_____Heart Shaped Box }
I've been
locked inside your Heart Shaped box, for weeks
I've been drawn into your magnet tar pit
trap.[**]
La
risata echeggiò lugubre nelle enormi stanze di quella casa
troppo grande per
solo tre persone.
Camminava
lenta, lasciando che il suo adorato nastro scivolasse sul pavimento
coperto dai
petali. Camminava a piedi nudi in quella casa troppo grande, tra quei
corridoi così lunghi.
Con
la
dovuta calma calpestò i petali neri da lei stessa gettati ed
osservò come il suo
nastro rosso, strisciando come un serpente, pulisse il pavimento chiaro
in
contrasto con quei petali così scuri.
Una
luce
improvvisa avvolse la figura che alzò finalmente lo sguardo,
spostandolo dai
petali neri sul pavimento, alla grande finestra che dava sul giardino;
da
quella stessa finestra sprizzava la luce del caldo tramonto.
L’unica luce in
quel corridoio buio cosparso da petali così
scuri.
La
donna posò la mano sul vetro e trovandolo freddo se ne
stupì. La luce del
tramonto era così calda, perché quel vetro non
scottava? Non vi badò e continuò
a guardare fuori sfidando la luce che l’accecava, forse avrebbe potuto
scorgere la casa in cui
abitava, forse sfidando la luce rossa come il fuoco avrebbe potuto
scorgerlo
mentre si allenava, mentre mangiava, mentre dormiva …
Ma
in
quella casa… In quella casa c’era anche lei.
Strinse
il manico bianco del suo nastro rosso e lo sentì
scricchiolare.
Lei non doveva competere contro
la fastidiosissima
luce del tramonto solo per sperare
di
vederlo.
Ma
lui
poteva essere solo suo, lui doveva essere solo suo.
I want you
now
I'll feel my heart implode[*]
{Ti
voglio ora, sentirò il mio cuore esplodere.}
L’aveva
visto, l’aveva scelto e lo voleva.
Perché
non avrebbe dovuto averlo? Era suo.
Voleva
inserire anche lui in quella scatola a forma di cuore, quella in cui
custodiva
i suoi preziosi ricordi, tutti ricordi che giravano -come satelliti
intorno al
Sole- intorno alla sua presenza, tutti ricordi che attestavano la sua esistenza.
Anche
lui, anche lui doveva vivere in quella scatola a forma di cuore, doveva
essere
suo e di nessun’altra. Suo senza
riserve.
Accecata,
accecata d’amore -come lo era della luce del tramonto- non
vedeva nulla, non
sentiva nulla e non le interessava nulla che non fosse lui.
Era
cieca e sorda, annientata da quell’amore -senza tregua e
senza fondo- in cui
rischiava di annegare e a cui si era aggrappata; quell’amore
che sembrava solo
un capriccio e che, forse, lo era per davvero.
Era
cieca e sorda, sì, non vedeva né sentiva
nulla che non lo riguardasse ma proprio perché guardava lui
si era accorta di
come lui guardasse lei.
Era
cieca e sorda ma Kodachi non era mai stata stupida.
Camminò
ancora nascondendosi da quella fastidiosa luce – Oh, no non
si stava ritirando,
non si stava arrendendo! - il colore nero dei petali, sì,
quello voleva vedere.
Entrò
nella sua camera adocchiando la grossa
scatola rosa a forma di cuore che faceva bella mostra di sé
sul letto, la aprì
velocemente sparpagliandone il contenuto sul letto.
Tante
foto, un sacchetto di biscotti e una ciocca dei suoi capelli saltarono
fuori,
adagiandosi ubbidienti sul copriletto così
scuro.
Quelli
erano i suoi ricordi, loro vivevano in quella scatola, non tentavano di
scappare; erano buoni, buoni ricordi.
Rise.
Non
era
mai stata stupida, anzi, ma accecata aveva finito per compiere azioni
sempre
più illogiche.
Non
badava più alla ragione, nè alla sua
intelligenza, le aveva bruciate quelle
inutili cose.
Sapeva
ma fingeva di non capire, vedeva ma fingeva di non avere occhi.
S’ingannava,
fingendo che fosse la verità quella sua menzogna.
Incoerente
verso se stessa, si beava in una luce che non le apparteneva, una luce
che
l’accecava come la luce del tramonto, ma
che lei sosteneva di amare; l’aveva sfidato
quell’insopportabile fulgore ed
aveva perso. Si era mestamente ritirata nell’ombra -ma sosteneva di non essersi arresa- della
sua casa troppo grande
osservando {in}felice i petali scuri che ricoprivano il pavimento
candido.
Incoerente
verso se stessa, fuggiva dalla realtà creandosi una menzogna
più comoda in cui
vivere, una in cui potesse far finta di non capire, in cui poter vivere
indisturbata,
in cui poter essere cullata da quel sogno così caldo dai
riflessi così veri.
Poteva
affermare con certezza che il suo sogno aveva la forma di un cuore,
proprio
come quella scatola. Era quella
scatola, viveva in quella scatola.
Ed
era un sogno così reale, eppure così fragile;
tangibile, eppure così effimero.
Le scivolava via tra le mani come quel fiocco rosso, di quel rosso
così acceso
con il quale avvolgeva strettamente quel suo sogno ad occhi aperti,
quella scatola a forma di cuore.
Sorrise
e richiuse la scatola attenta a disporre i suoi tesori – i ricordi buoni, quelli che non tentavano di
scappare come invece
faceva lui- e dispose nella scatola una
manciata di petali neri, in
modo che loro facessero compagnia al suo
ricordo all’interno della scatola.
Alzò
lo
sguardo e fissò il suo doppio nella superficie perfetta del
grande specchio.
Una
ragazza fasciata in un body da ginnastica le restituì lo
sguardo, sorrise di
nuovo ma il sorriso nello specchio non era il suo.
Lo
specchio non sorrideva veramente, la guardava con compassione; guardava
quella
ragazza illogica divenuta stupida e cieca
che si costringeva a guardare un sogno
che non le apparteneva.
Una
ragazza che si struggeva e distruggeva contando i petali delle sue
infinite
rose nere, attendendo quel lui che non sarebbe mai arrivato.
Kodachi
si vide, vide chi era veramente.
Un’illusa.
Urlò
e
la grande casa si riempì delle sue urla ma nessuno accorse,
quella casa era troppo grande.
Era
prigioniera, prigioniera del suo stesso sogno. Ma come poteva essere
possibile?
L’aveva creato lei quel sogno! L’aveva creato per
fuggire e nascondersi da
quella realtà così banale, priva del romanticismo
che, invece, appestava con i
suoi fumi favole e
racconti. Poteva
quello stesso sogno ribellarsi? Non lo sapeva ma le sembrò
di annegare.
Guardò
lo specchio. Il suo riflesso non urlava
ma la fissava con quel sorriso incerto, così fragile, ma
così reale, quello che
sembrava strafottente ma che in realtà era solo impaurito;
il sorriso che esibiva
tutti i giorni.
Osservando
il proprio riflesso Kodachi capì e maledì la
conoscenza. Con un abile movimento
del polso annodò il proprio nastro allo specchio facendolo
cadere.
Il
rumore del vetro in frantumi coprì la eco del suo urlo e rise.
Rise
come mai aveva fatto prima d’ora, così forte e
così fragorosamente che lacrime
iniziarono a scendere dalle sue guance.
I
frammenti sparsi a terra come lacrime di vetro le rimandarono la sua
stessa
immagine distorta in mille frammenti.
Kodachi
si vide mille volte.
Vide il suo volto coperto
dalle lacrime mille
volte e mille volte ancora maledì la conoscenza.
Furiosa
schiacciò le schegge, si fece male, ma il suo sangue era
rosso, rosso come il
nastro che chiudeva la scatola – quel
suo
sogno perfetto, quello che somigliava ad una favola ma che era amaro
come il
fiele - lo considerò un segno del destino, e
scioccamente sorrise, già
dimentica delle lacrime.
But I'm breaking out
Escaping now
Feeling my faith erode[*]
{Ma
sto collassando, fuggendo ora, sentendo la mia fede che si deteriora.}
Uscì
dalla propria camera ed osservò il cielo dalla finestra, il
tramonto era
sparito ora il buio regnava al di fuori del vetro, toccò la
finestra e di nuovo
la sentì gelida.
Ma
perché?
Perché
il cielo era scuro?
Doveva
essere rosa come la sua scatola a forma di cuore, doveva essere rosso
come il
nastro che avvolgeva il suo sogno, doveva profumare di rose quel cielo,
proprio
come i petali che, fedeli, accompagnavano il suo cammino.
In
un lampo
il cielo diventò roseo, s’illuminò di
rosso e le rose profumarono l’aria e
Kodachi fu felice, stupidamente felice perché quel cielo sembrava la sua scatola,- era
la sua scatola!- felice perché
Ranma viveva nel cielo rosa all’interno della sua scatola a
forma di cuore.
***
“Kodachi!”
La
voce
le arrivò come da molto lontano ma era stanca, non voleva
alzare lo sguardo.
Kodachi,
Kodachi,
Kodachi, Kodachi, Kodachi!
La
voce
era insistente. Alzò lo sguardo e incontrò quello
esasperato di suo fratello.
“Kodachi,
finalmente!” Kuno si passò una mano fra i folti
capelli castani, “Kodachi
perché hai invaso il corridoio con i tuoi petali? “
La
ragazza lo guardò senza vederlo veramente. Fissò
la finestra che ancora
riluceva di rosa e rosso.
“Kodachi,
come sei incoerente! Avevi detto che non avresti più
tagliato le rose. Perché
l’hai fatto?”
Kodachi
rise, “Oh, fratello è perché nella
scatola ci sono i miei petali. Sai… “
aggiunse poi avvicinandosi. “gli
fanno compagnia e lui ama la compagnia dei miei petali, lo so
perché dalla
scatola non fugge mai.”
Rise,
rise forte, e la sua risata echeggiò a lungo in quel
corridoio pieno di petali.
Echeggiò
anche in quella stanza cosparsa da lacrime di vetro, la
sentì perfino il Ranma
all’interno della scatola e rabbrividì quando
anche i
petali risero con lei.
«Sono
stato rinchiuso per settimane nella
tua scatola a forma di cuore.
Fui trascinato nella tua
trappola magnetica, pozzo
di
catrame.»
____________________________________________________
Note della
Red_______
Questa fanfiction avrebbe dovuto partecipare ad un contest indetto
proprio dal mio mio forum su Ranma, pensate un po'.
Il contest aveva come tema 'l'incoerenza' e come unica clausola quella
di utilizzare un personaggio secondario.
Ovviamente, dato che l'uso del condizionale non è un caso,
capirete bene la fine che ha fatto il mio povero contest.
Aargh, al giorno d'oggi anche la vita dei contest è dura!
°A°
Spero vi sia piaciuta anche se è terribilmente vecchia
e fa anche terribilmente schifo
e non è un granchè.
Ah,
il primo pezzo di canzone è "Heart Shaped Box" [Da qui il
titolo.]dei mitici Nirvana, la traduzione è scritta a fine
fanfiction.
La canzone che si trova nella fic è "Hysteria" dei Muse, la
traduzione è in grigio e in corsivo poco più in
basso.
Alla
prossima!
Red.
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