hanno detto di mettere la firma di tutti quanti al fondo di questa
lettera, perchè così lei avrebbe saputo che siamo in tanti a volerle bene, ma io
non credo che sia giusto visto che sono solo io a
scriverla.
Amélie
osservava ancora e, quand’ormai aveva perso la speranza di trovare colei che
cercava, vide quei capelli neri ed arricciati, quel volto latteo e invecchiato
dal tempo. Vide quegli occhi verdi impauriti e spaesati e quelle braccia magre
che si sporgevano dal finestrone privo di vetro.
E
nel vedere la sua adorata maestra ammassata in quel vagone pieno di corpi
agitati e di anime massacrate, il sorriso di Amélie si spense; vedendo il verde
degli occhi della signora Aadith colare lungo il suo volto in grandi lacrime
salate.
Smise
di sorridere e corse verso la mano fredda e tremante che si faceva largo tra
altre mani tese per aggiudicarsi un’ultima carezza lungo le guance degli
amati.
I
o volevo anche dirle grazie per tutte le cose
che mi ha insegnato quest'anno. Sarebbe stato bello impararne altre, anche
perchè lei è una persona tanto buona ed è bello stare con lei.
Amélie
si unì alla folla che correva e spingeva e cadeva e si rialzava e riprendeva a
correre.
Raggiunse
quella mano tanto cara e conosciuta e consegnò la sua lettera. Strinse la
propria minuta mano a quella della donna ed esplorò i suoi occhi in cerca di
qualcosa che non fosse disperazione.
Ma
Amélie non capiva, aveva il sole nel cuore e nei suoi occhi c’era ancora il
cielo.
La
signora Aadith riuscì a vederlo e fece sgorgare un sorriso dalle sue labbra,
come acqua fresca e dolce tre quelle lacrime di mare salato.
Un
sorriso e poi il fischio del capostazione e gli ordini misti ad imprecazioni dei
soldati tedeschi.
Scusi
se non ho scritto tanto bene, so che bisogna fare attenzione alla grafia, ma non
ho avuto molto tempo per scrivere, visto che mi hanno detto che partirà proprio
oggi.
Mio padre mi accompagnerà alla stazione così
le potrò dare questa lettera con le mie mani e lei saprà che sono stata io a
scriverle e che ho pensato a lei e che penserò a lei anche mentre sarà
via.
Amélie
fece scivolare la sua mano da quella della donna e, con il cuore stretto nel
petto, si allontanò dal treno e si fermò in mezzo alla folla che piangeva e che
gridava e anch’ella pianse, non riuscendo bene a capirne il perché.
Guardava
il treno che si allontanava, carico di donne e uomini e bambini e vecchi. Carico
d’individui, presto numeri, presto vuoto, presto nulla.
Ma
negli occhi di Amélie tutto ciò non poteva esistere. Vi era solo un lunghissimo
treno che, sbuffando fumo grigio, si mangiava, lentamente, l’orizzonte, fino a
svanire.
Spero
che lei si diverta in vacanza, signora maestra.
Addio.
Amélie.
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