Quante
volte ho aspettato, padre, che la tua mano si posasse sulla mia
spalla?
Quante
volte, chiuso in bagno, ho ascoltato il rumore delle gocce d'acqua
che cadevano nel lavandino? Quel suono perforava
il profondo silenzio della mia esistenza e sbeffeggiava quello
del mio cuore.
Mi
appoggiavo alla parete e portavo le ginocchia al petto, come il
bambino che ero, padre e fissavo la porta, in attesa.
Ed
ho atteso ed atteso, un gesto di affetto da parte tua, padre, ma non
l'ho mai ricevuto.
Quante
volte, ho pensato, padre, a quanto potessi essere fiero di me? Ho
tentato di essere perfetto, così che, in qualsiasi luogo ti
trovassi, avresti letto delle mie imprese ed avresti sorriso. Ed a
qualcuno a te vicino avresti detto “questo è mio
figlio”.
Quante
volte, in quello stesso bagno, ho lavato dalle mie mani il sangue di
nemici e compagni, padre? Mentre fissavo l'acqua farsi scura, non
potevo vergognarmi, perché pensavo a quanto saresti stato
felice di quello che facevo. Ero un eroe.
Allora
andavo a sedermi sul letto e cercavo d'immaginare la tua vita senza
di me. E fissavo il soffitto, che irrimediabilmente si annebbiava. Ma
non erano lacrime. Forse.
Ed
ho aspettato, padre, ho aspettato di incontrarti veramente. So che mi
avresti sorriso ed avresti detto che eri fiero di me.
Quante
volte ho guardato i volti dei passanti, padre, per tentare di
scorgere tratti simili ai miei? Quante volte, in battaglia, ho
esitato perché ho creduto di vedere il tuo volto?
Allora
esitavo, ma poi tornavo ad essere la fredda macchina per uccidere
che, da qualche parte, nel tuo cuore freddo, ti rendeva fiero.
Ho
ucciso migliaia di immagini di te, padre, cedendo ogni volta una
parte del mio cuore, finché non è rimasto più
nulla a parte il desiderio di vederti anche se solo una volta.
E
poi, ho perso anche quello e Sephiroth è morto, sostituito da
qualcosa che non posso più controllare e di cui forse, padre,
non sei più tanto fiero.
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