Il Pasto

di Belfagorius
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Scavare, scavare, scavare e sempre scavare

Scavare, scavare, scavare e sempre scavare. Con una pala, a mani nude, con un piccone, l’importante è scoperchiare sempre tombe nuove. Scoperchiare, ammirare e mangiare. Che forza prodigiosa sento scorrermi dentro dopo aver completato il mio pasto di carne, quali assurde e nuove capacità di pensiero sento librarsi nel mio cervello. Il piacere, il gusto e l’orrore del nauseabondo odore di marciume umano che mi attira e mi repelle, la paura di essere scoperto e finire in manicomio, il totale abbandonarmi alla mia parte irrazionale. Solo questa per me può essere vita. Quando sento il legno del coperchio sfondarsi all’ultimo colpo della pala sono preso da una foga, da un eccitamento che non credo possiate capire. È come una bella donna che vi si concede. Allungare la mano e toccare tremando dall’emozione il freddo di quelle ossa sporche, grigie e ammuffite e la gioia infantile di trovare dei brandelli di carne ancora attaccati, poi subito morderli e ingoiarli. Staccare il cranio e baciarlo sulle labbra come si farebbe con una ragazza, poi rimetterlo al suo posto per la gioia dei fratelli vermi che lo amano quanto me. Tutto questo, e altro ancora, facevo l’ultimo giorno. Ero nel vecchio cimitero ebraico e la luna rendeva bellissima la mia dama di ossa e polvere,  fu proprio mentre le accarezzavo il cranio che sentii il cuore esplodermi, la vista annebbiarsi, la ragione tornare istantaneamente scacciando la follia. Percepii il sangue denso fuggire via dalla ferita. Udii il rumore di passi misto a risate, poi una voce come di fanciullo farsi vicina e biascicare “ Che bello, oggi carne fresca “.





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