TITOLO:
Tornare
AUTORE:
Akane
SERIE:
Numb3rs
GENERE:
sentimentale, introspettivo, triste
TIPO:
slash, spoiler
RATING:
giallo/PG13
PARTI:
one shot
PERSONAGGI:
DonXColby
MODO:
pov di Colby
AMBIENTAZIONE:
quinta serie, puntata numero 20, se non erro. In questa puntata
succede qualcosa di brutto a Don, purtroppo, e siccome io adoro
quando succede qualcosa a lui perché sono sadica, ho subito
approfittato!
DISCLAMAIRS:
I personaggi non sono miei ma dell’autore che ne detiene ogni
diritto….sig!
NOTE:
Secondo me gli sceneggiatori di Numb3rs mi leggono nel
pensiero…
vabbè, stupidaggini a parte, non potevo non cogliere al volo
quest’opportunità ghiotta visto che qua
c’è davvero
dello slash per tutti i gusti. Io ho colto questo ma naturalmente la
stessa puntata la si può leggere in molte altre chiavi!
Vi
avverto, qua Don non sta con Robin ma con Colby!
Questa
fic potrebbe tranquillamente essere il seguito delle one shot che ho
già fatto su sti due!
Spero
vi piaccia.
Buona
lettura. Baci Akane
DEDICHE:
a tutti i fan di questa coppia o di questo telefilm.
RINGRAZIAMENTI:
a chiunque leggerà e commenterà!
TORNARE
/Broken
– Lifehouse/
Quando
io e David siamo arrivati nella stanza in cui c’erano Don e
Nikki
per fare il punto sull’azione andata male, non avrei mai e
poi mai
immaginato di trovarmi quella scena.
Il
gelo mi ha avvolto e non ho più capito niente
nell’esatto
istante in cui ho visto Nikki svenuta e Don ferito sanguinante che
lento perdeva conoscenza.
Lì,
fra le mie mani, davanti ai miei occhi… lui è
scivolato via…
ed io senza la minima idea di che diavolo fosse accaduto, visto che
un solo istante prima parlava con me dandomi ordini tramite la
trasmittente, sono rimasto impietrito a fissarlo incredulo.
L’ho
solo potuto vedere lì, steso, ferito al petto, che cercava
di
respirare… e lento… lento chiudeva gli occhi
senza la forza
nemmeno di lamentarsi, senza la voce per parlare, senza più
un
solo senso che connetteva.
Mi
sono inginocchiato e mentre David controllava Nikki chiamando
entrambi a gran voce, io la mia non so proprio dove fosse sparita
poiché non mi è uscita. Non mi è
uscita proprio.
L’ho
raggiunto, l’ho toccato tremando, temendo di sentire il suo
battito
spegnersi, la sua temperatura raffreddarsi. Il suo cuore batteva
ancora ma la sua pelle impallidiva alla penombra della sera, in
quella casa sconosciuta, e non manteneva un calore vitale
accettabile.
Ricordo
tutto come fosse ora.
Ho
messo febbrile le mie mani sulla sua ferita, al petto, procurata
chiaramente da un coltello, quindi ho premuto cercando di limitare
l’emorragia ma il risultato è stato solo
ritrovarmene io
stesso pieno. Le mie dita, i miei palmi, i miei vestiti…
…del
suo sangue…
Non
ho parlato. Non ci sono riuscito. Nel giro di un istante sono
arrivati i rinforzi e l’ambulanza, l’hanno portato
via e David è
andato con l’altra ambulanza e con Nikki che si era
svegliata.
Io
sono rimasto lì. Lì per dirigere i lavori sulla
scena,
per dare ordini, per mandare avanti le cose nel caos più
completo.
Lì
fermo, senza riuscire a connettere, a muovermi e ad andare io stesso
in ospedale.
Lì.
Non
so per quanto ci sono rimasto, onestamente, poiché poi dopo
un
po’ che mi chiedevano ordini, ho detto bruscamente di seguire
la
prassi e di non rompermi i coglioni. Poi me ne sono andato.
Si,
ho detto così o per lo meno credo.
Dopo
un tempo indefinito mi sono ritrovato qua sotto la doccia,
all’FBI.
La
coscienza lenta torna, io chiudo gli occhi mentre l’acqua
calda mi
lava via il sangue, mi rivedo la scena mille e mille volte senza
sapere da dove diavolo possa essere spuntato quel quinto uomo che non
avrebbe dovuto esserci secondo i calcoli del piano di Charlie.
Non
avrebbe dovuto eppure c’era e nessuno se ne era accorto.
Nessuno.
Lui
ha ferito Don e nessuno è riuscito a fermarlo.
Lui
forse lo ha anche…
No.
Non posso pensarci.
Non
posso.
Quel
bastardo era là all’insaputa di tutti e senza
rifletterci un
attimo l’ha ferito profondamente ed io non c’ero,
non sono
arrivato in tempo, ma come è vero che sono io, anche se
fosse
l’ultima cosa che faccio, prenderò quel pezzo di
merda.
Qualunque
cosa succeda.
Lo
prenderò perché questa deve essere la sola cosa
che mi
farà andare avanti. La benzina. Il motore.
Perché
se penso a Don in ospedale che stanno operando, io mi fermo.
E
non posso.
Se
mi fermo non riparto più.
Non
posso permettermelo. Assolutamente.
Don
richiede vendetta. Io gliela devo dare o sono finito.
Da
qui è la rabbia a tenermi in piedi.
La
rabbia e il risentimento che cresce di volta in volta sempre
più.
Insofferente,
iroso, brusco, secco e impaziente mi muovo nelle indagini finendo
quasi per rompere intenzionalmente una mano al primo sospettato che
catturo, fermato in tempo da David, sostituto super visore di Don che
cerca di mantenere la calma e fare la cosa giusta.
La
cosa giusta…
A
tu per tu con lui, con quello che è sempre stato il mio
collega di lavoro e amico a cui ho sempre confidato tutto, lo fisso
contrariato e rabbioso, quindi mi ritrovo ad accusarlo duramente del
fatto che Don me lo avrebbe permesso per casi simili
d’emergenza.
Quello
non era comunque un criminale qualunque, era implicato
nell’aggressione al nostro capo. Non poteva rimanere impunito
e
zitto.
Ma
David non mi ha permesso di fare ciò che era davvero giusto
o
che per lo meno mi avrebbe permesso di non impazzire!
Così
mentre marco il fatto che Don avrebbe agito diversamente, David con
gli occhi lucidi e ferito mi risponde che non è Don e che
lui
non c’è.
Se
ne va e rimango a fissare il vuoto.
Insopportabile.
Insopportabile
sensazione lacerante interiore. Vuole uscire, grida per essere
liberata, per trovare sfogo ed io mi obbligo a trattenermi. O per lo
meno cerco poiché me ne esco con certe cattiverie che forse
sono peggio di un urlo potente.
Non
volevo ferirlo ma è esattamente così.
Lui
non è Don, dannazione; se lo fosse io starei con lui e non
è
così.
Io
sono l’uomo di Don, non di David.
Le
cose sono decisamente diverse!
E
non è David che voglio, per quanto sia mio amico e mi trovi
bene con lui.
È
Don.
Don
che non ho ancora avuto il coraggio di andare a trovare e che fino a
che non sentirò la parola ‘fuori
pericolo’ e ‘svegliato’,
io non andrò a trovare.
Non
ho la forza di vederlo addormentato in un lettino d’ospedale
dove
non si sa se si riprenderà o no.
Tutte
le mie energie le devo concentrare sul trovare il suo aggressore e
ammanettarlo.
È
così.
Perché
se abbasso la guardia poi non mi rialzo più.
E
non voglio vedere un Don morente, l’immagine che voglio
conservare
nella mia mente è solo di un Don sveglio che sta bene.
L’averlo
soccorso proprio coperto di sangue mi ha impresso dentro quanto di
peggio non dimenticherò mai.
Non
voglio più vederlo così.
Non
ne ho la forza.
Non
ce l’ho davvero.
Per
questo con rabbia e insofferenza non perdo occasione per sfogare
questo mio stato d’animo su chiunque io ritenga implicato in
questa
faccenda o su chi, per caso, mi sembra non adempia come si deve ai
suoi doveri!
È
dura per tutti ma nessuno ha idea di cosa sto passando
perché
nessuno è il compagno di Don.
Io
si.
E
non posso resistere a lungo.
Ti
prego Don, riprenditi.
Ora
che ho ammanettato io stesso quel bastardo grazie all’aiuto
prezioso di un Charlie che non smetterà mai di sentirsi in
colpa, mentre tutti si muovono per andare in ospedale da Don, io sto
seduto in macchina davanti all’edificio.
E
aspetto.
Aspetto
che mi dicano che si è svegliato e che sta meglio.
Aspetto
che lui si riprenda.
Aspetto
di entrare e vedermelo sveglio, sorridente a modo suo che mi guarda
in quel modo penetrante che però nessuno coglie.
Aspetto
di sentirmi meglio per il fatto che vendetta è stata fatta e
che quel pezzo di merda ora è in prigione.
Aspetto
ma non succede nulla.
Nessun
sollievo, solo vuoto. Un vuoto portato dal fatto che ora nemmeno
quella rabbia di prima mi tiene su.
Non
ho nulla se non quest’attesa e dovrei sperare, a questo punto.
Sperare
che vada tutto bene. Ma non sono mai stato uno che spera e non
inizierò certo ora…
Sospiro
appoggiando la testa indietro e chiudendo gli occhi. Sono stanco ma
non è questo ciò che mi rimanda il mio fisico
stressato.
Quel
che sento ora è un bisogno di qualcosa che non arriva.
Non
voglio rimanere senza.
Facciamo
questo lavoro e lui è il super visore della squadra,
è
naturale che siamo in pericolo ogni giorno, che dobbiamo aspettarcelo
e metterlo in previsione.
Spesso
sono io quello che rimane fregato con tutti gli inseguimenti che mi
becco, spesso invece è lui stesso, però forse era
da
tanto che non finiva così grave.
Così
sospeso fra la vita e la morte.
Non
lo so, non credo nemmeno sia una questione di abitudine.
Non
ci si abitua mai a certe cose.
Quando
la persona che ami rischia così tanto la sua vita, di volta
in
volta è solamente peggio, altro che meglio!
Non
è mai meno dura ed io non potrò mai iniziare una
giornata pensando che certamente io e lui ci rivedremo di notte a
casa!
Non
viviamo nemmeno insieme.
Siamo
compagni ma non lo dimostriamo, entrambi troppo riservati su queste
cose e così poco romantici, preferiamo un rapporto molto
più
libero e rilassato. Non sembriamo nemmeno fidanzati.
Siamo
una coppia eppure non lo diamo a vedere ma non di proposito,
è
solo il nostro modo di stare insieme.
Non
facciamo le cose che fanno gli altri.
Ci
vediamo ogni mattina al solito bar a fare colazione insieme, questo
si. Ma è tutto qua quello che ci concediamo. Spegniamo il
cellulare per quei dieci minuti che mi offre il caffè e il
cornetto e poi ci ributtiamo nella nostra caotica giornata piena di
pericoli e stress.
Ci
stiamo vicini da lontano, senza darci conforto a parole o gesti. Ci
limitiamo ad esserci.
Tutto
lì.
Spesso
sono l’unico a non andare a casa di Charlie e di suo padre in
quelle famose riunioni serali fra amici. Non è che non mi
considero del gruppo, lo sono, ma sono più selvatico. A
volte
ho bisogno di staccare.
Stiamo
insieme tutto il giorno, spesso anche la notte, non sono uno che sta
appiccicato al proprio partner ventiquattro ore su ventiquattro.
Credo
che anche per lui sia così e gli sta bene questo mio
staccare,
ogni tanto.
Ma
questo non significa che quando è in pericolo o gli succede
qualcosa, io stia meno male.
Anzi.
Non
riesco a viverlo in modo decente.
Mi
trattengo e mi tengo tutto dentro, non do libero sfogo alle mie
preoccupazioni. Dopo aver stanato i vari possibili responsabili, mi
fermo e aspetto un miracolo, che la cosa si risolva e che tutto torni
come prima.
Non
ho un gran coraggio riguardo certe cose.
Ed
ora eccomi qua ad aspettare.
Aspettare
che mi chiamino dicendomi che Don sta bene e che è fuori
pericolo.
La
sola idea di poterlo vedere con qualche tubo in gola e quel maledetto
rumore cardiaco, mi fa stare male.
Voglio
che tutto torni a posto.
Oh,
io non credo in nessun Dio né nella divina provvidenza ma
ammetto che in certi momenti mi trovo assurdamente a guardare il
cielo, quando mi arrivano certe notizie.
Questo
è uno di quei casi.
Come
se potesse esistere qualcuno che ascolta queste specie di preghiere
che faccio inconsciamente, mentre entro e mi avvio consapevole che
lui è sveglio, fuori pericolo e che non
c’è nessuno
con lui al momento, li alzo, i miei occhi. In alto. Al cielo scuro
dove non si vedono le stelle a causa delle troppe luci della
città.
Non
so cosa significhi, lo faccio e basta.
Quindi
trovandomi a trattenere il fiato, percorro in fretta i corridoi
andando diretto alla sua stanza.
L’ansia
mi cresce veloce e mi ritrovo con dei tamburi in gola, quindi dopo
aver quasi corso mi fermo davanti alla sua camera.
Lo
vedo con la testa girata dall’altra parte. Forse dorme.
David
mi ha detto che è fuori pericolo e che è sveglio,
però
i dottori hanno mandato tutti via per farlo riposare.
So
che faranno storie vedendomi qua, ma non fa nulla.
Non
me ne potrebbe fregare di meno.
Prendo
un respiro profondo, mi raddrizzo e mi faccio forza.
Non
avrà la migliore delle sue facce, ma sicuramente meglio di
ieri notte, quando l’ho soccorso in quelle condizioni.
Ed
ora devo cancellarla quell’immagine atroce.
Lavare
via davvero il suo sangue dalle mie mani.
Varco
la soglia e rimango in silenzio mentre aggiro il letto e
l’affianco
rimanendo in piedi. Fermo, l’accarezzo con lo sguardo facendo
attenzione a non disturbarlo.
Ha
un viso segnato, stanco e senza forze ma si vede che si sta
riprendendo e che da ora le cose andranno meglio.
Si
vede che sta solo riposando.
Ricordo
quando sono stato io sulla linea della morte, è stata la sua
presenza accanto a me a farmi trovare la volontà di tornare.
Altrimenti
non mi sarei svegliato.
Là
si sta bene.
Non
si sente nulla.
Però
mi è parso come una specie di ordine, quello che ho sentito
provenire dalla sua sola presenza.
Come
se mi ordinasse di svegliarmi.
Non
volevo deluderlo.
Il
resto è confuso.
Non
ha più tubi che gli escono dalla bocca e il suono del suo
cuore non dà più molto fastidio. È
molto più
calmo del mio.
Solo
dopo alcuni istanti di contemplazione, mi rendo conto che i miei
muscoli, specie quelli del viso, si sono rilassati e sento un
espressione dolce e formarsi insieme ai respiri che tornano regolari.
Anche i miei battiti mi danno tregua e così mi siedo senza
staccargli gli occhi di dosso.
Starei
anche tutta la notte, ora, a guardarlo dormire perché so che
non sta più male, che non sta morendo. Che sta relativamente
bene.
Dopo
una tempesta allucinante trovo la forza di riprendermi e non crollare
più.
Ce
l’ho fatta.
Ho
superato anche questo ma in realtà solo grazie a lui.
La
verità è questa.
Io
da solo forse sarei ancora in macchina in preda all’angoscia
e al
panico più neri.
Lui
ha lottato da solo per la vita, si è ripreso, si
è
svegliato e sempre tutto da solo. Non certo grazie a me e al mio
sostegno.
Quando
io sono stato per morire Don mi ha sostenuto, io non ci sono riuscito
questa volta.
Non
è stata la mia presenza a riportarlo di qua ma quel che
conta
è che sia tornato.
-
Sei qua… - Mormora con voce impastata, si ode appena ma mi
piego e
lo scruto attentamente. Tiene gli occhi chiusi per un po’ ma
le sue
labbra si increspano in un sorriso appena accennato che mi riscalda
di già.
Lo
fa raramente ma mi piace un sacco…
Non
gli chiedo come abbia fatto a sentirmi perché so come
funziona. Anche se non si è coscienti si percepiscono le
presenze di chi ci affianca.
E
poi il suo istinto non è come quello di uno comune...
-
Si. – Sussurro a mia volta con voce roca e appena udibile.
Allora
sembra si sforzi un po’ ma apre gli occhi. I suoi castani si
posano
sui miei chiari e rimaniamo ad osservarci a questa breve distanza
senza dirci nulla, solo probabilmente a pensare a quanto abbiamo
temuto di non vederci più.
Io
lo penso.
Però
ora sono qua e lo sto guardando.
È
tornato da me con la sua sola volontà.
-
Volevo venire prima ma non ce l’ho fatta. Non reggevo
l’idea di
guardarti in quelle condizioni… - Inizio debolmente cercando
di
giustificarmi. La voce mi si spezza e lui muove a fatica la mano
cercando la mia. Sembra abbia compiuto un impresa insopportabile.
So
come ci si sente.
L’aiuto
e gliela stringo evitandogli inutili sforzi. Non è una cosa
da
noi, ma del resto l’aver visto la morte in faccia cambia un
po' le
persone.
È
così che io e lui ci siamo messi insieme.
Quando
mi sono svegliato dalla mia quasi morte.
-
Lo so. – Mormora allora con un aria leggermente dolce, per i
suoi
canoni. Forse solo un misto fra la stanchezza e la comprensione.
Oh,
io lo so che lui è uno dei pochi che mi capisce
subito…
Alimento
il mio sorriso che funge da ringraziamento, quindi mi piego su di
lui, sul suo viso stanco e pallido, lo scruto a fondo e aggiungo in
una specie di soffio:
-
Grazie di essere tornato da me. – Allora anche lui risponde
nel mio
stesso modo, un sussurro appena che mi fa venire i brividi:
-
Grazie di essere venuto. – Nulla di più, nulla di
sdolcinato, di esagerato e di impossibile.
Cose
da noi.
Come
lo diremmo ed anzi forse solo appena ammorbiditi.
Non
ci siamo mai detti che ci amiamo ma lo sappiamo.
Non
serve dirlo.
Ci
impacciamo e basta.
Però
ogni volta che ci baciamo ce lo sussurriamo senza bisogno di parole.
Così
ora.
Annullo
la breve distanza che era rimasta e poso le labbra sulle sue. Non
approfondisco, non mi sembra il caso. Solo un tocco leggero fra di
noi che gli fa accelerare un battito facendomi sorridere.
È
così che funziona fra noi.
Non
è un segreto ma solo una cosa nostra.
Non
serve che si capisca che stiamo insieme, che qualcuno lo sappia e che
facciamo cose eclatanti poco da noi.
Stiamo
insieme e basta.
Cos’altro
conta, se riusciamo sempre a tornare l’uno
dall’altro?
FINE
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