Una
‘what if’ ambientata da qualche parte subito dopo
la battaglia di Marineford, ipotizzando che tutti i Mugiwara si siano
ritrovati lì e Robin sia stata effettivamente aiutata dai
Rivoluzionari (dopo la liberazione a Tequila Wolf).
Beccatevi
questa one shot dai due punti di vista, lui e lei. Lei è
Robin, naturalmente; lui… =]
Pairing anomalo ma non
troppo assurdo, almeno secondo me U.U, a voi il giudizio.
Enjoy!
‘She’s
turning blue,
such
a lovely color for you.’
Walked away.
Alcuni
sostengono che le prigioni sotto la montagna di Marineford sono delle
piccole isole felici, rispetto all’Inferno Eterno di Impel
Down.
Ma forse sono solo coloro che non le hanno mai viste, perché
io so che queste gabbie non hanno nulla da invidiare a quelle ufficiali
di quel carcere sottomarino.
Cammino lungo questi corridoi incisi nella roccia,provando il
familiare senso di claustrofobia che accompagna da sempre chi ha
vissuto a lungo in mare e si ritrova in un posto del genere.
Per
quelli come me l’unico confine alla vista
è solo la sottile linea che congiunge l’acqua con
il cielo e che verso sera scompare, fondendoli insieme in un unico
elemento, annullando persino quell’ultimo limite.
Ma
ciò che mi preoccupa di più non è dove
sono adesso, quanto il motivo di questa presenza.
Sto
commettendo un errore.
Anche
se, a pensarci bene, sto continuando imperterrito a commetterlo da
almeno vent’anni.
Mi
sento male, oggi tutto è andato storto. Ci eravamo
ritrovati, ma è precipitato tutto nel giro di pochi minuti.
Siamo finiti tutti in catene.
Non
so nemmeno dove siano gli altri. Ci hanno chiuso in isolamento e non
sento più alcun rumore da qualche ora.
Ho perso la concezione del tempo, anche se qualcosa mi dice che ora
fuori è notte. Sarà il freddo, o la paura.
Un
segnale.
In
lontananza dei passi, mi chiedo quanti siano, ma è solo una
persona, strano. Questi bastardi si muovono sempre in gruppo.
È diretto qui, forse vuole uccidermi, forse hanno
già ucciso tutti gli altri.
No
invece, vorranno farlo alla luce del sole, sarebbe una gran bella
rivincita per loro, sbandierare al mondo la nostra esecuzione.
Questa
maledetta agalmatolite annulla tutte le mie difese.
I
passi si fermano. Chiunque egli sia, è davanti alla mia
cella, nascosto dal buio.
Mi
faccio avanti.
Mi
vede, alla breve luce delle lanterne, e trattiene il respiro.
È spaventata, ma anche confusa, pur impedita nei movimenti
assume una posizione di difesa.
-Cosa
ci fai qui?- chiede con voce alterata.
Mi
scruta con rabbia, posso sentirla come se fosse concreta, e ha ragione.
Dopotutto siamo nemici.
-Come
stanno gli altri?- chiede ancora angosciata, pur non avendo ottenuto
risposta.
-Siete
tutti vivi.
Questo
non le basta, sente che c’è dell’altro.
Si
alza in piedi e si avvicina a me, stando ben attenta a non toccare le
sbarre.
La
indebolirebbe ulteriormente e lo sa.
-Sei
venuto a dirmi quando ci uccideranno, allora?- sibila a denti stretti.
È
tesa e inquieta, vedo i suoi occhi scintillare nel buio. È
in gabbia ancora una volta, e non può rassegnarsi.
In questo momento mi odia esattamente come odia tutti gli altri.
Kuzan
mi guarda. Mi verrebbe voglia di urlargli addosso molte cose, ma mi
manca la forza.
Lui
sembra voler rimandare la risposta il più tardi possibile.
-L’esecuzione
è fra tre giorni- dice infine.
Deglutisco.
Per un attimo è come se mi avessero buttato in mare, mi
manca il respiro.
Cerco
di calmarmi, ma è come se le lacrime agissero di propria
iniziativa.
Odio
piangere, da quando mi hanno portato via da quel posto maledetto avevo
giurato a me stessa che non mi sarei più fatta vedere in
questo stato.
Ma
non voglio morire, non ora che finalmente siamo alle porte del Nuovo
Mondo e mi sento un po’ più vicina al mio sogno.
-Io
non voglio- e lo dico ad alta voce, rendendomi conto di quanto possa
sembrare una stupida bambina.
-Io
non voglio morire- ripeto ancora e, cavoli, non riesco a
smettere di piangere.
Mi
sembra di essere tornata indietro nel tempo, affacciata da quella
dannata torre. Non è possibile.
Il ricordo di Enies Lobby mi colpisce come uno schiaffo, ritorna
violentemente davanti ai miei occhi dopo mesi passati a scacciarlo via
da me.
Non
voglio più pensarci, non voglio più sapere
perchè lui è qui, non voglio parlargli.
Mi aggrappo alle sbarre, scivolo a terra perchè le gambe non
mi reggono più.
La poca forza che mi era rimasta mi sta lentamente abbandonando, sento
solo l'amarezza adesso.
Forse perderò i sensi fra pochi secondi, mentre le lacrime
calde mi bagnano le guance.
Spero solo che lui vada via senza aggiungere altro.
Odio
vederla in questo stato, ma è del tutto comprensibile.
È
ovvio che lei voglia vivere, l’ha urlato al mondo e si chiede
disperata perché non l’abbiamo ancora capito.
È lontano il tempo in cui potevano plagiarla e ricattarla
solo perché non aveva nulla da perdere, perché
ora ha fin troppi tesori da proteggere.
Mi
siedo per terra e con cautela e calma le sciolgo una ad una le
dita dalle pietre di agalmatolite.
Ha
gli occhi chiusi, ma non si oppone.
Dopo un pò si tira su, sconfortata si mette a sedere di
fronte a me. Ha smesso di piangere e non mi guarda. Forse sperava che
me ne andassi, ma non posso.
-Lo
so che non vuoi- le dico.
Alza
gli occhi, ora.
La prima volta che ho incrociato quello sguardo lei era una bambina
terrorizzata, ed io un uomo alla ricerca di risposte.
Ora è una donna orgogliosa, ed io le mie risposte le ho
avute, più o meno.
Le
sorrido. Devo sbrigarmi a fare ciò per cui sono venuto qui.
Sorride.
Non l’ho visto molte volte sorridere, nei nostri pur brevi
incontri.
È
pensieroso, lo vedo, sembra in preda ad un complesso dubbio.
Improvvisamente
si rialza, e afferra le sbarre.
-Cosa
fai?- esclamo, balzando in piedi, stupendomi a mia volta di un gesto
tanto repentino.
Sta
stringendo l’agalmatolite tra le mani, ma non dà
alcun segno di stanchezza. È incredibile, eppure
anche lui ha i poteri del frutto del Diavolo.
-Kuzan!-
lo avverto, ma lui non sembra sentirmi. Poi un sottile velo di brina
ricopre le sbarre, le congela.
E
lui lascia la presa.
-Ecco-
commenta, come se niente fosse.
Non
capisco più nulla.
In
me si fa strada un senso di confusione insieme ad una strana sicurezza.
Comincio
a chiedermi se non voglia aiutarmi.. ancora.
Dio,
quest’uomo è davvero imprevedibile.
Con
un semplice gesto mando in frantumi le pietre congelate. Vengono
giù come se fossero di gesso, in mille schegge di ghiaccio.
Lei è qui, di fronte a me, ed è sicuramente
sorpresa, anche se sa benissimo che il mio potere mi rende
più forte di lei, e quindi anche in grado di spezzare quelle
pietre.
-Esci.
Sono
breve, anche se vorrei spiegarle di più.
Vorrei
dirle che sono vent’anni che cerco di salvarle la vita, e che
non voglio perdere proprio adesso, nonostante questo vada completamente
contro l’istituzione che io rappresento.
Sengoku
mi taglierebbe la testa, ma avrebbe già dovuto farlo quando
l’ho fatta fuggire da Ohara e ho impedito che Spandine la
inseguisse.
Quindi
ora non ho molti sensi di colpa se la faccio scappare via anche da
Marineford.
Vorrei
dirle che oramai la sua storia si è legata a me come se la
sua sconfitta rappresentasse anche una mia personale
sconfitta.
In
questi anni di servizio ho visto passare sotto gli occhi mille storie,
spesso di terrore e distruzione, ma non mi ero mai affezionato a
nessuna di queste.
Mi
viene in mente che Sauro se ne andò via come disertore
liberando Olvia dalla sua prigione e mi fa sorridere che io stia
facendo esattamente la stessa cosa.
Devo
considerarmi un traditore?
Non
so immaginare quanto possa essere difficile per lui. Contravviene
ancora una volta al ruolo che si è imposto, per salvarmi la
vita.
-Perchè?
Parlo
con un filo di voce, scuoto la testa, esamino la sua espressione
indecifrabile.
Lui
si sposta e mi lascia libero il passaggio attraverso il nuovo varco che
ha aperto con una naturalezza sconcertante.
È
ovvio che non vuole spiegarmi, forse sarebbe troppo per lui, forse lo
farebbe sentire un traditore.
Muovo un paio di passi incerti, ma le catene che mi legano i polsi al
muro di pietra mi ricordano ancora che da lì non posso
muovermi.
-Aspetta-
dice lui, senza guardarmi mi passa di fianco.
Non
mi sento bene, non so come lui non risenta degli effetti di questa
maledetta pietra. Forse perché è un Rogia, forse
perché la sua forza è ben superiore alla mia. Mi
chiedo se i Marine abbiano qualche metodo per aggirare i problemi
dell’agalmatolite.
Afferra
le catene, le congela, le sbriciola con la stessa disinvoltura di poco
fa.
-Vattene
via, ora- le ordino secco.
Non
voglio sentire ringraziamenti o cose del genere, soprattutto da lei.
Si
volta, mi guarda. Sembra indebolita, il suo sguardo è perso.
Poi si riscuote.
-Devo
salvare gli altri- mormora come a sé stessa.
Lo
sapevo, è proprio cambiata.
-Robin,
io non farò altro.
-Lo
so. Ci penserò io, so già a chi chiedere aiuto.
Sorride,
debolmente ma sorride. Finalmente.
Si
rende conto anche lei della disarmante anormalità di questa
situazione, una sensazione che mi fa sentire stranamente in pace con la
mia coscienza.
Vorrei
ringraziarlo, ma so che lui non sarebbe d’accordo. Ha sempre
tenuto a specificarlo, io
non ti sono amico.
D’accordo, continueremo così, a recitare
le nostre parti come abbiamo sempre fatto. La cosa importante in fondo
sono le nostre azioni, non tanto le parole.
Io
non ho bisogno di dirgli nulla, il mio dovere è continuare a
vivere.
È
stato l’ultimo desiderio di mia madre e di Sauro, ed ora
è la sua scommessa e la sua espiazione.
Non
posso deluderli tutti.
Ma
per andare avanti ho bisogno dei miei compagni, devo tornare indietro a
chiedere aiuto a Dragon, insieme li tireremo fuori di qui prima di tre
giorni, ora ne sono convinta.
Mi
perdo tra le mie nuove congetture, la prospettiva della
libertà mi isola da tutto il resto, mi smarrisce tra i miei
stessi pensieri.
D’un
tratto lui mi prende la mano, sussulto. La sua è
così gelida.
-Andiamo.
Devi sbrigarti.
Lo
seguo, ancora un po’ disorientata.
Mi
porta fuori, attraverso il semibuio, nel corridoio. Mi porta via da
lì.
Si
guarda intorno, sa che non c’è nessuno
perché nessuno penserebbe mai ad una circostanza simile.
L'Ammiraglio Aokiji non potrebbe mai aiutare una ricercata.
La
sua mano è calda e delicata, si lascia guidare via da questo
posto.
Camminiamo
velocemente e in silenzio fino ad uno dei pozzi luce dai quali si
avverte la profondità della notte.
-Ora
puoi difenderti da sola. Segui questa strada.
Le
accenno ad uno dei cunicoli che si aprono di fronte a noi.
Le
lascio la mano, lei mi guarda, sta ferma come se non le avessi detto
nulla.
Come
se non fosse pericoloso. Robin, vattene via, non potrò
aiutarti se ti riprendono adesso.
-Hai
tracciato ancora una volta la strada per salvarmi.
Mi
abbraccia.
È
breve ma intenso questo contatto. Dentro ci sono tutte le parole che
non ho il coraggio di ascoltare e altrettante domande che per ora non
hanno un esito razionale.
Non
posso fare a meno di tacere.
Non
posso fare a meno di pensare all’ultima volta che mi ha abbracciato, sempre
che quello possa considerarsi un abbraccio.
Era gelido e mortale, voleva uccidermi. Era quando ancora credeva che
non meritassi altro che la morte, e voleva una volta per tutte mettere
in pari i conti con Ohara.
Ma il suo debito con Sauro non era ancora stato saldato.
Ora
potrei restare così per tutta la notte, ma la mia
razionalità mi dice che non è molto saggio.
Mi
scosto, lui non ha detto nulla. Spero non prenda questo gesto come
un’offesa.
-Ci
rivedremo- e lo spero veramente.
Poi
gli volto le spalle, e corro via senza più rifletterci.
Corro via, seguo il passaggio che mi ha indicato con una sottile
striscia di ghiaccio che man mano scompare dietro i miei passi.
Pochi
minuti e sono fuori, ora devo nascondermi, e raggiungere Dragon.
Non
c’è più tempo per pensare.
Prendo
un sentiero familiare immerso tra gli alberi, corro via in direzione
del mare, sperando con tutto il cuore che la zattera usata per venire
fin qui sia ancora al suo posto. Finalmente c’è la
luna ad accompagnarmi, mi sento molto meglio, amo l’aria
fredda che mi schiaffeggia il viso, ha il sapore di libertà.
Sto
ridendo senza nemmeno accorgermene, ma non importa, ora sono felice,
sono di nuovo libera.
Dopo
qualche minuto questa ebbrezza appagante viene interrotta da un
particolare che colpisce i miei occhi e attira la mia
curiosità.
Ai
raggi lunari scorgo un piccolo brillio argenteo, come un riflesso di
luce, alla fine del sentiero che porta al mare.
Catturata da quello strano fenomeno mi blocco, mi avvicino. Sembra un
frammento di specchio, o un cristallo.
Se
n’è andata da un po’, ormai, ed io ho
ripreso la strada per quella che dovrebbe essere la mia casa.
A
questo punto lei dovrebbe già essere in salvo sulla costa.
Sono
sicuro che riprenderà il mare per raggiungere i
Rivoluzionari e tornare qui più forte, per salvare coloro
che ama più di ogni altra cosa.
Puoi
anche odiarmi per tutta la vita, Robin, perché quando
ricomparirai mi vedrai combattere contro di voi, per difendere
l’orgoglio dei miei princìpi e della mia morale,
perché ormai è questa la parte che ho deciso di
voler impersonare.
Ma
puoi stare tranquilla, nessuno alzerà le mani su di te,
almeno finchè potrò proteggerti come ho sempre
fatto, da lontano e silenziosamente.
Vivi,
ragazza, perchè Ohara non è ancora morta.
No,
non è affatto un specchio quello che stringo tra le mani,
con il cuore in gola.
Emana
una soffusa luminescenza che incanta. È un
prezioso, gelido fiore di ghiaccio.
Aww.
Personalmente sono
molto curiosa su come si comporterà Aokiji la prossima volta
che i due si incontreranno nel manga.
Sempre se si
incontreranno, visto il casino di persone che stanno accorrendo in quel
della Sede Centrale =)
(si,lo so
che i Rogia risentono dell’agalmatolite come tutti gli altri,
ma in qualche modo Kuzan doveva pur rompere quelle catene, no? )
Lo sapete
già che un commento fa sempre piacere, gente.
Alla prossima
=]
Maya
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