UsUkOceano
"There is an ocean between us,
but is not very far."
Blurry, Puddle of
Mudd
Overseas.
Faceva male,
dannatamente male. Bruciava e a volte
pungeva. Oppure lo stritolava, lo soffocava e provava ad ucciderlo
lentamente, quel fottuto dolore.
Se ne stava
annidato, all'altezza del petto. Si muoveva a sinistra e a
volte faceva un paio di balzi e capriole, fino ad arrivargli in gola.
Spesso,
invece, lo sentiva così forte da voler urlare, piangere
e ribellarsi. E, se solo lui non fosse stato un gentleman britannico,
avrebbe
ceduto volentieri a quelle insopportabili tentazioni.
Arthur aveva
da sempre avuto l'impressione che quel dolore
fosse dovuto ad una mancanza. Come se avere un cuore ne potesse essere
la medicina. E come se quel cuore gli fosse stato strappato via. Anzi,
come se avesse scelto di andarsene, di non avere più bisogno
di
lui.
Arthur lo conosceva
bene l'Atlantico. Lo aveva
attraversato tante di quelle volte che avrebbe benissimo potuto
perdersi nel bel mezzo dell'infinito blu e ritrovare al più
presto la via di casa. Aveva imparato a memoria tutto di quel viaggio,
perché ogni volta che lo aveva compiuto, aveva voluto
ardentemente arrivare al capolinea.
Quando era
desiderato, ovviamente.
Perché
Arthur era felice di poterlo educare, quello che un tempo
era un cuore. Di aiutarlo a crescere e di dargli in premio un
bell'esercito, nuovo di zecca e dalle uniformi tirate a lucido. Lui non
voleva vedere quei moschetti puntati sull'Inghilterra, assolutamente.
Lui li voleva vedere impegnati per l'Inghilterra.
A lui piaceva
comandarli da lontano, tutti quei soldatini. Piegarli al
suo volere, così come aveva fatto con tante altre Nazioni.
Però
l'America non era come le altre, si diceva. L'America era
una sorta di baluardo che Arthur aveva raggiunto. Come se si fosse in
tanti anni esercitato, per arrivare infine a creare qualcosa di
perfetto. Per avere un po' di sé anche dall'altra parte di
quel
dannatissimo oceano e andarne fiero in qualunque momento.
L'Inghilterra
poteva anche essere quanto di più ordinato, saldo
e forte potesse esistere, ma sapeva bene che col Nuovo Mondo poteva
aspirare anche più in alto.
Arthur se ne
stava spesso rivolto verso ovest, immaginando
che ognuna delle onde che si infrangeva sulle sue coste, non era che un
regalo che direttamente proveniva da quelle terre sconfinate e libere.
Ma non era così.
L'Inghilterra
non poteva sentirsi gratificata da un mucchio d'acqua che
cozzava contro le sue spiagge. Né sapeva essere soddisfatta
dell'importanza che aveva in Europa.
L'Inghilterra
desiderava ardentemente che il suo nome riecheggiasse oltre il mare.
Forse anche più lontano.
Voleva che
volasse e si soffermasse particolarmente sopra gli Stati
Uniti. Voleva poi che la sua eco si mutasse in un "big bro" detto con
voce acuta e forse un poco stridula.
Alfred era,
per Arthur, ancora quel bambino. Enorme e piccolo al tempo stesso; un
po' contraddittorio, ma era così.
America era
ancora quel moccioso semi-nascosto dagli arbusti. Ora gli
arbusti erano diventati grattacieli, ma ancora potevano cadere da un
momento all'altro.
Alfred era
tutto per Arthur. Era la cosa che più gli piaceva,
era la cosa migliore che fosse riuscito a creare. Era una parte di
Arthur, quella che amava di più, e lo sarebbe rimasto per
molto
tempo ancora. Almeno finché quel cuore non avesse smesso di
battere.
- US,
idiot.
-
- UK... -
Arthur
alzò il capo. Il meeting era iniziato da un
paio d'ore circa; e lui era già fuori, con le mani
spasmodicamente strette su una tazza di tea ancora troppo piena, per i
suoi gusti.
Dentro, poteva
benissimo sentire le altre Nazioni blaterare riguardo il
surriscaldamento globale. Strano che Alfred fosse là fuori,
mettendo da parte per un po' la sua massiccia dose di egocentrismo.
Però poteva chiaramente distinguere la voce di Francis,
là in mezzo. Ed era sicuro che avesse detto qualcosa
riguardo ad
un sedere.
Cosa
c'entrasse poi in un incontro tra Stati, era tutt'ora un mistero.
Lui era
uscito, invece. Un po' per avere tregua dalle
richieste insostenibili di quel moccioso di Peter, un po' per prendere
una boccata d'aria e pensare.
Arthur pensava
sempre. Addirittura troppo.
Ogni volta che
accadeva qualcosa, lui se ne stava in disparte a cercare
la soluzione migliore. Ed adorava vedere le altre potenze affannarsi e
fallire, quando lui invece poteva benissimo surclassarli grazie alle
sue spropositate doti di self-control.
Portò
nuovamente la tazzina alle labbra, scacciando con una mano
le fatine che avevano preso a girare attorno alla sua testa.
Le fatine
c'erano sempre, da quel che ricordava. Ronzavano attorno a
lui, lo ammonivano quando lo dovevano ammonire e lo consolavano quando
era triste. Forse lui non ricambiava i loro sforzi, né
sapeva
essere riconoscente. Ma almeno, da bravo gentleman britannico,
accennava loro un educato sorriso una volta tanto.
Non che le
fate pretendessero altro, sia chiaro.
- Che vuoi? -
Arthur aveva
impresso particolare freddezza in quella domanda, forse caricandola
troppo.
Alfred se ne
accorse e s'irrigidì.
Alfred non
capiva mai molto di quel che riguardava gli altri. Lui si
concentrava solo su se stesso e poco gli importava di ciò
che
non riguardava in prima persona la sua Federazione.
Non conosceva
minimamente la geografia, tanto per fare un esempio, ma
poteva perfettamente dare istruzioni su tutti i sassi che si trovavano
nel suo continente. Anche quelli più nascosti, anche i
granellini di polvere.
- Mi hai
chiamato idiota. -
Arthur
roteò gli occhi, si stava stancando. E gli riusciva molto
bene farlo. Non roteare gli occhi, ma stancarsi.
Lui dava
dell'idiota a tutti. Specialmente ad Alfred; era diventata un po'
un'abitudine e un passatempo.
Ma non era
questo il punto. America sapeva bene quanto Inghilterra
fosse propenso a distribuire critiche e a spartirle bene tra tutte le
Nazioni.
Alfred voleva
solo fargli capire che lui non era un ragazzino, tantomeno un idiota.
Alfred amava
puntualizzare. Alfred puntualizzava sempre.
Era
puntiglioso, specie se si trattava di Inghilterra. Non che
desiderasse davvero vederlo umiliato, ma uno schiaffo morale
gliel'avrebbe dato eccome. Solo per dimostrargli che quel mucchietto di
colonie era perfettamente all'altezza del Regno Unito, se non
addirittura superiore.
- E allora? E'
quello che sei, idiot. -
Da quel che
ricordava, Arthur non aveva mai avuto un
dialogo vero e proprio con Alfred, non da quando quest'ultimo aveva
preteso la propria indipendenza. Non aveva avuto una conversazione che
non comprendesse susseguirsi di insulti reciproci ed una manciata di
invettiva, almeno.
Non era
particolarmente fiero di ciò, ma non poteva nemmeno dire
di non sentirsi in un certo senso soddisfatto. Addirittura protetto.
Se c'era
qualcosa che Arthur temeva, era far capire ad Alfred quanto
potesse essere fiero di lui. In un certo senso se ne sentiva
orgoglioso: Alfred era qualcosa di meraviglioso. Ed il merito era solo
suo, di lui che l'aveva forgiato con tanto impegno e devozione.
Alfed si
accigliò. Guardò Arthur e provò
seriamente il forte bisogno di urlargli contro qualcosa. Che non era
così, che si sbagliava. Ma avrebbe inevitabilmente reso vera
l'affermazione dell'inglese.
-
Quand'è che la smetti? -
Arthur
alzò la testa. Lui non capiva mai niente di quello che
Alfred gli diceva.
Non che Alfred
fosse da meno.
- Smettere di
fare cosa, esattamente? -
America
sospirò. Lui di solito non sospirava.
Quante volte
l'Inghilterra gli era stata così addosso da farlo
soffocare? Quante volte l'America avrebbe voluto sbandierarle in
faccia l'indipendenza concessa più di un paio di secoli
prima?
Altrettante
volte, da quel che ricordava Alfred, Arthur aveva
accompagnato la sua presenza fissa con una serie di rimproveri, di
insulti. Voleva sempre ricordargli quali fossero le sue origini,
Arthur, e fargli capire che rinnegandole aveva solo tirato fuori il
peggio della sua Nazione.
Alfred non
doveva dimenticare cos'era prima.
Alfred non
doveva dimenticare chi l'aveva raccolto, cresciuto e nutrito.
Alfred non
doveva dimenticare grazie a chi era diventato una delle più
potenti Nazioni.
Alfred non
doveva dimenticare Arthur, in parole povere. Arthur non gliel'avrebbe
permesso.
- Smetterla di
volere troppo da me. Sono stanco. -
Inghilterra
sussultò. Se solo avesse avuto la tazzina ancora in
mano, avrebbe indubbiamente versato la metà del tea sul
pavimento o sui suoi stessi pantaloni.
Il cuore di
Arthur non voleva nemmeno ritornarci nel suo petto. Non ne voleva
proprio sapere.
Non si era
voltato indietro prima, non l'avrebbe fatto neanche adesso.
- Non voglio
proprio niente da te, se ci tieni a saperlo. -
- Non dire
stronzate. -
Alfed gli
aveva risposto senza concedergli nemmeno il tempo
di finire la frase.
In fondo, era
stato Arthur a mettergli un moschetto in mano e ad insegnargli a
sparare senza indugi.
Lo vide
chinare la testa, concentrarsi sulla tazzina poco distante e pensare
ancora un po'. Quanto pensava, dannato teaman.
Poteva starsene zitto a riflettere all'infinito, giusto per farlo
arrabbiare ancora di più. Tanto per affondare la sua
pazienza
già abbastanza segnata.
Alfred restava
immobile, stringeva i pugni e lo guardava dall'alto. Ma
chi diamine gliel'aveva fatta fare a seguirlo? Già era
nervoso
per la situazione economica del Wyoming e dei ranch vari, ci mancava
solo quell'esaurito di Kirkland che pensava. Damn.
- Prego? -
Arthur
alzò un sopracciglio, fissandolo con aria da superiore.
God,
se odiava quel suo modo di fare.
- Non dire
stronzate, Arthur. Non te lo negare. -
Se c'era una
cosa che Inghilterra detestava era dover
soprassedere ai capricci di Alfred.
Sapeva bene
che infastidirlo era diventato un passatempo per tutti -
per Francis in particolar modo - ma capiva altrettanto chiaramente che
non poteva tollerare che a farlo fosse il
suo
Alfred. Dannazione, quel ragazzino stava dimenticando tutto il passato,
le sue origini. Non c'era altra spiegazione.
Alfred era
stato un po' un parassita: aveva succhiato via tutto quello
che poteva avere, approfittato laddove poteva pretendere e rubato
qualora avesse potuto rubare. Aveva portato con sé,
dall'altra
parte dell'oceano, tutto quello che gli sarebbe tornato utile, aveva
tenuto accanto a sé la Madrepatria più a lungo
possibile
e poi, una volta in grado di tirare avanti col solo sostegno delle sue
gambe, l'aveva abbandonata senza farsi nemmeno uno scrupolo.
Alfred le
aveva dimenticate da un bel po' le sue origini, ora che ci pensava.
- Non nego
niente, perché è vero che da te non voglio
niente. -
Arthur sapeva
bene a cosa Alfred si riferisse. Diamine, se lo sapeva.
Ma in fondo,
cosa c'era di male a sperare di riportarlo sulla retta
via? Non che l'avesse mai persa, semplicemente Arthur credeva
indispensabile la sua guida.
Se ogni tanto
gli rivolgeva una critica, era solo perché non
sopportava l'idea che Alfred fosse cresciuto così bene senza
di
lui. Era innegabile: Arthur non aveva più nessuna
importanza.
Era stato lasciato alle spalle, proprio come se il parassita non avesse
avuto più di che nutrirsi.
- Allora
smetti di riprendermi ogni volta che ne hai l'occasione. E
smettila anche di insultarmi e di ripetermi che sono un buono a nulla.
E non guardarmi così. -
-
Così come? -
- Come se non
te ne importasse. -
- Ma non me ne
importa. -
- Perfetto.
Allora smettila di fare tutte quelle cose. -
- Non hai il
diritto di parlarmi così, Alfred. -
- Non sono
più il tuo
fratellino.
-
Arthur
abbassò lo sguardo.
Chissà
in che modo, ma loro due finivano sempre per litigare.
Da un "idiota" ora ne nasceva una
discussione fondamentalmente inutile.
Lui
idiota
lo diceva sempre a
tutti, amava farlo. Lo faceva con Italia e quell'idiota gli sorrideva,
lo faceva con Francia e quell'idiota gli palpava il sedere.
Lui amava dare
dell'idiota alla gente. Lo aiutava a sentirsi in qualche modo al di
sopra degli altri.
Arthur si
alzò in piedi, fermandosi davanti ad Alfred e guardandolo.
Avrebbe tanto
voluto dargli uno schiaffo. E dovette impegnare una massiccia dose di self-control per non farlo. Alfred
sapeva davvero sfiorare l'insostenibilità senza nemmeno
alzare un dito.
- Lo so. Non
mi sono dimenticato quel giorno. -
Sostenne il
suo sguardo a lungo, fino a sentirlo gravare sulle spalle e sul viso.
A lui gli
occhi di Alfred piacevano un sacco, li aveva sempre amati. Sentiva che
sapevano scrutargli dentro, fino a riuscire a leggergli fin'anche
l'anima - e questa non era sempre una cosa granché positiva.
Avevano lo
stesso colore del Pacifico, lo stesso di quel blu che li divideva da
secoli.
Inghilterra
abbassò gli occhi, davanti ad America. Non riusciva proprio
a sostenerli.
Erano un po'
come tutti quei moschetti che gli aveva puntato addosso il giorno in
cui aveva preteso l'indipendenza. Esattamente come quando aveva
infranto la promessa di restare insieme per sempre.
- Arthur... -
- Ho proprio
ragione quando dico che sei un idiota! -
Arthur non
alzava mai la voce con lui. Arthur fingeva sempre
di non stare male. Arthur gli rivolgeva tanti di quei sorrisi che
talvolta Alfred faticava a contarli.
Se tutto
questo era cambiato, Alfred non se n'era mai dato la colpa, chiaramente.
Arthur
percepì la sua mano sulla testa. Se era una carezza, lui non
se l'aspettava così.
- Lo so. -
Oh. E se c'era un'altra
cosa che lui odiava, era sentire Alfred diventare una persona matura da
un momento all'altro. Così, giusto per farlo passare dalla
parte del torto.
Lo faceva un
sacco di volte, nei summit e davanti alle altre Nazioni. E lui ancora
non capiva per quale motivo; se volesse prenderlo in giro e farlo
cadere nel ridicolo o se facesse sul serio.
-
Alfred...
-
Idiota.
Idiota. Idiota. Se in quella stanza c'era un idiota, era indubbiamente
Arthur.
- Non fa
niente... -
Era piacevole
sentire la mano di Alfred sui suoi capelli - ridicoli, avrebbe aggiunto
America. Gli sembrava quasi di tornare indietro di una manciata di
secoli. E di trovarsi l'uno di fronte all'altro a ruoli invertiti.
- Ti ho detto
che non fa niente. -
Se qualcuno
fosse uscito dalla Sala Conferenza in quel
momento, Arthur avrebbe ritenuto l'omicidio l'unica soluzione.
Se quel
qualcuno fosse stato Francis soprattutto. Se lo sarebbe levato dai
piedi una volta per tutte. Dannato vinofilo.
Stava
abbracciando Alfred. Lo stava facendo quasi senza ritegno. Era una
manifestazione d'affetto in piena regola quella, lui non avrebbe dovuto
provarne minimamente. Lui avrebbe dovuto detestarla l'America.
- Sta' zitto,
idiota. Non peggiorare la situazione! -
Alfred
sorrise. Probabilmente quello era il lato di Arthur che più
amava. Probabilmente quello era anche l'unico lato di Arthur.
Ma comunque a
lui piaceva lo stesso.
- Come vuoi
tu, big
bro.
-
Forse Arthur
non ci aveva mai fatto caso. Oppure se n'era
accorto, ma aveva preferito ignorarlo.
Quel dolore
nel petto gli dava tregua ogni tanto. Veniva solo sostituito da un
bruciore più piacevole, lo stesso di quando lo sentiva
battere così forte da far male.
Il cuore di
Arthur era inesorabilmente fuggito via, lasciandosi alle spalle solo
qualche ombra del passato.
Non voleva
affatto tornare indietro. Non nel suo petto almeno.
Forse
desiderava soltanto riavere un legame, senza sentirsi
vincolato però al suo padrone.
Il cuore di
Arthur, dunque, nonostante fosse scappato lontano, continuava a
scalpitare per il solo gusto di rendere felice il suo possessore.
Voleva soltanto fargli vedere come fosse bravo lui che riusciva
fin'anche a starsene da solo dall'altra parte del mare.
Arthur andava
fiero di questo cuore.
Sebbene gli
causasse non poca malinconia, capiva benissimo che rivolgere lo sguardo
ad ovest significava preoccuparsi per il suo fratellino.
C'era un
oceano in mezzo a loro. Tonnellate e tonnellate di acqua tanto crudeli
da tenerli lontani.
Eppure, ad
Alfred non erano mai sembrate così tante. A lui bastava
avere un punto di riferimento - in che parte del mondo si trovasse poco
importava - e dimostrare che il bambino capriccioso era in un certo
senso cresciuto. Era diventato un eroe.
E poi si
limitava ad aspettarlo. Tanto lo sapeva bene che Arthur non poteva
proprio farne a meno di portargli gli scones, nonostante Alfred avesse
più volte tentato inutilmente di fargli capire che lui li
odiava con tutto se stesso.
Non c'era
niente in loro che non andava.
Loro erano
l'America e l'Inghilterra. Abbastanza lontani da potersi ogni tanto
sentire troppo divisi, ma indissolubilmente legati dal medesimo passato.
Loro erano
soltanto Arthur e il cuore di Arthur. La sua parte più bella
che era fuggita via senza farsi troppi problemi e che era indubbiamente
cresciuta nel migliore dei modi, per quanto lui non sopportasse l'idea.
Arthur amava
il suo cuore più di ogni altra cosa.
Più del tea, addirittura.
Era qualcosa
di indispensabile per lui. E non gli importava che Alfred non la
pensasse allo stesso, anche se molto probabilmente era così
anche per lui.
Non bastava
quell'abisso profondo che era il mare a distruggere un legame.
Alfred era
tutto per Arthur. Era la cosa che più gli piaceva,
era la cosa migliore che fosse riuscito a creare. Era una parte di
Arthur, quella che amava di più, e lo sarebbe rimasto per
molto
tempo ancora. Almeno finché quel cuore non avesse smesso di
battere.
Questa storia partecipa
alla Criticombola
con il Prompt 25 [ "There is an ocean between us,
but is not very far." ]
Per la mia piccola America. *AAA*
Ies, ui chen!
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