Christmas Lights.
A Kuroko il Natale non dispiaceva,
eppure ultimamente c’era qualcosa che gli metteva addosso una strana
malinconia.
Si strinse meglio nel cappotto e
si concesse un sospiro, osservando, senza davvero prestarci troppa attenzione,
il proprio respiro che si cristallizzava a contatto con l’aria gelida appena
abbandonava le sue labbra.
Tokyo è un luogo pieno di luci, ma
durante le feste sembra illuminato a giorno anche quando il sole cala; le
luminarie sono fantastiche e allegre, ma pensandoci bene forse sono proprio
quelle in parte la causa di quella sorta di malessere che lo affliggeva.
Non era la prima volta che il
concetto di “Luce” lo metteva in difficoltà, era successo quando alle medie
Aomine aveva iniziato a rifiutarlo e aveva sentito la propria ombra morire
lentamente, ma con l’arrivo di Kagami le cose si erano risolte, giusto?
E allora perché era proprio la
luce ad infastidirlo?
L’anno precedente avevano sbaragliato
tutti fino all’intoccabile Rakuzan, vincendo la Winter Cup. Il rapporto con Kagami
ed il resto della squadra andava a gonfie vele, perché era così infastidito?
“Più la luce è forte, più l’ombra
è scura”.
Una volta aveva detto qualcosa di
simile a Kagami, ma la verità andava oltre a quello. Una luce troppo forte può annichilire
l’ombra, farla scomparire senza che questa possa lasciare traccia.
Kagami non si era fermato, il suo
talento continuava a crescere e sembrava non ci fosse un limite alla sua
scalata.
Era forse paura la sua? Aveva il
terrore di venire ancora una volta annullato da una luce troppo forte?
Era forse paura?
«Fantasmino, è forse paura
quella che vedo nei tuoi occhi?»
Kuroko si girò di scatto verso la
voce beffarda che non solo aveva interrotto il flusso dei suoi pensieri, ma
sembrava anche averli letti.
L’ultimo posto in cui si sarebbe
aspettato di incontrare Hanamiya Makoto era proprio lì, allo stesso incrocio in
cui si trovava lui ad aspettare che il semaforo diventasse verde.
Se non fosse stato una persona
estremamente garbata, avrebbe invitato l’altro a farsi gli affari proprio, conscio
che quella di Hanamiya era una provocazione. Rimaneva il fatto: come era riuscito
a leggergli dentro tanto facilmente? Soprattutto dall’alto della sua poca
espressività.
«Hanamiya-senpai» si limitò quindi
a salutarlo, piegando in avanti il capo. Se non aveva una risposta gentile, era
meglio ignorare del tutto il quesito altrui.
Il capitano del Kirisaki Daiichi,
intuendo ancora una volta i pensieri del più piccolo, scoppiò a ridere, di una
risata che tuttavia era meno sgradevole di quelle che gli aveva riservato l’anno
prima in partita.
«Su, su, non essere timido,
racconta al senpai cosa ti turba».
Kuroko sospirò una seconda volta,
domandandosi come scrollarsi di dosso l’altro, che ormai sembrava voler fare
del tormentarlo il suo nuovissimo passatempo. Il semaforo diventò verde, ma
Kuroko non si illuse che l’altro potesse semplicemente andare per la propria
strada, infatti questo lo seguì, punzecchiandolo e cercando di farsi dire cosa
lo affliggesse.
Arrivò alla dolorosa conclusione
che l’unico modo per sperare di liberarsi dell’altrui presenza fosse vuotare il
sacco, quindi ad un certo punto, in prossimità del parco vicino a casa sua, si
fermò di scatto, per poi voltarsi in direzione di Hanamiya.
«Senpai, hai mai avuto l’impressione
di poter sparire così lentamente e silenziosamente che nessuno se ne renda
conto?»
Makoto rimase qualche istante
spiazzato, non sapendo nemmeno lui se per la repentinità di quelle parole o per
il loro contenuto.
Dalla sua parte, tuttavia, oltre
all’intelligenza sopra la media aveva anche una strana empatia che solitamente
utilizzava per capire dove colpire gli altri nel punto più doloroso ma che in
questo caso gli servì per capire facilmente dove potesse andare a parare la
frase dell’altro.
Scosse la testa, divertito dall’inutile
complessità dei sentimenti dell’altro. «Problemi in paradiso, fantasmino?» esordì,
ma osservando il lieve cambio di espressione di Kuroko i suoi lineamenti si
piegarono in un ghigno disegnato da una nuova consapevolezza, che andò a
completare il quadro mentale che si era fatto della situazione, «oh, non
dirmelo! Lui non lo sa che provi qualcosa per lui!»
Normalmente avrebbe accompagnato
il tutto con una risata, ma quello spiraglio di fragilità lo incuriosiva e non
voleva che si richiudesse prima che lui potesse approfittarne in qualche modo.
Kuroko non seppe cosa rispondere,
inutile dire che Hanamiya, con la sua intuizione, lo aveva preso alla
sprovvista. Riprese a camminare, quindi, entrando all’interno del parco e
sedendosi sulla prima panchina abbastanza appartata. Lì le luci delle luminarie
natalizie non arrivavano e il lampione più vicino era convenientemente guasto.
Hanamiya lo seguì in silenzio, ma
non si sedette alla panchina, rimase dietro di essa e, piegandosi in avanti,
poggiò i gomiti sullo schienale della stessa.
«Non lo sa perché se tu ti
avvicinassi ancora di più a lui, la sua luce troppo forte potrebbe spegnere la
tua ombra. Tuttavia quella stessa luce ti attira come se tu fossi una falena. È
questo che ti affligge?»
Se qualcuno gli avesse detto,
quella mattina, che avrebbe passato la serata a dare consigli relazionali al
fantasmino del Seirin, si sarebbe fatto un sacco di risate, eppure sembrava
proprio quella la piega che stava per prendere la conversazione.
Kuroko, che credeva sempre nelle
seconde possibilità e nelle buone intenzioni della gente, a volte al limite
dell’ingenuità, annuì, per poi abbassare lo sguardo.
«Non so cosa fare, mi sento come
se i miei sentimenti mi stessero condannando a morte» spiegò, la voce neutra
macchiata da una lievissima nota di tristezza.
Hanamiya annuì, fingendosi
comprensivo, anche se quella situazione stava cominciando a diventare quasi
noiosa se non aveva modo di usare in qualche modo quelle informazioni.
Finalmente, dopo aver ascoltato le
silenziose lagne dell’altro, si presentò la possibilità di sfruttare quella
situazione: in lontananza, probabilmente diretto al campetto da basket presente
in quel parco, vide Kagami, che a sua volta sembrava essersi reso conto della
presenza di entrambi.
Kuroko, tuttavia, sembrava non
essersi accorto di nulla, quindi Makoto decise di agire prima che la situazione
potesse cambiare.
Fece il giro della panchina, fino
a trovarsi dinanzi a Tetsuya, che alzò lo sguardo interrogativo su di lui.
«Sai, fantasmino, è ora che tu ti
trovi una luce che non rischi di bruciarti vivo» disse Hanamiya a bassa voce,
chinandosi sull’altro. Con una mano gli sollevò leggermente il mento, beandosi
della sensazione che la pelle liscia dell’altro gli lasciava sui polpastrelli,
poi inclinò di poco il viso, in modo che le loro labbra potessero facilmente
incontrarsi.
Le labbra di Kuroko erano più
morbide di quanto Hanamiya avesse immaginato, tuttavia non poteva stare troppo
tempo a deliziarsi con quel tocco, perché c’era il rischio che Tetsuya lo
allontanasse e questo avrebbe rovinato i suoi piani.
Si separò dal più piccolo, per poi
voltarsi verso Kagami, che aveva osservato la scena con occhi densi di
incredulità.
«Oh, buonasera Kagami» lo salutò
con un ghigno.
A quelle parole Kuroko si voltò
immediatamente nella direzione verso cui si era diretto l’altro, scoprendo con
orrore che Taiga aveva assistito a quella scena.
Non sarebbe stata una situazione
facile da risolvere per quei due e Hanamiya non poteva esserne più felice. Per
rigirare meglio il coltello nella piaga, tornò a guardare Kuroko, per poi
sorridergli con una dolcezza del tutto simulata.
«Ci vediamo, Tetsuya»
disse, enfatizzando il nome dell’altro, per poi allontanarsi da quel parco con
addosso la dolcissima sensazione di aver appena trasformato una commedia in una
tragedia.