[E’ difficile la
vita, quando tutti ti vedono come un demonio. Vieni deriso, umiliato, picchiato
anche se non hai fatto nulla, conta solo come appari, non come sei dentro.
Kokitsune lo sapeva bene. C’era una persona, invece, che era davvero degna di
quell’appellativo ma per le sue ‘normali’ caratteristiche veniva lasciata in
pace e veniva anzi lodata come una figura da imitare, anche a soli tredici anni…
Lucci. Ma lui, a differenza di lei, amava uccidere. Faceva del sangue un lusso
al quale non poteva rinunciare, e le sue azioni ricadevano su Kokitsune, allora
non ancora un membro effettivo del CP9. Lei veniva giudicata per quello che
appariva. Ma vi racconterò la loro storia, e non solo. Perché non è solo la
loro, ma quella del CP9 di allora]
Lui era lì, seduto,
che guardava il pavimento.
Al bordo di un
marciapiede, che guardava torvo i passanti che si affrettavano verso le loro
case, prima del calar della notte. Tra le mani, un tozzo di pane che stava
sbriciolando per il suo piccione, Hattori, che stava appollaiato sulla sua
spalla, vicino ai suoi capelli lisci, corti e vagamente ondulati. Le sue piume
bianche contrastavano notevolmente con i capelli, neri corvini.
Lucci: -Tieni
Hattori, e fattelo bastare fino a domani, che non abbiamo altro-
Lucci aveva solo sei
anni, quando venne iniziato alle Rokushiki.
Non aveva famiglia,
e si vedeva, dato che viveva per strada. Sua unica compagnia era appunto
Hattori, piccione che aveva salvato dalle grinfie di un gatto che lo stava per
mangiare. Ogni tanto, se il cielo gliela mandava buona, mettevano le mani su un
po’ di cibo, ma per il resto vivevano alla giornata. Ma quella sera sarebbe
stata l’ultima notte trascorsa per strada.
???: -Tu, bambino…
Vieni con me-
Lucci: -Oh? Chi
sei?-
La voce estranea era
quella di un uomo adulto. Sembrava parecchio deciso, e comunque Lucci era solo
un bambino, anche se si fosse opposto non avrebbe fatto una gran differenza. Una
mano lo afferrò con forza dal magro braccio, alzandolo violentemente.
???: -Mi chiamo
Spandine, orfanello. Verrai addestrato per diventare un membro del CP9. Una
volta giunti a destinazione, verrai informato-
Lucci: -Mi lasci! Mi
sta facendo male!-
Spandine: -Non
scherzare! E comunque, perché ti preme così tanto la vita? Non hai nessuno
accanto, nessuno che chieda di te, non hai neanche un tetto sotto il quale
ripararti! Anzi, per sopravvivere rubi anche. Non mi darai a bere che quel tozzo
di pane te lo sei guadagnato onestamente! A questo punto, se devi proprio
vivere, renditi utile!-
Quelle parole
avevano colpito il bambino. Non si era mai posto quelle domande, e sentirsele
rinfacciate così di colpo con tono duro e seccato, facevano particolarmente
effetto.
Lucci: -… Dove mi
porta?-
Spandine: -Alla
nostra base. Ne abbiamo una in ogni città, delinquente!-
Una volta arrivati
alla base della Marina, Lucci venne fatto accomodare in un ufficio molto
ordinato. Si respirava un forte odore di caffé, e numerosi fogli erano
accatastati sulla scrivania in lucido legno davanti a lui. Si era accomodato in
una poltrona in pelle nera, come gli era stato detto, in attesa dello stesso
uomo che l’aveva raccolto dalla strada. Si strofinò gli occhi: aveva sonno.
Dopotutto era mezzanotte, e lui era abituato ad essere a dormire da qualche
parte a quell’ora.
Un rumore: Spandine
era appena entrato nell’ufficio, con un pezzo di carta e una penna in mano.
Chiuse la porta dalla quale era entrato e si accomodò oltre la scrivania, di
fronte a Lucci.
Spandine: -Allora…
Il tuo nome-
Lucci: -Rob
Lucci-
Spandine:
-Età-
Lucci: -Sei
anni-
Spandine: -Sei
predisposto a malattie?-
Lucci:
-No-
Spandine: -Questo lo
deciderà il nostro dottore… Ti esaminerà domani. Comunque, paure?-
Lucci:
-Nessuna-
Spandine: -Ultima
cosa… Per stasera. Ti piacciono i gatti?-
Lucci: -Che razza di
domanda è questa? Comunque sì. Mi piacciono-
Hattori, irritato,
volò dall’altra parte della stanza. Lucci sorrise, il piccione aveva un buon
motivo per odiare i felini.
Spandine: -Molto
bene. Abbiamo un Frutto del Diavolo, a quanto ci hanno detto è uno Zoan modello
Felis Felis, e lo daremo a te. Hai bisogno di diventare forte, se vuoi esserci
d’aiuto…-
Lucci: -Ok. Non so
neanche cosa sia un Frutto del Diavolo, ma se proprio devo prenderlo e mi farà
diventare forte…-
Spandine: -Non te ne
pentirai. Ora vattene di qui, qualcuno ti indicherà il tuo alloggio per
stanotte, e dormi. Avrai bisogno di tutte le tue forze per domani-
Nonostante le ultime
parole dell’uomo abbiano lasciato il bambino perplesso, obbedì. Fuori dalla
porta, evidentemente a origliare, c’era un adolescente (quattordici anni)
vestito con una camicetta bianca e dei pantaloni neri. I capelli viola e gli
occhi apparentemente pesti, lo guardava con invidia.
???: -Mhm. Papà dice
così a tutti… Beh, io sono Spandam. Ti devo indicare dove dormi-
Lucci: -Va bene.
Fammi strada-
Spandam: -Spero che
non ti faccia problemi condividere la stanza con un altro moccioso… Si chiama
Jyabura, ha sei anni più di te. L’abbiamo già da un po’-
Il ragazzo lo guidò
attraverso i corridoi della sede. Erano molto puliti, e nonostante fosse notte
tarda molti Marines erano ancora in piedi a lavorare. Salirono delle scale e
percorsero un corridoio pieno di porte, tutte uguali, se non fosse che avevano
una targhetta con un numero diverso per ogni stanza. Arrivarono fino alla numero
tredici e Spandam entrò senza nemmeno bussare, provocando l’ira di un bambino
poco più piccolo di lui. Un undicenne, per la precisione, i lunghi capelli neri
e sciolti, una cicatrice sull’occhio sinistro.
Spandam: -Hai
compagnia, marmocchio-
Jyabura: -Cosa?! Qui
non c’è posto per tutti e due!-
Lucci capì fin dal
primo momento che non sarebbe andato d’accordo con Jyabura, che era
un’attaccabrighe e di certo non si sforzava di fare amicizia.
In ogni caso, la
stanza dove erano alloggiati era piccolina, e sulla moquette marrone segni di…
Graffi.
Jyabura: -Una volta
tanto che ho qualcosa solo per me scopro che devo condividerla!!!-
Spandam: -Ma questo
lo abbiamo raccattato dalla strada, come te, piccolo lurido verme!-
Jyabura: -… Guarda
che mi trasformo-
Lucci si meravigliò.
Spandam indietreggiò appena, ma non sembrava intimorito.
Spandam: -E noi ti
buttiamo in mare. A te insegnano pure le Rokushiki, ma devono provvedere al
rispetto! Tu altro, come ti chiami… Quello è il tuo compagno di
stanza-
Spinse dentro il
bambino e chiuse la porta. Si sentì la chiave scattare nella serratura e
chiuderli dentro.
Jyabura: -Tsk… Fa
sempre così-
Lucci: -Prima hai
detto ‘mi trasformo’… Che volevi dire?-
Jyabura: -Beh, che
mi trasformo. Sai che vuol dire?-
Lucci: -Sì, ma… La
gente non si trasforma-
Jyabura: -Ahah, non
sai farlo? Ti faccio vedere-
Jyabura sembrava
contento che il suo nuovo compagno di stanza non sapesse trasformarsi. Sembrava
comunque che avesse problemi a farlo, ma ci riuscì: una coda da lupo, la
pelliccia grigia e il muso a punta.
Lucci: -Sei un lupo
mannaro-
Jyabura: -No, mi
hanno dato un Frutto del Diavolo e l’ho mangiato. Sai, li danno soltanto ai
‘forti’-
Lucci: -Ah, allora
tu sei forte-
Jyabura: -Puoi
dirlo-
Lucci decise di non
far arrabbiare subito il ragazzo lupo dicendogli che anche lui avrebbe avuto
quel potere. Prima bisognava cercare di farselo amico… Finché non sarebbe stato
abbastanza forte da tenergli testa.
Lucci: -Sai se ci
sono altri nella ‘squadra’ dove ci devono mettere?-
Jyabura: -Oh, sì.
Non so quando arriveranno, ma so che c’è una che è una volpe umana, sai le
kitsune... Una biondina sua amica, uno con il naso squadrato… Ma comunque, a
quanto ho sentito, il Governo sta ancora ‘negoziando’…-
Lucci: -Sai molte
cose-
Jyabura: -Sai,
alcune cose le dicono solo a noi agenti… Aspetta di esserlo anche
tu…-
Si vantava Jyabura,
pieno di sé. Il bambino si buttò subito nel letto che gli era stato preparato,
sprofondando con la testa nel cuscino. Anche se il suo compagno era odioso,
aveva un posto sicuro e caldo per dormire.