ff-EC 1
Encyclopedic Crisis
Siamo solite introdurre le nostre fanfiction
con qualcosa di intelligente (Ahahahah! XD). Questa volta però non esiste
alcuna giustificazione sensata a questo tripudio di miele, lacrime e yaoi. È
nato tutto, come al solito, da una combinazione di birra e aspirina che non mi
ha ucciso, ma ci è andata vicino. La domanda che mi sono posta al mio difficile
risveglio è stata: “Cosa accadrebbe se, in un mondo in cui i piccioncini sono
felicemente conviventi, quello stupido acquistasse un’intera enciclopedia da un
venditore a domicilio?”
Yuri
Cosa potrei aggiungere ad una
spiegazione così? Ovviamente sono stata coinvolta ancora una volta nel degenero
di Yuri e ho dato il meglio (?!) di me per essere sadica ma allo stesso tempo fluffosa
nei confronti dei nostri beneamati Kurofay. Spero apprezziate il nostro piccolo
capolavoro (sì, siete autorizzati a ridere!), concepito tra Roma, Verona e Brescia.
Siamo due menti bacate,noi, ma on the road! Buona lettura e… commentate!
Momoka
1. AMORE: “Amore è innanzitutto un rapporto e, come tale, implica due
termini (l’amante, soggetto, e l’amato, oggetto dell’amore). Costitutivo del
rapporto d’Amore è il desiderio dell’oggetto da parte del soggetto; il
desiderio presuppone che l’oggetto desiderato sia un bene per chi lo desidera,
e implica la mancanza e quindi il bisogno dell’oggetto amato, poiché non si può
desiderare ciò che si possiede. La realizzazione del desiderio, il
conseguimento del fine cui tende, potrebbe dunque distruggere l’Amore: lo trasforma
invece nel desiderio di mantenere quel possesso e nel timore di perderlo.” [¹]
Le giornate trascorse in
solitudine in quel piccolo appartamento sembravano non avere mai fine. Il
padrone di casa usciva la mattina presto e rientrava la sera. Lavorava come
addetto al marketing in un’azienda di ottica, ma a causa della sua posizione
non troppo privilegiata nel settore, si impegnava assiduamente negli
straordinari. Era senza dubbio dipendente dal successo, pensava Fay sorridendo
tra sé e sé quando lo sentiva uscire di casa alle 6 per recarsi in stazione.
Tuttavia, il biondo conosceva bene
il vero motivo che spingeva Kurogane a lavorare anche fino a notte fonda. La
consapevolezza di questa verità, però, era molto, troppo dolorosa per lui,
perciò non si soffermava mai ad indagare la questione. Preferiva fermarsi
prima, al desiderio di successo del suo uomo.
In compenso, cercava sempre di
fargli trovare qualcosa di pronto al suo ritorno. Era difficile accontentare i
gusti di Kuro-sama e Fay aveva dovuto imparare a cucinare alla perfezione i
suoi piatti preferiti – tra i quali anche quel disgustoso pesce crudo che lui
adorava.
Kurogane non lo ringraziava mai
per quei gesti, ma non ce n’era bisogno. Faceva anche troppo. Era meglio così,
lo faceva sentire meno in colpa.
Fay sapeva che tutto quello che il
moro stava facendo era per lui e gli era grato. Però la solitudine stava
diventando insostenibile. Aveva provato a colmarla con la televisione – che
però prenderva solo due canali di televendita – poi con la cucina, ma quando si
era reso conto di essersi pericolosamente avvicinato allo stereotipo di
casalinga disperata o di annoiata pensionata si era costretto ad occupare il
tempo in maniera più costruttiva. Perlopiù leggeva, ma Kuro-tan non si poteva certo
definire un grande amante dei libri. Durante il mese trascorso in casa sua, Fay
aveva già letto diverse volte L’arte
della spada, Tutti i tipi di sakè e Il
sushi, che passione.
Per un periodo aveva trascorso le
mattine a passeggiare, imparando i nomi dei negozi di quel quartiere per lui
nuovo, ma quando Kurogane l’aveva scoperto si era arrabbiato. Non gli andava
bene che Fay passasse tutto quel tempo fuori e il biondo davvero non riusciva a
capirne il motivo. Kuro-rin non aveva voluto spiegarglielo, si era limitato a
sgridarlo con quell’espressione da vecchio burbero e con un leggero rossore
sulle guance. Che si trattasse forse di un malsano desiderio di possessione? In
ogni caso, Kurogane doveva capire che Fay non poteva sopravvivere sempre chiuso
in casa. Come faceva a non rendersene conto? Perché lo teneva segregato? Ma,
soprattutto, perché lo lasciava da solo tutto quel tempo?
Doveva lavorare molto per
entrambi, questo Fay lo sapeva bene anche se faticava ad accettarlo, ma tutto
quel tempo fuori casa era eccessivo.
E così, durante un grigio giorno
di pioggia, mentre osservava distrattamente l’acqua scivolare lungo il vetro
della finestra, nella mente di Fay iniziarono a vorticare strani pensieri. Che
lo facesse per stare lontano da lui? Forse si era pentito di averlo accolto in
casa sua? Forse non gli voleva più bene, come quando glielo aveva fatto
credere? Voleva abbandonarlo in quella casa e lasciarlo lì finché non fosse
morto di solitudine?
La verità era che Fay non era
nessuno senza Kurogane. Quando lui non c’era, si sentiva vuoto, si sentiva
invisibile. Non esisteva più. Lo voleva tutto per sé.
Il campanello. Finalmente! Quella
mattina era in ritardo. Fay aspettava sempre con ansia il postino delle 10,
anche se non era sempre lo stesso gli piaceva intrattenersi con lui e
chiacchierare di futilità finché questi non fuggiva con una scusa.
Fay si precipitò ad aprire
desideroso di raccontare al malcapitato, chiunque fosse, la sua ultima
avventura in cui era incorso sbattendo il tappeto, ma quando spalancò la porta
non fu il postino che si ritrovò a guardare con un sorriso che il moro definiva
“assolutamente idiota”. Dovette abbassare di molto lo sguardo per poter
guardare in faccia il ragazzino castano e
dagli occhi grandi che se ne stava lì con un mucchio di libri in mano e
almeno il doppio in un carrellino che si trascinava dietro.
Prima di dargli il benvenuto, Fay
non poté fare a meno di chiedersi fino a che punto si fosse spunto lo
sfruttamento minorile.
Il ragazzino iniziò a parlare a
macchinetta: “Buongiorno, signore. Sono qui per mostrarle questa
aggiornatissima e…”
“Perché non entri?” lo bloccò Fay
allargando il suo sorriso a dismisura. “Accomodati, ti vorrei offrire un tè! O
preferisci una limonata? O un succo di frutta?”
L’altro indietreggiò imbarazzato.
“Ma no, veramente non dovrei… Devo soltanto…”
“Insisto!” ribatté Fay e lo spinse
dentro assieme a tutti i suoi libri. Lo fece sedere sul divano e iniziò a
sommergerlo dei biscottini frutto degli esperimenti di quella mattina.
“Allora, cosa volevi mostrarmi?”
domandò Fay con fare materno, porgendo altri dolcetti al ragazzo castano che
non sapeva più come reggerli.
“Ah… sì, volevo farle vedere l’aggiornatissima
e completa Enciclopedia Ichihara. Un volume per ogni lettera, più di 10.000
voci, ottima rilegatura, indice dettagliato…”
“Va bene, la prendo!”
Il ragazzino rimase interdetto.
“Ma… non vorrebbe prima conoscere il prezzo?”
“No, va bene così. Sei stato così
convincente!”
L’altro arrossì violentemente.
“Scommetto che ne hai già vendute
un sacco.”
“Ehm… veramente questa è la
prima.”
“Come ti chiami?” volle sapere
Fay, mentre gli riempiva nuovamente il bicchiere di succo di ciliegia.
“S-Shaoran.”
“Non essere timido, Shaoran!
Raccontami un po’ di te.”
Persino Fay si rendeva conto del
tono disperato che traspariva dalla sua voce. Probabilmente, se fosse stato il
ragazzo sarebbe scappato da se stesso.
Shaoran parve cogliere l’assoluto
bisogno di attenzioni di Fay, così gli concesse un’ora del suo tempo e gli
raccontò un po’ di sé e del motivo che lo aveva spinto a vendere enciclopedie
porta a porta: doveva mantenere le cure della sua fidanzatina che soffriva di
narcolessia.
“Sei molto maturo per la tua età,
Shaoran” gli disse Fay dandogli degli incoraggianti colpetti sulla testa.
“Anche mio fratello gemello mi dà
una mano. Dobbiamo anche aiutare nostro padre a pagarci gli studi. Lui è
archeologo ed è spesso via.”
Più la storia proseguiva e più Fay
la trovava patetica. Possibile che esistessero davvero dei ragazzini così
sfortunati?
Dopo qualche insistenza, Shaoran
riuscì a convincere Fay a lasciarlo andare.
“È stato davvero gentile” lo
ringraziò inchinandosi sulla soglia.
“Figurati! Grazie a te che mi hai
tenuto compagnia! Sai, mio marito mi trascura…” e sospirò drammaticamente.
Shaoran spalancò gli occhi. “Ma…
ma allora lei…”
“Non fare caso a quello che dico!
Il maritino dice sempre che sono capace solo di dire idiozie! Mi raccomando,
riguardati e salutami la tua fidanzatina.”
Shaoran tentennò ancora qualche
attimo, poi se ne andò trascinandosi dietro il carrellino.
Silenzio. Di nuovo. Fay rimase
immobile, in piedi di fronte alla porta come in attesa che il rumore
ricominciasse. Ma non accadde.
Gettò un’occhiata alla pila di
volumi sparsa sul divano e sul tavolino basso. Di sicuro, il paparino Kurogane
si sarebbe arrabbiato per quell’acquisto insensato, ma poi avrebbe capito.
Questa volta avrebbe compreso la solitudine insopportabile che stava consumando
Fay come una malattia.
Si sedette sul divano e aprì il
primo volume, quello della A. Rimase alquanto stupito quando si accorse della
parola che svettava sul margine sinistro della pagina. Gli venne quasi da
ridere.
Dopo qualche titubanza, lesse d’un
fiato la definizione che l’Enciclopedia Ichihara dava di Amore.
Non poté fare a meno di sentirsi
personalmente toccato da quelle parole. I suoi occhi azzurri si soffermarono
sull’ultima parte della spiegazione: desiderio
di mantenere quel possesso… timore di perderlo…
Già. Lui desiderava possedere. Non
aveva mai avuto niente, o meglio, niente che valesse la pena di avere. In fondo,
si era sempre considerato un fallito. Non aveva mai avuto un lavoro decente, né
una casa decente, né una famiglia decente… Poi, quando era arrivato lui, si era
convinto di poter avere, per una volta, qualcosa di valore. Immenso valore. Ma
adesso… lo stava forse perdendo? Stava perdendo l’unica cosa importante della
sua vita?
Lui non
era nessuno, senza Kurogane. Era vuoto, invisibile. Era solo.
Avere
scoperto tutto ciò, durante la loro convivenza, era stato, se possibile, ancora
più doloroso, perché ora sapeva che se avesse perso Kurogane avrebbe perso
tutto. Prima, almeno, viveva nell’attesa di trovare qualcosa di importante, ma
ora che l’aveva trovata ne era del tutto dipendente.
Quasi
come per dimostrare di non avere bisogno di nulla, al di fuori di Kurogane, non
mangiò. In realtà non aveva proprio voglia di cucinare, quel giorno. Lo avrebbe
fatto solo per il suo compagno.
La sera
giunse dopo quello che gli parve un anno. Mai come quel giorno aveva bisogno di
vedere il moro rincasare con il suo completo nero, la cravatta rossa e la
ventiquattrore tenuta in malo modo e sbattuta senza complimenti sul divano.
Quando
sentì il rumore di chiavi nella toppa si precipitò alla porta come un cagnolino
fedele. Appena i suoi scompigliati capelli corvini fecero capolino, Fay gli
rovinò addosso e non si scollò nemmeno quando Kurogane iniziò ad inveire, come
suo solito.
“Bentornato,
Kuro-poooooon!” miagolò Fay, strusciandosi sul suo petto.
“Vuoi
che i vicini ci vedano sdraiati per terra nel corridoio?! Levati subito!”
Questo era il suo abituale saluto, ma Fay tralasciava le parole scorbutiche e
si concentrava soltanto sul rossore che invadeva la faccia di Kurogane ogni
volta che lui gli saltava addosso.
“Dai,
portami dentro in braccio, Kuro-rin! Come due sposini!”
Kurogane
tentò di divincolarsi da quell’abbraccio a tenaglia. “Smettila di dire idiozie
e fammi entrare!”
“In
braccioooooo!”
Kurogane
lo accontentò. Lo sollevò di peso dai fianchi e lo scaricò a terra, senza un
briciolo di grazia, non appena ebbero varcato la soglia.
“Ho una
grave carenza di affetto, Kuro-cchi!” piagnucolò Fay, ancora disteso sul
pavimento, protendendo le braccia verso Kurogane.
“Prenditi
un integratore.”
Fay fece
una smorfia. Non capiva se quello del moro fosse una risposta ironica o se non
avesse minimamente ascoltato quello che gli aveva detto. Decise di lasciar
perdere, doveva essere molto stanco.
Kurogane
lanciò la ventiquattrore sul divano e fu solo allora che vide l’invasione di
libri.
“E
quelli?” domandò stupefatto.
“Oh, niente,
è solo un’enciclopedia che mi ha dato un ragazzino…”
Kurogane
sembrava shockato. “ Quanto maledettamente l’hai pagata?”
Eccolo
lì, istinto dell’uomo d’affari. “Ah, nemmeno molto… Poverino, doveva aiutare la
fidanzatina malata…”
“Me ne
frego delle fidanzatine! Si può sapere cosa ti è saltato in testa?!”
Fay si
rialzò lentamente. Questa volta lo avrebbe capito.
“Mi
annoio così tanto qui da solo, Kuro-sama. Cosa vuoi che sia, non è una gran
spesa…”
“Parla
per te, idiota senza il senso della misura! La prossima volta che vuoi buttare
i soldi, avvisami, così farò in tempo a cercare un bel ponte accogliente sotto
il quale dormire.”
Fay
sospirò, lui non doveva perdere il controllo. “Sei esagerato, Kuro-…”
“Sto
lavorando come un matto per mantenerti, potresti almeno risparmiarti simile
idiozie!”
Fay
indietreggiò, senza volerlo, perché quelle parole lo avevano colpito come una
pugnalata in pieno petto. Quasi gli mancò il respiro. Non capiva, proprio non
capiva.
Ciò che
aveva detto non era stato uno sfogo. Certo, era stanco e arrabbiato, quasi come
tutte le sere, ma le sue parole erano vere. Fay glielo leggeva negli occhi
ardenti. Era riuscito a cogliere tutto ciò in quella frazione di secondo, prima
che Kurogane esibisse una, seppur lieve, aria pentita.
“Beh? Non
hai niente da dire?” chiese il moro, visibilmente intimorito dall’improvviso e
insolito silenzio di Fay, che non riusciva più a sollevare la testa. Se lo
avesse guardato in faccia era certo che non sarebbe più riuscito a trattenersi
dal piangere.
Avrebbe
voluto dire molte cose, ma allo stesso tempo non trovava la voce per farlo.
Voleva
accusare Kurogane per il suo comportamento egoista, ma voleva anche scusarsi
con lui per tutti i disagi che gli aveva procurato.
Dopo
qualche estenuante minuto di silenzio, si voltò e andò nella camera che
dividevano. Si chiuse dentro, incurante del fatto che Kurogane sarebbe stato
costretto a dormire sul divano.
Nessun
richiamo lo fermò, né una mano salda sul suo braccio.
Fay si gettò sul letto, senza sapere se ridere o piangere.
[¹] Enciclopedia La Repubblica
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