Se
Ernie non tornava, allora sarebbe andata lei da suo marito...Nel
frattempo, al Ministero, stava accadendo qualcosa di simile.
Ernie
aveva chiuso l'ultimo rapporto con una bella firma e un viaggio verso l'ufficio
centrale. Si passò le mani sulla faccia stancamente osservando l'orologio e
notando che erano appena le sei.
Sorrise pensando che per una
volta sarebbe potuto rientrare a casa presto, per una sera, così aveva
afferrato il mantello e si era alzato dalla scrivania.
Una
voce femminile però lo distolse dai suoi pensieri, catturando la sua
attenzione.
"Monsieur McMillan."
Ernie
riconobbe quella voce in un attimo. Sollevò lo sguardo sorpreso, per trovarsi
davanti la collega dell'ufficio di fronte al suo.
Era una donna
molto affascinante. Capelli scuri dai riflessi incomprensibili, occhi verdi e
scintillanti, da gatta, labbra perfette e carnose e un corpo alto e slanciato.
Vestiva sempre di eleganti tailler che scoprivano grazie a spacchi
particolarmente generosi, le belle e lunghe gambe; e quel giorno non faceva
eccezione.
Gli sorrise con fare giocoso, appoggiandosi allo
stipite della porta. "Va' già via?"
Ernie, dapprima
stupito da quella visita, si sistemò poi il mantello sulle spalle e abbozzò
un sorriso. "S-sì... signorina Gèraldy..."
Fece
il giro della scrivania, prendendo la valigetta in pelle scura, che aveva
posato per terra. "Torno a casa." spiegò brevemente.
La
donna scosse la testa. "Oh nono..." iniziò con un particolare
accento francese, suo paese d'origine. "Mi chiami Giselle... quante volte
devo dirglielo ancora, monsieur Ernèst?"
Gli si avvicinò
sorridendogli. "Le posso rubare qualche minuto? Vorrei ringraziarla per
l'aiuto che mi ha dato ieri... solo il tempo di un caffè!" gli propose
assumendo un'aria più sensuale.
Ernie avvertì un certo disagio.
Quella donna lo aveva sempre fatto sentire in quel modo. Aveva un modo di fare
sempre accattivante e malizioso e per un uomo come lui, con un carattere così
riservato e timido, era sempre complicato gestire quel tipo di incontri.
Gli
venne spontaneo arretrare di un passo e di passarsi una mano dietro la nuca
imbarazzato. "Ehm... ecco, se non le spiace andrei un po' di fretta... mia
moglie mi sta aspettando..."
"Ma è solo per
poco!" la interruppe la strega esibendo un broncio. "Un caffé per
ringraziarla e la lascio andare." aggiunse ritrovando il tono di voce di
poco prima.
Ernie era indeciso. Decisamente preferiva evitare
di andarsene in giro con quella donna, tanto più che non gli importava di
approfondire alcun tipo di rapporto con lei. Ma dall'altro era incapace di
frenare l'entusiasmo di Giselle.
"D-d'accordo..."
mormorò infine come risposta.
Lei batté le mani esultante,
quindi afferrò senza tanti complimenti il braccio del collega e lo trascinò
fuori dal Ministero, attaccando bottone con gli esiti del prezioso aiuto che
aveva ricevuto.
Ernie dovette trasfigurare il mantello in un impermeabile,
quando furono nella Londra Muggle. E mentre la mente volava a sua moglie,
che avrebbe tanto voluto vedere, Giselle lo portò una sala da thè poco più
avanti, continuando a ricordare di quanto fosse stato provvidenziale e
miracoloso il suo intervento appena un giorno prima.
Iniziò a temere che il tempo di un
caffè si sarebbe orribilmente prolungato, quando le tazzine furono vuotate
e la Geraldy parlava ancora.
Ernie guardò l'orologio
sospirando e solo allora si costrinse ad ascoltare le parole della donna.
"Le
dà così fastidio, che io sia con lei?" gli chiese con fare svenevole.
Solo in quel momento Ernie si accorse che Giselle aveva lentamente accostato la
sua sedia a lui.
La situazione iniziava a piacergli sempre
meno. E la sua agitazione aumentò. Provò a mostrare un sorriso finto, quando
si spiegò.
"No... assolutamente. Devo andare... lei mi
capisce..." fece per alzarsi, ma una mano di lei lo bloccò,
costringendolo così ad arrestarsi e a guardarla negli occhi.
Il
tono di voce della strega si fece più basso e sensuale. "Ernèst... io
volevo dirle una cosa... è per questo che l'ho invitata qui."
Abbassò
lo sguardo per un attimo, prima di rialzarlo nuovamente e di guardare Ernie con
occhi speranzosi e languidi. Nel frattempo nella sua mente si stava scatenando il
putiferio. Adesso la situazione era diventata insostenibile. Aveva il vago
sospetto di cosa stesse per dirgli e decisamente non voleva ascoltarlo.
Arrossì
leggermente sulle gote, e tentò di sollevare il braccio per liberarsi così
dalla presa della donna, ma dovette accorgersi che Giselle aveva una strana
forza sconosciuta. Era in trappola.
"Lei... mi piace
molto, Ernèst. Trovo sia un uomo affascinante e molto intelligente, e davvero
mi piacerebbe..."
"I-i-io sono sposato!"
esclamò improvvisamente lui con voce non troppo alta.
La
mano della donna continuava pressante sul braccio. Lo fissava ancora
battagliera, sicuramente decisa a non lasciarsi scoraggiare da un'inezia
simile.
"Non importa Ernèst... quello che importa è
quello che c'è tra noi due..."
Ma non c'è niente tra
noi due!, avrebbe detto se, senza che se lo aspettasse, le labbra di Giselle,
non si fossero premute sulle sue.
Dapprima sgranò gli occhi,
poi dopo un attimo di smarrimento, in cui lei si staccò, la fissò sconvolto e
si divincolò con forza liberandosi. Si fece indietro seccato, ma non ebbe il
tempo di replicare, perché casualmente gli venne spontaneo lanciare
un'occhiata alle spalle della donna, per accorgersi di una figura familiare
che aveva malauguratamente assistito alla scena.
Da quel
momento Giselle scomparve dalla sua mente. Si alzò in piedi, noncurante di
quella sciocca donna e iniziò a fare una gincana attraverso i tavoli in legno
della sala da the, per uscirne fuori in fretta.
"Hannah!"
esclamò sconvolto, ma prima che potesse ritrovarsi sulla strada, la donna era
già scomparsa con la sua Passaporta.
Dopo essersi guardato
intorno più volte, aveva iniziato a scuotere la testa, sentendo l'angoscia
sopraffarlo. "Oh no... nononononooo.... non questo..." biascicò,
prendendo a correre per trovare un posto nascosto in cui Smaterializzarsi.
Doveva trovarla e spiegarle tutto. Sapeva di non avere colpa, ma si sentiva
ugualmente un verme. Comparve nella loro villetta pochi istanti dopo, ma
dovette constatare, che sua moglie aveva trovato un altro posto in cui scappare
da lui...
Hannah non aveva usato la Passaporta. Non appena si
era recata in quella sala da the, in cui al Ministero le avevano detto che si
trovava suo marito, e aveva visto Ernie baciare un'altra donna, l'oggetto le
era caduto di mano e la sua mente, quando l'uomo aveva preso a correre verso di
lei, le aveva suggerito l'unica cosa da fare in quel momento: Smaterializzarsi.
Non
si curò dello sforzo che avrebbe dovuto subire con quel gesto, così si
ritrovò solo a pochi chilometri dal posto in cui era sparita e ancora nel
cuore di Londra.
Era rimasta ferma nella sua posizione per
alcuni minuti, fissando il vuoto come se cercasse di convincersi che quello a
cui aveva assistito era stato solo un brutto scherzo. Ma poi le lacrime amare
vennero fuori e così anche la sua reazione.
Si portò le
mani sul viso, prendendo a singhiozzare, desiderando improvvisamente di essere
da un'altra parte, di volere persino un'altra vita.
Si
sentiva a pezzi, soprattutto per via dello sforzo che aveva compiuto, ma quando
alcuni passanti non si curarono di lei e la travolsero con la loro fretta, si
rese conto che non poteva restare in quel posto, tra l'altro sconosciuto, in
cui era apparsa.
Prese a camminare con aria vuota, non
sapendo dove andare, finché fortuna volle, che riconobbe la facciata di un
palazzo a tre piani. Il suo corpo si mosse da solo verso quello che ricordava
essere l'appartamento di un suo vecchio amico, Justin Finch-Fletchly.
Justin
era l'unico che potesse aiutarla. Lo conosceva fin da piccola e in passato si
erano aiutati a vicenda in alcuni momenti difficili, perciò quando suonò il
campanello, pregò con tutto il cuore che il suo amico fosse in casa, perché
aveva un disperato bisogno di aiuto.
Fu con un sospiro di
sollievo che vide la sua faccia sorpresa, quando aprì la porta. La presenza di
quel suo caro amico le permise di sciogliersi in pianto, quando Justin,
confuso, le chiese il motivo del suo arrivo e notò la sua aria sconvolta.
"Hannah...
cosa è successo?" domandò preoccupato, posandole una mano sulla guancia.
Lei
singhiozzò disperata, ma prima che potesse provare a spiegargli ogni cosa,
Justin la fece entrare in casa e sedere sul divano, con fare premuroso.
Un
altro singhiozzo, prima di emettere qualche suono con voce roca.
"N-non
è giusto..."
L'amico le si fece a fianco e le posò una
mano sulla spalla. Il tocco rassicurante le diede il coraggio per continuare.
"Q-quella
donna era così bella... e io sono una... balena! E' ovvio che lui...
preferisce quella... ma vederlo... non doveva farlo... e adesso..."
biascicò senza controllo, lasciandosi andare allo sfogo senza più remore.
Colpito
da tutte quelle parole, Justin fece fatica a capire cosa stesse succedendo. Il
discorso venne interrotto anche dall'arrivo della sua fidanzata Lisa Turpin,
che dall'altra stanza aveva sentito la voce di Hannah.
Lei, non
appena l'aveva vista, aveva cercato goffamente di alzarsi in piedi e aveva
mormorato di non voler disturbare e che non avrebbe dovuto fare tutto quel
caos, ma l'imposizione severa di Justin, la frenò e la costrinse nuovamente a
rilassarsi sui cuscini.
"Adesso stai buona qui e mi
spieghi cos'è successo. E piuttosto, dov'è Ernie?"
Senza
sapere di aver toccato l'argomento più scottante, si ritrovò in un attimo
Hannah, a piangere tra le sue braccia. Non gli ci volle molto, a quel punto,
per capire chi doveva essere il motivo per cui la donna era in quelle
condizioni.
Lasciò che piangesse ancora, prima di scostarsi
un po' da lei e di guardarla rassicurante negli occhi. Non servirono parole per
indurre Hannah a spiegargli cosa era accaduto.
Quando ebbe
concluso, Justin aveva un'espressione a dir poco sconvolta. Non poteva
credere che Ernie, innamorato perso di Hannah da una vita, avesse potuto
frequentare un'altra donna. Era inconcepibile.
E fu con
questa inclinazione che le parlò accarezzandole la chioma bionda. "Sono
convinto che c'è un malinteso, Hannah... vedrai che se parliamo con lui
forse..."
Si interruppe quando lei scosse la testa.
"No... adesso no... non riuscirei ad incontrarlo..." gli spiegò con
voce piatta.
L'uomo sospirò, passandole un'altra volta le
dita tra i capelli. "D'accordo... ora è meglio che vada a riposarti un
po'. Sei stravolta e hai persino usato la Materializzazione nel tuo
stato..."
La aiutò ad alzarsi in piedi con una certa
premura, mentre Lisa si avvicinava gentilmente, prendendole la mano.
"Vieni
con me, Hannah." le disse con un sorriso.
Lei si guardò
un attimo intorno spaesata. "Oh... n-non voglio disturbare... magari ora
torno a casa..." ma le parole le morirono in gola, al pensiero di chi
avrebbe potuto incontrare così facendo.
"Non
preoccuparti, non sei di nessun disturbo." si affrettò ad accertarle
Lisa, convincendola quindi a seguirla nella stanza per gli ospiti.
Justin
seguì le due donne allontanarsi, sbuffando a passandosi una mano tra i
capelli. Non era possibile che fosse accaduta una cosa del genere,
assolutamente. Ernie non era tipo da tradire Hannah, non lui che amava così
tanto sua moglie e la considerava la cosa più preziosa che avesse.
Non
trascorsero che pochi minuti, da quando il campanello squillò di nuovo, questa
volta con più insistenza. Justin si affrettò ad aprire la porta e quale
sorpresa, quando si ritrovò davanti proprio Ernie, che con fare agitato e un
terribile fiatone, gli sciorinò addosso un fiume agitato di parole.
"Ehi,
ehi calma!" esclamò l'amico interrompendolo, mentre usciva sul
pianerottolo e socchiudeva la porta alle sue spalle. "Si può sapere cosa
diavolo hai combinato?!" gli domandò poi, leggermente nervoso.
Ernie
si arrestò un secondo, colpito da quelle parole. "Allora hai visto
Hannah! Hannah è qui adesso?" chiese a sua volta, agitandosi nuovamente.
Justin
pose le mani in avanti, prevenendo ogni possibile idea dell'amico. "Alt.
Frena. Sì, è qui, ma ora non vuole vederti. Ti spiacerebbe spiegare a me,
cosa hai combinato con quella donna?" si sforzò di far apparire il suo
tono quieto.
"Niente!" esclamò disperato Ernie.
"M-mi ha baciato senza che io volessi e quando l'ho allontanata ho visto
Hannah lì impalata e... oddio, Justin, è un casino!"
L'amico
prese fiato, osservandolo. "Ok, ho capito... immaginavo che tu non
c'entrassi niente, non sei tipo da fare queste cose..." iniziò con fare
pensieroso, passandosi una mano dietro il collo e poi sulla guancia. Portò poi
lo stesso braccio sulla spalla dell'uomo, cercando di rassicurarlo.
"Ascolta,
adesso Hannah è parecchio stanca... ha avuto una giornata terribile e si è
sforzata molto-"
"Che le è successo?! Sta
male?!" lo interruppe bruscamente Ernie, fissandolo preoccupato.
Justin
scosse vigorosamente le testa. "No no, tranquillo, è solo scossa.
Lasciale una notte di tempo per riposare, vedrai che domani sarà lei stessa a
cercarti per parlare." concluse con un sorriso incoraggiante.
Ernie
non parve molto convinto. Chinò per un attimo lo sguardo triste, come per
varare la proposta. Poi sospirò.
"D'accordo. Verrò...
verrò domattina... prima di andare al Ministero..."
"Potresti
anche non andare al Ministero per una volta." replicò indispettito Justin.
Quando Ernie sollevò lo sguardo, notò le sopracciglia arcuate dell'amico e
l'aria contrariata.
"Se Hannah era lì, oggi, è stato
solo perché voleva vederti. Sei sempre occupato con il tuo lavoro, ci credo
che si stanchi a star da sola per tutto il giorno."
Mentre
parlava, Ernie si rese conto di quanto avesse ragione. Era stato uno stupido e
invece di fare il bene di sua moglie, aveva rischiato di distruggere tutto
quello che avevano instaurato assieme in quegli anni.
Si
posò una mano sulla fronte annuendo col capo. Arretrò di un passo. "D-devo
andare ora... a domani."
Justin restò alcuni istanti
sulla porta, prima di rientrare nel suo appartamento. Come al solito quei due
avevano bisogno di aiuto... incredibile quanto fosse in grado di incasinarsi la
vita senza volerlo...
Hannah dormì per poche ore, quella
notte. Quando si svegliò non era ancora sorto il sole, ma sentiva di aver
riposato abbastanza, così si era alzata a fatica dal letto e si era seduta
davanti alla finestra, per osservare il panorama della Londra di primo mattino,
che sapeva quanto fosse affascinante.
Aveva letto molte
poesie a riguardo, ma non le era mai capitato di osservarla realmente con i
suoi occhi. In periferia, dove vivevano lei ed Ernie c'era solo la campagna a
circondarla. Non gli alti palazzi illuminati dai primi raggi di sole e le
strade ancora deserte.
Ernie... voleva rivederlo. Tutto
quello che era accaduto appena un giorno prima le sembrava così lontano,
eppure le pesava ancora sul cuore. Ma adesso c'era la consapevolezza di un
chiarimento. Voleva sentire dalle sue labbra, quello che era veramente accaduto
con quella donna.
Restò in quella posizione per molto tempo
ancora, e decise di uscire dalla stanza, solo quando le strade iniziarono a
riempirsi di gente e di auto rumorose.
Si vestì e poi
raggiunse i suoi amici in sala da pranzo, da cui aveva iniziato a sentire un
buon profumo di colazione.
Sorrise quando salutò Justin e
Lisa, e si avvicinò alla cucina, dove era impegnata la donna. Si offrì di
darle una mano, ma aveva appena preso in mano un cucchiaio di legno, quando
avvertì qualcosa dentro di sè.
Sgranò gli occhi, lasciando
cadere l'utensile per terra e attirando così l'attenzione degli altri due.
Scosse la testa, quando Justin le si avvicinò preoccupato.
"Le
acque. Si sono rotte le acque."
Ernie dormiva ancora
quando sentì il telefono muggle che avevano in casa, squillare
fastidiosamente. Quando la sera prima era tornato nella sua abitazione, aveva
vagato fremente per diverse ore, e solo a notte fonda, aveva trovato sollievo
sul divano del salotto. Si era addormentato tutto vestito e quando aveva preso
in mano la cornetta per chiedere chi fosse a disturbarlo a quell'ora del
mattino, aveva un aspetto a dir poco indecente.
La barba
sfatta, gli occhi cerchiati dalla stanchezza, la camicia bianca del giorno
prima completamente sgualcita e i capelli tutti arruffati.
"Ernie,
sveglia!" la voce di Justin lo destò un po', mentre di colpo tutto quello
che era accaduto il giorno prima gli tornava a galla velocemente. Guardò
l'orologio, credendo di essere in ritardo, ma si accorse che erano appena le
otto.
"C-cosa c'è?" chiese leggermente confuso.
"Devi
raggiungerci al S. Mungo! Hannah ha le doglie!"
Decisamente
ogni traccia di sonno svanì all'istante, quando registrò quelle parole. Si
alzò in piedi di scatto, esclamando di sorpresa.
"C-che
significa che Hannah ha le doglie?" chiese stupidamente, prendendo a
camminare nervosamente in su e in giù per la stanza.
"Che
per Natale ti regalo un cervello nuovo. Sveglia Ernie! Tuo figlio sta per
nascere!"
L'agitazione dell'uomo si intensificò, se
possibile, ancora di più. "O-o-o-oddio... oddio... arrivo! Arrivo subito!
Siete già lì?"
"No..." la voce dell'amico si
fece più preoccupata. "Siamo imbottigliati nel traffico, Hannah ha perso
la Passaporta e la stiamo portando in macchina. Vai avanti, comunque e avvisa
che stiamo per arrivare."
"Ok! Ok! Vado!
Vado..." chiuse la comunicazione senza neanche salutare, si fiondò nel
bagno per sciacquarsi il viso prima di Materializzarsi al S. Mungo. Non poteva
crederci... suo figlio stava per nascere. E lui non si era ancora chiarito con
Hannah!
Doveva farlo. Non c'era tempo da perdere.
Hannah
arrivò in ospedale quando già le contrazioni erano diventate più frequenti.
I Guaritori la portarono d'urgenza in sala parto, senza attendere un attimo, ma
dovettero farei conti con qualcuno che si era avvicinato alla donna, con fare
agitato.
Solo quando Ernie spiegò di essere il marito
della donna, lo presero di peso e lo trascinarono nella sala adiacente per
fargli indossare un camice verde acido come il loro.
Appena
aveva visto Hannah le era andato incontro, chiamandola per nome, ma poi non era
riuscito a dirle altro, vista la rapidità con cui si erano svolti i fatti.
Quando
si ritrovò improvvisamente nella sala parto e si accorse nuovamente di lei, le
si avvicinò velocemente, afferrandole la mano.
"Ti
prego Hannah scusa! Non volevo, cioè non sono stato io, quella donna ha fatto
tutto sola, ma ti prego perdonami ugualmente, ti prometto che non accadrà mai
più, ti amo troppo per farti soffrire così tanto, Han-"
Fu
interrotto da un grido di dolore della moglie e solo allora si ricordò che
Hannah stava per partorire. Gettò un'occhiata, dove i dottori erano
affaccendati e per poco non sbiancò.
"O-oddio..."
mormorò preoccupato, avvertendo un certo mancamento.
"E-Ernie..."
la voce di Hannah riportò l'attenzione su di lei. Incrociò il suo sguardo
affaticato e respirò a fondo. Giusto, non doveva pensare a se stesso, adesso
era lei che aveva bisogno di lui. Strinse la sua mano con più forza e le
accarezzò la fronte bagnata di sudore, dandole un bacio.
"Avanti,
fatti forza." le disse con molta più calma di quella che aveva.
Poco
dopo un vagito riempì l'aria e la voce del Guaritore fece le congratulazioni
ad entrambi, spiegando loro di aver avuto una bella bambina.
Ernie
abbracciò Hanna dalla testa, schioccandole un altro bacio in fronte e
assicurandole di quanto fosse stata brava. E nel frattempo un'infermiera
avvolse la piccola che non smetteva di piangere un secondo e la porse alla
madre.
Hannah rise stancamente, accarezzandole piano il
braccino che spuntava dal fagotto, piangendo di commozione. E solo quando
lasciò che suo marito la prendesse in braccio, si accorse che la figlia aveva
finalmente smesso di piangere. Rivolse uno sguardo dolce al marito che rideva
con aria ebete e ancora confusa, con il frugoletto tra le braccia tremanti e
finalmente si rilassò sui cuscini, avvertendo una certa tranquillità nel
cuore...
Ernie fu costretto ad uscire dalla sala parto,
lasciando così Hannah e sua figlia alle cure dei medici.
Qualche
ora dopo si fermò per un tempo indeterminato, davanti al nido, per osservare
la deliziosa creatura che era sua figlia.
I suoi amici
vennero a trovarlo e scherzarono con lui e fecero festa, ma solo quando i
Guaritori lo avvisarono che Hannah poteva ricevere visite, tornò veramente in
sé.
Si affrettò a raggiungere la sua stanza e tentennò un
po', prima di entrare. Quello sguardo che si erano scambiati in sala parto,
significava molte cose, ma sapeva che avrebbe comunque dovuto parlare con sua
moglie.
Bussò lievemente la porta e sbirciò all'interno con
aria titubante. Quando notò Hannah perfettamente sveglia e quasi sicuramente
in attesa di lui, entrò del tutto, richiudendosela alle spalle.
Si
sentiva a disagio. Ma non era lo stesso che aveva provato quando era con la
Geraldy. Perché ora aveva paura. Aveva avuto paura per tutto quel tempo, di
perdere sua moglie e ora che si trovava lì, davanti a lei, si sentiva
terrorizzato.
Anche Hannah aveva paura. Paura di sentire
quello che aveva da dirgli. Paura di perderlo. E paura che tutto finisse male.
Quando aveva iniziato ad avere le doglie, il suo primo pensiero era stato che
voleva Ernie al suo fianco. E solo quando lo aveva visto scapicollarsi verso di
lei, aveva tirato un sospiro di sollievo.
Ma ora, il panico
era tornato e negli istanti in cui si guardarono in un silenzio, carico di
chiarimenti e di scuse, sentì di tremare.
Ma durò tutto
pochi attimi. Nel momento in cui Ernie, con poche falcate le fu vicino e la
abbracciò stringendola a sé, tutto svanì come fumo e nel cuore le rimase
solo una sensazione di leggerezza.
"Perdonami ti
prego... ti giuro che non permetterò più a nessuno di dividerci! E cambierò
vita, non tornerò più così tardi te lo prometto!" biascicò Ernie,
profondamente dispiaciuto, accarezzandole dolcemente la testa.
Hannah
sorrise tra le lacrime, assaporando finalmente la sua vicinanza.
"D'accordo... d'accordo..." mormorò anche lei, lasciandosi cullare
da quell'abbraccio.
Si scostarono lievemente per scambiarsi
un bacio lungo e intenso, finalmente consapevoli che ogni ostacolo era stato
superato.
E così si conclude questa storia. Per anni ne ho
fatto sempre tesoro e penso che un domani, se mai avrò una famiglia, mi
ricorderò di come i miei genitori siano riusciti ad affrontare il loro primo
problema coniugale.
Ah, non lo avevate ancora capito? Hannah
ed Ernie sono i miei genitori e io ero quell'adorabile frugoletto che si è
acquietato solo tra le braccia di papà!
Il mio nome è Sarah
McMillan e ormai sono passati venticinque lunghi anni da quell'episodio. E
posso tranquillamente affermare che mamma e papà si amano ancora come quel
giorno. Son così carucci assieme! In tanti anni di matrimonio ne hanno
superati tanti di ostacoli, ma sono sempre riusciti ad uscirne fuori come
quella volta.
Ripensando a loro, mi torna in mente quella
frase di Mauriac. E chissà se non aveva davvero ragione.
Fine.
Uh
uh... allora piaciuta? Spero non sia risultata un po' banale, ma la frase e la
coppia mi hanno ispirato questo episodio, perciò spero di avervi per lo meno
fatto sorridere un po'. ^^
Un saluto a tutti! E un baciotto
speciale a Saretta!:****
Ryta Holmes