Premessa: Conosco relativamente Kamijo ed Hizaki, in quanto non seguo i
Versailles o altre band J-rock... Ma avevo promesso questa (e altre
>_>) fanfiction a LADY_youkai (<3), e stasera mi
sono sentita ispirata. Mi è piaciuto molto scriverla, anche se sono
sempre stata restìa a scrivere su persone reali... E spero che la mia
scarsa conoscenza delle persone in questione non abbia compromesso il
buon esito della fic. Sono piuttosto soddisfatta di questo lavoro, e
spero che sia piaciuta anche a lei come è piaciuta a me.
Il titolo, così come il simbolo della tazza e del tè, è preso da un
numero di Dylan Dog che mi è rimasto particolarmente impresso, che
s'intitola appunto ''Il battito del tempo''.
Ah, e una delle frasi verso la fine, ''è solo un disperato e inutile
tentativo di resistenza'', non è mia, ma viene da Saiyuki
(da Sanzo, che mi ossessiona e mi accompagna sempre). Mi è solo venuto
naturale inserirla. Non era premeditato >_>
Detto questo...andate in pace ù_ù
Il Battito
del Tempo
Può
l'Universo
fermarsi ed essere catturato in un istante?
Può
essere afferrato,
con delicatezza, e lasciato riposare sul palmo della mano?
''È
come una
farfalla'', dicesti, ''un fragile, piccolo, ma elegante insetto.
Potresti trattenerlo per le ali e racchiuderlo fra le mani''.
''E
cosa mai potrei
farmene?'', domandai, scuotendo il capo.
''Se
è così piccolo e
indifeso, cosa mai potrei farne di quest'insetto?''
Tu
sorridesti.
''È
il mio regalo per
te''.
Allora
ricordo che ti
fissai, trattenendomi dal ridere di te.
''Mi
regaleresti forse
l'Universo?'', replicai, celando il mio sorriso di dubbi e di scherno
dietro la tazza da tè.
Al
che, ti sorpresi a
sorridere in modo ambiguo.
''Sarebbe
un regalo
banale'' rispondesti.
''Quel
che ti regalerei
sarebbe esattamente quel che ti ritroveresti fra le dita: un fragile,
piccolo, ma tanto, tanto elegante insetto''...
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Chi ha
mai detto che il
lungo silenzio è quanto più piacevole ci sia da ascoltare?
Probabilmente, lo disse perché non aveva mai ascoltato così a lungo
il silenzio: aveva forse idea di cosa significasse trascorrere in
solitudine lunghi minuti, talmente infiniti da sembrare ore, e le ore
paiono giorni interi, e i giorni, se mai ci si arriva, paiono
l'eterno che t'inghiotte senza pensarci due volte.
Perché
quando si viene
circondati dal silenzio, si finisce inevitabilmente per pensare, dal
momento che parlare sarebbe inutile, dal momento che non c'è nessuno
ad ascoltarti; e dal pensare al riflettere, il passo è talmente
breve da non accorgersene neppure.
E
rifletti, rifletti, su
quello che hai fatto, su quello che hai detto, perfino su quello che
hai pensato di fare, ma che non hai mai avuto il modo -o il
coraggio?- di realizzare...
E
finisci per chiederti,
spesso e volentieri ''Cosa sto facendo, io, in mezzo a questo
silenzio? Cosa sto facendo in questa stanza, davanti a quella tazza
che mi fissa con occhi che non possiede? Cosa sto mai facendo, io, in
questo frammento di tempo?''
E sai
bene che a nulla serve
un sospiro, quel mesto ma tanto ben celato sospiro, che ti coglie
impreparato, proprio nel momento in cui avevi deciso di lasciarti
cadere su quella comoda poltrona e dimenticare di avere troppi
pensieri.
Ma eri
stato così poco
abile nel scegliere quel momento, quell'istante strappato e ricucito
al tempo, perché di tempo, ne abbiamo in abbondanza.
Tranne
quando è necessario:
allora, non c'è ne mai abbastanza, e aneli a qualche secondo come un
pesce boccheggia anelando altra acqua.
Ma non
ne avrà, poiché ne
è stato strappato, e probabilmente, non vi farà mai ritorno.
È un
lieve bussare, ciò
che giunge inaspettato ad interromperti. Un colpo leggero, ma tu sai
riconoscere la prepotenza dietro a quel bussare. E, immediatamente,
con gli occhi, sorridi.
-Entra-,
ti limiti a dire.
Non hai bisogno di conferme, lo sai, è lui.
Non lo
attendi, in realtà,
con particolare trepidazione. Ma, in fondo, gli sei grato di averti
dato modo di distrarti da pensieri tanto fastidiosi. E da quel
silenzio innaturale e soffocante.
La
porta, infine, viene
aperta, con una spinta che non ammette né repliche né esitazioni.
Ma tuttavia, riesce a mantenere una sorta di incredibile eleganza...
-Oi,
Hizaki-, esordisce,
afferrando per caso tra le mani una sedia, e trascinandola nei pressi
del tavolo dove la tazzina malefica non si decideva a mostrare quel
suo occhio invisibile.
-Che
stai facendo?-
Tu,
sorridi. Uno di quei
sorrisi di circostanza, di quelli che vengono insegnati alle
fanciulle perbene.
Ma
tu non sei una
principessa.
Con lo sguardo, gli indichi
la
porcellana ferma sulla tavola, per poi spostarlo sul suo volto; un
modo incredibilmente elegante per rispondere ''Non lo vedi? Sei
proprio uno stupido''.
Ma tu non avresti mai
risposto a quel
modo. Perciò, indichi con gli occhi.
Anche lui sorride. Posa la
testa sulle
mani, la inclina, e sorride. Sorride con le labbra appena increspate
e le palpebre socchiuse. Che comportamento fuori luogo...
-Stai
cercando di
sedurmi, Kamijo?-, lo rimbecchi ridacchiando, gli occhi abbassati
sulla tazza, e la pallida mano intenta a rimestare con il cucchiaino
lucente, intenta a far sciogliere quel mattoncino di zucchero,
intenta ad affogarla in mezzo a quelle onde ambrate.
-E anche se fosse?-
La sua
risposta inaspettata giunge, ma non te ne preoccupi: in fondo, era da
lui. Era da lui parlare a quel modo, così com'era da lui esercitare
l'incredibile fascino che emanava il suo sguardo.
Un
fascino cui, non lo neghi, ti capitava essere soggetto. Ma non avevi
motivo di preoccuparti di un dettaglio del genere: era un semplice,
puro apprezzamento personale. E nessuno, mai, se l'avessi confessato,
avrebbe osato biasimarti. Tutti ne erano soggetti.
Era
come un piccolo sole che irradiava i suoi raggi, senza realmente
preoccuparsi a chi fossero rivolti.
Ma era
un dettaglio di lui che non faticavi ad accettare.
-Sarebbe
un problema, se così fosse-, ridi di nuovo tu, soffocando il sorriso
dietro alla dura porcellana.
È il
suo turno di sorridere, falsamente divertito. In realtà, è troppo
impegnato a fissare quella tazza.
Ma a
questo, tu non fai caso.
-Un
problema? Mi consideri un problema, Hizaki?-, ghigna lui, stendendo
una delle mani sopra il tavolo, mantenendo l'altra a sostenere il
capo. I capelli si scompigliano leggermente dalla loro posa perfetta,
sfiorando appena gli occhi e il viso.
-È
perché tu porti problemi, Kamijo-, replichi, prontamente, abbassando
lo sguardo e la tazza, circondandola con entrambe le mani, serrandovi
intorno le dita ormai fredde.
Non
perde il sorriso, lui, perché, in fondo, sa che menti. Non da' peso
a quelle parole, perché, in fondo, sa cosa vuoi.
Forse lo sa
perfino meglio di te.
Ed è
quello stesso
sorriso a sporgersi sul tavolo, ad avvicinarsi al tuo ormai spento.
Perché vuoi che tutta la tua attenzione venga rivolta a quel volto
penetrante, le orecchie tese a quella voce bassa e intensa.
-Certo.
Ma sono
problemi davvero gradevoli-
Le sue
labbra si
increspano ancora. I suoi occhi si fanno più limpidi, più diretti.
E ora, anche tu sai perfettamente che non è immergerti nel silenzio,
quello che vuoi.
Sorridi
dolcemente
e impercettibile, chinando il capo, cedendo a lui e al suo sorriso.
Non
dici nulla, ma
i tuoi gesti parlano per te. I tuoi occhi chiusi, sono un invito ad
appropriarsene.
E lui,
da perfetto,
elegante conquistatore, si china con te, reclamando la sua vittoria.
Ha vinto su di
te... Ma la verità,
è che l'hai lasciato vincere.
Spinge
indietro la
sedia, via, lontano dal tavolo, alzandosi, avvicinandosi a te.
Vittorioso il suo sorriso, vittoriosa la sua postura.
Ma si
arresta,
cogliendo il tuo sguardo, che si alza e si abbassa, come farebbe una
fanciulla timida.
Ma tu non sei una
fanciulla. E la
timidezza non ti appartiene, in quel momento.
Ed è
lui a porre
fine all'attesa. E con quella, pone fine anche al logorante,
fastidioso silenzio, di cui eri vittima poco fa.
Ora,
sei vittima
solo di lui.
E
cattura le tue
labbra, calmo e famelico allo stesso tempo, afferrandoti il volto con
le mani, trascinandoti a sé,
sottomettendoti
a sé.
Non è
amore, quello che provi; non è passione, non è calore. Non è nulla
di umano.
È
solo un disperato e
inutile tentativo di resistenza.
Ma a lui
non vuoi resistere. E forse, in fondo, è solo un legame estremamente
solido.
Lo
stesso legame che ti avvinghia a lui, che ti impedisce di fuggire,
che vi trascina, infame, verso quel piccolo divano.
Ma non è
lo stesso legame che ti fa sussultare al soffio della sua bocca
nell'orecchio, al lieve sussurrare di affrettate parole, parole che
non ricorderai mai di aver udito, quel pomeriggio.
E non è
lo stesso legame che porta il tuo sangue a ribollire, quando lui
abbassa il capo e pianta quella stessa bocca sulla pelle bianca e
intatta del tuo collo, dandoti l'impressione di morderti,
trascinandoti irrimediabilmente verso il basso, costringendoti a
chiudere gli occhi e ad alzare il capo al cielo, abbandonandoti a lui
e alla sua famelica passione.
Ed è
quello stesso cielo ad accogliere i sospiri e i soffocati lamenti che
lui, e lui solo, è capace di strapparti, accompagnati dai suoi
sussurri e dalle sue vane parole, che tu, tu solo, sei capace di
fargli pronunciare.
Ed è in
un attimo di cielo, sotto il severo, inesorabile sguardo del tempo,
che quei gemiti hanno fine, che il sangue al cuore si fa meno
irruente, che il calore della sua bocca ti lascia, che il bruciore
insostenibile del silenzio si allontana per sempre.
Perché,
a differenza di un istante, il colore dei suoi occhi rimarrà per
sempre. Ed è ormai legato ben stretto alla tua anima, e in fondo, tu
sai che se venisse strappato, tu moriresti.
Perché
è sempre lui, ad interrompere quell'assordante silenzio.
Perché
è sempre lui a strapparti a quel frammento di eternità e portarti
nel suo comodo castello, donando alla tua anima sollievo.
Perché,
in fondo, contro
di lui, sei sempre tu a perdere.
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