Trick or Kiss?
Desclaimer (per una volta ho deciso di metterlo): Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Tetsuya Nomura (perchè qua di disney non c'è una virgola...no, Winnie the Pooh è della disney, vero? Allora c'è anche la disney) presi dal gioco Kingdom Hearts, la fanfiction non è scritta a scopo di lucro ecc.
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Walter Disney (?), citati dal film "T come Tigro.
Probabilmente vi starete chiedendo cosa diamine c'entra Tigro con la storia...leggete e vedrete.
Roxas sbuffò guardando il calendario appeso alla parete dell’aula: 25
ottobre. Odiava quel giorno.
Avrebbero portato i compiti di storia (o erano di geografia?), gli
avrebbero sbattuto in faccia il solito dieci, e avrebbe dovuto
sopportare le occhiatacce e i commenti poco amorevoli dei suoi
compagni, che andavano da “E ti pareva! Quel secchione di merda!” a “E’
raccomandato. Il cocco della professoressa.”. I lati negativi di essere
il più bravo della classe.
Ma non era quello che gli dava fastidio, a quello ci era abituato ormai.
Era il fatto che Halloween si stesse avvicinando, e un clima eccitato
si spargeva nell’aria.
Halloween era la festa più attesa dell’anno, nel suo paese; questo
perché non si festeggiava carnevale, e tutte le altre erano considerate
festività erano considerate noiose.
Tra i pipistrelli appesi alle porte -per geniale idea di quella pazza
della professoressa di Arte e Immagine- e ricette di torte alla zucca
(poco commestibili, pensava sentendo “devi metterci 3 limoni interi”),
Roxas era tentato di rinchiudersi in casa per riuscire a metà novembre,
una volta finite quelle smancerie.
Perché i ragazzi delle Destiny Island avevano un modo tutto loro di
festeggiare Halloween.
Ormai passato di moda “Trick or treat?”, andavano forte le feste
private.
Che poi fossero sulla spiaggia, come quelle di Yuna, o su un Jet
privato, come quelle della “Signorina Naminè” aveva poca importanza.
L’importante era avere più invitati degli altri, e potersi crogiolare,
una volta tornati a scuola di quanto si fossero divertiti.
In ogni classe c’erano almeno tre organizzatori, e alla fine, almeno
ogni persona di quella scuola aveva un invito.
Tranne lui, perché quell’anno, come tutti gli altri, nessuno l’avrebbe
invitato.
I lati negativi di essere il più bravo della classe.
E come se non gli bastasse sentire gli altri organizzare feste a cui
non avrebbe mai partecipato, andavano anche da lui a rigirare il
coltello nella piaga cercando assurde scuse per il mancato invito:
“Sai, io ti inviterei anche…ma credo che tu abbia la pressione alta, e
alla nostra festa ci sono cibi pieni di sale. Quindi è per il tuo
bene.” Questa Olette poteva risparmiarsela. Non c’era scusa più
assurda…no, forse quella di Yuna “Tidus soffre di claustrofobia, quindi
se diventiamo troppi, lui si sente male.” era ancora più insensata.
E se ci rimaneva male con il “Il Jet ha solo sessantadue posti. E
cinquantotto sono riservati agli amici immaginari di Sora, quindi non
c’è proprio posto. Mi dispiace.” di Naminè che era sua cugina, non
poteva restarci che una merda per “Sei troppo piccolo per partecipare
alle nostre feste. Ci sono cose che non puoi vedere, per tutto il resto c'è Mastercard.” dei tredici, o meglio di Demyx.
I tredici erano un’associazione che provvedeva a tutelare le leggi
dell’istituto.
Ne faceva parte in pratica, anche se veniva considerato poco e niente,
come dimostrava il fatto della festa.
E se Roxas non aveva ricevuto neppure uno straccio d’invito per il
giorno di Halloween, non si poteva dire lo stesso per il ragazzo più
popolare della scuola.
Anche per lui periodo di fine ottobre era un inferno, ma per motivi
diversi.
Innanzitutto perché non poteva aprire l’armadietto senza ritrovarsi
sommerso dagli inviti (naturalmente non c’era ragazzo o ragazza che non
lo invitasse), e poi la gente che lo perseguitava chiedendogli “Ci
vieni alla mia festa?” era alquanto stressante.
Eh sì, avere Axel alla propria festa era il secondo sport più seguito
dalla scuola.
Il primo era prendere in giro il secchione della classe, ovviamente.
Spesso la sfida la vincevano i tredici, facendone Axel stesso parte.
Non che questo a Roxas importasse tanto, i suoi problemi iniziavano in
un secondo tempo.
Nel momento in cui si vedeva il ragazzo più carino/popolare/fico della
scuola salutare il più sgobbone e impopolare cominciavano i cazzi amari
(per l’impopolare).
Ma Roxas era certo che le anonime (ma anche no) minacce del tipo “Sappi
che se ti avvicini di nuovo ad Axel, riabbraccerai presto i tuoi
genitori. Lui è mio!” che gli arrivavano, non fossero tanto male,
considerando il filo spinato con cui veniva puntualmente legato nello
spogliatoio.
Ma avrebbe tanto voluto ignorarle.
Axel era stato il suo unico amico, prima di andare a liceo, gli voleva
davvero bene.
Splendenti occhi smeraldo, una zazzera di folti capelli rosso acceso,
che si reggevano in aria per miracolo, erano questi a fare di lui un
ragazzo tanto speciale.
E il suo carattere era…particolare. Così particolare da farlo sembrare
meraviglioso.
Era un sacco di tempo che non lo vedeva, forse per le minacce, forse
per paura. Di cosa?
Beh, notizia dell’ultimo minuto: anche i secchioni hanno dei sentimenti.
Il biondo poteva affermare con certezza di avere una cotta per lui
dall’asilo, come poteva giurare di non considerarlo affatto e che ormai
faceva parte del passato.
Di questo aveva paura, questo gli avevano insegnato i suoi adorati
libri.
Il passato va affrontato prima o poi.
E Roxas sperava con tutto se stesso che quel prima o poi non arrivasse
mai.
Erano tanti i motivi per cui odiava il 31 ottobre, e l’avrebbe
volentieri cancellato dal calendario.
In primis quelli sopracitati e poi la sua vita era stata rovinata in
quel giorno…
La famiglia Destiny è sempre stata la famiglia più ricca e ben voluta
delle Destiny Island.
La loro specialità è da generazioni il grande festone di Halloween a
cui invitano tutte le isole.
Suvvia, quale abitante non può dire di essere stato alla loro grande
villa sulla tredicesima strada per la sera della paura?
Nessuno poteva immaginare che questa tradizione sarebbe diventata la
loro rovina.
Ieri notte ogni abitante era lì, come ogni anno.
Eppure perché nessuno ha sentito il suono degli spari? Perché solo un
uomo, cercando il signor Destiny si è accordo dei tre cadaveri nella
cucina?
Adam, Elen e Ven Destiny trovati morti con delle pallottole conficcate
al centro del petto.
La serata degli orrori ha ospitato l’orrore più grande che il paese
potesse immaginare.
La polizia sta indagando sul caso, il cui unico indizio sembra essere
un orologio macchiato di sangue ritrovato la sera stessa nel giardino
della villa.
Chi può aver fatto cosa così spregevole, se i Destiny erano amati da
tutti?
Tutti i beni della famiglia andranno in eredità ai Draw, unici parenti
degli scomparsi.
E persino il piccolo Roxas Destiny, di sei anni, che era in camera sua
al momento dell’accaduto verrà affidato al nucleo familiare, che ha già
una bambina.
Ma intanto le isole del Destino ricorderanno per sempre l’esempio di
solidarietà e bontà che i Destiny hanno dato al nostro paese.
Articolo di K.H.
1 Novembre.
Aveva pensato che sarebbe stato davvero macabro incorniciare quel
giornale e appenderlo in camera sua.
Eppure, per quanto si sforzasse di dimenticare, quelle parole erano
sempre lì, vivide nella sua mente.
La sua famiglia…il suo fratellone…morti.
Erano passati nove anni dall’accaduto, e il dolore lo stava consumando
troppo lentamente, per i suoi gusti. Un colpo secco sarebbe stato
meglio.
Spesso si ritrovava a chiedersi “Perché continui a vivere?”, e,
altrettanto spesso, non riusciva a trovare una risposta alla domanda.
Ma un presentimento ce lo aveva.
A volte ripensando all’articolo gli veniva da ridere.
Probabilmente il giornalista doveva avere un concetto un po’ contorto
di “Per sempre”, visto che gli avevano portato rispetto per meno di due
anni, e poi il ricordo di tutto quello che aveva fatto la sua famiglia
per le isole era svanito.
E poi, i signori Draw prendersi cura di lui…tsk, che baggianata.
Aveva passato quattro anni in cui collegio, e poi l’avevano rinchiuso
in una villetta delle Destiny, con una paghetta di mille munny al mese
per mantenersi.
“Abbiamo ricoperto la zona di allarmi, così se l’assassino -che non
hanno ancora preso- decide di finire l’opera, non avrà scampo” si erano
pavoneggiati davanti alla polizia.
Ma Roxas era certo che se il signor. Draw avesse deciso di ammazzare
ANCHE lui, avrebbe saputo come disattivarli, avendoli installati lui
stesso.
Naminè non poteva immaginare che il suo amato papino era un assassino,
e Roxas aveva deciso di non dire a nessuno quello che aveva visto
quella sera.
FLASHBACK.
- Adam dammi i soldi. -
- Ma certo! Quanto ti serve? –
- Voglio tutto! –
- Mi dispiace ma non posso dartelo. –
- Allora sarò costretto ad uccidere la tua adorata famiglia. –
- No! Loro no! –
- Dammi i soldi! –
- La solita storia della borsa o la vita! Se te li do moriremo comunque
di fame, no? –
- Allora sarò costretto a prendermeli con la forza. –
E poi…
BANG. BANG. BANG.
La morte ha un suono così ridicolo…
FINE FLASHBACK.
Si sentiva un vigliacco. Se fosse entrato, probabilmente sarebbe morto
con la sua famiglia.
Questo ad Axel non l’aveva mai perdonato. L’aveva trattenuto, e non gli
aveva permesso di morire.
“Dobbiamo dirlo alla polizia, Ax. Dobbiamo dirgli che lo zio è cattivo,
che è stato lui.”
“Non ci crederanno mai Roxy. Se lo dirai lui te la farà pagare.”
“Mi ucciderà?”
“No. Non permetterò mai a qualcuno di farti del male. Non voglio
perderti.”
“Neanche io. Sei l’unico che mi rimane.”
E adesso, per colpa di quel giorno, non aveva più nessuno, perché dopo
l’accaduto anche il suo migliore amico, l’aveva evitato in ogni
situazione, fino ad allontanarsi completamente da lui.
Halloween significava passato.
Significava morte, significava rimpianto.
Halloween significava perdita di Axel.
Era anche per questo che lo odiava.
Se c’era un giorno dell’anno in cui le galline facevano davvero
fortuna, quello era proprio il 31 ottobre.
Ciò era testimoniato dalla divisa del biondino, un tempo azzurra,
ricoperta da tuorli e albumi senza distinzione…Beh, almeno erano
freschi!
Inutile dire che sembrava una frittata con l’aggiunta di qualche
ricciolo di schiuma e piume.
Entrò nel cortile della scuola in ritardo, essendo stato “intrattenuto”
fuori, e facendo scoppiare la scuola in una risata collettiva.
Vide Axel, circondato dai tredici, ridere sguaiatamente come tutti gli
altri.
E questo gli fece davvero male.
“Happy Halloween Roxas.” Pensò attraversando il giardino di corsa per
rintanarsi nei bagni maschili.
C’era solo una ragazzina intenta a togliersi della schiuma dai capelli,
che conosceva di vista.
Era una sua simile, la secchiona dell’altra classe.
Esattamente un anno prima erano stati eletti “Mister e Miss miglior
travestimento di Halloween”.
Il problema era che loro non si erano mai travestiti.
- Vedo che non sei riuscito a sfuggire alla furia distruttiva di
“Attilairi, la flagella di Sora” – rise la ragazza togliendogli una
piuma.
- Neanche tu stai messa bene. – rispose aprendo il rubinetto.
- Sono arrivata alle sei, riuscendo a sfuggire alle uova. Ma non ho
potuto evitare la schiuma della principessa, che è nel bagno femminile
a spruzzare a chi le capita.- mormorò.
“La principessa” era il soprannome di Naminè, naturalmente, e
“Attilairi” quello di Kairi.
Storse il naso:
- Tu puzzi. – lo indicò.
- Ma chissà perche! – fece Roxas ironico. – Ho la cambiata nella borsa.
– aggiunse.
L’altra chiuse la fontana e si avviò verso la porta.
- Io ho finito, anche se tornerò tra circa cinque minuti. Ciao. - si
avviò.
- A dopo. – fece il biondo aprendo lo zaino.
- Ah, Roxas! – tornò indietro.
- Sì? –
La ragazza sorrise:
- Buon Halloween. – lo prese in giro. Roxas la fulminò con lo sguardo,
poi rise di rimando:
- Buon Halloween Xion. – concluse. -- (Contento Ant? Te l’ho messa con
dolore e rimpianto. Mi sono punita dando a testate contro il muro. Non
sai quanto mi è costato scrivere quel cavolo di nome! N.d.a.)
Il resto delle lezioni trascorse “normalmente”, per quanto normali
possano essere degli squilibrati nel giorno più squilibrato dell’anno.
Roxas rimpianse di non essersi portato tre, anzi no quattro, anzi no
sette ricambi.
Ma dove le prendevano tutte quelle uova???
Mistero della scienza!
La campanella gli sembrò più liberatoria di tutti gli altri giorni.
Si chiese se Anna Frank avesse sentito il suono allo stesso modo, nel
caso fosse stata liberata.
Si rese conto di essere macabro, davvero.
Uscì normalmente, sorpassando in fretta tutti i suoi compagni, e in
poco si ritrovò fuori dal cortile.
- Roxas – una voce che conosceva fin troppo bene, lo richiamò. Si voltò
nervoso:
- Cosa c’è? Ha voglia di farsi altre risate, o gli è rimasta una
bomboletta di schiuma, signorino Flames? – spuntò quelle parole
avvelendole abbondantemente.
- Volevo solo chiederti scusa.- mormorò mesto l’altro. Roxas riprese a
camminare, ignorandolo:
- Va al diavolo. – borbottò sparendo in un vicolo, lasciando Axel a
piangersi addosso.
Si morse il labbro in colpa; aveva fatto troppi errori.
Era tempo di rimediare.
La porta della piccola cripta si aprì cigolando con un rumore sinistro;
era molto vecchia, logico che lo facesse.
Probabilmente qualunque altra persona sarebbe defunta di paura, lì
dentro, il giorno più pauroso dell’anno ma Roxas ci era abituato. Era
l’anniversario della morte dei suoi genitori, ci andava tutti gli anni.
E anche a Natale, a Pasqua, e a ogni festività che avrebbe dovuto
festeggiare con la sua famiglia.
Si guardò attorno con aria triste: la cappella era esattamente come la
ricordava.
Le pareti in pietra, lasciavano penetrare alcuni spiragli di luce,
attraverso le loro crepe.
Lungo i muri le varie tombe dei suoi zii, prozii, nonni eccetera.
Non c’erano lampadari, solo qualche candela qua e la.
Il soffitto non era molto alto, era un semplice soffitto crepato, che
lasciava penetrare i pallidi raggi di sole autunnali, e il pavimento
era ricoperto da un tappeto, che un tempo sarebbe dovuto essere di un
bel rosso scarlatto, che in quel momento, ricoperto dalla polvere, si
avvicinava di più a un bordeaux spento.
Infine, davanti a lui si ergeva un altarino, ricoperto da un telo
azzurro, affiancato da due altari più grandi, ricoperti da dei teli
bianchi.
Solo l’altare più piccolo aveva dei fiori freschi, a tutte le altre
tombe i fiori dovevano essere vecchi di settimane, se non di mesi.
Roxas si strinse nel suo maglione azzurro: faceva freddo, e quel posto
aveva un’aria da brivido.
Facendosi coraggio accese alcune candele e cominciò a mettere i fiori
sulle tombe.
“Una rosa bianca per la mamma” pensò poggiando il fiore sull’altare.
“Un tulipano per papà” si soffermò a guardare la foto dei suoi
genitori: com’erano belli!
Era stata scattata al loro anniversario di matrimonio, due mesi prima
della loro morte.
Lei con i suoi capelli dorati, e gli occhi cerulei luminosi sorrideva
splendidamente stringendo la mano a un uomo dai ribelli capelli
corvini, e gli occhi color cielo. Sembravano così felici…
Sentì le lacrime salirgli agli occhi, e le ricacciò dentro, passando
alla tomba centrale.
Un bambino, che gli somigliava così tanto, rideva, facendo brillare gli
occhi color cielo.
Quel giorno era il suo settimo compleanno: aveva ricevuto tutto quello
che voleva, ma non era quello il motivo della sua felicità. Nei suoi
occhi brillava la fiducia di una promessa:
“Non ci lasceremo mai vero Ven?”
“Naturalmente Rox. E’ una promessa.”
Le lacrime cominciarono a bagnargli le guance, senza che potesse far
niente per fermarle.
- Mi manchi così tanto, fratellone.- mormorò accarezzando la foto.
L’orologio della chiesa che scoccò le sei, lo riportò alla realtà:
sarebbe fatto buio presto, gli conveniva tornare a casa.
Spense velocemente tutte le candele, e uscì, chiudendo la porta a
chiave.
Si voltò, trovandosi faccia a faccia con una persona. Sobbalzò
appiattendosi contro porta della cripta.
- L’ho spaventata signorino Destiny? – si trovò davanti gli occhi
azzurri del guardiano, che gli tendeva la mano.
La accettò volentieri:
- Non si preoccupi Terra. – loro due erano così simili.
Se c’era una persona in tutto il mondo, più sola di lui il giorno di
Halloween, quello era proprio Terra Tsukami, il guardiano del cimitero
di Destiny.
Lui aveva perso tutto nello stesso modo di Roxas.
A quattordici anni Terra era scappato di casa, stanco delle sfuriate
che i suoi genitori non mancavano di fargli perché “Non doveva
frequentare gente di quel tipo”.
L’amico di cui si parlava era Ven Destiny, un cinquenne di benestante
famiglia, che sembrava deciso a non mollarlo.
Era stata proprio la famiglia del piccolo a ospitarlo, trattandolo come
un vero e proprio familiare.
Ma il ragazzo si era improvvisamente ritrovato sul ciglio di una
strada, la sera del 31 ottobre, con l’assassinio di Ven e genitori.
Roxas sapeva quanto Terra aveva sofferto. Tanto. Forse più di lui.
Sapeva che amava profondamente Ven, e che era l’unica persona che
contava per lui.
E le lacrime che gli aveva visto versare in quella fredda notte
d’inverno, erano solo testimoni incorrompibili dei cuori che si erano
spezzati.
E ciò faceva male ad entrambi, nonostante non fossero mai stati in
rapporti strettissimi.
Però erano un quartetto affiatato.
Il biondo ricordava nostalgicamente, i felici pomeriggi, passati a
giocare a nascondino a Villa Kokoro, facendo contare sempre il moro
perché, “Sei tu il più grande, e quindi sai contare meglio, giusto
Roku?” decisione di “Mister istrice amico del fratello di Ven”, come
amava definirlo “Mister strano essere con i capelli marroni, amico di
mio fratello” nomignolo dato da Roxas, o “Fratellino nanetto, che
difende un coso rosso”, soprannome amorevolmente inventato da Ven, che
veniva chiamato dal “coso rosso”, “Fratello di Roxas, che (anche se lo
crede) non è tutta questa grande cima, e riesce solo a dare fastidio”.
E a quel punto cominciava una furiosa lotta tra i due più grandi, con
il tifo dei fratelli che terminava solo con l’arrivo dei biscotti della
Signora Destiny.
Quelli sì, che erano bei tempi.
- Anche oggi da soli, signorino? – Terra gli rivolse uno sguardo
amorevole.
- Come sempre, Terra. E chiamami Roxas, per favore. – tentò di
liberarsi dalla presa del più grande, e solo in quel momento si accorse
di essere incastrato tra il muro e il castano. Gli mancò il fiato;
Terra era così vicino, i loro nasi si toccavano, e l’altro aveva gli
occhi socchiusi.
E siccome Roxas era un ragazzo perspicace, gli ci vollero pochi secondi
per elaborare la situazione: stava per baciarlo. Il migliore amico di
suo fratello stava per baciarlo, e lui era incapace di fare qualsiasi
cosa.
Terra aprì gli occhi, e poggiò delicatamente le sue labbra su quelle
del più piccolo.
Sentì Roxas irrigidirsi, e guardò i suoi occhi color cielo, allagarsi.
E per un attimo lo vide: il suo Ventus, in quelle pozze blu spaventate.
Ma era solo un riflesso. Lui se n’era andato tanto tempo prima.
E per quanto fosse difficile e doloroso, doveva accettarlo.
Quello non era Ven. Quello era Roxas. Roxas non gli apparteneva,
apparteneva a Lui.
Anche se forse quell’idiota era troppo egoista ed egocentrico per
capire quanto stesse facendo soffrire il biondo.
Si staccò di botto.
- Mi perdoni, mi dispiace- – corse via, ma si sentì afferrare il polso.
- Lo so Terra. – la voce di Roxas era piatta, inespressiva. Lo vide
abbassare lo sguardo, e mettersi una mano in tasca. – Volevo darti
questa. – gli porse un pezzo di carta strappato.
Lo accettò esitante: una foto. Sorrise malinconicamente guardandola.
Terra e Ven, come recitava una frase sul retro. Ricordava quando
l’avevano scattata: era il suo compleanno. Ven gli aveva regalato una
macchina per i pop corn, la sua grande passione, e in quella foto
stavano ammirando il regalo con tanto di occhi a cuoricino.
- Grazie Ven. – mormorò. L’altro sorrise a quel nome:
- Di niente, Terra.-
Il moro si allontanò stringendo quel foglio, come se fosse stata la
cosa più importante che avesse mai ricevuto.
Roxas fece lo stesso, guardando l’altro pezzo della foto, quello che si
era tenuto.
E ancora una volta rimase colpito dagli occhi verdi.
Quegli occhi verdi che gli avevano inflitto una ferita nel cuore,
troppo profonda per essere guarita.
- E se trovo altri tigri, potremo fare tutti insieme il salto in lungo
e in largo con il balzo di rimbalzo!-
- Il manzo della manzo…di che cosa in lungo e in largo?-
Roxas si tirò le coperte fin sopra la testa: sapeva che sarebbe finita
così. Finiva così tutti gli anni.
Era sdraiato sul divano di velluto coperto da un grosso piumone
azzurro, di fronte alla televisione.
Dove stavano trasmettendo, come tutti gli anni, “T come Tigro”, film
che ormai sapeva a memoria.
E ancora non riusciva a spiegarsi cosa c’era di Hallowenesco!
Sì, Tigro era arancione e nero, ma non gli sembrava affatto un buon
motivo per trasmetterlo per dieci anni di fila, la sera del 31 ottobre.
Non sarebbe stato più logico fare qualcosa del tipo “Nightmare before
Christmas” ?
Probabilmente i produttori non la pensavano allo stesso modo, o forse
pensavano che non ci fosse nessuno era così sfigato da rimanere a casa
in quel giorno.
Beh, certo avrebbe potuto cambiare canale, ma non aveva molta voglia di
guardare un documentario sulla morte dei suoi genitori (altro programma
ricorrente), o film del tipo “Il Mai Nato” o “The Ring”, che gli
facevano venire gli incubi di notte, preferiva di gran lunga stare su
un canale per bambini poco intelligenti dove trasmettevano ventiquattro
ore su ventiquattro “Dora” e “La casa di Topolino”.
Inoltre si sentiva particolarmente male: aveva freddo e gli girava la
testa, come se si fosse drogato, forse il bicchiere di tequila che
aveva bevuto aveva avuto i suoi effetti.
Era stato un gesto estremo: aveva tentato di affogare la sua tristezza
nell’alcool, ottenendo come risultato solo un fastidioso mal di testa.
Ma in fondo non gli importava più di tanto, quello era il suo Halloween
e nulla avrebbe potuto spezzare la monotonia.
DLIN DLON.
Appunto. Chi poteva essere?
Nessuno, mai nessuno aveva osato bussare a quel campanello, tanto meno
in quel giorno funebre.
Si trascinò in piedi, completamente avvolto dalla coperta, e rimpianse
di non aver attivato l’allarme.
Svogliatamente aprì la porta e…
…
…
…
- Ah! – la persona fece un balzo all’indietro. – Sappi che se la tua
intenzione era di spaventarmi, complimenti, ci sei riuscito benissimo.
Ottimo travestimento sembri davvero uno zombie.-
- Sto ridendo talmente tanto, che il mio stomaco ha deciso di fare una
capatina in gola. – disse inespressivo:
- Si può sapere cosa vuoi, Axel?- domandò serio al ragazzo di fronte a
lui.
Indossava un pantalone e una giacca neri, di pelle, e una maglia color
sangue con un teschio:
- Cattivo. E io che volevo farti una sorpresa.- Axel fece una
linguaccia, cacciando un sacchetto dalla tasca. Lo aprì e ne tirò fuori
un cioccolatino a forma di cuore:
- Sono giorni che mi bombardano con questi cosi. Caspita, io credevo
che fosse Halloween, non San Valentino! – rifletté, tentando di mettere
il cioccolatino in bocca all’altro, che gli bloccò il braccio:
- Vattene. – disse freddamente. Non aveva voglia di vedere nessuno,
benché meno quella sottospecie di Goku versione inferno.
- Senti Roxas, non ha la minima idea di cosa ti stia succedendo in
questi giorni. Si può sapere cosa ti prende? – domandò il rosso
esasperato. Roxas lasciò ricadere il braccio sotto la coperta, sorpreso:
- Cosa mi prende??? Tu, chiedi a me cosa prende???- urlò isterico
alzando gli occhi al cielo.
- Mi prende che sono stanco signor Popolarità! Stanco di quegli stupidi
ragazzini che vanno in euforia per una stupida festa! Stanco di essere
trattato come un bersaglio vivente e di essere minacciato, perché uno
stupido essere con degli stupidi capelli mi ha fatto ciao con la mano.
– cominciò a gesticolare nervosamente.
- E soprattutto.- aggiunse esaurito – Stanco di uno stupido tizio che
stasera si è presentato qui come se per nove anni non mi avesse
completamente ignorato e preso in giro. – aveva le lacrime agli occhi.
Axel reagì d’istinto: lo abbracciò, lasciandolo interdetto. Gli
circondò le spalle con le braccia, accarezzandogli la schiena.
- Mi dispiace. So di non poter capire quello che provi, ma mi dispiace.
Di averti ignorato, ma comprendimi: quando te ne sei andato in quel
collegio io mi sono sentito perso, e quando sei tornato, non sapevo
come comportarmi. Ho seguito la massa. -
Roxas si lasciò cullare e pianse appoggiato al petto del più grande: in
tanto tempo non si era mai sentito così bene, quel caldo abbraccio era
così familiare.
- Sei un idiota. – concluse.
Axel si tolse il giubbotto, si chiuse la porta alle spalle, e accese
l’allarme. Trascinò sul divano Roxas che appoggiò la testa alle sue
gambe.
- Come ai vecchi tempi…- sussurrò nostalgico. Rivolse uno sguardo alla
televisione; alzò un sopracciglio:
- T come Tigro. Un programma molto educativo senza dubbio. –
- A te piaceva. Dicevi sempre che ci somigliavano. Mi paragonavi a Rò.
– mormorò il biondo chiudendo gli occhi. Axel rise.
- Avevo tutti i motivi per farlo, quando arrivavo ti mettevi a
saltellare come un canguro, e Ventus cominciava a seguirti, chiedendosi
cosa ci fosse di tanto straordinario nel campanello che
suonava. Ti vedo particolarmente stanco. Hai preso qualcosa?
– domandò toccandogli la fronte.
- Sì. – mentì Roxas – Un sonnifero –
- E’ perché?-
- Soffro di insonnia. – Non gli avrebbe rivelato Mai e poi Mai, neanche
sotto tortura che la sua “insonnia” era il pensiero fisso di un istrice
rosso, che lo ignorava.
Chiuse gli occhi, assaporando quel momento: avrebbe voluto che non
finisse mai.
Quando gli sarebbe ricapitato di stare così vicino ad Axel?
Di certo, il giorno successivo sarebbe tornato tutto alla “normalità”,
quel momento sarebbe rimasto impresso solo nella sua mente.
Lo odiava, per questo. Se solo avesse potuto dimenticare…
- Perché non sei a una festa? – chiese il rosso stupidamente. Era una
domanda retorica, si capiva.
Il più piccolo sbuffò:
- Non mi piacevano i dolci. – fece ironico.
La scena aveva un ritmo lento: Axel domandava, Roxas rispondeva, Axel
rifletteva e faceva un’altra domanda.
Ma era meravigliosa per questo. Per la sua imbarazzante semplicità.
- Quindi deduco che ti piacciono ancora i dolci al cioccolato. –
constatò il più grande…e quello che diamine c’entrava???
Cioè, insomma, Axel doveva essere stato alle feste di tutto il paese
(cosa probabile), e aver controllato che non ci fosse cioccolato da
nessuna parte (cosa improbabile, visto che sulle Isole Del Destino
c’erano più cioccolatieri che supermercati), e infine essere andato da
lui a fargli quell’insensato interrogatorio.
-…e quindi tu ora devi mangiare questo cioccolatino, per assaggiare il
vero gusto di Halloween. – tirò fuori un cuoricino dalla tasca. Ma dove
voleva andare a parare?
Tentò di infilarglielo in bocca, come aveva fatto prima. Roxas oppose
resistenza ma Axel gli rifilò un sadico sorriso, e dopo un’assurda
lotta si ritrovarono per terra, Axel su Roxas, che gli teneva bloccati
entrambi i polsi, solo con la coperta a separarli.
Il biondo arrossì vistosamente.
- Trick…- cominciò Axel. Aveva una fissa per l’inglese, Roxas se lo
ricordava bene…
Eppure, nel bacio che gli diede non c’era assolutamente niente di
inglese, per lo più era molto, molto alla francese.
Non era come quello di Terra, delicato e gentile, no, lui si era
abbattuto con forza contro le sue labbra, insinuando brutalmente la sua
lingua nella bocca dell’altro, e cominciando ad esplorarla con
violenza, mentre con le mani toglieva quel telo che li divideva.
E proprio per questo era stupendo, quel bacio era Axel.
Roxas, dal canto suo, non poteva che godere del momento tanto
desiderato, e ringraziare ogni santo che conosceva, per quel momento.
Sfiorava Axel con imbarazzo, quasi timore.
- …or kiss? – concluse una volta staccatosi. Non gli aveva dato
possibilità di scelta, e ne era grato.
Si guardarono affannati e rossi in viso. La situazione era cambiata:
ora erano entrambi in ginocchio, con le fronti che si sfioravano, e
chissà come ci erano finiti, entrambi a torso nudo e con i pantaloni
troppo stretti.
Bastò un malizioso sorriso da parte del più grande, per far perdere a
Roxas quel poco di autocontrollo che gli era rimasto, e ricominciare a
baciarlo con foga e con passione.
Fin quando la loro passione non si fu esaurita, di fronte a una
televisione che nessuno si ricordò di spegnere, prima di addormentarsi.
Fu una notte di Halloween fantastica, la migliore della loro vita.
Oh sì, fu davvero una notte grandiosa.
EPILOGO (Purtroppo c’è pure questo)
Si asciugò le lacrime frettolosamente: che idiota che era stato! Uno
stupido, un illuso, un ebete.
Quando la mattina precedente si era svegliato con un mal di testa
atroce, sdraiato sul suo divano, con la TV accesa e un bicchiere di
tequila vuoto sul tavolinetto, si era costretto a rendersi conto che
era stato tutto un sogno.
Uno stupido inutile sogno, dal quale non si sarebbe mai voluto
risvegliare.
Sapeva che era così, lo aveva letto in una rivista di psicologia.
“I sogni sono i nostri desideri più grandi che si realizzano, anche
solo per una notte.
A volte ci aiutano, ci rendono più forti e più ostinati a raggiungere
il nostro obiettivo.
Altre, se i sogni sono tanto belli quanto irraggiungibili, possono
essere davvero pericolosi.
Fino a portare al suicidio, nella speranza di raggiungere quel mondo
che tanto abbiamo amato.
Beh, sognatori di tutto il mondo, mi dispiace deludervi: non esiste
nessun mondo dei sogni, aldilà della vita.
Posso solo ripetervi le parole disse Cenerentola:
“Non disperare nel presente ma credi veramente, e il sogno realtà
diverrà”.
A volte le fiabe insegnano più di quanto noi possiamo capire.
In conclusione, sognatori di tutto il mondo, continuate a vivere.
Ma soprattutto continuate a sognare.
Dreamer.”
Che cavolata.
Forse lo scrittore si era dimenticato di aggiungere la terribile
sensazione di essere stati fottuti, al risveglio, o forse era capitata
solo a lui, visto che aveva passato la domenica a piangere.
Non aveva per nulla voglia di andare a scuola, si sarebbe perso
volentieri le moine dei suoi compagni che riguardavano la “grandiosa
festa”.
Ma poi non poteva fare assenze, visto che i suoi tutori erano in
viaggio e non potevano firmargli la giustifica.
Si sciacquò per l’ennesima volta la faccia, tentando di pensare ad
altro.
Era inutile, l’immagine di Axel che lo baciava era più forte di
qualsiasi altro pensiero.
Uscì di casa a passo lento, sperando di non trovare nessuno sul suo
tragitto.
Naturalmente non fu così. A metà strada una limousine nera si fermò di
fronte. Ne scese una ragazza della sua età, bionda, con la divisa
scolastica, messa in modo alquanto particolare.
- Roxy – cinguettò contenta. – Gran belle feste l’altro ieri, vero? Tu
a quale hai partecipato? – fece aggiustandosi la gonna.
- A nessuna, Naminè. Ora se me lo concedi, devo andare a scuola. – si
avviò a passo veloce.
- Sai…- cominciò a giocherellare con i propri capelli, la ragazza. –
Ieri alla mia festa è venuto Axeluccio. – civettò. Roxas si bloccò di
scatto: Naminè era l’unica a sapere della sua amicizia con Axel, e
spesso usava ciò per ricattarlo. Che stronza.
- Ha portato…il suo ragazzo. –
Colpo dritto al petto.
Roxas avrebbe tanto voluto che in quel momento qualcuno lo portasse
via, per distrarlo da quell’insopportabile rumore che era il suo cuore
che si spezzava.
- Devo andare. – borbottò correndo via.
Naminè si compiacque della sua bugia: Larxene era davvero un’ottima
insegnante.
Sorpassò il cancello della scuola a passo deciso, e con lo sguardo
ancora rivolto verso il basso.
Roxas credeva che il suo cuore e il suo sguardo, non avrebbero retto
nemmeno un secondo agli occhi di Axel.
- Ehi, Roxas. – pensandoci bene, nemmeno alla sua voce. Ma perché lo
stava chiamando? Non avevano litigato loro? Si sentì afferrare il
polso, e arrossì istintivamente. Quel tocco era lo stesso del sogno.
Si voltò lentamente, continuando a tenere gli occhi bassi: sapeva che
sia i tredici, sia quelli della sua classe li stavano guardando.
- Che vuoi? – cercò di avere un tono autoritario, ma ottenne un suono
stridulo e imbarazzato.
- Vedi…- iniziò il rosso con tono indifferentemente alto. – L’altra
notte, mi sono dimenticato di dirti una cosa. – Roxas, certo di essere
molto vicino all’infarto, alzò lo sguardo, contemporaneamente ad Axel,
che al contrario, si stava abbassando per trovarsi faccia a faccia con
il più piccolo.
- Ti amo. – lo baciò allo stesso modo del “Sogno”.
Roxas, completamente in estasi, non fece neppure caso alle urla e agli
svenimenti che ci furono attorno a loro, era in una bolla di sapone,
solo lui ed Axel.
Lo amava, lo amava tantissimo, ma soprattutto Axel gli aveva dato un
buon motivo per amare Halloween.
OWARI
*Passano gli operai a ritirare la spazzatura, e a pulire il vomito dei
lettori*
NOTE (STUPIDE) DI UN’AUTRICE STUPIDA SULLA STORIA (ORRIBILE) (VI
ASPETTAVATE CHE DICESSI STUPIDA, VERO???):
Dopo Regole torna con questa “fan fiction” se si può chiamare così.
Allora…la storia non mi convince affatto.
Nata di getto (come una vomitata, insomma n.d. altra me), in un bel
giorno di primavera (Ma si può sapere cosa ti sei fatta? N.d.altra me.)
Verità: scritta in una notte insonne (nelle ore dello sclero), dopo
averla a lungo premeditata.
Penso che mi sia venuta una mezza schifezza (Idem n.d.altra me) e voi???
Ringrazio anticipatamente coloro che recensiranno, ma anche coloro che
leggeranno.
Da me c’è un’influenza in giro, così la festa di Halloween che avevo
organizzato è saltata.
Bah, stavolta non so davvero che scrivere (e allora perché non ti fermi
e fai un piacere a tutti??? N.d. altra me), quindi mi limito a salutare.
Baci & Abbracci.
Dalla vostra Kim.
P.S. Quasi dimenticavo:
Happy Halloween a tutti voi!!!!!!!!!!!!!
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