L' INCROCIO
“La casa era giusto al confine tra il vento e la sete
Un posto abitato da fate
E da poche altre forme di vita ugualmente concrete”
Mia nonna era una jana.
Così si diceva in giro, e si diceva perché aveva la pelle pallida e perché mio nonno l’aveva
portata con sé in paese tanto tempo prima, quando era ragazzo, e non si era capito bene da
dove. Inoltre aveva cominciato a dirlo lei stessa quando era diventata tanto vecchia da non
capire più niente. Dimenticava quello che aveva mangiato pochi istanti prima, il posto delle
cose, ad un certo punto dimenticò anche i nostri nomi, ma parlava della sua giovinezza tra
le altre janas che aveva abbandonato per un bellissimo uomo. Io non le davo retta ed odiavo
ascoltare i vaneggiamenti di una vecchia uscita di senno; ora che l’incredibile è diventato
quotidiano non so più a che pensare, ma tanto non ha più importanza perché mia nonna, la
jana, è morta da secoli.
Mio padre lavorava sempre e quando finiva di lavorare andava a bere, ed in casa non lo
vedevo mai. Era il primo ad uscire, l’ultimo a rientrare. Mia madre era morta dandomi alla
luce, mio padre mi dette il suo nome e continuò imperterrito a lavorare e a bere, fino alla
morte.
Nella casa c’erano un sacco di gatti che davano la caccia ai topi in dispensa e non si
capiva mai quanti fossero, perché i gatti vivono a cavallo tra i mondi ed odiano farsi
contare ed anche farsi dare nomi.
“Vicino all’incrocio di un paio di strade sterrate
Che senza motivo apparente s’incontrano
E poi disperate ripartono, tristi, così come sono arrivate”
Non le percorreva nessuno, quando abitavo nella casa, quelle strade polverose. Nessuno a
parte noi del paese, io che mi trascinavo a raccogliere ricci di mare, papà all’alba e al
tramonto. Una di quelle strade portava alla città degli spagnoli, non sapevo bene quale, una
volta me lo avevano detto ma io me n’ero dimenticata; non aveva importanza, non ci sarei mai
andata alla città.
Ora le percorrono le strade, che sono polverose ma meno perché le hanno asfaltate, ora che
il vento e la sete qui non fanno più paura a nessuno. Ora pagano per andare alla spiaggia, a
coprirsi di quella sabbia e sale e sole che io non avevo neanche la forza di maledire.
Pagano per fotografare le domus de janas, da dove proveniva mia nonna. E poi vanno alla
città che non appartiene più agli spagnoli, camminano sul lungomare e mangiano il
gelato.
“La chiesa era uguale alle case, ma aveva una croce
[…]Ed un’unica luce fornita da fiaccole appese imbevute di pece”
Ci andavo poco in chiesa, ma i paesani non ci facevano molto caso nonostante fossi la nipote
della jana, e comunque nessuno ha mai considerato molto la mia presenza. Non mi sembrava che
Dio avesse qualcosa di particolare da dirmi, non a me, forse passavo inosservata anche ai
Suoi occhi. Niente e nessuno pareva sfiorarmi, tutto ciò che poteva ferirmi scivolava via da
me come acqua dolce. Una volta dei bambini mi si avvicinarono per tirarmi dei sassi, ma poi
parvero dimenticarsi del motivo per cui erano lì e corsero via leggermente perplessi. Non
stetti neanche tanto tempo a stupirmene, tornai a casa camminando più svelta con i miei
ricci di mare che non mi pungevano mai.
Ci dovetti entrare a distanza di poco all’ombra della croce, quando prima mia nonna e poi
mio padre morirono. Tutti in paese li avevano visti uscire da casa con i piedi avanti,
eppure dicevano che la jana era tornata dalle sue compagne portandosi dietro anche suo
figlio. Mi chiesi vagamente come mai non mi aveva voluto, e continuai a raccogliere ricci di
mare.
“la gente che passa ci guarda e prosegue veloce
ci osserva e prosegue veloce
magari sorride, ma sempre prosegue veloce.”
Non ne passava quasi mai, di gente, dalla strada. I pochi che lo facevano si recavano
furtivi alla città o vi fuggivano, perché chi usa strade secondarie le percorre velocemente
e non si ferma a portare notizie, ma si limita a dirigersi verso la propria destinazione,
ovunque essa sia.
Io non pensavo a nulla. Non avevo tempo e fantasia per chiedermi cosa ci fosse di là
dall’incrocio, era inutile interrogarsi su destini che non avrei mai vissuto. La sola idea
di mettermi in viaggio era talmente inconcepibile che neppure mi sfiorava la mente; il mio
futuro era già dipanato, lo vedevo tutto, fino al momento in cui sarei uscita dalla chiesa
dentro una cassa, da sola.
Persino gli uomini che attraversavano la mia vita erano come la gente della strada: non mi
vedevano, e se mi vedevano magari sorridevano, poi mi passavano attraverso e proseguivano
veloci. Ripensandoci, a quel tempo non odiavo la mia vita. Non l’amavo. Sopravvivevo, nella
più completa e totale indifferenza.
“A volte succede qualcosa di dolce e fatale
Come svegliarsi e trovare la neve”
Avevano i volti di neve quegli uomini venuti dalla strada.
Mi chiesero ospitalità perché la mia casa era sull’incrocio e loro dovevano attendere un
servo che li avrebbe raggiunti dalla città. Avevo paura perché loro erano tre e in casa
c’ero solo io e persino i gatti erano scappati soffiando, ma non potevo rifiutare
l’ospitalità a dei signori e li feci entrare, sperando che anche loro m’ignorassero e non
pretendessero da me cose che avrei dovuto concedergli per forza. Il più affascinante dei tre
signori mi mise in mano delle monete lucenti che non sapevo bene dove avrei potuto spendere
e senza staccare la sua mano dalla mia mi rassicurò.
-Non devi preoccuparti, l’ospitalità è cosa sacra: non ti nuoceremo in alcun modo, Renata
nipote della jana.-
Non sapevo come potesse conoscere il mio nome e la sciocca diceria a proposito della nonna,
ma pensai che gliel’avesse detto qualcuno a cui avevano chiesto indicazioni; ero spaventata
ed al contempo terribilmente attratta da quei signori bellissimi e pallidi dagli strani
occhi da demoni, e questo mi spaventava ancora di più. Ma non potevo fare nulla, e come al
solito chinai la testa e mi rassegnai ad attendere il mio destino. Gli offrii da mangiare
pane, formaggio e ricci di mare, ma rifiutarono tutto. Li lasciai in pace e me ne andai a
dormire con i gatti; come promesso, nessuno di loro tre venne ad importunarmi.
“o come quel giorno in cui lui mi sorrise”
I tre signori aspettarono il loro servo per tutta la giornata successiva chiusi nella stanza
da letto di mia nonna, la stanza migliore della casa. Al calare del sole scesero e si misero
ad attenderlo in strada, discorrendo a sussurri senza rivolgermi un solo sguardo. Meglio
così, pensavo, le attenzioni dei signori non portano mai nulla di buono ad una come me. Ad
un certo punto alzarono la testa fissando la strada, e poco dopo sulla strada comparve un
uomo. Era alto e bruno, dalla pelle olivastra sotto il pallore. Giunto al cospetto dei tre
signori e s’inginocchiò davanti a loro; -Alzati, Eleazar. Dunque, cosa riferisci?- lo
apostrofò spiccio il più imponente dei tre, quello con i capelli candidi come la neve.
L’uomo si alzò e scrollò le spalle. –A Barceloneta estàs todos caballeros!- esclamò
sorridendo. Il più affascinante dei signori rise, il più bello dei tre rimase impassibile,
lo sguardo vagamente assente. –È tutto a posto. Potrò partire per Granada tra poco più di un
anno, massimo due. Se non avete altri ordini possiamo rientrare a Volterra, la nave è pronta
e ci aspetterà in porto.-
Mentre i tre signori annuivano compiaciuti, lui mi vide e mi guardò di sfuggita. Poi mi
fissò. Poi mi sorrise.
-Abiti qui? Sei tu la donna che ha ospitato i miei signori?- mi domandò avvicinandomisi,
scambiando una rapida occhiata con i tre. Balbettai una risposta, mi sentii arrossire, ma
notai comunque che mentre si avvicinava a me Eleazar porse la mano ad uno di loro. Non
capivo cosa stesse accadendo, allora. Adesso lo so. Allora sapevo solo che sia
l’affascinante signore che l’uomo alto e bruno mi stavano sorridendo come nessuno mi aveva
mai sorriso prima.
“vederlo venirmi vicino fu quasi morire
trovare per caso il destino
e non sapere che dire”
Aro sa essere irresistibile quando vuole e con me non gli ci volle che quel sorriso. Aro che
sapeva il mio nome prima che io glielo dicessi, che per primo mi rivolse la parola e che
dopo quel sorriso si presentò a me e mi parlò a lungo tenendomi le mani e guardandomi
sempre, io che ero abituata a sentire gli sguardi scivolarmi addosso e passare oltre. Aro,
adesso lo so, ogni volta che è amabile dev’esserci sotto qualcosa, ci dev’essere qualcosa
che desidera, che deve essere suo. Quella volta voleva me, ed io soggiogata dai suoi occhi
da demonio balbettavo risposte, gli tracciavo a smozzichi il disegno della mia solitaria ed
insignificante esistenza sforzandomi di cercare qualcosa di interessante da raccontargli,
senza trovarlo. Mi sentivo la mente vuota, e pensavo agli sguardi della gente che non mi
vedevano, ai bambini che non mi tiravano i sassi, ai ragazzi che non m’importunavano ed ai
ricci di mare che non mi pungevano mai.
"mi piace sentire la forza di un'ala che si apre
volare lontano
sentirmi rapace”
-Potrei farti un dono, Renata nipote della jana-, furono le parole che mi rivolse dopo il
mio patetico racconto. Non le dimenticherò mai. –Potrei renderti forte, potente, molto più
bella di quanto tu già sia… oh, certo che lo sei. E immortale. Un demone? Sì, se ti piace
questo termine, oppure un angelo, non sono forse la stessa cosa? Un uccello rapace magari,
che ne dici? Come un avvoltoio!- All’epoca non capii il suo giochetto di parole preferito,
ero povera ed ignorante. Capii solo che per la prima volta in tutta la mia vita potevo
sollevare lo sguardo dalla polvere della strada ed andare a vedere la città degli spagnoli,
salire su una nave, abbandonare l’immobilità della mia casa ancorata all’incrocio. Ora so
che se avessi rifiutato il suo dono Aro mi avrebbe presa comunque, o mi avrebbe uccisa,
perché aveva già deciso e nulla può opporsi alle decisioni di Aro; ma non fu necessario.
M’inginocchiai davanti a lui, pregandolo di portarmi via.
“E intanto volevo sparire
pensando alle cose che avevo da offrire:
l'incrocio
la casa
la chiesa
la croce”
-Certo che ti porterò via, Renata-. Quanto era dolce il suo tono e perfetto il suo sorriso,
mentre mi accarezzava le lacrime sul volto con le dita gelide. –Ma tu dovresti offrirmi
qualcosa in cambio; dopotutto, quello che ti concedo è un dono immenso-. Era un patto col
diavolo. Ero vagamente consapevole di stare trattando con un demonio, e la mia unica,
bruciante preoccupazione era che non potevo pagarne il prezzo. Cosa mai potevo donare? Cosa
possedevo? Due strade che s’intersecavano e che non avevo mai percorso, né in un senso né
nell’altro. La vecchia casa con i suoi gatti. Il ricordo di una jana che era mia nonna e di
suo figlio, che morivano da umani, nelle loro bare in chiesa. La condanna di un destino già
segnato. Ma la domanda di Aro non era posta a caso. –Mi offrirai te stessa. Sarai serva mia
e dei miei fratelli, così come lo è Eleazar.- Accettai.
“oppure proseguire ovunque vada
meglio
meglio che qua”
Ed Aro mi portò via. Bloccò la mia giovinezza, rivelò in me poteri meravigliosi. In cambio
non ebbe altro che ciò che gli avrei dato comunque: la mia totale devozione a lui.
Ho stretto un patto col diavolo, forse, ma un patto che mi ha donato molto più di quanto io
gli doni ogni giorno. Lo seguirò ovunque voglia portarmi, ovunque mi chieda di scortarlo,
proteggendolo da qualunque cosa osi provare a nuocergli; e qualsiasi luogo, anche l’inferno,
sarà meglio della casa sull’incrocio nella quale ero nata e nella quale si prese la mia vita
mortale quel giorno.
Demoni, se mi piace questo termine, o angeli, o uccelli rapaci. Non sono forse la stessa
cosa?
Note: I versi in corsivo all'inizio di ogni paragrafo sono tratti da una canzone
di Daniele Silvestri, che s'intitola "L'autostrada".
Le Janas sono piccole fatine sarde; generalmente non si sposano, ma ho trovato
scritto da qualche parte che pare che alcune di loro si siano unite in matrimonio agli
umani, nascondendo la loro natura. La "città degli spagnoli" è Alghero, territorio catalano
fino al 1720, conosciuta anche come "Barceloneta".
Ed ora dismetto il tono da maestrina e mi profondo in ringraziamenti, che non ne faccio mai
abbastanza: grazie a chi mi ha ficcato nei preferiti e nelle seguite, nonostante i
personaggi negletti e secondari (Aro è convinto di essere il protagonista di Twilight. E non
c'è verso di fargli capire che non è vero: quando hanno provato a spiegargli che i
protagonisti sono Edward e Bella ha riso per tre giorni. Adesso nessuno ha il coraggio di
andargli a dire che non era una battuta). E grazie particolarmente a:
OttoNoveTre: sì, la mia Sulpicia è parecchio matrona. E forse non del tutto normale,
ma d'altra parte è sposata con Aro... tu giochi di ruolo, vero? Quindi capisci se ti dico
"Malkavian"?
Luna95: Guarda, a quell' "a me, mi" ci ho pensato tantissimo, lo toglievo, lo
rimettevo... un dramma. Alla fine ho deciso di lasciarlo perchè mi piaceva l'effetto sonoro:
"le altre sono cosà, a me, pausa, mi vuole così". Onestamente e spudoratamente: fa schifo?
Accetto pareri! Per il resto grazie per i complimenti: io mi immagino i Volturi come
qualcosa a metà tra gli unici, veri, tenebrosi vampiri in Twilight e una sorta di azienda
con Aro nel ruolo del Megadirettore Galattico e annesse crocifissioni in sala mensa...
vedremo come proseguirà!
houdry: Grazie mille! Io amo i personaggi secondari, come puoi notare!
lon8tana: sono commossa! Leggo sempre le recensioni, e purtroppo scrivendo pressochè
solo one-shot non riesco mai a ringraziare nessuno. Finalmente posso ringraziarti come si
deve per i tuoi commenti sempre lusinghieri, e te lo ribadisco anche qui: scrivi ancora!
Di nuovo grazie a tutti, alla prossima!
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