(im)possibile
Il bus
diretto a Tokyo si è fermato per una pausa in
un’area di sosta lungo l’autostrada.
L’autista ha comunicato che sarebbero rimasti lì
per un’ora e poi sarebbero dovuti ripartire.
Keigo è sgusciato fuori dal suo posto solitario in fondo
all’autobus ed è entrato nella stazione di
servizio senza togliersi il cappuccio da sopra il capo. Ha notato
alcuni dei – pochi – passeggeri che condividono il
viaggio con lui aggirarsi tra le corsie di dolciumi e power bank per
cercare di rendere le ore d’attesa meno gravose ma si
è limitato a ignorarli, scendendo invece in fretta le scale
che portano ai bagni.
«Aspettami nell’area comune. Vedo di
sbrigarmi», commenta senza voltarsi. Un secondo dopo
è già scattato in avanti.
Ha lasciato l’istituto in fretta e furia e non ha avuto
nemmeno il tempo di darsi una sistemata. Si butta sotto un getto
d’acqua calda per una doccia rapida, lava i capelli e poi si
cambia alla svelta. Mette una t-shirt sotto alla felpa pulita, ma
almeno non sono i maglioni pesanti in cui ormai da mesi si avvolge tra
le nevi ghiacciate. Si passa il getto caldo del phon tra i capelli
dorati e umidi – sono in disordine come sempre, ma almeno
adesso rispetto a prima sembrano un po’ meno un disastro
– e infila alla rinfusa i vestiti che si è tolto
nello zaino, unico baluardo che è riuscito a recuperare
prima di lasciarsi alle spalle gli ultimi tre anni di vita. Tira un
sospiro leggero, ma alla fine si decide a tornare verso
l’area comune.
La porta dei bagni sbatte alle sue spalle, ma Keigo cerca di non farci
caso. Si ferma davanti ai lavandini, posa lo zaino accanto a
sé e ne approfitta per guardarsi un momento allo specchio.
Come aveva ipotizzato, ha un aspetto orrendo. Avvicina per un momento
una mano al volto, tracciando con le dita il segno violaceo delle
occhiaie. I capelli continuano a essere nelle solite pessime
condizioni.
Keigo si lascia sfuggire un nuovo sospiro sconsolato. Questa non
è la vita che ha condotto fino a settantadue ore prima. Gli
sembra di essere tornato indietro di tre anni, e la cosa gli lascia
addosso un miscuglio eterogeneo di emozioni: rabbia, paura,
felicità.
Per la verità, se adesso qualcuno gli chiedesse come si
sente, probabilmente non saprebbe cosa rispondere.
Keigo scuote brevemente la testa, abbassando lo sguardo. Si
sciacqua in fretta la faccia con l’acqua gelata, per poi
aprire una tasca esterna e tirare fuori spazzolino e dentifricio; dopo
aver armeggiato un po’ col tubetto, quando solleva di nuovo
il capo, vede che il suo
riflesso è comparso nello specchio.
«Ci ho messo tanto?», s’informa, mentre
un sorriso beffardo gli compare sul volto. Ha paura, perché
dopo tanto tempo gli sembra di provare nuovamente quel sentimento che
gli fa battere il cuore in petto veloce come le ali di un
colibrì.
«Meno della metà del tempo disponibile»,
gli comunica, con quella voce che in un istante riempie il bagno e la
sua testa – e,
oh, come gli era mancata quella sensazione.
Keigo annuisce brevemente.
«Okay. Ricapitoliamo», conclude, prima di infilarsi
lo spazzolino in bocca.
Il tempo può scorrere in maniera insopportabilmente lenta
quando sei un fantasma.
Enji, ormai, l’ha capito da tempo. Negli ultimi tre anni si
è limitato a vegliare con attenzione e costanza sulla sua
famiglia. Ha visto i ragazzi crescere, Rei riprendersi lentamente la
sua vita e, adesso, ciascuno di loro è ormai pronto ad
andare avanti. Da giorni la vecchia casa di Tokyo è invasa
da scatoloni in vista dell’imminente trasferimento di Rei a
Kyoto. Ha ottenuto un incarico prestigioso, e più Enji la
osserva più si convince che non veda
l’ora di cominciare a lavorare in quella nuova
città.
Anche Natsuo e Fuyumi ora lavorano. Loro resteranno a Tokyo, dove hanno
delle carriere già brillantemente avviate.
Infine c’è Shoto, che ha cominciato
l’università e sembra aver trovato finalmente la
sua strada. Ora che Enji è condannato a quella tortura
eterna, in cui è pronto per andare avanti ma non gli
è concesso farlo perché qualcuno
l’ha trattenuto lì, osservare la sua famiglia
è tutto ciò che può ancora
permettersi. Inutile dire che sia immensamente fiero di ciascuno di
loro.
A Tokyo è una mattina mite di gennaio, nel cielo terso si
staglia un sole che rende l’aria tiepida e piacevole. Rei
è uscita per una passeggiata in direzione del porto e Shoto
è in università, ma quella mattina Enji ha
seguito i passi di Fuyumi.
Sua figlia è una maestra in una piccola scuola elementare
della capitale. Approfittando del bel tempo, quella mattina ha deciso
di accompagnare i suoi alunni nel giardino della scuola per passare
lì la ricreazione. Fuyumi osserva con attenzione ciascuno di
loro, ed Enji nota che come sempre i suoi occhi sono pieni di dolcezza.
Una bambina col cappottino rosa corre a passo spedito nella sua
direzione. «Maestra! Maestra!», la chiama a gran
voce, tirandole un lembo della giacca quando finalmente la raggiunge.
«Guarda! Momo mi ha strappato via la sciarpa!»
Fuyumi si china subito per essere alla stessa altezza della bambina,
rivolgendole il più dolce dei suoi sorrisi.
«Davvero? Fammi vedere…», le propone,
rassettandole la giacca e posandole nuovamente il cappello di lana in
testa, coprendo i corti capelli castani raccolti in due codini ai lati
del capo.
La bambina sembra subito rassicurata dai gesti di Fuyumi, al punto da
sorriderle felice. La scena è così tenera che,
per un momento, anche sul volto di Enji compare un sorriso mentre si
limita a osservare, restando a qualche metro di distanza.
Almeno finché non sente una voce giungere alle sue spalle.
«Sapevo che ti avrei trovato qui…»
Enji non ha bisogno di voltarsi per sapere di chi si tratta. Trattiene
a stento un ringhio tra i denti, per poi cominciare ad allontanarsi con
delle grandi falcate.
L’altra persona, però, non sembra affatto
intenzionata a lasciarlo andare. «Vieni sempre a passare le
tue giornate qui, non è vero?», gli domanda,
seguendolo.
Enji infila nervosamente le mani in tasca. «Che diavolo vuoi,
Tomie?», sbotta, voltandosi solo in quel momento in direzione
della donna.
Sono passati tre anni, ma Tomie non sembra essere cambiata affatto.
Stessi capelli color menta acida, stesso aspetto allampanato, stesso
sguardo perso, lontano. Non c’è da sorprendersi
che sia una delle poche persone in grado di vedere Enji anche se ormai
non fa più parte del mondo dei vivi.
Tomie si stringe nel giaccone pesante che indossa, come se le fosse
venuto un brivido di freddo improvviso. «Ho avuto una
visione», confessa, lo sguardo che saetta nervoso
dall’asfalto del marciapiede alla strada davanti a
sé. «Si tratta di Keigo–»
Enji si arresta di colpo, fulminando la donna con lo sguardo.
«Per me Keigo è morto tre anni fa»,
taglia corto, sprezzante.
Tomie sembra in difficoltà sotto quello sguardo solo per
mezzo secondo. Sobbalza appena sul posto, ma l’istante
successivo si già rimessa alle calcagna di Enji.
«Sono preoccupata», insiste, tenace. «Da
quando Ryou l’ha portato in quell’istituto tre anni
fa non mi ha più rivolto la parola. Ho scoperto delle cose,
su quel posto… temo che Keigo possa essere in pericolo, e tu
sei l’unico a cui dà ascolto…»
«Allora non hai capito», ringhia Enji, voltandosi
nuovamente verso la donna. «Ti ricordo che se sono bloccato
qui è solo merito di tuo figlio. Adesso perdonami, Tomie, ma
ho l’eternità da buttare tra momenti in cui
osservo la vita delle persone a me care senza poter interferire ed
altri in cui il tempo scorre ma non so nemmeno come.»
L’istante successivo Enji è già
svanito, lasciando Tomie attonita sul marciapiede.
Lo scroscio di applausi nel momento in cui termina di discutere la sua
tesi gli infonde l’emozione più forte che abbia
provato negli ultimi tre anni.
Keigo osserva con un sorriso raggiante il suo uditorio. Seduti in prima
fila ci sono Kaina, Jin e Himiko, che applaudono ed esultano. Sembrano
incredibilmente fieri di lui.
E, forse, per una volta in vita sua anche Keigo si sente fiero di
sé. Sente di aver messo tutto se stesso in quella tesi, e
che non avrebbe potuto scegliere un argomento diverso. Forse era anche
il momento giusto, come per piantare un paletto nel percorso della sua
vita e dire “ecco, sei passato da qui, adesso devi solo
andare avanti”.
Ha terminato i suoi studi alla facoltà di Parapsicologia con
una dissertazione che ha come fulcro la presenza di entità
sovrannaturali nella vita comune e la loro capacità di
influenzare l’esistenza di chi può percepirli.
Ovviamente, c’è molto di autobiografico nelle sue
parole: non vede Enji da tre anni, ma non ha dimenticato come per lui
sia stato in grado di calarsi su un balcone dal piano di sopra, delle
innumerevoli volte in cui si è cacciato nei guai, qualcuno
ha minacciato di fargli del male o ha rischiato di morire. Sa solo che,
in quei momenti, non gli importava di nulla, avrebbe fatto di tutto per
lui e, forse, le cose non andrebbero in maniera molto diversa se
dovesse incontrarlo di nuovo adesso. Questo, però,
è impossibile, Keigo ormai lo sa bene: dopo che lo ha
trattenuto contro la sua volontà, Enji l’ha
abbandonato su quella terrazza e non l’ha cercato
più. Keigo non stenta a dubitare che, ovviamente, Enji
continuerà volentieri a evitarlo.
La voce di Ryou lo riporta alla realtà. Keigo sposta i suoi
grandi e luminosi occhi dorati su di lui nel momento in cui lo sente
alzarsi dalla sedia.
«La commissione ha deciso di assegnare al candidato la
votazione di centodieci con lode», comunica, con la solita
voce pacata e imperturbabile.
Dall’uditorio si solleva una nuova acclamazione. Jin e Himiko
si scambiano uno sguardo sorpreso, per poi voltarsi nuovamente verso
Keigo e applaudire ancora.
«Questa era l’ultima discussione per oggi. Adesso,
se volete, potete accomodarvi nella stanza qua accanto, dove
è stato preparato un piccolo rinfresco», conclude
la voce di Ryou.
Keigo lo avverte a malapena. In quel momento, sente il cuore
incredibilmente leggero. Vedere i suoi amici così felici per
lui applaudirlo in prima fila fa scintillare ancora di più i
suoi occhi. Il ragazzo sorride, pieno d’entusiasmo, mentre
sente una mano serrarsi attorno al suo braccio.
È Ryou, ovviamente. Si è dileguato in fretta dal
gruppo dei suoi colleghi e, adesso, è lì accanto
a lui come sempre. «Complimenti. Sei stato
bravissimo», gli mormora all’orecchio, prima di
scivolare al suo fianco e immergersi nella folla che quel giorno colma
l’aula.
Keigo sente il cuore frullare veloce nel petto. Ormai conosce Ryou da
anni, eppure quando si trova vicino a lui si sente ancora come se lo
incontrasse per la prima volta.
Finalmente Keigo si decide a scendere dal podio. Là sotto
trova ad aspettarlo i suoi amici.
Prima che possa accorgersene, Himiko gli posa in testa una corona
d’alloro.
«Grande, Keigo! Finalmente ce l’hai fatta anche
tu!», esulta Jin, saltellandogli attorno.
Keigo si lascia sfuggire una risatina leggera, le dita che accarezzano
le foglie d’alloro. «Ah, grazie,
ragazzi», mormora, strizzando gli occhi per la gioia.
«Beh, non credere che sia finita qui», gli fa
notare Himiko, abbracciandolo da dietro. «Adesso bisogna
festeggiare.»
È una mattina come tante altre per Touya.
Ci sono ancora i piatti della sera prima da lavare
nell’acquaio. E quelli della colazione. E di due giorni fa.
Sapeva che andare a vivere da solo avrebbe portato delle
responsabilità, tuttavia non ha tenuto conto della propria
pigrizia.
Ecco perché ora sono le sei di mattina, tra due ore
inizierà la prima lezione di giornata
dell’università e lui non ha nemmeno una tazza
pulita per il caffè. Beh, quel noioso giorno
d’inverno ha proprio deciso di partire in salita.
Almeno finché poco dopo due braccia gli cingono la vita.
Istintivamente Touya permette all’altra persona di aiutarlo a
voltarsi, e lascia che poco dopo gli posi un bacio leggero sulle labbra.
Touya sorride, passando una mano tra i capelli arruffati
dell’altro. «Già sveglio?»,
domanda, sorpreso.
«Non credere che non mi avrebbe fatto piacere dormire ancora
un po’. Diciamo… per tre giorni di
fila», ammette Tenko, senza allontanare il volto da quello di
Touya. «Sfortunatamente però stamattina ho lezione
anch’io.»
Touya scuote la testa. «Tks,
quest’università… prima o poi
finirà per ucciderci», commenta ironico, lasciando
che Tenko appoggi la testa sulla sua spalla.
Convivere non sarà esattamente la cosa più facile
del mondo, valuta tra sé Touya, ma almeno è
felice di poter condividere quell’esperienza con Tenko.
Shouta è sveglio da due ore ma tornerebbe già
volentieri a dormire.
Sia chiaro, non che non provi gratitudine per il proprio lavoro o
altro. Tra i propri meriti e, ahimé, le defezioni di altri
colleghi, adesso a occuparsi di quel commissariato è lui.
Quando entra in ufficio ha già un caffè da
asporto – bello lungo e denso – in mano, ritirato
al bar prima di recarsi lì. Senza di quello, cominciare la
giornata sarebbe davvero difficile.
Vede Kan sbucare da una porta laterale e avvicinarsi a lui con veloci
falcate e vorrebbe diventare invisibile all’istante. Oh, no, pensa,
osservando la pila di fogli tra le mani del collega, non scartoffie di prima mattina.
«Buongiorno, commissario Aizawa», lo saluta, con la
solita voce bassa ma energica. «Ho giusto qui alcuni verbali
da controllare per lei–»
«Ottimo, me li puoi lasciare sulla scrivania»,
taglia corto Shouta. L’ultima cosa di cui desidera occuparsi
al momento sono degli inutili e noiosissimi verbali.
Una volta entrato nel suo ufficio, Shouta si siede alla scrivania.
Aspetta che Kan sia uscito, chiudendo la porta alle proprie spalle con fin troppa forza,
per poi estrarre finalmente il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
La chat con Hizashi è silenziosa da almeno un mese, il che
è ridicolo. Non conosce persona più chiassosa e
loquace del proprio partner, per cui quella scomparsa improvvisa lo
insospettisce e non poco.
Sono giorni che pensa a cosa sarebbe meglio fare. Ogni volta pensa per
ore a quale sarebbe il messaggio giusto da inviare, riflette, sta
lì, compone, salvo poi finire ogni volta per cancellarlo.
Ci prova anche quella mattina, come sempre d’altronde. Ciao, Hizashi, come stai? Ti
andrebbe di vederci?
Shouta resta a fissare le lettere sullo schermo per un tempo
indefinibile, almeno fino a quando smette anche quel giorno di essere
convinto di ciò che ha scritto. Ti andrebbe di vederci?
Che razza di domanda è? A che titolo gliela potrebbe porre?
Perché sono andati a letto insieme un paio di volte?
Perché fino a pochi mesi prima era certo che stessero per
intraprendere una relazione?
Come se cambiasse qualcosa, poi. Hizashi è sparito da mesi,
loro due non hanno più avuto alcun genere di contatto e, si
dice Shouta, forse era esattamente questo ciò che desiderava
Hizashi. Sparire dalla circolazione e, di conseguenza, anche dalla sua
vita.
Per cui, se davvero il desiderio di Hizashi è quello di
sparire, allora perché mai dovrebbe ostinarsi a cercarlo?
Shouta scuote la testa, cancella il messaggio e lascia cadere con
pesantezza il telefono sulla scrivania. Sconfortato, recupera uno dei
verbali e comincia a leggerlo.
Quando sei un fantasma, il tempo scorre in maniera sorprendentemente
buffa, come se si divertisse a farsi beffa di te.
Un attimo prima sei nella casa che per anni hai condiviso con tua
moglie e la osservi mentre si aggira tra pile di scatoloni. Le stanze
sono ormai vuote, tutti i mobili sono già stati trasferiti a
Kyoto tranne un paio di pezzi essenziali – il frigorifero, il
materasso.
Un attimo dopo ti trovi nel bel mezzo di una strada buia e deserta,
probabilmente in un posto dimenticato dal resto del mondo. È
una strada tortuosa, all’apparenza anche piuttosto
malridotta, come se nessuno sia più passato di lì
da anni.
Deve trovarsi in prossimità della montagna,
perché quello che lo circonda è senza dubbio un
bosco, e sia a terra che tra le fronde degli abeti persiste ancora
della neve.
Enji non ha la più pallida idea del perché si sia
ritrovato lì, almeno finché non vede
l’auto andare fuori strada.
L’impatto è così violento da stroncare
il guardrail a protezione della curva, mentre il veicolo finisce
giù per una scarpinata.
Enji osserva attonito per alcuni momenti il punto in cui ha visto
l’auto svanire nelle tenebre della notte, come se non
riuscisse a realizzare ciò che è appena accaduto.
Poi, finalmente, si decide ad avvicinarsi. Nelle sue condizioni deve
solo desiderare
di farlo, e l’istante successivo si trova diversi metri
più in basso rispetto al suo precedente punto
d’osservazione. Lì la boscaglia sembra far posto a
una piccola radura, l’erba alta e smeraldina ha accolto il
veicolo, che ora giace capovolto e ammaccato, il tettino sul terreno e
le ruote rivolte verso il cielo.
La macchina sembra abbandonata lì con la stessa
casualità di una cartaccia, il motore ancora rovente. Enji
si avvicina, tra finestrini frantumati ridotti ormai a schegge di vetro
che si sono amalgamate col terriccio, e osserva la persona seduta al
posto di guida.
Finisce per inorridire nel momento in cui si rende conto di sapere
esattamente di chi si tratta. In effetti, ci ha parlato per
l’ultima volta a malapena dodici ore prima.
«Tomie?», domanda, incredulo, osservando il sangue
che cola dalla ferita alla testa della donna.
Enji solleva solo per un attimo il capo, ma tanto gli basta per
accorgersi che Tomie è lì.
In piedi, con le scarpe che affondano nell’erba umida.
Impossibile,
è la prima cosa che riesce a pensare. L’ho appena
vista lì, dentro l’auto…
Poi capisce.
Una luce calda e avvolgente inizia a brillare, poco distante da loro.
Enji la conosce bene, sono diverse le volte in cui in passato gli
è apparsa davanti, eppure finora non l’ha mai
attraversata. L’ultima volta l’ha quasi fatto, non
aveva davvero più alcun motivo per restare, eppure Keigo
l’ha trattenuto contro il suo volere, costringendolo a
quell’eterno vagare in cui è ancora intrappolato.
Tomie procede senza esitazioni verso quella luce – ed Enji la
capisce, sa quanto il desiderio di attraversarla possa essere
totalizzante.
«Tomie? Tomie, riesci a sentirmi? Riesci a
vedermi?», prova a chiamarla Enji, ancora una volta, tuttavia
la donna non sembra riuscire a percepirlo in alcun modo.
Tomie è ormai arrivata in prossimità della luce,
quando succede qualcosa di strano.
Una visione.
Enji ne ha avute altre in passato, quella in cui ha visto Rei venire
minacciata e quella in cui, invece, a essere in pericolo era Shoto.
Adesso, però, le cose vanno in maniera diversa.
Enji vede chiaramente il volto terrorizzato di Keigo.
L’istante successivo, il ragazzo cade all’indietro,
nel vuoto.
Enji percepisce qualcosa di strano, come una sorta di brivido
che gli corre lungo la schiena – il che è assurdo,
visto che è un fantasma e non può più
avvertire sensazioni umane come quella. Cerca, tuttavia, di ridestarsi
in fretta.
«Che significa, Tomie? Hai detto che Keigo è in
pericolo, di cosa si tratta?», la chiama ancora Enji,
disperato. «Aiutami a salvarlo! Tomie! Tomie!»
A nulla servono i tentativi di Enji di attirare l’attenzione
della donna. Poco dopo Tomie passa dall’altra parte, senza
che lui possa impedirglielo in alcun modo.
La luce si spegne con un ultimo, accecante bagliore finale. Perfino
Enji è costretto a chiudere gli occhi. Quando li riapre,
Tomie è svanita nel nulla, lasciandolo da solo nel bel mezzo
di una radura buia.
È da poco passata mezzanotte quando la porta della camera di
Keigo viene aperta lentamente.
Kaina ha chiesto alla signora della portineria un paio di chiavi di
riserva non appena ha ricevuto la notizia con una telefonata da parte
della polizia.
Keigo è sepolto nel letto con la testa sotto alla trapunta
pesante, sembra essere profondamente addormentato. Ha lasciato la luce
dell’abat-jour sul comodino accesa, e quel lume fioco
rischiara appena la stanza.
Kaina si avvicina con prudenza al letto, sedendosi piano su di esso.
Sente lo sguardo della signora che le ha dato le chiavi fisso su di
sé, e per quanto la infastidisca e gradirebbe volentieri
mandarla a quel paese si costringe a trattenersi per il momento,
perché, si dice, ora come ora ha questioni ben
più importanti di cui occuparsi.
Posa una mano sulla spalla di Keigo, cercando di non essere troppo
brutale mentre lo scuote. Dorme così bene che svegliarlo
è quasi un peccato, tuttavia sa che non può fare
altrimenti.
«Keigo, avanti, svegliati», lo esorta, paziente.
Per tutta risposta, Keigo si lascia sfuggire un lungo mugolio.
È disteso su un fianco, ma dopo che Kaina ha insistito per
un po’ finisce per mettersi supino sul materasso.
«Mhh.
Che c’è?», chiede, la voce impastata di
sonno.
Kaina lo fissa, lo sguardo colmo d’apprensione. «Si
tratta di Tomie. Ha avuto un incidente», gli comunica, con
voce gentile.
«Un incidente?», domanda ancora Keigo, perplesso,
mentre si stropiccia le palpebre con le mani.
«Keigo… Tomie è morta», gli
rivela Kaina, senza riuscire a non sentire un peso enorme gravarle sul
petto.
Gli occhi dorati di Keigo si aprono incerti sul mondo. Non si sente
esattamente nelle proprie condizioni di salute migliori, tuttavia si
costringe a mettersi seduto sul letto. Poggia la schiena contro la
testiera, gli occhi ancora socchiusi. Sente la testa girare in maniera
vorticosa, tuttavia si dice che non è il momento di curarsi
di questo.
«Come sarebbe a dire che è morta?»,
chiede, ma la verità è che quella frase non suona
affatto come una domanda. È piatta, impassibile, quasi
indifferente. Forse non è neppure sorpreso che sua madre sia
morta. Ha passato tutta l’infanzia e l’adolescenza
a crederla morta, in più non la sentiva più da
letteralmente tre anni. Si erano riavvicinati quando gli aveva
confessato di poter parlare a sua volta coi morti, ma prima di allora
era stata un’estranea e, da quando Ryou l’ha
portato in Hokkaido, era tornata a esserlo. Senza contare che, ormai,
ha perso il conto di tutte le volte in cui la morte è venuta
a trovarlo, gli è passata accanto senza sfiorarlo ma
portandogli via sempre qualcosa di caro. Questa, in fondo, non
è che una delle tante. Alla fine, piuttosto che essere
sconvolto, Keigo ci è quasi abituato.
Kaina posa di nuovo una mano sulla spalla del ragazzo. Non sa bene come
interpretare il silenzio di Keigo, ma immagina che stia cercando di
metabolizzare la notizia.
«Te la senti di andare sul luogo
dell’incidente?», gli propone la donna, cercando di
essere il più delicata possibile.
«Grazie per il passaggio», mormora Rei, stringendo
piano tra le mani la propria cintura di sicurezza.
«Figurati.» Shouta tiene lo sguardo dritto sulla
strada davanti a sé. «Quando è arrivata
la notizia in commissariato ho pensato subito a te. Ero certo che ti
interessasse saperlo.»
«È così», ammette Rei, prima
di spostare il capo di lato. I suoi occhi si perdono oltre il
finestrino, cercando di seguire il paesaggio che si rincorre man mano
che procedono lungo quella vecchia strada tortuosa: boscaglia a non
finire, oltre ad alcuni cumuli di neve al suolo.
Ha conosciuto quella persona tre anni prima, in occasione delle
indagini sulla morte di Enji. Quando Aizawa si è presentato
a casa sua, poco dopo la mezzanotte, per informarla di quanto accaduto,
Rei gli ha chiesto spontaneamente di poterlo accompagnare sul luogo
dell’incidente. Così eccoli lì adesso,
nell’abitacolo di un'auto che viaggia veloce nel cuore della
notte, tra le tenebre e la neve, i fari che rischiarano appena la
strada.
Il viaggio prosegue lasciando i due immersi in un silenzio denso, quasi
soffocante. Rei non ha bisogno di chiederglielo, sa già che
Shouta – esattamente come lei – è
tornato con la mente ai giorni dell’indagine, e forse anche
prima, a quel passato ormai andato perduto per sempre. Sarebbe bello se
le cose potessero tornare come un tempo, tuttavia Rei ormai sa fin
troppo bene che ciò non potrà mai accadere.
Una volta arrivati, Shouta si decide finalmente a rallentare
cautamente. Sul posto ci sono già diversi mezzi di soccorso
– un’ambulanza, due vetture della polizia
– ma, per quello che Rei ha potuto capire, lì non
c’è nessuno che abbia veramente bisogno del loro
aiuto.
L’auto si ferma, e da essa escono fuori Shouta e Rei.
«Rei?»
La voce sorpresa di Enji si perde nel vento, senza che nessuno riesca a
udirla.
Sua moglie è davvero l’ultima persona che si
aspettava di vedere lì, in quel posto desolato. Indossa un
cappotto pesante color avorio, e cerca di tenere più stretto
possibile il colletto attorno alla gola, per ripararsi dalle
temperature gelide della notte. Lo sguardo vaga cautamente tra i vari
elementi della scena, e osservando la sua bellezza delicata a Enji
sembra di vedere di nuovo la ragazza che aveva conosciuto anni prima.
Gli occhi di Rei si posano quasi subito sul guardrail divelto.
«È là sotto?»,
s’informa, inclinando appena il volto di lato.
Shouta accende una torcia, sporgendosi oltre il baratro su cui si
trovano. «Già», conferma, accigliato.
«Certo che ha fatto proprio un bel volo…»
«Come pensi che sia andata?», gli chiede Rei,
stringendosi le braccia attorno al corpo.
Shouta spegne la torcia, avvicinandosi nuovamente a lei.
«Aveva bevuto troppo? Suicidio? È presto per
dirlo», commenta, scrollando appena le spalle.
«Che idiozia», bofonchia Enji. «Non
c’è nulla di chiaro nella dinamica di questo
incidente.»
Rei scuote la testa con decisione. «Suicidio? E che motivo
avrebbe avuto?», gli fa notare, pragmatica. «In
più guarda i segni di frenata a terra. Non cercheresti di
fermarti se stai provando a buttarti giù da un
burrone.»
«Bravissima, Rei», mormora ancora Enji, come se la
donna potesse sentirlo.
Shouta si gratta la base del collo, a disagio. «Un animale le
ha attraversato la strada e ha cercato di evitarlo? Ci aveva
ripensato?», ipotizza, sebbene sembra che stia più
che altro brancolando nel buio. «Probabilmente con un paio di
controlli ne sapremo qualcosa in più…»
Le parole di Aizawa, tuttavia, finiscono per restare sospese a
mezz’aria. Lo sguardo di Rei, Shouta ed Enji si sposta
infatti ben presto sulle tre persone che stanno raggiungendo a piedi il
luogo dell’incidente.
C’è una ragazza bionda che Enji non ha mai visto
prima di allora. Le altre due persone, invece, le riconosce senza
troppi sforzi: una di loro è Kaina, la coda di capelli rosa
e blu che dondola sopra il capo mentre il corpo è avvolto in
un pesante giaccone nero.
E poi c’è lui.
Keigo.
Sono passati tre anni dall’ultima volta in cui Enji
l’ha visto. Dopo quella notte in cima al palazzo, in cui il
ragazzo l’ha trattenuto sulla terra contro la sua
volontà, impedendogli di attraversare la luce, Enji non
l’ha più cercato, troppo in collera con lui.
Eppure, ora che se lo ritrova davanti, non può fare a meno
di restare a osservarlo.
I capelli dorati e perennemente in disordine sono sempre gli stessi,
tuttavia c’è qualcosa di diverso in quel ragazzo
– Enji non riesce a comprendere di che cosa si tratti, e
questo lo fa innervosire terribilmente. Forse sono le occhiaie violacee
sul suo volto, che cozzano in maniera tremenda con la pelle
pallida, oppure è quell’aspetto emaciato, che Enji
è sicuro non abbia mai avuto. Ha perso qualche chilo, e le
guance sembrano un po’ più scavate.
Sembra quasi navigare nella giacca di jeans nera che indossa
– quella con l’imbottitura bianca, la stessa di
sempre. Tra le mani stringe nervosamente la tracolla di una borsa che
ha portato con sé, ma a catturare l’attenzione di
Enji, come sempre, sono i suoi occhi.
Gli occhi dorati e splendenti di Keigo, ora sbarrati.
Chi lo osserva dall’esterno probabilmente lo scambia senza
troppa cura per un ragazzo terrorizzato che ha appena ricevuto la
notizia della morte di sua madre e che ora fissa il vuoto, sconvolto.
Enji, tuttavia, sa bene che lo sguardo di Keigo non è per
nulla perso.
Sta fissando lui.
«Keigo–», prova a chiamarlo Enji, cauto.
Per tutta risposta, riceve uno sguardo carico d’ira. Se Enji
avesse ancora sangue a scorrergli nelle vene, probabilmente adesso lo
sentirebbe gelare.
«Keigo», lo chiama stavolta la voce dolce e gentile
di Rei, e l’espressione del ragazzo sembra farsi appena meno
dura.
«Dov’è?», domanda il ragazzo a
bruciapelo, senza smettere di fissare sconvolto Enji nemmeno per un
secondo. «Voglio vederla.»
Aizawa esita per un momento, probabilmente sta valutando se lasciargli
vedere il cadavere di Tomie in quel momento sia la cosa migliore da
fare o meno. Alla fine, però, sembra decidersi per la prima.
«Vieni», concede infine, facendogli strada.
Per tutti i vari rilievi del caso, la polizia ha approntato in fretta
un sentiero che scende lungo il burrone fino alla piccola radura
sottostante. Shouta accende nuovamente la torcia, andando avanti per
primo. Keigo si limita a seguirlo, ma non sembra neppure star facendo
caso a dove mette i piedi. È un miracolo che riesca ad
arrivare in fondo alla discesa senza inciampare.
Quando mettono finalmente piede nella radura, proseguire diventa
più facile. Keigo cammina a passo di marcia,
l’erba e il fango che gli inzaccherano gli scarponcini.
Il cadavere è già stato estratto dalla carcassa
dell’auto – o perlomeno da ciò che ne
rimane. Si trova su una barella di metallo, all’interno di un
sacco bianco. Aizawa ci si avvicina, e aspetta che Keigo, Kaina e la
ragazza bionda che è con loro lo raggiungano prima di
abbassare la zip e svelare il corpo senza vita.
È senza dubbio Ukai Tomie. La pelle diafana ora ha quasi un
colore grigiastro, e le palpebre sono abbassate sopra gli occhi
– come se stesse dormendo –, tuttavia i capelli
color menta sono troppo particolari per non renderla riconoscibile.
Kaina si lascia sfuggire un singhiozzo, mentre la ragazza bionda sembra
quasi indifferente. Keigo ha ancora quell’espressione
sconvolta sul volto, tuttavia ha abbassato lo sguardo sul cadavere di
sua madre solo per un momento, per poi puntarlo nuovamente davanti a
sé, dall’altro lato della barella, lì
dove si trova Enji.
«Keigo, dobbiamo parlare», lo chiama Enji,
fissandolo con attenzione.
Aizawa richiude la zip del sacco, mentre il cadavere di Tomie viene
portato via.
«Ho bisogno di restare un momento da solo»,
comunica Keigo, continuando a fissare un punto nel vuoto in cui per
tutti tranne che per lui non c’è proprio un bel
nulla.
«Certo», gli concede Kaina, permissiva, prima di
lasciargli ancora un’ultima stretta attorno alla spalla, per
poi allontanarsi insieme ad Aizawa e alla ragazza bionda.
Keigo aspetta ancora per qualche secondo per accertarsi che se
ne siano andati, poi si avvia in fretta verso una macchia di boscaglia.
«Dov’è? Dove diavolo
è?», domanda, le mani che si muovono nervosamente
attorno alla tracolla.
«Se n’è andata. Ho cercato di fermarla
ma è stato come se non riuscisse a sentirmi. Mi dispiace,
Keigo», confessa, cominciando subito a seguirlo.
«Non è stato un incidente, Keigo.»
«Oh, no, non di nuovo», sbotta nervosamente il
ragazzo, incamminandosi in fretta nella direzione opposta a quella
presa da Kaina e gli altri per essere certo che nessuno lo senta.
«Ascoltami, ragazzino», insiste Enji, perentorio.
«Ci sono troppe cose che non tornano, e anche Rei
è d’accordo con me sul fatto
che…»
«Oh, insomma, basta!», gli urla contro Keigo,
fermandosi di botto e voltandosi nella sua direzione. È su
un sentiero in salita, gli scarponcini che affondano nella terra umida.
«Si può sapere che diavolo vuoi da me? Sparisci
per tre anni, poi torni e pretendi che sia di nuovo tutto come
prima?»
«Che c’è, ti sei dimenticato che
è per colpa tua se sono rimasto bloccato qui?»,
gli rinfaccia Enji, mentre comincia a innervosirsi.
«Sai perfettamente che l’ho fatto per scoprire
quale fosse il legame tra di noi!», replica, trattenendosi a
stento dal gridare. «In ogni caso, mia madre è
morta in un incidente e non c’è nulla che possa
cambiare la realtà dei fatti. Io sono andato avanti con la
mia vita, e non ho alcuna intenzione di dare di nuovo retta a te. Oh, e
vaffanculo,
Enji!»
Il ragazzo riprende a salire lungo il sentiero, sparendo alla vista di
Enji prima che il fantasma possa provare di nuovo a fermarlo.
Keigo non riesce a chiudere occhio per tutta la notte.
Se ne sta con la schiena premuta alla testiera del letto, le gambe
strette al petto dalle braccia e lo sguardo esausto perso nel vuoto.
Per quanto lui e Tomie non avessero effettivamente più alcun
legame, era pur sempre sua madre. Più il tempo passa, e
più Keigo continua ad avere la soffocante percezione di
essere circondato solamente da morte.
Ha lasciato Tokyo nella speranza di trovare qualcuno come lui, qualcuno
capace di vedere i fantasmi di chi non c’è
più. Un
dono, ma anche una maledizione, no?
Sono circa le quattro di notte quando sente qualcuno bussare alla porta
della sua camera del dormitorio. Il rumore delle nocche sul legno
sembra riuscire a ridestarlo a malapena, gli occhi che lentamente
tornano a mettere a fuoco i contorni della stanza.
Il ragazzo scende dal letto e attraversa silenziosamente la camera.
Quando si ritrova davanti alla porta la apre senza prima domandare chi
ci sia dall’altra parte, anche perché, a essere
onesti, è piuttosto certo di conoscere già la
risposta.
Una volta che si ritrova davanti quegli occhi che ormai conosce fin
troppo bene, si lascia sfuggire un piccolo sospiro esausto.
«Si può sapere dove diavolo eri
finito?», domanda, appoggiandosi pesantemente alla porta.
«Quelli del primo anno hanno deciso bene di organizzare una
festa nel bel mezzo del dormitorio», ammette Ryou, ancora
visibilmente seccato dalla cosa. Ben presto, però, la sua
espressione torna ad addolcirsi non appena posa di nuovo lo sguardo sul
ragazzo. «Sono corso qui non appena ho saputo. Mi dispiace
tantissimo, Keigo.»
Le dita di Keigo si spingono istintivamente in avanti, stringendo la
camicia bianca di Ryou. L’uomo interpreta il gesto come un
permesso a procedere, così poco dopo si spinge in avanti,
chiudendosi la porta alle spalle e cercando le labbra di Keigo con le
proprie.
Keigo chiude gli occhi, ricambiando il bacio e correndo a frizionare
con le dita i corti capelli bianchi alla base della nuca di Ryou. Ormai
ci è abituato da tempo, e sa già quale
sarà il prossimo passo: stringe le braccia attorno al collo
dell’uomo, dopodiché spicca un piccolo balzo,
circondandogli la vita con le gambe.
Ryou attraversa in fretta la stanza, continuando a baciarlo e a tenerlo
stretto a sé, almeno finché non raggiunge il
letto. Adagia comodamente il corpo di Keigo sul materasso, per poi
distendersi su un fianco accanto a lui.
Keigo sente le dita di Ryou scivolare sopra la sua felpa, e la cosa gli
fa sfuggire un nuovo sospiro. «Stasera non me la
sento…», confessa, desolato.
Ryou non sembra per nulla deluso. Posa un bacio sulla fronte del
ragazzo, per poi avvolgere i loro corpi nelle lenzuola. «Non
sei costretto a fare nulla che non desideri, lo sai»,
commenta, circondandogli la vita con le braccia. «Come stai?
Non pensavo neppure di trovarti sveglio, sarai
distrutto…»
«Non lo so», ammette, sistemando meglio il capo sul
cuscino. «Non riesco a chiudere occhio. Pensavo che avrebbe
fatto più male, invece sento solo una sorta di enorme vuoto
nel petto…»
Ryou gli prende di nuovo il volto tra le mani, posandogli un altro
bacio dolcissimo sulle labbra. «Ora sono qui. Possiamo
provare a dormire insieme, se vuoi», propone, senza
allontanare il volto da quello del ragazzo.
Keigo sembra apprezzare la proposta. Si accoccola volentieri contro il
corpo di Ryou, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo.
È notte fonda. Touya non riesce a dormire.
Tenko si è addormentato con la testa sul suo petto, e Touya
non ha cuore di muoversi, poiché teme che altrimenti
potrebbe svegliarlo. Così si limita ad allungare un braccio
in direzione della scrivania, recupera il tablet e lo sblocca, aprendo
i social e cominciando a scorrere la pagina della sezione home.
Uno dei primi post che incontra è quello di un giornale
locale, che riporta la notizia di un incidente stradale in cui ha perso
la vita il conducente. Dall’anteprima dell’articolo
si vede la foto del veicolo, ormai quasi completamente del tutto
accartocciato su se stesso, solo che a Touya sembra comunque di
riconoscerlo, così clicca sul link e una nuova schermata si
apre.
Touya legge in fretta l’articolo finché i suoi
occhi non si fermano sul nome della vittima, Ukai Tomie.
La madre di Keigo.
Touya solleva lo sguardo, restando per un momento a fissare attonito un
punto nel vuoto della sua stanza buia.
Keigo arriva a Tokyo solo la mattina successiva.
Kaina apre la porta dell’appartamento, un gesto che Keigo
ormai le ha visto fare per anni, e la porta si schiude sul luogo in cui
ha trascorso la maggior parte della sua esistenza.
La luce fredda e grigia del mattino illumina il tavolino rotondo del
soggiorno, le sedie con lo schienale alto, le tende verdine. Sono tre
anni che non mette piede là dentro, eppure gli sembra che
non sia cambiato niente.
Kaina chiude la porta a chiave, tuttavia Keigo non resta ad aspettarla:
si avvia in fretta verso camera sua – neppure lì
è cambiato niente, forse c’è solo molta
più polvere di un tempo sulle mensole coi libri.
Keigo lascia cadere a terra lo zaino con i pochi effetti personali che
ha portato con sé prima di lasciare l’istituto,
per poi buttarsi pesantemente sul letto.
Si rifugia sotto la trapunta pesante. In quel momento ha solo voglia di
dormire per molto tempo.
note
... and we
are so back, gente!
è passato più di un anno da quando ho postato
l'epilogo della mia ultima long qui. e finalmente torno, con una storia
lunga e impegnativa, che mi ha tenuta occupata per dieci mesi di lavoro
(in realtà sette ma vbb) e che finalmente condivido col
mondo, anche se non ho ancora capito se fossi pronta a farlo o meno,
dopo tutto questo tempo in cui l'ho custodita gelosamente.
va anche detto che a un certo punto non ero convinta che il progetto
sarebbe mai riuscito a vedere la fine. sono rimasta bloccata per tipo
tre mesi, e ho iniziato a sospettare che questa sarebbe stata
l'ennesima storia destinata a restare incagliata nella palude
limacciosa delle storie incomplete. però a un certo punto
è successo che qualcuno
mi ha ricordato che sono una persona fortunata perché sono
meno sola di quanto credessi, e diciamo che questa è stata
un po' la spinta che mi ha permesso di arrivare alla fine della storia.
ci sono due persone in particolare che vorrei ringraziare, e anche se
non farò i loro nomi so che capiranno il riferimento.
ma parliamo della storia. è un'au, e sì,
c'è un riferimento specifico dietro (se l'avete colto good
for you), ma lo lascerò imprecisato anche perché
ho cambiato diverse cose rispetto alla versione originale sia nella
parte centrale che nel finale. ma non vi posso dire altro uu
per il resto, diciamo che anche se è un primo capitolo che
dovrebbe essere introduttivo (ho cercato di presentare un po' tutti i
personaggi principali) è piuttosto lungo. non vi
preoccupate, i capitoli successivi sono anche peggio.
(se vi state chiedendo chi sia ryou, diciamo che ci sono due risposte
possibili. se non siete in pari con il manga: ottimo, fate finta che
sia un oc! se siete in pari col manga: okay, forse potreste aver capito
di chi si tratta, in caso vi chiederei di evitare spoiler nelle
recensioni altrimenti mi linciano. il fatto è che ho letto
robe su ao3 e poi mi è tipo imploso il cervello, va bene?)
per il resto che dire. penso che scrivere una storia che avesse la
morte tra i temi principali sia stato catartico per me, e forse questo
è un altro dei motivi per cui sono così legata a
tutta la long. adesso è arrivato il momento di affidarla a
chiunque la leggerà, e spero che possa averne cura quanto me.
penso di aver detto tutto, ci vediamo presto con il prossimo capitolo!
aria
|