Scavare, scavare, scavare e sempre
scavare. Con una pala, a mani nude, con un piccone, l’importante è scoperchiare
sempre tombe nuove. Scoperchiare, ammirare e mangiare. Che forza prodigiosa sento scorrermi dentro dopo aver completato il mio pasto di
carne, quali assurde e nuove capacità di pensiero sento librarsi nel mio
cervello. Il piacere, il gusto e l’orrore del nauseabondo
odore di marciume umano che mi attira e mi repelle, la paura di essere scoperto
e finire in manicomio, il totale abbandonarmi alla mia parte irrazionale.
Solo questa per me può essere vita. Quando sento il legno del coperchio
sfondarsi all’ultimo colpo della pala sono preso da
una foga, da un eccitamento che non credo possiate capire. È come una bella
donna che vi si concede. Allungare la mano e toccare tremando dall’emozione il
freddo di quelle ossa sporche, grigie e ammuffite e la gioia infantile di
trovare dei brandelli di carne ancora attaccati, poi
subito morderli e ingoiarli. Staccare il cranio e baciarlo sulle labbra come si
farebbe con una ragazza, poi rimetterlo al suo posto per la gioia dei fratelli
vermi che lo amano quanto me. Tutto questo, e altro
ancora, facevo l’ultimo giorno. Ero nel vecchio cimitero ebraico e la luna
rendeva bellissima la mia dama di ossa e polvere, fu proprio mentre le accarezzavo il cranio
che sentii il cuore esplodermi, la vista annebbiarsi, la ragione tornare
istantaneamente scacciando la follia. Percepii il sangue denso fuggire via
dalla ferita. Udii il rumore di passi misto a risate, poi una voce come di fanciullo farsi vicina e biascicare “ Che bello, oggi carne
fresca “.