Capitolo 1: A normal day of school (un normale giorno di scuola)
Quella mattina, mentre mi dirigevo
verso la scuola, ebbi una strana sensazione…come
se ci fosse qualcuno oltre a me sotto quella pioggia scrosciante, come se quel
qualcuno mi stesse osservando da lontano, approfittando della pioggia fitta per
nascondersi.
Mi girai di scatto
irritata; mio padre, iperprotettivo e per di più capo delle forze
dell’ordine della città di New York, aveva
ammesso di avermi fatta seguire quando andavo alle medie, da poliziotti in borghese perché mi controllassero. Però era
da diverso tempo che non succedeva più: ero
cresciuta, andavo al liceo, che bisogno c’era di mettermi qualcuno alle
calcagna? Un brivido mi percosse la schiena quando realizzai
che non c’era nessuno. Ero da sola. Mi ero immaginata tutto? Probabile.
Continuai per la mia strada, questa volta, però,
velocizzando il passo.
Quella giornata era
cominciata come le altre; mi ero alzata, tanto per cambiare, dando il
buongiorno di malumore al mondo. Non sapevo ancora che in quelle apparenti e
noiose ventiquattrore la mia vita sarebbe cambiata radicalmente.
Avevo veramente poca voglia di
alzarmi dal letto; mi aspettavano il freddo e un’invitante verifica di
storia.
Con una forza raccolta da chissà dove, mi ero alzata e diretta
verso il bagno. Mi era bastata un’occhiata allo specchio per ricordarmi
immediatamente di una delle notti peggiori che avessi mai passato, accompagnata
da diversi incubi che nemmeno ricordavo bene. Le occhiaie scure ben evidenti
sotto i miei occhi spiccavano sulla mia carnagione chiara e, tutto sommato,
volendo cercare un lato positivo, facevano risaltare i miei
occhi castano chiari, quasi sul dorato.
Mi pettinai di malavoglia, ravviando con le
dita i miei mossi capelli rossicci. Odiavo da morire quella dannatissima
criniera rossa che mi ritrovavo, non tanto per il colore, quanto per
il fatto che non erano né totalmente mossi, né lisci,
erano una via di mezzo indefinita, uno schifo insomma.
Iniziai lentamente ed incurante dell’orologio, che continuava a
proseguire col suo ticchettio silenzioso, a mettermi un leggero tocco di matita
sotto gli occhi per nascondere le occhiaie; il pensiero di un ennesimo ritardo
non mi preoccupava minimamente immersa com’ero nella totale bambagia
mattutina. Mi stupivo ogni volta di come mi comportassi da zombie
appena alzata, il sonno aveva il potere di mettermi completamente KO.
Dopo essermi un
po’ ripresa grazie ad una bella cioccolata calda,
però, avevo dato finalmente un’occhiata all’orologio.
-Merda!- Balzai in
piedi terrorizzata. Fortunatamente non c’era nessuno in casa, altrimenti
i miei mi avrebbero fatto tardare di almeno una mezz’ora rimproverandomi
per il linguaggio scurrile che usavo, che avrebbe condizionato il mio povero ed innocente fratellino e bla bla bla.
Il mio dolcissimo
fratellino Nicholas era più viziato del principino Harry
d’Inghilterra in persona, veniva servito e
riverito dalla mattina alla sera, andava benissimo a scuola -motivo per cui i
miei avrebbero eretto una statua in suo onore- e aveva un sacco di amichetti
con cui usciva anche se aveva solo dieci anni. Con me facevano storie per farmi uscire anche se ne avevo quasi diciassette di anni, assurdo!
Venivo
considerata quasi come la pecora nera della famiglia, solo perché ero la
classica ragazza che faceva il minimo indispensabile a scuola, che studiava
solo per avere la sufficienza e che passava le giornate con le amiche
riducendosi all’ultimo, anche di notte, a fare i compiti. I miei
professori non facevano che lamentarsi con i miei dicendo che “ero una
ragazza intelligente e che dovevo impegnarmi di più”.
Fancu…ehm, che andassero a quel paese.
Ero la tipica ragazza
simpatica con le persone che le ispiravano fiducia e antipatica con tutte le
persone che non sopportava; motivo per cui ero
parecchio odiata dai miei sopraccitati professori che, più di una volta, mi avevano rimproverata per la mia mancanza di rispetto nei loro
confronti.
Per quanto riguarda
il carattere, ero molto orgogliosa e testarda e per nulla un tipo romantico,
davo consigli alle mie amiche in amore, ma non avevo una vera e propria esperienza
in materia. Non era un problema per me fare la cretina, ridere e scherzare con
dei ragazzi, il mio problema era pensare ad uno di
loro come il mio ragazzo, la cosa mi imbarazzava da morire.
Fino a qualche anno
prima, poi, il solo pensiero di avvicinarmi ad un
ragazzo e di baciarlo mi immobilizzava. In prima elementare era capitato che un
bambino di un’altra classe -un bambino porca
miseria!- che non conoscevo nemmeno tra l’altro, mi avesse baciata seriamente
con tanto di lingua in bocca. La mia non era stata proprio una bella
esperienza, ero corsa in infermeria a vomitare l’attimo dopo.
Perciò, diciamo che per via di quell’esperienza, all’inizio
baciare il mio quasi-ragazzo Mark ogni volta era quasi un’impresa…
Il telefono mi
risvegliò dalla sorta di trance in cui ero caduta e mi fece cadere di mano una scarpa che stavo valutando se fosse il
caso o no di mettere. Dannazione, quale scarpe potevo
mettermi?
Imprecai contro il telefono maledicendone l’inventore; dannato
apparecchio telefonico utile soltanto a produrre stupide musichette che ti
avvisavano se qualcuno rompeva le scatole, ma perché non lo
staccavano?! Ah già, perché mio fratello Nicky lo usava tutto il
giorno per stare al telefono con la sua fidanzatina.
Ignorai lo squillo del telefono ed optai alla fine per le classiche All Star.
Appena uscita
di casa, mi accorsi del fatto che stesse piovendo ed etichettai automaticamente quella giornata come "la più sfigata della mia breve vita".
-Ma che cavolo! Non me ne va una giusta!- Esclamai di nuovo irritata.
Non avevo il tempo di tornare indietro a cambiarmi le scarpe che si sarebbero
inevitabilmente inzuppate, così, mi diressi di di corsa verso la scuola, ignorando quella fastidiosa sensazione di
essere seguita.
Mentre prendevo i
libri dall’armadietto, mi accorsi che quel brutto
presentimento non se ne era ancora andato. Mi capitava spesso di avere brutte
sensazioni e quasi sempre succedeva qualcosa di non
piacevole. Mia madre diceva scherzando che avevo preso tutto da sua nonna che
era una specie di veggente fissata con le premonizioni e la lettura delle
carte; io, però, mi ero sempre rifiutata di pensare che le mie sensazioni
fossero una specie di premonizione, anche perché non avevo mai creduto in
quelle cose.
Chiusi
l’armadietto appoggiandoci poi la fronte sopra e sospirando ad occhi chiusi; era solo uno stupido presentimento il mio,
non avrei dovuto guardare The exorcism of
Emily Rose la sera precedente, i film horror non mi aiutavano a calmare le
mie sensazioni.
-Ciao Lily!-
Una voce squillante
proveniente da dietro mi fece sobbalzare e
cadere tutti i libri che avevo in mano.
-Mio Dio, mi hai
spaventato cretino!- Sbottai furiosa contro il mio “ragazzo” Mark
che rideva divertito della mia reazione.
Il nostro rapporto
era molto strano; non stavamo insieme, ma eravamo più che amici visto che da mesi ci frequentavamo. Lui…beh lui non
aveva mai nascosto il fatto che gli sarebbe piaciuto
essere il mio ragazzo, ma io non me la sentivo ancora. Mark era un tipo
piuttosto tradizionale e pretendeva già di conoscere i miei genitori,
-neanche stessimo per sposarci!- cosa che solo a pensarla mi faceva morire dall’imbarazzo.
Già vedevo la faccia di mio padre mentre glielo presentavo…e
riuscivo anche ad immaginare le raccomandazioni sul
sesso che avrebbe fatto mia madre.
-Scusa, volevo
farti una sorpresa.- Si difese lui sorridendo, mentre mi porgeva i libri che aveva gentilmente raccolto. Aveva un bel sorriso e i capelli
cortissimi di un castano scuro che al sole sembravano quasi rossi, tanto che per scherzare ci
chiamavano i “rossini”.
Alzai lo sguardo
verso di lui che era poco più alto di me e sospirai teatralmente
riprendendo il libro in mano. -D’accordo, per stavolta ti perdono.- Sorrisi divertita, avvicinandomi per baciarlo a stampo sulle labbra.
-A cosa devo
questo?- Mi intrappolò in un abbraccio.
-Devo avere un
motivo in particolare per baciarti?- Alzai un sopracciglio maliziosa.
-No, sai che puoi
farlo quando vuoi.- Ridacchiò, baciandomi di nuovo con molto più trasporto di prima.
-Oh, la smettete
con queste smancerie tesori miei?- Una voce divertita mi fece girare.
Victoria McFinn se
ne stava di fronte a noi sorridendo sbarazzina. Era una mia compagna di classe , nonché amica da…neanche ricordavo da quando,
probabilmente da quando eravamo all’asilo. Era una
piccoletta tutto pepe, i capelli cortissimi e biondi che da dietro la
facevano sembrare quasi un ragazzo, ma che le incorniciavano il viso bellissimo
simile a quello di una bambola. Aveva un modo affettuoso e strano di chiamare
le persone; per lei eravamo i suoi tesori, i suoi cuccioli, i suoi bimbi, i suoi amori…
L’unica cosa che nessuno di noi aveva mai capito, era perché si
fosse sempre rifiutata di farsi chiamare Vicky. Diventava furiosa –ed era
rarissimo vederla arrabbiata dato che sorrideva quasi
sempre- quando qualcuno la chiamava così.
-Se non vi dispiace
dovrei andare al mio armadietto e vorrei arrivarci senza prendermi il
diabete…-
Feci la linguaccia:
-Ma come sei acida tesoro stamattina.- Ridacchiai.
-Senti pupattola, o
ti sposti tu o ti sposto con la forza e sai che potrei
anche farlo.- Incrociò le braccia sorridendo in modo fintamente
minaccioso. Ecco cosa intendevo quando dicevo che usava epiteti curiosi per
chiamarci, pupattola era un esempio.
-Un corpo a corpo fra donne? Eccitante…-
Fece Mark sorridendo.
-Deficiente.- Gli diedi un leggero pugno sul petto, prima di
rivolgermi di nuovo a Victoria. – Hai vinto cosetta-, altro modo che usava lei per chiamare le sue amiche di
solito, -sono costretta a spostarmi, tu hai fatto una lezione di karaté,
non posso mica competere con te.- Commentai fingendomi
terrorizzata all’idea di un confronto.
-Ecco, brava
cosetta, togliti che è meglio; il mio gancio destro è micidiale.-
Rise divertita. Victoria era portatissima per tutti gli sport, ma era proprio
negata per qualsiasi tipo di arte marziale e l’unica lezione del corso di
karaté a cui aveva partecipato ne era la prova.
Aveva pagato una fortuna quel corso di 34 lezioni in
tutto, ma alla prima si era già arresa capendo che il karaté non
faceva proprio per lei.
Il suono della
campanella interruppe i nostri discorsi cretini, ricordandoci che probabilmente
il nostro prof di geografia non sarebbe stato molto contento se avesse avuto 3 persone in meno da interrogare.
Mi guardai intorno un po’ spaesata ricordandomi improvvisamente
una cosa.
-Avete visto Angie
per caso?- Di solito Angela, la mia migliore amica, anche quando arrivava in
anticipo mi aspettava sempre. Quel giorno ancora non l’avevo vista…
Si girarono entrambi
verso di me improvvisamente consapevoli della sua mancanza.
-No, è vero
non c’è…Di solito prende il treno delle 7.45, la incontro
sempre in stazione, ma stamattina non l’ho vista- Affermò confusa Vicky
(nella mia mente potevo anche chiamarla così, no?) girandosi verso Mark
che fece segno di no con la testa.
-Sarà stata
male.- Alzai le spalle lasciando perdere. In fondo,
capitava a tutti di stare male qualche volta, no? Strano però che non mi avesse avvisata...
-Stasera cinema?-
Mi chiese poi al volo con un sorriso a trentadue denti Mark. Vicky alzò
di nuovo gli occhi al cielo schifata, -Vado in classe,
a dopo bimbi.- E, borbottato quello, si diresse
velocemente verso la classe in fondo al corridoio.
-Perché no!-
Risposi a Mark alzando le spalle sorridendo. –Riproiettano Titanic al cinema e tu sai quanto adoro
quel film!- Ero sicura che gli occhi mi stessero brillando dalla gioia. Anche
se lo avevo visto migliaia di volte –vedendo il
povero Jack morire ogni volta, cosa molto deprimente tra l’altro,
continuava a piacermi.
-Ma lo hai
già visto 130 volte!- Esclamò esasperato. Il povero Mark mi aveva
fatto compagnia molte volte mentre mi riguardavo il dvd a casa. Si era capito?
-134.- Precisai con
una smorfia, mentre ci incamminavamo verso la classe. –E poi vederlo al
cinema è un’altra cosa, si provano un
sacco di emozioni!- Dissi estasiata all’idea di vedere il mio film
preferito in uno schermo così grande.
-Ho visto talmente
tante volte quel film che ormai non provo più niente.- Scosse la testa
–Ma che gusto c’è a vedere un film di cui conosci già
il finale?- Mi chiese ingenuo. Non sapeva che avrei potuto fargli un discorso
di più di un’ora sul perché Titanic fosse il Film
più bello del mondo e non mi annoiasse mai. Per sua fortuna il prof
stava arrivando e dovemmo affrettarci a prendere posto
nei nostri banchi.
-Ricordamela
stasera questa domanda e avrai risposta.- Una lunga risposta, sapevo essere davvero logorroica quando volevo, –Facciamo alle nove?- Chiesi battendo le ciglia con uno
sguardo implorante.
-Alle nove.-
Cedette infine. Avrebbe rivisto anche lui Titanic
per la 32esima volta.
Proprio in quel
momento, entrò il professor Spyne, il mio amatissimo insegnante di geografia, e
fui costretta a sedermi al mio banco, quel giorno affiancato da un suo
gemello vuoto. Angie, la mia migliore amica, era appunto assente. Mi chiesi
come mai non mi avesse chiamato per avvertirmi, ma poi mi tranquillizzai
pensando che quello era il giorno di riposo di sua madre e che quindi non sarebbe stata sola a casa.
Il professore
spiegò per venti lunghissimi minuti di agonia per
la classe e di ozio per me che non facevo altro che scrivere “Edward” sul mio libro. Sì, lo sapevo, era da ochetta deficiente sbavare per un vampiro esistente solo in un libro, ma...era così perfetto in Twilight, così simile al mio modello di ragazzo ideale.
Certo, tolta quella cosa inquietante dello stalking, non mi sarebbe piaciuto affatto se un ragazzo mi avesse seguita o se fosse entrato in camera mia per guardarmi dormire, non ero a quei livelli.
Capii subito quando la spiegazione giunse
al termine; d’un tratto piombò il gelo
glaciale in classe e il professore, con un ghigno divertito e maligno al tempo
stesso, si acciambellò sulla sedia lentamente.
-Allora,
interroghiamo oggi?-Chiese retoricamente. -Qualcuno si offre?-
Fece scorrere il
suo sguardo su studenti improvvisamente distratti a cercare qualcosa nella
cartella o presi da appunti infiniti sul quaderno. Nessuno osava incrociare lo
sguardo del professore. Mentalmente tutti imploravamo Loris Finnigan, il secchione della classe, di farsi interrogare, ma lui non
sembrava intenzionato a farlo.
-Devo usare la mia
amica penna?- Chiese perfidamente sadico con un
sopracciglio inarcato.
Quando nessuno si
offriva, l’adorabile prof Spyne si divertiva a far cadere la sua penna
sul registro che andava ad indicare i nomi dei poveri
sfortunati che dovevano essere interrogati. Rifiutare di farsi interrogare
quando la penna chiamava per il professore era una specie di sacrilegio ed equivaleva ad una
bella F.
-Bene- Disse sorridendo placidamente e lasciando
cadere la penna sul registro.
Gli studenti non
fiatarono, si alzarono e abbassarono leggermente dal banco col fiato sospeso
per osservare meglio la penna che rotolava sadica sul registro. Poco dopo,
però, chi era in fondo al registro e chi all’inizio si
tranquillizzò; la penna si era fermata al centro.
-Bene bene, mi
fanno il piacere di venire qui la signorina Lowell e
il signor Maxwell?-
Ovvio, vi ho
già parlato della mia fortuna? Naturalmente la sua domanda era retorica,
bisognava andare per forza o tanti cari saluti alla sufficienza in pagella.
Mi
alzai e camminai come diretta verso il patibolo, verso la mia fine. Non avevo
studiato praticamente niente e Angela non era nemmeno
presente per potermi suggerire uno straccio di parola dal libro. Figurarsi poi
se avrebbe potuto aiutarmi Mark che sorrideva al vuoto attorcigliandosi i
capelli con la matita e pensando probabilmente alla sua prossima partita di
football.
Che cavolo, alla fine poi chi della classe pensava a studiare una materia
inutile come geografia? Si pensava alla letteratura, alle lingue, alla matematica
e alle altre materie scientifiche, ma la geografia non contava molto nel
programma scolastico. Tuttavia era comunque rilevante per la pagella finale,
un’insufficienza e la bocciatura scattava.
-Prof , scusi…-
Una voce parecchio
sicura e spavalda proveniente dalla mia destra attirò l’attenzione
del prof e della classe.
Il prof sorrise
maligno, mentre si infilava i suoi occhiali alla Harry
Potter.
-Mi dica signor
Maxwell-
-Ecco, vede, in
questi ultimi giorni ho avuto la febbre parecchio alta –controlli pure sul
registro ero assente- quindi non ho potuto prepararmi adeguatamente…-
Sì, certo, come no!
Ovviamente il fatto che non si era “preparato adeguatamente alla
lezione” voleva dire che non aveva studiato. E poi, chi ci credeva alla
storia che Theodor Maxwell non veniva a scuola perché malato? Dio solo sapeva
quante volte aveva marinato la scuola falsificando poi la
firma dei genitori.
-Temo che questa
non sia una giustificazione sufficiente signor Maxwell…- Spyne arricciò le labbra come un bambino indispettito, -Inoltre- Aggiunse ancora
con quell’aria fintamente dispiaciuta mentre controllava sul registro , -Mi risulta che lei ieri fosse presente, quindi stava
abbastanza bene per studiare…-
Concluse togliendosi gli occhiali e sorridendo compiaciuto. Theodor si morse il labbro non sapendo più in che modo replicare.
-Facciamo
così- Il prof si sistemò meglio sulla sedia mentre parlava.
-Venga alla lavagna e mi dica quello che sa- Si grattò il mento soddisfatto, -Sono
di buon umore e se sa qualcosina potrei premiarla con una D, anziché una
F, che potrà poi recuperare più avanti.- A volte non era del
tutto perfido in fondo.
Theodor,
incoraggiato da quel sorriso, annuì e si diresse verso la cattedra un
po’ più tranquillo.
Andò
abbastanza bene alla fine…per me ovviamente. Theodor si beccò una
D, come gli aveva promesso il prof se avesse detto qualcosa sulla lezione, io
invece una B-, voto che mi andava comunque bene; non volevo assolutamente
essere la migliore e avere tutte A, mi bastava la sufficienza.
Non ero mica mio fratello che faceva una tragedia greca con tanto
di pianto disperato in stile “moriremo tutti” ogni volta che
prendeva una A- o una B. Con una B- probabilmente quell’idiota avrebbe
preso a testate il muro.
Il resto della
giornata passò piuttosto lentamente; la verifica di storia fu rimandata
per via dell’assenza della prof e nelle altre materie ero già
stata interrogata, quindi trascorsi il tempo ascoltando le lezioni e prendendo
appunti che studiavo poi mentre gli altri venivano
interrogati. In mensa mi sedetti al tavolo con Judith Kingsley e Meredith
Parker, due mie compagne di classe abbastanza simpatiche. Mark doveva discutere
di una strategia di football con gli altri giocatori della squadra e avevo
volentieri declinato la sua gentile offerta di sedermi al tavolo con loro.
Preferivo pranzare con quella squilibrata mentale della professoressa di
chimica Josien e farmi spiegare la sua lezione del giorno decine di volte
piuttosto che sentire le “strategie” di quello stupido
gioco con la palla.
Ad ogni modo Jude e Mary erano un
po’ strane, non socializzavano quasi mai con nessuno tanto che a scuola
aveva iniziato a circolare una voce sul fatto che stessero insieme. Ovviamente la voce era stata messa in giro da quella scema
della mia ex migliore amica Helena Elbow, la cui patetica esistenza si basava sui
pettegolezzi, sullo smalto e sui vestiti. Che tristezza.
A smentire poi le
totali cavolate che diceva Hele, c’era pure la
presenza di Philip Joseph, fidanzato super innamorato di Meredith che si
unì a noi durante il pranzo. Quella era la prima volta che lo vedevo e
lo trovai decisamente simpatico nonostante la sua
maniacale fissazione per gli animali. Philip non aveva fatto altro che parlare
del suo odio verso i bambini e verso l’uomo in generale , sostenendo che la loro presenza rovinasse la natura. Affascinante.
Il suono della campanella mi salvò in corner proprio quando Meredith,
altrettanto animalista e ambientalista, voleva farmi provare una crema per il
viso dall’aspetto estremamente disgustoso che
aveva in borsa agli estratti naturali di olio di zucchina. Oltretutto quella
roba puzzava da morire. Me la cavai con un:
-Magari
un’altra volta Mary.- E un sorriso poco
convinto.
Passarono altre due
ore di agonia e finalmente preparai la cartella pronta a tornare a casa.
-Lily tesoro.- Una
voce assurdamente finta e mielosa mi bloccò proprio sull’uscio
della porta. Maledissi mentalmente chiunque fosse stato nel mio raggio
visivo in dieci lingue diverse.
-Che vuoi Hele?-
Inarcai il sopracciglio infastidita. Non era mai stato
un problema per me esporre la mia totale antipatia verso una persona.
-Sono preoccupata per Angie…sai cosa ha avuto?-
Eccola che iniziava
con una ridicola sceneggiata alla fine della quale mi avrebbe chiesto con
nonchalance di passarle i compiti fatti per il giorno dopo.
-No.- Dissi svelta
iniziando a camminare verso l’uscita, trascinandomela inevitabilmente dietro.
-Se la senti per
telefono poi chiamami, ok?- Sbatté le ciglia in modo pietoso.
Ero certa che alla
frase avrebbe voluto aggiungere “così
poi mi dici i compiti.”
-Ok.- Non mi sprecai neanche a salutarla prima di andarmene. Come se
l’avessi davvero fatto poi!
Per strada, avvertii
nuovamente la strana sensazione di quella mattina.
Ero in un vialetto praticamente deserto che mi accorciava di molto la via
per tornare a casa.
Di solito la facevo
con Angela che abitava vicino a me e quel giorno non era stata per niente una
buona idea decidere di farla da sola.
Mark si era anche offerto
di accompagnarmi, ma avevo rifiutato dicendogli di stare pure con i suoi
amici ad allenarsi. Pessima idea.
Sentii di nuovo un rumore alle mie spalle.
Ok, stavo iniziando a spaventarmi seriamente, chi c’era lì?
Mi girai e questa volta scorsi un leggero movimento: una persona. Non l’avevo vista bene, ma ero sicurissima che
ci fosse.
Okay.
Feci un grosso respiro per cercare di
calmarmi. Non era di certo lì per me quella
persona. Era lì per caso. Per caso, ripetei a mente per evitare un decisamente prossimo attacco di panico.
Accelerai il passo con l'intento di raggiungere una zona più frequentata e, per chissà quale motivo, sentivo che anche
l’individuo dietro di me aveva fatto lo stesso.
Completamente spaventata, feci la cosa più sbagliata di tutte: incominciai a correre più forte che
potessi.
Sapevo che non era una buona idea, ma in quel momento il mio cervello
non era più in grado di produrre buone idee.
Corsi a perdifiato
finché, arrivata ad una piccola svolta prima di
una stradina che dava sulla strada principale, vidi spuntare due uomini davanti
a me.
Circondata.
Era l’unica
parola che riuscivo a pensare, mentre mi fermavo a pochi metri dai due tipi.
Alle mie spalle, poco dopo, sentii distintamente altri passi.
Frugai
immediatamente nelle mie tasche e presi il cellulare per cercare di chiamare
aiuto, ma non feci in tempo a far nulla: li sentii addosso a me l’attimo dopo.
-Lasciatemi!-
Gridai, mentre un uomo coperto al volto mi aveva afferrata
da dietro immobilizzandomi. Gli altri due, sempre con il volto coperto, si
avvicinarono lentamente da davanti.
-Che cosa volete?!- Strillai ancora.
Soldi? Il
telefono? Che cosa potevano volere quei tizi da una ragazza del liceo? Io non
avevo soldi con me! Forse volevano…no…le lacrime iniziarono veloci e
frenetiche a scendermi dal viso mentre cercavo con le mani di liberarmi.
Raccolsi tutto il fiato che avevo in gola per tentare un disperato urlo. Cercai
di mordere e di prendere a calci il tipo che mi teneva, ma i miei tentativi di
liberarmi sembravano del tutto indifferenti a lui.
-Stai buona.- Lo
sentii borbottare nervoso.
-Aiuto!- Cominciai
continuando a dimenarmi.
Improvvisamente,
sentii qualcosa di ruvido sfregarmi la bocca e il naso. Della stoffa.
Piano piano , la vista di quei due tizi ghignanti si offuscò.
No.
Le forze mi
stavano abbandonando e sentivo le gambe cedere. Prima di sentire i miei occhi
chiudersi del tutto, pensai disperata ai miei genitori che forse non avrei
più rivisto.